Inferno di Piacere - Parte 2
di
Ntoni
genere
trans
Parte Due
Luca scivolò fuori dal letto di Sofia mentre l’alba si insinuava nel monolocale, un disastro di lenzuola aggrovigliate, candele ridotte a cera fredda e il foulard di seta nera abbandonato come un relitto. Il cuore gli batteva troppo forte, non più di desiderio ma di un’urgenza che lo spingeva a scappare. Sofia dormiva, il viso rilassato, i capelli neri sparsi sul cuscino come inchiostro versato, il suo respiro un richiamo che Luca si costrinse a ignorare. Raccolse i jeans dal pavimento, il tessuto ruvido contro i graffi freschi sulla pelle. La camicia era persa—bottoni sparsi chissà dove—quindi afferrò la giacca di cuoio, fredda contro il petto nudo.
Mentre si avvicinava alla porta, il monolocale sembrava vivo: le tele incompiute di Sofia, macchie di colore violento, lo fissavano. Sul mobiletto vicino all’ingresso, un mucchio di biglietti da visita catturò il suo sguardo: Sofia V. Artist, un numero di telefono inciso in corsivo sottile sotto il nome. Luca esitò, il respiro corto. Non sapeva perché, ma ne prese uno, infilandolo in tasca con un gesto rapido, quasi furtivo. Il cartoncino era liscio, pesante, come se portasse un pezzo di lei. Aprì la porta e uscì, il clic della serratura che gli pesò sullo stomaco come una sentenza.
A casa di Sofia, il silenzio fu rotto dal ronzio della città. Lei si svegliò sola, il letto ancora caldo dove Luca era stato. Raccolse il foulard dal pavimento, le dita che lo accarezzavano come un ricordo. Sul mobiletto, notò il biglietto mancante. Sorrise, un lampo di malizia negli occhi verdi. “Luca,” mormorò, la voce roca, “non sai cosa hai iniziato.”
Milano accolse Luca con un freddo umido, Porta Venezia silenziosa sotto un cielo di piombo. Camminava veloce, la giacca stretta al petto, il biglietto che bruciava in tasca. Non riusciva a togliersi Sofia dalla testa—il modo in cui lo aveva smontato, il gusto salato e muschiato della sua erezione mischiato al suo sperma, caldo e amaro, quando lei gli aveva ordinato di leccare. Quel sapore gli aveva scavato un solco nella mente. Non capiva perché gli fosse piaciuto. Lui era numeri, scadenze, una vita incasellata. Con Sofia, si era lasciato andare, e ora non sapeva come tornare indietro.
Arrivò al suo appartamento in zona Moscova, un monolocale minimalista che gli sembrò estraneo, troppo pulito, troppo vuoto. Si buttò sotto la doccia, l’acqua bollente che pungeva i lividi sul petto, ma non lavava via il ricordo di lei—le unghie di Sofia che graffiavano, il foulard che stringeva il collo. Si asciugò, lo specchio appannato che rifletteva un uomo che non riconosceva. Sul tavolo, posò il biglietto: Sofia V. Artist. Quel numero era una porta, e Luca non sapeva se voleva aprirla.
Il primo giorno fu un limbo. In ufficio, un cubicolo asettico in centro, Luca fissava lo schermo, le email che si accumulavano senza senso. Il suo capo gli chiese di un report, e lui annuì, ma la sua mente era altrove—Sofia che rideva, sadica, mentre lo portava al confine con tocchi che lo mandavano in pezzi. In bagno, un segno sul collo, un livido dove il foulard aveva morso, lo fece sobbalzare. Lo sfiorò, e il ricordo lo colpì: la sua bocca su di lei, il loro piacere mescolato sulle labbra, un gusto dolce e selvaggio. Il suo corpo reagì, un calore traditore, e Luca si maledisse. Non poteva desiderare questo. Non era lui.
Tornò a casa con una birra, il biglietto sul tavolo come un accusatore. Lo prese, rigirandolo tra le dita. Sofia V. Artist. E se fosse stato solo un gioco per lei? E se lui fosse stato solo una notte? Ma il pensiero di non rivederla gli stringeva il petto più del foulard. Provò a spegnere tutto—una seconda birra, Netflix—ma il sonno non veniva. Quando chiudeva gli occhi, vedeva lei: il suo corpo, un’arma; i suoi occhi verdi, che lo leggevano come un libro aperto.
Il secondo giorno fu un corto circuito. Luca si sentiva esposto, come se tutti potessero vedere il caos dentro di lui. Un collega fece una battuta su una serata selvaggia, e Luca si irrigidì, sicuro che il suo viso lo tradisse. Non era colpa—era che Sofia non entrava nelle sue categorie. Lui pianificava ogni mossa—lavoro, amici, sesso. Ma con lei era stato diverso. Ripensava al modo in cui si era arreso, la lingua che adorava ogni centimetro di lei, il loro sperma che colava, caldo, un sapore che lo aveva fatto sentire vivo. In una riunione, si perse, il cuore che accelerava al ricordo di lei che tirava il foulard, il piacere che esplodeva come un fulmine. Non era solo sesso—Sofia gli aveva aperto una porta che non poteva chiudere.
Il terzo giorno, Luca era al confine. Il monolocale era una gabbia, il biglietto un peso che non poteva ignorare. Non riusciva a lavorare, a pensare. Ogni email, ogni notifica era rumore. Aveva bisogno di aria, di qualcosa che lo tirasse fuori dalla sua testa. Si infilò una giacca e uscì. Milano era viva, il crepuscolo che accendeva i neon di Porta Venezia. Senza pensarci troppo, si ritrovò davanti allo stesso locale della prima notte, un bar alla moda con luci soffuse e bassi che pulsavano attraverso le vetrine. L’asfalto umido rifletteva il fermento della città, e Luca si fermò, il cuore che accelerava. Non sapeva cosa cercasse—una distrazione, un ricordo, o forse lei. Spinse la porta ed entrò, l’aria densa di profumo, sudore e possibilità.
Luca si fece strada tra la folla, i corpi che si sfioravano, il rumore che lo avvolgeva come un’onda. Si sedette al bancone, ordinando un Campari gin. Il bicchiere era freddo, il liquido rosso che bruciava in gola. Il barista, un tipo con una barba curata e un tatuaggio che spuntava dalla manica, gli fece un cenno. “Serata lunga?” chiese, asciugando un bicchiere. Luca scrollò le spalle, un mezzo sorriso. “Qualcosa del genere.” Ma la sua mente era altrove. Ogni sorso gli riportava Sofia—il modo in cui lo aveva guardato, come se potesse strappargli l’anima. Scosse la testa, cercando di ancorarsi alla conversazione. Il barista parlava di Milano, di notti che non finiscono mai, ma Luca rispondeva a monosillabi, il biglietto nella tasca che pesava come piombo. Era lì per svagarsi, ma ogni ombra nel locale sembrava lei.
