"La Luce Sulla Pelle" 1
di
Niko0000
genere
dominazione
Lei si chiamava Emma, ma pochi lo sapevano. Per tutti era semplicemente "quella nuova ragazza del gruppo di ballo". Quella con gli occhi grandi e le movenze precise, quella che non parlava mai troppo, ma sembrava danzare anche quando camminava.
La città era spietata. Era arrivata con un trolley rigido e un sogno fragile: ballare in un teatro vero, non solo nelle sale prove improvvisate o nei video su TikTok che nessuno guardava davvero. Il lavoro da cameriera al bar vicino alla stazione copriva a malapena l'affitto della stanza umida e gli abbonamenti ai corsi. Ma lei stringeva i denti. Le sere in cui non lavorava, si chiudeva in bagno e provava coreografie su un tappeto minuscolo, indossando vecchi body consumati e le calze smagliate. Le dita sanguinavano, ma lei sorrideva. "Un giorno sarò sul palco" si ripeteva.
Fu a una di quelle audizioni di terza fascia che lo incontrò. Si faceva chiamare Marco, ma il suo nome completo, Emma lo scoprì dopo, figurava su diverse locandine di spettacoli notturni. Non teatrali. Non esattamente "artistici", almeno non nel senso classico.
La osservava da dietro le lenti scure, mentre lei provava un passo di salsa, vestita in arancione acceso, il costume più sgargiante che avesse mai indossato. Le luci del palco le disegnavano addosso una silhouette fiera, inconsapevole. Lui si avvicinò durante la pausa. Le offrì una bottiglietta d'acqua e un sorriso morbido.
— “Hai talento. Ma lo sai anche tu, vero?” — “Non quanto vorrei…” rispose Emma, evitando il suo sguardo. — “Forse posso aiutarti.”
La proposta arrivò con eleganza. Niente volgarità, niente doppi sensi espliciti. Solo un invito a "una festa privata", una di quelle dove "serve una presenza magnetica, un corpo che parli anche senza muoversi". C'era da ballare. Tutto lì. Forse.
Emma sapeva cosa implicava davvero. Non era nata ieri. Ma c’era fame nei suoi occhi. Fame di palco, di riconoscimento. E la sua coscienza, di solito rumorosa, quella notte restò in silenzio.
Si presentò alla festa con un vestito grigio glitterato, corto, spalle scoperte, un reggiseno rosso vino che sembrava un fuoco appena domato. Gli uomini la guardarono. Le donne la squadrarono. E lei, per la prima volta, non abbassò lo sguardo.
Quella notte danzò. Non su un palco, ma su un tappeto di marmo, tra bicchieri di cristallo e occhi avidi. Non era teatro, no. Ma era un inizio. Uno strano inizio.
E tra un brano e l’altro, tra un sorriso lanciato e una carezza sulla spalla da parte di Marco, Emma capì che stava entrando in un altro tipo di palcoscenico. Uno dove il corpo raccontava storie che nessuna coreografia poteva insegnare.
"Sospesa fra le Note"
Marco, dopo quella sera, sparì. Nessun messaggio, nessuna chiamata. Solo il suo profumo, ancora impigliato nella stoffa del blazer glitterato di Emma, e un vago ricordo del suo sguardo, che sembrava averla scrutata fino all'anima.
All’inizio, fu quasi un sollievo. Forse era stata solo una prova, un assaggio di qualcosa che non avrebbe avuto un seguito. Forse era meglio così. Emma tornò alla sua routine di caffè serviti con finta gentilezza, ore davanti allo specchio con lo sguardo perso, e monete contate fino all’ultimo centesimo per pagare una lezione di danza. Ma qualcosa era cambiato.
I problemi finanziari cominciarono a diventare una presenza fissa. Il padrone di casa le aveva già fatto capire, con voce scocciata e uno sguardo che si soffermava troppo sui suoi fianchi, che la pazienza aveva un limite. La lavastoviglie del bar si era rotta, e ora toccava anche lavare i piatti, senza extra. E i provini? Sempre troppi volti, sempre troppo uguali ai suoi. Sempre una scusa per non prenderla.
