Serata da ricordare.

di
genere
etero

La ragazza si chiamava Celine. Una morettina di circa 1,65 m, capello liscio portato a caschetto con una piega sbarazzina sulla sinistra, corpo snello ma con curve da capogiro. Le nostre conversazioni su tinder divennero sempre più amichevoli con il passare dei giorni e così, di comune accordo e curiosi, decidemmo di organizzare il nostro incontro. La conobbi una sera di febbraio. Ci trovammo non lontano da uno dei dei principali locali notturni di Roma bene. Indossava con disinvoltura un copri spalle nero e sotto un abito elegante, finemente damascato. Il vestito fasciava il petto e terminava a sbalzo poco sopra il ginocchio, lasciando scoperte parte delle cosce. Le gambe erano affusolate e terminavano in caviglie strette, rese ancora più protagoniste dalle décolleté nere con tacco 12 cm. Una volta davanti a lei, ciò che mi colpì di più fu la sua gioia e trasparente vivacità. “Finalmente ci incontriamo! Non ci speravo più” esordì. I suoi occhi erano fissi sui miei e ammiccavano. Bevemmo due drink, parlammo di lavoro, hobbies, sport. I soliti argomenti per rompere l’imbarazzo. Non ero così sicuro che mi piacesse, forse non totalmente. Non abbastanza forse per rivederla una seconda volta. Eppure oltre alla sua elegante presenza e simpatia, c’era qualcos’altro che mi spingeva a proseguire: il suo seno. Avete presente quando non vedi una cosa ma riesci ad immaginarla bene? Ecco le proporzioni erano davvero generose. Il vestito non era scollato, anzi quasi monacale, ma il tessuto tirava ad ogni sussulto. Dopo il secondo drink decisi che la mia immaginazione meritasse un confronto con il reale. Le proposi di riportarla a casa. “Guarda che non ti faccio salire da me” disse lei con uno sguardo malizioso, “ci vuole tempo per vincere la mia diffidenza, anche se sei carino”. “Non esistono più i cavalieri?”, risposi. “Oggi giorno solo i cavalieri che vogliono toglierti le mutandine!” Pronunciò con un sorriso affamato. La abbracciai e la baciai. La sua risposta fu focosa. Si strinse a me e spinse la sua lingua con forza nella mia bocca. Sentivo il suo corpo sbattere contro il mio. Il coinvolgimento di quel momento fu così intenso che sentii il suo corpo attraversato da fremiti di piacere. Quando ci staccammo, sui nostri volti si leggeva la voglia di godere insieme. Andammo in auto. Sulla strada verso casa, decisi di fermarmi in una strada laterale e riprendemmo a baciarci. Questa volta le nostre mani erano libere di esplorare. Iniziammo a spogliarci. Ricordo di averla aiutata ad abbassarsi il vestito. Appena calato, le sue tette esplosero fuori senza freni. Erano grandi come meloni, tonde ed esplosive. Erano così gonfie che si vedevano le vene correre sotto pelle sino a raggiungere due grandi areole di circa 6 cm di diametro. Strinsi quelle mammelle con voglia, e le palpai comprimendole tra loro, facendole diventare come due palle da rugby. Poi con quella forma stranamente allungata me le misi in bocca e le succhiai. Celine ansimava di piacere. Pur contro la mia morale di non approfittare della prima uscita, mi abbassai i jeans e i boxer, mettendo a nudo il mio pene teso ed eretto. Le chiesi: “Ti piace?”. Lei con stupore misto a eccitazione esclamò: “ Oh sì, è bellissimo!”. “Vieni, avvicinati” dissi. Le presi la mano e gliela misi sul pene. La sua avida eccitazione era più forte della sua timidezza. Si avvicinò, portò il ciuffo dietro all’orecchio e mise in bocca il cazzo. Riusciva a muovere la mano in su e in giù mentre la sua bocca lavorava sulla parte alta. Poi inizió a pompare con vigore e profondità. Rivoli di umori e saliva sgorgavano dai lati della sua bocca. Il segno del suo rossetto lasciava una tacca sempre più a fondo, di passaggio in passaggio. Pompava alla grande. Ad un certo punto il suo cellulare si illuminò accompagnato da un suono assordante. Si interruppe spaventata. Lesse. “Devo andare subito a casa. È urgente. E non posso farti salire”. Le presi la testa la baciai sul collo e le dissi: “ Lo vedi? Non puoi lasciarlo cosi”. “Hai ragione”. Le strizzai una tetta e la condussi di nuovo verso il cazzo. Quando il suo volto fu vicino, presi il cazzo e glielo strofinai sulle guance e poi glielo spinsi tra le labbra, spalancandole la bocca. Si ritrasse il tempo necessario per dire “Fai piano, è grosso e mi arriva in gola”. L’attimo dopo glielo spinsi di nuovo dentro. Non le dissi quando stavo per venire. Decisi che doveva essere una sorpresa per lei. Lei lo capì comunque, il glande si ingrossò sempre più e le vene erano sovradimensionate. Spruzzai con forza anche se non potei vedere. Spruzzai nella sua bocca. Lei fece un urlo di piacere soffocato, poi con trasporto emotivo iniziò a ingoiare, colpo su colpo, sparo dopo sparo. La sua bravura nell’arte della fellatio non le impedì di perdere alcune pesanti gocce di sborra che le piombarono sulle tette, colando sino ai capezzoli. Con una mossa tenera e disinvolta, come un’adolescente si passo l’indice sul capezzolo, prese quello che restava del mio liquido e se lo portó in bocca. Quando i nostri sguardi tornarono a incrociarsi, eravamo esausti ma felici. Fu il pompino che ricordo con più passione.
scritto il
2025-05-20
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