A tre giorni di distanza, Sofia era nel suo monolocale, una tela a metà davanti a lei, macchie di rosso e nero sotto le dita. Il foulard era ancora sul letto, un promemoria che la faceva sorridere. Tre giorni, e Luca non aveva chiamato. Un pizzico di irritazione le pizzicava la pelle—aveva preso il biglietto, no? Sapeva dove trovarla. Si alzò di scatto, lasciando il pennello sul tavolo, la vernice che colava come sangue. Basta dipingere, basta aspettare. Si infilò un vestito nero, aderente, che scolpiva ogni curva, e un rossetto rosso che era una dichiarazione di guerra. “Vediamo se sei lì, Luca,” mormorò, afferrando la borsa. Il locale di Porta Venezia era a pochi passi, il posto dove tutto era iniziato. Aveva voglia di un drink, di movimento, e forse di lui. Uscì, i tacchi che battevano sull’asfalto umido, un fuoco negli occhi verdi che prometteva caos.
Sofia spinse la porta del locale, l’aria calda che le avvolse il viso. La folla era un mare di corpi, luci al neon che danzavano sulle pareti. I suoi occhi scandagliarono la sala, rapidi, affilati, e poi lo videro—Luca, al bancone, un Campari gin in mano, che chiacchierava con il barista come se niente fosse. Un lampo di fastidio le attraversò il petto. Tre giorni, e non una chiamata, non un messaggio. Eppure eccolo lì, nello stesso posto dove l’aveva trovata, a bere come se lei non gli avesse squarciato l’anima. Strinse le labbra, un sorrisetto amaro. Bene, voleva giocare? Lei era più brava.
Sofia si fece strada con passo deciso, il vestito che catturava sguardi, il suo profumo che lasciava una scia. Scelse uno sgabello a due posti da Luca, abbastanza vicino da sentire il calore del suo corpo, ma senza guardarlo. “Un martini, secco,” disse al barista, la voce bassa, vellutata, come se stesse accendendo una miccia. Incrociò le gambe, il tessuto del vestito che scivolava appena, e prese il bicchiere con un movimento lento, le unghie laccate di nero che brillavano sotto le luci. Non gli rivolse uno sguardo, non una parola. Era come se Luca non esistesse—un estraneo, un nessuno. Ma ogni suo gesto era calcolato, un’esca per vedere quanto ci avrebbe messo a crollare. Dentro di lei, il fastidio bruciava, ma c’era anche un brivido: il gioco era appena iniziato.
Per quindici minuti, il bancone fu un campo di battaglia silenzioso. Luca continuava a chiacchierare con il barista—storie di clienti ubriachi, il freddo di Milano—ma le sue parole erano meccaniche, il bicchiere di Campari gin che girava tra le dita. Ogni tanto, il suo sguardo scivolava verso destra, dove una presenza lo pungeva, ma non osava guardare davvero. Sofia, dal canto suo, sorseggiava il martini, rispondendo al barista con battute taglienti e risate che cadevano come lame. Parlava di arte, di una mostra che non esisteva, di notti che divorano. Ogni sillaba era un’esca, ma Luca restava un’ombra ignorata. Il barista, ignaro della tempesta, passava dall’uno all’altra, versando drink e sorridendo. L’aria tra loro era densa—sudore, alcool, e un desiderio che nessuno dei due nominava.
Luca sentiva il biglietto in tasca, un peso che non lo lasciava. Non sapeva se fosse il terzo Campari o il ronzio del locale, ma qualcosa lo spinse a muoversi. Doveva spezzare quel limbo. Si alzò, il bicchiere vuoto sul bancone, mormorando un “torno subito” al barista, come se dovesse andare in bagno. Passando accanto a Sofia, il suo gomito sfiorò la sua spalla—un tocco leggero, quasi accidentale, ma abbastanza da far vibrare l’aria. Si fermò, il cuore che inciampava. “Scusa,” disse, la voce un po’ roca, girandosi verso di lei. I loro occhi si incrociarono per la prima volta quella sera, e fu come un fulmine. Lei lo fissava, il martini a mezz’aria, un sopracciglio alzato che gridava sfida. Luca deglutì, poi si buttò. “Non ci siamo già visti? Mi chiamo Luca.” Tese la mano, un gesto goffo che nascondeva una fame che non poteva più ignorare.
Sofia lo squadrò, il bicchiere che oscillava appena tra le dita. Per un istante, sembrò che potesse smascherarlo, ma poi un sorriso lento le curvò le labbra—freddo, tagliente, come se stesse decidendo il suo destino. “Forse,” disse, la voce seta e coltelli. “Sofia.” Gli strinse la mano, le sue unghie che sfiorarono la sua pelle per una frazione di secondo, abbastanza da farglielo sentire. “Piacere.” Non c’era calore, solo un gioco che continuava, e Luca lo sapeva. Annuì, il cuore che martellava, e si scusò di nuovo, dirigendosi verso il bagno. Aveva bisogno di un momento, di aria, per non tradirsi davanti a tutti. Nel corridoio stretto, si appoggiò al muro, il respiro corto. Lei era lì, cazzo, e stava ancora giocando con lui.
Quando tornò, il locale sembrava più vivo, più rumoroso, o forse era solo il sangue che gli pulsava nelle tempie. Il suo sgabello era ancora libero, ma Luca vide un’opportunità. Senza pensarci troppo, si sedette sullo sgabello accanto a Sofia, abbastanza vicino da sentire il suo profumo—muschio, fiori selvatici, pericolo. Lei non lo guardò, il martini che girava piano nel bicchiere, ma il suo silenzio era un invito. “Bel posto,” buttò lì Luca, la voce che cercava un appiglio. “Ci vengo spesso.” Sofia alzò un sopracciglio, un mezzo sorriso. “Davvero? Non l’avrei detto.” La conversazione scivolò sul nulla—Milano di notte, il freddo che morde, drink che scaldano. Ogni parola era una danza, un passo cauto su un filo teso. Luca cercava di leggere i suoi occhi, ma lei era un mistero, ogni frase un’esca che lo teneva agganciato.