Una sera, seduta sul letto disfatto, scorse un video su TikTok. Una ragazza ballava in costume, movimenti morbidi, luci soffuse, lo sguardo in macchina che sembrava dire: "Guarda, ma senza toccare." Il video aveva mezzo milione di visualizzazioni. Emma cliccò sul profilo: solo danza. Ma era più di danza… era un modo di raccontarsi. Di farsi vedere, senza svendersi. O forse sì. Ma con stile.
Non ci pensò troppo. Sistemò il cellulare sul comodino, usò una lampada per avere la giusta luce, indossò un bikini leopardato e lasciò che i fianchi parlassero più delle parole. Una salsa lenta, i piedi nudi sul parquet consumato. Il video durava appena trenta secondi. Il tempo di un respiro trattenuto.
Lo pubblicò, e poi si chiuse sotto le coperte, con il cuore che batteva come dopo il primo bacio adolescenziale.
Il giorno dopo aveva più like di quanti ne avesse mai ricevuti. Commenti ambigui, certo, ma anche altri che dicevano “sei un’opera d’arte”, “il tuo corpo è poesia in movimento”, “continua così”. E allora Emma lo fece. Ogni due giorni, un video. Sempre danza, certo. Ma sempre più lei. Luci calde, costumi studiati, coreografie pensate per accarezzare l’occhio. Non era volgarità. Era presenza. Presa di potere.
Ma i dubbi la rosicchiavano. Si stava vendendo? O si stava liberando? A volte, sotto la doccia, guardava i suoi tatuaggi e si chiedeva se quei fiori e quell’ancora raccontassero davvero chi fosse. Una ragazza ancorata al sogno… o una che si stava lasciando trascinare?
Poi, una sera, una notifica. Un messaggio privato. Nessun nome. Solo:
“Hai imparato a farti guardare. Ma ora sai farti desiderare?”
Marco.
La città era spietata. Era arrivata con un trolley rigido e un sogno fragile: ballare in un teatro vero, non solo nelle sale prove improvvisate o nei video su TikTok che nessuno guardava davvero. Il lavoro da cameriera al bar vicino alla stazione copriva a malapena l'affitto della stanza umida e gli abbonamenti ai corsi. Ma lei stringeva i denti. Le sere in cui non lavorava, si chiudeva in bagno e provava coreografie su un tappeto minuscolo, indossando vecchi body consumati e le calze smagliate. Le dita sanguinavano, ma lei sorrideva. "Un giorno sarò sul palco" si ripeteva.
Fu a una di quelle audizioni di terza fascia che lo incontrò. Si faceva chiamare Marco, ma il suo nome completo, Emma lo scoprì dopo, figurava su diverse locandine di spettacoli notturni. Non teatrali. Non esattamente "artistici", almeno non nel senso classico.
La osservava da dietro le lenti scure, mentre lei provava un passo di salsa, vestita in arancione acceso, il costume più sgargiante che avesse mai indossato. Le luci del palco le disegnavano addosso una silhouette fiera, inconsapevole. Lui si avvicinò durante la pausa. Le offrì una bottiglietta d'acqua e un sorriso morbido.
— “Hai talento. Ma lo sai anche tu, vero?” — “Non quanto vorrei…” rispose Emma, evitando il suo sguardo. — “Forse posso aiutarti.”
La proposta arrivò con eleganza. Niente volgarità, niente doppi sensi espliciti. Solo un invito a "una festa privata", una di quelle dove "serve una presenza magnetica, un corpo che parli anche senza muoversi". C'era da ballare. Tutto lì. Forse.
Emma sapeva cosa implicava davvero. Non era nata ieri. Ma c’era fame nei suoi occhi. Fame di palco, di riconoscimento. E la sua coscienza, di solito rumorosa, quella notte restò in silenzio.