A un certo punto, la borsa di Sofia scivolò dal bancone, un tonfo leggero sul pavimento. “Merda,” mormorò lei, chinandosi appena, ma senza fretta. Luca si abbassò per aiutarla, raccogliendo un rossetto, un pacchetto di sigarette, qualche moneta sparsa. Poi la vide—una copia delle chiavi, un mazzo piccolo con un ciondolo a forma di pennello, abbandonate lì, come se non contassero nulla. Sofia era ancora china, il vestito che tirava appena sulle cosce, ma non toccò le chiavi. Luca esitò, il cuore che gli esplodeva nel petto. Era un caso? No, con lei niente lo era. Con un movimento rapido, quasi istintivo, le infilò in tasca, il metallo freddo contro le dita. Si rialzarono insieme, Sofia che lo ringraziava con un sorriso che sembrava sapere tutto. “Gentile,” disse, la voce che gli scavava dentro.
Tornarono ai loro drink, il martini di lei e un nuovo Campari gin per lui. La conversazione riprese—il locale, una mostra d’arte che Luca inventò sul momento, il modo in cui Milano ti inghiotte. Ma Luca aveva un nodo in gola, le chiavi che bruciavano in tasca come il biglietto tre giorni prima. Sofia sorseggiava il suo drink, le labbra rosse che lasciavano un’ombra sul bicchiere, e ogni tanto i loro gomiti si sfioravano, un contatto che era tutto tranne che casuale. Parlavano del più e del meno, ma l’aria tra loro era carica, un temporale pronto a scoppiare.
Poi, senza preavviso, Sofia posò il bicchiere, un movimento deciso che spezzò il ritmo. “Sai, la notte è ancora lunga,” disse, gli occhi verdi che lo sfiorarono per un istante, affilati come lame. “Ma non qui.” Si alzò, il vestito che scivolava sul suo corpo come una seconda pelle, e senza aggiungere altro si diresse verso l’uscita, la folla che si apriva al suo passaggio. Luca restò inchiodato allo sgabello, il Campari gin a metà, la sua figura che svaniva tra i corpi e le luci al neon. Non gli aveva dato un addio, non un invito—solo un vuoto che lo colpì come un pugno.
Il barista tornò, versando un altro drink a qualcuno, e il locale continuò a pulsare, ma per Luca il mondo si era fermato. Le chiavi nella tasca erano un macigno. Le sfiorò con le dita, il ciondolo a forma di pennello che gli pungeva la pelle. Cosa cazzo doveva fare? Andarle dietro? Presentarsi al suo monolocale con le chiavi come un ladro, come un disperato? O restituirgliele, fingendo che fosse un errore? Il suo respiro accelerò, il panico che gli stringeva il petto. Ripensò al suo sorriso—quel “gentile” che nascondeva un piano. Sofia sapeva. Sapeva che le aveva prese, e ora lo aveva lasciato lì, solo, con un mazzo di chiavi che apriva una porta che lo terrorizzava. Il biglietto da visita, ancora in tasca, sembrava ridere di lui. Tre giorni senza chiamarla, e ora questo—un altro test, un altro gioco che non capiva.
Fissò il bicchiere, il rosso del Campari che rifletteva le luci del locale. La sua mente era un casino—il ricordo di lei, nuda, che lo guidava con il foulard; il gusto di loro due, mischiato, che ancora gli bruciava sulla lingua. Le chiavi erano più di un oggetto—erano una sfida, una porta verso qualcosa che lo spaventava e lo attirava allo stesso tempo. Poteva lasciarle lì, sul bancone, e tornarsene a casa, alla sua vita ordinata. Ma il pensiero di Sofia—il suo corpo, il suo controllo, il modo in cui lo aveva disfatto—era un fuoco che non si spegneva. Il panico si mescolava a un desiderio che gli torceva le viscere. Non poteva restare fermo.
Pagò il conto con mani che tremavano, ignorando lo sguardo curioso del barista. Uscì dal locale, l’aria fredda di Porta Venezia che gli schiaffeggiava il viso. Le chiavi pesavano in tasca, il ciondolo che sbatteva contro il biglietto da visita. Non pensò—non poteva permetterselo. I suoi piedi lo portarono verso il monolocale di Sofia, le strade di Milano un labirinto che conosceva a malapena. Ogni passo era un misto di terrore e fame. E se lei non fosse stata lì? E se fosse stato tutto un errore? Ma il ricordo del suo sguardo, di come lo aveva spezzato e rimesso insieme, lo spingeva avanti.
Arrivò al palazzo, un edificio vecchio con l’intonaco scrostato, le scale che odoravano di umido e vernice. Le chiavi gli scivolarono tra le dita, fredde, mentre saliva. Davanti alla porta del monolocale, si fermò. La chiave era pronta, il ciondolo a forma of pennello che dondolava come un avvertimento. Il cuore gli martellava, il respiro corto. Dall’altra parte **Sofia era lì, nuda sotto una vestaglia di seta nera, aperta appena abbastanza da rivelare la curva del seno, la linea dell’addome, un’ombra che prometteva tutto. Le luci soffuse del monolocale danzavano sulla sua pelle olivastra, e il suo profumo—muschio, fiori selvatici, peccato—lo colpì come una droga, prorompente, travolgente. I suoi occhi verdi lo inchiodarono, un sorriso lento che era insieme accusa e invito. “Luca,” disse, la voce bassa, un coltello avvolto nella seta. “Ci hai messo un po’.”
Luca non ci vide più. L’attesa, i giochi psicologici, le notti passate a rivivere il gusto di lei, il foulard che stringeva, le chiavi che lo avevano trascinato lì—tutto esplose. La libido era alle stelle, un fuoco che gli bruciava il sangue. Fece un passo dentro, chiudendo la porta con un calcio, il tonfo che echeggiava come un punto di non ritorno. Sofia aprì la vestaglia, lasciandola cadere a terra, e il suo corpo si rivelò—perfetto, scolpito, ogni curva un’arma. Il suo pene, turgido, svettava con una cappella lucida, pulsante, che tradiva il suo desiderio, crudo e innegabile.
Luca si mosse come un predatore, il desiderio che cancellava ogni esitazione. La afferrò, spingendola contro il muro, il suo corpo che premeva contro di lei, caldo e urgente. La baciò con una fame disperata, le labbra che si scontravano, la lingua che invadeva, morsi leggeri che sapevano di bisogno. Le mani strapparono via la sua maglietta, il tessuto che cadeva sul pavimento, mentre i jeans gli scivolavano sui fianchi, la sua erezione già dura contro di lei. Sofia gemette piano nel bacio, un suono che lo fece tremare, ma non si oppose—non ancora.
La sollevò appena, buttandola sul letto sfatto, le lenzuola ancora un caos dalla loro notte di tre giorni prima. Si inginocchiò sopra di lei, il respiro corto, e ricominciò a baciarla—il collo, la clavicola, scendendo verso il seno, ogni tocco una rivendicazione. La sua mano destra scivolò lungo il suo addome, trovando la sua asta, dura e calda sotto le dita. La strinse piano, sentendola pulsare, e poi si concentrò sulla cappella, bagnata di precum, lucida come una promessa. Con due dita, raccolse il liquido, sfiorandola con una pressione deliberata che fece inarcare Sofia. La guardò negli occhi, il suo sguardo un fuoco che bruciava, e portò le dita alla sua bocca. “Assaggia,” disse, la voce roca, spingendole contro le labbra. Sofia leccò, lenta, il suo stesso sapore che le brillava negli occhi, un misto di sfida e resa che mandò Luca fuori di testa.
Luca si leccò le dita, il gusto salato di lei che gli accendeva i nervi, e tornò a baciarla, la lingua che si intrecciava alla sua, un duello che sapeva di urgenza. Le sue labbra scesero sul collo, mordicchiando la pelle morbida, lasciando segni leggeri che la fecero sospirare. Continuò, lento ma deciso, verso i capezzoli, sfiorandoli con la lingua, succhiandoli appena fino a farla inarcare sotto di lui. Il suo respiro era caldo contro la sua pelle, scendendo sull’addome, ogni bacio una mappa che lo portava più in basso. Raggiunse il suo pene, turgido e lucido, e lo sfiorò con le labbra, inizialmente con dolcezza—baci leggeri, quasi reverenti, lungo l’asta, assaporando il calore, il profumo muschiato che lo travolgeva. Sofia tremò, un gemito basso che lo spronò. Luca chiuse gli occhi, il desiderio che lo guidava, e lo prese in bocca, prima piano, la lingua che accarezzava la cappella, poi più deciso, accogliendolo tutto, la sua gola che si stringeva attorno a lei, ogni movimento un atto di possesso.
Luca si ritrasse, il respiro pesante, gli occhi che vagavano sul letto. Lì, tra le lenzuola, intravide il foulard nero—quello che tre giorni prima gli aveva stretto i polsi, il collo, il mondo. Un lampo di decisione gli attraversò lo sguardo. Lo afferrò, la seta liscia tra le dita, e con un movimento rapido girò Sofia a pancia sotto, il suo corpo che cedeva sotto la sua forza. “Non muoverti,” ringhiò, la voce bassa. Le sollevò le braccia, legando i polsi alla spalliera del letto con nodi decisi, il foulard che mordeva appena la sua pelle. Sofia si lasciò fare, un gemito soffocato contro il cuscino, il suo corpo teso ma vivo.
Luca le divaricò le gambe, le cosce che si aprivano sotto le sue mani, rivelando il suo pene turgido che spuntava tra di esse, la cappella lucida che pulsava contro le lenzuola. Si chinò, il respiro caldo sulla sua pelle, e iniziò un rimming bagnato, la lingua che esplorava il suo buco con lentezza deliberata, ogni leccata un’onda di piacere che faceva tremare Sofia. I suoi gemiti si alzarono, rochi, incontrollati, mentre Luca approfondiva, la bocca che si bagnava di saliva, il sapore di lei che lo consumava. Poi, con un movimento fluido, scese più in basso, leccandola dalla cappella—salata, calda—fino al buco del culo, un percorso lento che la fece inarcare, il suo corpo che implorava di più. I gemiti di Sofia erano pura elettricità, ogni suono un fuoco che spingeva Luca oltre. Tornò al suo buco, la lingua che insisteva, e poi introdusse un dito, lento, scivoloso, sentendola stringersi attorno a lui. Sofia si lasciò andare, il piacere che la scuoteva, i suoi gemiti che riempivano il monolocale, un canto crudo di abbandono.
Luca stava esplodendo, il desiderio che lo consumava, una fame che non poteva più contenere. Voleva far sua Sofia, possederla in ogni modo possibile. E lei lo voleva altrettanto—il suo corpo teso, il suo respiro spezzato gridavano il bisogno di averlo dentro. Sofia si inarcò, sollevandosi sulle ginocchia con cautela, attenta a non tirare troppo il foulard che le legava i polsi. La schiena si abbassò, il culo in aria, un’offerta che era insieme resa e sfida. “Prendimi,” sussurrò, la voce roca, un invito che vibrava nell’aria come un comando.
Luca non se lo fece ripetere. La saliva della sua lingua e il precum di lei, scivoloso sulla cappella, erano tutto ciò che serviva. Si posizionò dietro di lei, la sua erezione dura, pulsante, che premeva contro il suo buco. Entrò lentamente, sentendola aprirsi per lui, il calore che lo avvolgeva come se fosse la cosa più naturale del mondo. Sofia gemette, un suono profondo che lo spronò. Luca iniziò a muoversi, prima piano, ogni spinta un’esplorazione, poi sempre più forte, il ritmo che cresceva con i suoi gemiti. Più forte spingeva, più forti diventavano i suoi versi—crudi, disperati, un canto di piacere che riempiva il monolocale. Le mani di Luca afferrarono i suoi fianchi, tenendola ferma mentre la scopava, il suo corpo che si piegava al suo volere.
Sofia si abbandonava, il foulard che tirava appena, il suo pene turgido che dondolava tra le gambe, sfregando contro le lenzuola ad ogni spinta. Luca sentì il suo calore, la sua stretta, il modo in cui lo accoglieva, e perse ogni controllo, il ritmo che diventava selvaggio. Poi lo notò—il suo pene non stava più gocciolando. Sofia era venuta, senza mani, il suo orgasmo che esplodeva sotto di lui, schizzi caldi che bagnavano le lenzuola, il suo corpo che tremava mentre gemeva, travolta dal piacere di essere scopata da Luca.
Luca rallentò, il respiro corto, il suo cazzo ancora duro dentro di lei, ma la fame non si spegneva. Voleva di più, voleva sporcarsi con lei, farla sua fino in fondo. Con un movimento deciso, slegò il foulard dalla spalliera, liberandole i polsi, ma non le diede tregua. La afferrò per i fianchi, tirandola verso di sé, e la fece sdraiare di lato, i loro corpi sudati che si incastravano. “Non abbiamo finito,” ringhiò, la voce roca, posizionandosi sopra di lei in un 69 disordinato, il letto che scricchiolava sotto il loro peso. “Succhia,” ordinò, spingendo il suo cazzo verso la sua bocca, mentre si chinava sul suo pene, ancora bagnato dal suo sperma, la cappella lucida che pulsava contro la sua lingua.