Si presentò alla festa con un vestito grigio glitterato, corto, spalle scoperte, un reggiseno rosso vino che sembrava un fuoco appena domato. Gli uomini la guardarono. Le donne la squadrarono. E lei, per la prima volta, non abbassò lo sguardo.
Quella notte danzò. Non su un palco, ma su un tappeto di marmo, tra bicchieri di cristallo e occhi avidi. Non era teatro, no. Ma era un inizio. Uno strano inizio.
E tra un brano e l’altro, tra un sorriso lanciato e una carezza sulla spalla da parte di Marco, Emma capì che stava entrando in un altro tipo di palcoscenico. Uno dove il corpo raccontava storie che nessuna coreografia poteva insegnare.
"Sospesa fra le Note"
Marco, dopo quella sera, sparì. Nessun messaggio, nessuna chiamata. Solo il suo profumo, ancora impigliato nella stoffa del blazer glitterato di Emma, e un vago ricordo del suo sguardo, che sembrava averla scrutata fino all'anima.
All’inizio, fu quasi un sollievo. Forse era stata solo una prova, un assaggio di qualcosa che non avrebbe avuto un seguito. Forse era meglio così. Emma tornò alla sua routine di caffè serviti con finta gentilezza, ore davanti allo specchio con lo sguardo perso, e monete contate fino all’ultimo centesimo per pagare una lezione di danza. Ma qualcosa era cambiato.
I problemi finanziari cominciarono a diventare una presenza fissa. Il padrone di casa le aveva già fatto capire, con voce scocciata e uno sguardo che si soffermava troppo sui suoi fianchi, che la pazienza aveva un limite. La lavastoviglie del bar si era rotta, e ora toccava anche lavare i piatti, senza extra. E i provini? Sempre troppi volti, sempre troppo uguali ai suoi. Sempre una scusa per non prenderla.
Una sera, seduta sul letto disfatto, scorse un video su TikTok. Una ragazza ballava in costume, movimenti morbidi, luci soffuse, lo sguardo in macchina che sembrava dire: "Guarda, ma senza toccare." Il video aveva mezzo milione di visualizzazioni. Emma cliccò sul profilo: solo danza. Ma era più di danza… era un modo di raccontarsi. Di farsi vedere, senza svendersi. O forse sì. Ma con stile.
Non ci pensò troppo. Sistemò il cellulare sul comodino, usò una lampada per avere la giusta luce, indossò un bikini leopardato e lasciò che i fianchi parlassero più delle parole. Una salsa lenta, i piedi nudi sul parquet consumato. Il video durava appena trenta secondi. Il tempo di un respiro trattenuto.
Lo pubblicò, e poi si chiuse sotto le coperte, con il cuore che batteva come dopo il primo bacio adolescenziale.
Il giorno dopo aveva più like di quanti ne avesse mai ricevuti. Commenti ambigui, certo, ma anche altri che dicevano “sei un’opera d’arte”, “il tuo corpo è poesia in movimento”, “continua così”. E allora Emma lo fece. Ogni due giorni, un video. Sempre danza, certo. Ma sempre più lei. Luci calde, costumi studiati, coreografie pensate per accarezzare l’occhio. Non era volgarità. Era presenza. Presa di potere.
Ma i dubbi la rosicchiavano. Si stava vendendo? O si stava liberando? A volte, sotto la doccia, guardava i suoi tatuaggi e si chiedeva se quei fiori e quell’ancora raccontassero davvero chi fosse. Una ragazza ancorata al sogno… o una che si stava lasciando trascinare?
Poi, una sera, una notifica. Un messaggio privato. Nessun nome. Solo:
“Hai imparato a farti guardare. Ma ora sai farti desiderare?”
Marco.
1
0
voti
voti
valutazione
4.4
4.4
Commenti dei lettori al racconto erotico