Sofia obbedì, la sua bocca che lo avvolgeva, calda e scivolosa, la saliva che colava mentre lo prendeva tutto, gemiti soffocati che vibravano contro di lui. Luca non si trattenne—leccò il suo pene con forza, assaporando il suo sperma fresco, salato, mescolato al sudore che gli colava sulla faccia. La sua lingua esplorava ogni centimetro, dalla cappella al buco, mordicchiando appena per farla tremare, mentre infilava un dito dentro di lei, ancora stretta e bagnata dalla penetrazione. Il monolocale era un caos—lenzuola inzuppate, gemiti che si intrecciavano, il letto che sbatteva contro il muro. La bocca di Sofia lavorava senza sosta, saliva che gocciolava sul suo mento, mentre Luca la divorava, la sua lingua che si impigliava nel suo sperma, il gusto di lei corso che lo mandava fuori di testa.
Luca spinse più forte, il suo cazzo che scivolava nella gola di Sofia, il ritmo che diventava brutale. “Cazzo, sì,” ansimò, mentre leccava il suo buco, il dito che entrava e usciva, sentendola contrarsi. Sofia gemeva, il suo corpo sensibile che rispondeva ad ogni tocco, il suo pene che pulsava contro la lingua di Luca, ancora duro nonostante l’orgasmo. Il piacere li travolse, un disastro di fluidi—saliva che colava, sperma di Sofia sulle lenzuola, sudore che li incollava. Luca sentì il fuoco montare, il suo orgasmo che esplodeva senza preavviso. Venne nella sua bocca, schizzi caldi che lei non riuscì a trattenere, il suo sperma che le colava sulle labbra, sul mento, mentre lui continuava a leccarla, la sua lingua che si sporcava del suo sapore, il dito che spingeva più a fondo.
Crollarono, ansimanti, il letto un relitto di sudore, sperma e saliva. Luca si tirò su, il respiro spezzato, e guardò Sofia—i suoi occhi verdi lucidi, il mento bagnato, un sorriso stanco ma trionfante. La tirò a sé, baciandola senza ritegno, il gusto di loro due che si mescolava, un caos sporco che li legava. Sofia gli sfiorò la guancia, la voce roca: “Resta qui stanotte, o te la faccio pagare.”
Luca scivolò fuori dal letto di Sofia mentre l’alba si insinuava nel monolocale, un disastro di lenzuola aggrovigliate, candele ridotte a cera fredda e il foulard di seta nera abbandonato come un relitto. Il cuore gli batteva troppo forte, non più di desiderio ma di un’urgenza che lo spingeva a scappare. Sofia dormiva, il viso rilassato, i capelli neri sparsi sul cuscino come inchiostro versato, il suo respiro un richiamo che Luca si costrinse a ignorare. Raccolse i jeans dal pavimento, il tessuto ruvido contro i graffi freschi sulla pelle. La camicia era persa—bottoni sparsi chissà dove—quindi afferrò la giacca di cuoio, fredda contro il petto nudo.
Mentre si avvicinava alla porta, il monolocale sembrava vivo: le tele incompiute di Sofia, macchie di colore violento, lo fissavano. Sul mobiletto vicino all’ingresso, un mucchio di biglietti da visita catturò il suo sguardo: Sofia V. Artist, un numero di telefono inciso in corsivo sottile sotto il nome. Luca esitò, il respiro corto. Non sapeva perché, ma ne prese uno, infilandolo in tasca con un gesto rapido, quasi furtivo. Il cartoncino era liscio, pesante, come se portasse un pezzo di lei. Aprì la porta e uscì, il clic della serratura che gli pesò sullo stomaco come una sentenza.
A casa di Sofia, il silenzio fu rotto dal ronzio della città. Lei si svegliò sola, il letto ancora caldo dove Luca era stato. Raccolse il foulard dal pavimento, le dita che lo accarezzavano come un ricordo. Sul mobiletto, notò il biglietto mancante. Sorrise, un lampo di malizia negli occhi verdi. “Luca,” mormorò, la voce roca, “non sai cosa hai iniziato.”
Milano accolse Luca con un freddo umido, Porta Venezia silenziosa sotto un cielo di piombo. Camminava veloce, la giacca stretta al petto, il biglietto che bruciava in tasca. Non riusciva a togliersi Sofia dalla testa—il modo in cui lo aveva smontato, il gusto salato e muschiato della sua erezione mischiato al suo sperma, caldo e amaro, quando lei gli aveva ordinato di leccare. Quel sapore gli aveva scavato un solco nella mente. Non capiva perché gli fosse piaciuto. Lui era numeri, scadenze, una vita incasellata. Con Sofia, si era lasciato andare, e ora non sapeva come tornare indietro.
Arrivò al suo appartamento in zona Moscova, un monolocale minimalista che gli sembrò estraneo, troppo pulito, troppo vuoto. Si buttò sotto la doccia, l’acqua bollente che pungeva i lividi sul petto, ma non lavava via il ricordo di lei—le unghie di Sofia che graffiavano, il foulard che stringeva il collo. Si asciugò, lo specchio appannato che rifletteva un uomo che non riconosceva. Sul tavolo, posò il biglietto: Sofia V. Artist. Quel numero era una porta, e Luca non sapeva se voleva aprirla.
Il primo giorno fu un limbo. In ufficio, un cubicolo asettico in centro, Luca fissava lo schermo, le email che si accumulavano senza senso. Il suo capo gli chiese di un report, e lui annuì, ma la sua mente era altrove—Sofia che rideva, sadica, mentre lo portava al confine con tocchi che lo mandavano in pezzi. In bagno, un segno sul collo, un livido dove il foulard aveva morso, lo fece sobbalzare. Lo sfiorò, e il ricordo lo colpì: la sua bocca su di lei, il loro piacere mescolato sulle labbra, un gusto dolce e selvaggio. Il suo corpo reagì, un calore traditore, e Luca si maledisse. Non poteva desiderare questo. Non era lui.
Tornò a casa con una birra, il biglietto sul tavolo come un accusatore. Lo prese, rigirandolo tra le dita. Sofia V. Artist. E se fosse stato solo un gioco per lei? E se lui fosse stato solo una notte? Ma il pensiero di non rivederla gli stringeva il petto più del foulard. Provò a spegnere tutto—una seconda birra, Netflix—ma il sonno non veniva. Quando chiudeva gli occhi, vedeva lei: il suo corpo, un’arma; i suoi occhi verdi, che lo leggevano come un libro aperto.
Il secondo giorno fu un corto circuito. Luca si sentiva esposto, come se tutti potessero vedere il caos dentro di lui. Un collega fece una battuta su una serata selvaggia, e Luca si irrigidì, sicuro che il suo viso lo tradisse. Non era colpa—era che Sofia non entrava nelle sue categorie. Lui pianificava ogni mossa—lavoro, amici, sesso. Ma con lei era stato diverso. Ripensava al modo in cui si era arreso, la lingua che adorava ogni centimetro di lei, il loro sperma che colava, caldo, un sapore che lo aveva fatto sentire vivo. In una riunione, si perse, il cuore che accelerava al ricordo di lei che tirava il foulard, il piacere che esplodeva come un fulmine. Non era solo sesso—Sofia gli aveva aperto una porta che non poteva chiudere.
Il terzo giorno, Luca era al confine. Il monolocale era una gabbia, il biglietto un peso che non poteva ignorare. Non riusciva a lavorare, a pensare. Ogni email, ogni notifica era rumore. Aveva bisogno di aria, di qualcosa che lo tirasse fuori dalla sua testa. Si infilò una giacca e uscì. Milano era viva, il crepuscolo che accendeva i neon di Porta Venezia. Senza pensarci troppo, si ritrovò davanti allo stesso locale della prima notte, un bar alla moda con luci soffuse e bassi che pulsavano attraverso le vetrine. L’asfalto umido rifletteva il fermento della città, e Luca si fermò, il cuore che accelerava. Non sapeva cosa cercasse—una distrazione, un ricordo, o forse lei. Spinse la porta ed entrò, l’aria densa di profumo, sudore e possibilità.
Luca si fece strada tra la folla, i corpi che si sfioravano, il rumore che lo avvolgeva come un’onda. Si sedette al bancone, ordinando un Campari gin. Il bicchiere era freddo, il liquido rosso che bruciava in gola. Il barista, un tipo con una barba curata e un tatuaggio che spuntava dalla manica, gli fece un cenno. “Serata lunga?” chiese, asciugando un bicchiere. Luca scrollò le spalle, un mezzo sorriso. “Qualcosa del genere.” Ma la sua mente era altrove. Ogni sorso gli riportava Sofia—il modo in cui lo aveva guardato, come se potesse strappargli l’anima. Scosse la testa, cercando di ancorarsi alla conversazione. Il barista parlava di Milano, di notti che non finiscono mai, ma Luca rispondeva a monosillabi, il biglietto nella tasca che pesava come piombo. Era lì per svagarsi, ma ogni ombra nel locale sembrava lei.
A tre giorni di distanza, Sofia era nel suo monolocale, una tela a metà davanti a lei, macchie di rosso e nero sotto le dita. Il foulard era ancora sul letto, un promemoria che la faceva sorridere. Tre giorni, e Luca non aveva chiamato. Un pizzico di irritazione le pizzicava la pelle—aveva preso il biglietto, no? Sapeva dove trovarla. Si alzò di scatto, lasciando il pennello sul tavolo, la vernice che colava come sangue. Basta dipingere, basta aspettare. Si infilò un vestito nero, aderente, che scolpiva ogni curva, e un rossetto rosso che era una dichiarazione di guerra. “Vediamo se sei lì, Luca,” mormorò, afferrando la borsa. Il locale di Porta Venezia era a pochi passi, il posto dove tutto era iniziato. Aveva voglia di un drink, di movimento, e forse di lui. Uscì, i tacchi che battevano sull’asfalto umido, un fuoco negli occhi verdi che prometteva caos.
Sofia spinse la porta del locale, l’aria calda che le avvolse il viso. La folla era un mare di corpi, luci al neon che danzavano sulle pareti. I suoi occhi scandagliarono la sala, rapidi, affilati, e poi lo videro—Luca, al bancone, un Campari gin in mano, che chiacchierava con il barista come se niente fosse. Un lampo di fastidio le attraversò il petto. Tre giorni, e non una chiamata, non un messaggio. Eppure eccolo lì, nello stesso posto dove l’aveva trovata, a bere come se lei non gli avesse squarciato l’anima. Strinse le labbra, un sorrisetto amaro. Bene, voleva giocare? Lei era più brava.
Sofia si fece strada con passo deciso, il vestito che catturava sguardi, il suo profumo che lasciava una scia. Scelse uno sgabello a due posti da Luca, abbastanza vicino da sentire il calore del suo corpo, ma senza guardarlo. “Un martini, secco,” disse al barista, la voce bassa, vellutata, come se stesse accendendo una miccia. Incrociò le gambe, il tessuto del vestito che scivolava appena, e prese il bicchiere con un movimento lento, le unghie laccate di nero che brillavano sotto le luci. Non gli rivolse uno sguardo, non una parola. Era come se Luca non esistesse—un estraneo, un nessuno. Ma ogni suo gesto era calcolato, un’esca per vedere quanto ci avrebbe messo a crollare. Dentro di lei, il fastidio bruciava, ma c’era anche un brivido: il gioco era appena iniziato.
Per quindici minuti, il bancone fu un campo di battaglia silenzioso. Luca continuava a chiacchierare con il barista—storie di clienti ubriachi, il freddo di Milano—ma le sue parole erano meccaniche, il bicchiere di Campari gin che girava tra le dita. Ogni tanto, il suo sguardo scivolava verso destra, dove una presenza lo pungeva, ma non osava guardare davvero. Sofia, dal canto suo, sorseggiava il martini, rispondendo al barista con battute taglienti e risate che cadevano come lame. Parlava di arte, di una mostra che non esisteva, di notti che divorano. Ogni sillaba era un’esca, ma Luca restava un’ombra ignorata. Il barista, ignaro della tempesta, passava dall’uno all’altra, versando drink e sorridendo. L’aria tra loro era densa—sudore, alcool, e un desiderio che nessuno dei due nominava.
Luca sentiva il biglietto in tasca, un peso che non lo lasciava. Non sapeva se fosse il terzo Campari o il ronzio del locale, ma qualcosa lo spinse a muoversi. Doveva spezzare quel limbo. Si alzò, il bicchiere vuoto sul bancone, mormorando un “torno subito” al barista, come se dovesse andare in bagno. Passando accanto a Sofia, il suo gomito sfiorò la sua spalla—un tocco leggero, quasi accidentale, ma abbastanza da far vibrare l’aria. Si fermò, il cuore che inciampava. “Scusa,” disse, la voce un po’ roca, girandosi verso di lei. I loro occhi si incrociarono per la prima volta quella sera, e fu come un fulmine. Lei lo fissava, il martini a mezz’aria, un sopracciglio alzato che gridava sfida. Luca deglutì, poi si buttò. “Non ci siamo già visti? Mi chiamo Luca.” Tese la mano, un gesto goffo che nascondeva una fame che non poteva più ignorare.
Sofia lo squadrò, il bicchiere che oscillava appena tra le dita. Per un istante, sembrò che potesse smascherarlo, ma poi un sorriso lento le curvò le labbra—freddo, tagliente, come se stesse decidendo il suo destino. “Forse,” disse, la voce seta e coltelli. “Sofia.” Gli strinse la mano, le sue unghie che sfiorarono la sua pelle per una frazione di secondo, abbastanza da farglielo sentire. “Piacere.” Non c’era calore, solo un gioco che continuava, e Luca lo sapeva. Annuì, il cuore che martellava, e si scusò di nuovo, dirigendosi verso il bagno. Aveva bisogno di un momento, di aria, per non tradirsi davanti a tutti. Nel corridoio stretto, si appoggiò al muro, il respiro corto. Lei era lì, cazzo, e stava ancora giocando con lui.
Quando tornò, il locale sembrava più vivo, più rumoroso, o forse era solo il sangue che gli pulsava nelle tempie. Il suo sgabello era ancora libero, ma Luca vide un’opportunità. Senza pensarci troppo, si sedette sullo sgabello accanto a Sofia, abbastanza vicino da sentire il suo profumo—muschio, fiori selvatici, pericolo. Lei non lo guardò, il martini che girava piano nel bicchiere, ma il suo silenzio era un invito. “Bel posto,” buttò lì Luca, la voce che cercava un appiglio. “Ci vengo spesso.” Sofia alzò un sopracciglio, un mezzo sorriso. “Davvero? Non l’avrei detto.” La conversazione scivolò sul nulla—Milano di notte, il freddo che morde, drink che scaldano. Ogni parola era una danza, un passo cauto su un filo teso. Luca cercava di leggere i suoi occhi, ma lei era un mistero, ogni frase un’esca che lo teneva agganciato.
A un certo punto, la borsa di Sofia scivolò dal bancone, un tonfo leggero sul pavimento. “Merda,” mormorò lei, chinandosi appena, ma senza fretta. Luca si abbassò per aiutarla, raccogliendo un rossetto, un pacchetto di sigarette, qualche moneta sparsa. Poi la vide—una copia delle chiavi, un mazzo piccolo con un ciondolo a forma di pennello, abbandonate lì, come se non contassero nulla. Sofia era ancora china, il vestito che tirava appena sulle cosce, ma non toccò le chiavi. Luca esitò, il cuore che gli esplodeva nel petto. Era un caso? No, con lei niente lo era. Con un movimento rapido, quasi istintivo, le infilò in tasca, il metallo freddo contro le dita. Si rialzarono insieme, Sofia che lo ringraziava con un sorriso che sembrava sapere tutto. “Gentile,” disse, la voce che gli scavava dentro.
Tornarono ai loro drink, il martini di lei e un nuovo Campari gin per lui. La conversazione riprese—il locale, una mostra d’arte che Luca inventò sul momento, il modo in cui Milano ti inghiotte. Ma Luca aveva un nodo in gola, le chiavi che bruciavano in tasca come il biglietto tre giorni prima. Sofia sorseggiava il suo drink, le labbra rosse che lasciavano un’ombra sul bicchiere, e ogni tanto i loro gomiti si sfioravano, un contatto che era tutto tranne che casuale. Parlavano del più e del meno, ma l’aria tra loro era carica, un temporale pronto a scoppiare.
Poi, senza preavviso, Sofia posò il bicchiere, un movimento deciso che spezzò il ritmo. “Sai, la notte è ancora lunga,” disse, gli occhi verdi che lo sfiorarono per un istante, affilati come lame. “Ma non qui.” Si alzò, il vestito che scivolava sul suo corpo come una seconda pelle, e senza aggiungere altro si diresse verso l’uscita, la folla che si apriva al suo passaggio. Luca restò inchiodato allo sgabello, il Campari gin a metà, la sua figura che svaniva tra i corpi e le luci al neon. Non gli aveva dato un addio, non un invito—solo un vuoto che lo colpì come un pugno.
Il barista tornò, versando un altro drink a qualcuno, e il locale continuò a pulsare, ma per Luca il mondo si era fermato. Le chiavi nella tasca erano un macigno. Le sfiorò con le dita, il ciondolo a forma di pennello che gli pungeva la pelle. Cosa cazzo doveva fare? Andarle dietro? Presentarsi al suo monolocale con le chiavi come un ladro, come un disperato? O restituirgliele, fingendo che fosse un errore? Il suo respiro accelerò, il panico che gli stringeva il petto. Ripensò al suo sorriso—quel “gentile” che nascondeva un piano. Sofia sapeva. Sapeva che le aveva prese, e ora lo aveva lasciato lì, solo, con un mazzo di chiavi che apriva una porta che lo terrorizzava. Il biglietto da visita, ancora in tasca, sembrava ridere di lui. Tre giorni senza chiamarla, e ora questo—un altro test, un altro gioco che non capiva.
Fissò il bicchiere, il rosso del Campari che rifletteva le luci del locale. La sua mente era un casino—il ricordo di lei, nuda, che lo guidava con il foulard; il gusto di loro due, mischiato, che ancora gli bruciava sulla lingua. Le chiavi erano più di un oggetto—erano una sfida, una porta verso qualcosa che lo spaventava e lo attirava allo stesso tempo. Poteva lasciarle lì, sul bancone, e tornarsene a casa, alla sua vita ordinata. Ma il pensiero di Sofia—il suo corpo, il suo controllo, il modo in cui lo aveva disfatto—era un fuoco che non si spegneva. Il panico si mescolava a un desiderio che gli torceva le viscere. Non poteva restare fermo.
Pagò il conto con mani che tremavano, ignorando lo sguardo curioso del barista. Uscì dal locale, l’aria fredda di Porta Venezia che gli schiaffeggiava il viso. Le chiavi pesavano in tasca, il ciondolo che sbatteva contro il biglietto da visita. Non pensò—non poteva permetterselo. I suoi piedi lo portarono verso il monolocale di Sofia, le strade di Milano un labirinto che conosceva a malapena. Ogni passo era un misto di terrore e fame. E se lei non fosse stata lì? E se fosse stato tutto un errore? Ma il ricordo del suo sguardo, di come lo aveva spezzato e rimesso insieme, lo spingeva avanti.
Arrivò al palazzo, un edificio vecchio con l’intonaco scrostato, le scale che odoravano di umido e vernice. Le chiavi gli scivolarono tra le dita, fredde, mentre saliva. Davanti alla porta del monolocale, si fermò. La chiave era pronta, il ciondolo a forma of pennello che dondolava come un avvertimento. Il cuore gli martellava, il respiro corto. Dall’altra parte **Sofia era lì, nuda sotto una vestaglia di seta nera, aperta appena abbastanza da rivelare la curva del seno, la linea dell’addome, un’ombra che prometteva tutto. Le luci soffuse del monolocale danzavano sulla sua pelle olivastra, e il suo profumo—muschio, fiori selvatici, peccato—lo colpì come una droga, prorompente, travolgente. I suoi occhi verdi lo inchiodarono, un sorriso lento che era insieme accusa e invito. “Luca,” disse, la voce bassa, un coltello avvolto nella seta. “Ci hai messo un po’.”
Luca non ci vide più. L’attesa, i giochi psicologici, le notti passate a rivivere il gusto di lei, il foulard che stringeva, le chiavi che lo avevano trascinato lì—tutto esplose. La libido era alle stelle, un fuoco che gli bruciava il sangue. Fece un passo dentro, chiudendo la porta con un calcio, il tonfo che echeggiava come un punto di non ritorno. Sofia aprì la vestaglia, lasciandola cadere a terra, e il suo corpo si rivelò—perfetto, scolpito, ogni curva un’arma. Il suo pene, turgido, svettava con una cappella lucida, pulsante, che tradiva il suo desiderio, crudo e innegabile.
Luca si mosse come un predatore, il desiderio che cancellava ogni esitazione. La afferrò, spingendola contro il muro, il suo corpo che premeva contro di lei, caldo e urgente. La baciò con una fame disperata, le labbra che si scontravano, la lingua che invadeva, morsi leggeri che sapevano di bisogno. Le mani strapparono via la sua maglietta, il tessuto che cadeva sul pavimento, mentre i jeans gli scivolavano sui fianchi, la sua erezione già dura contro di lei. Sofia gemette piano nel bacio, un suono che lo fece tremare, ma non si oppose—non ancora.
La sollevò appena, buttandola sul letto sfatto, le lenzuola ancora un caos dalla loro notte di tre giorni prima. Si inginocchiò sopra di lei, il respiro corto, e ricominciò a baciarla—il collo, la clavicola, scendendo verso il seno, ogni tocco una rivendicazione. La sua mano destra scivolò lungo il suo addome, trovando la sua asta, dura e calda sotto le dita. La strinse piano, sentendola pulsare, e poi si concentrò sulla cappella, bagnata di precum, lucida come una promessa. Con due dita, raccolse il liquido, sfiorandola con una pressione deliberata che fece inarcare Sofia. La guardò negli occhi, il suo sguardo un fuoco che bruciava, e portò le dita alla sua bocca. “Assaggia,” disse, la voce roca, spingendole contro le labbra. Sofia leccò, lenta, il suo stesso sapore che le brillava negli occhi, un misto di sfida e resa che mandò Luca fuori di testa.
Luca si leccò le dita, il gusto salato di lei che gli accendeva i nervi, e tornò a baciarla, la lingua che si intrecciava alla sua, un duello che sapeva di urgenza. Le sue labbra scesero sul collo, mordicchiando la pelle morbida, lasciando segni leggeri che la fecero sospirare. Continuò, lento ma deciso, verso i capezzoli, sfiorandoli con la lingua, succhiandoli appena fino a farla inarcare sotto di lui. Il suo respiro era caldo contro la sua pelle, scendendo sull’addome, ogni bacio una mappa che lo portava più in basso. Raggiunse il suo pene, turgido e lucido, e lo sfiorò con le labbra, inizialmente con dolcezza—baci leggeri, quasi reverenti, lungo l’asta, assaporando il calore, il profumo muschiato che lo travolgeva. Sofia tremò, un gemito basso che lo spronò. Luca chiuse gli occhi, il desiderio che lo guidava, e lo prese in bocca, prima piano, la lingua che accarezzava la cappella, poi più deciso, accogliendolo tutto, la sua gola che si stringeva attorno a lei, ogni movimento un atto di possesso.
Luca si ritrasse, il respiro pesante, gli occhi che vagavano sul letto. Lì, tra le lenzuola, intravide il foulard nero—quello che tre giorni prima gli aveva stretto i polsi, il collo, il mondo. Un lampo di decisione gli attraversò lo sguardo. Lo afferrò, la seta liscia tra le dita, e con un movimento rapido girò Sofia a pancia sotto, il suo corpo che cedeva sotto la sua forza. “Non muoverti,” ringhiò, la voce bassa. Le sollevò le braccia, legando i polsi alla spalliera del letto con nodi decisi, il foulard che mordeva appena la sua pelle. Sofia si lasciò fare, un gemito soffocato contro il cuscino, il suo corpo teso ma vivo.
Luca le divaricò le gambe, le cosce che si aprivano sotto le sue mani, rivelando il suo pene turgido che spuntava tra di esse, la cappella lucida che pulsava contro le lenzuola. Si chinò, il respiro caldo sulla sua pelle, e iniziò un rimming bagnato, la lingua che esplorava il suo buco con lentezza deliberata, ogni leccata un’onda di piacere che faceva tremare Sofia. I suoi gemiti si alzarono, rochi, incontrollati, mentre Luca approfondiva, la bocca che si bagnava di saliva, il sapore di lei che lo consumava. Poi, con un movimento fluido, scese più in basso, leccandola dalla cappella—salata, calda—fino al buco del culo, un percorso lento che la fece inarcare, il suo corpo che implorava di più. I gemiti di Sofia erano pura elettricità, ogni suono un fuoco che spingeva Luca oltre. Tornò al suo buco, la lingua che insisteva, e poi introdusse un dito, lento, scivoloso, sentendola stringersi attorno a lui. Sofia si lasciò andare, il piacere che la scuoteva, i suoi gemiti che riempivano il monolocale, un canto crudo di abbandono.
Luca stava esplodendo, il desiderio che lo consumava, una fame che non poteva più contenere. Voleva far sua Sofia, possederla in ogni modo possibile. E lei lo voleva altrettanto—il suo corpo teso, il suo respiro spezzato gridavano il bisogno di averlo dentro. Sofia si inarcò, sollevandosi sulle ginocchia con cautela, attenta a non tirare troppo il foulard che le legava i polsi. La schiena si abbassò, il culo in aria, un’offerta che era insieme resa e sfida. “Prendimi,” sussurrò, la voce roca, un invito che vibrava nell’aria come un comando.
Luca non se lo fece ripetere. La saliva della sua lingua e il precum di lei, scivoloso sulla cappella, erano tutto ciò che serviva. Si posizionò dietro di lei, la sua erezione dura, pulsante, che premeva contro il suo buco. Entrò lentamente, sentendola aprirsi per lui, il calore che lo avvolgeva come se fosse la cosa più naturale del mondo. Sofia gemette, un suono profondo che lo spronò. Luca iniziò a muoversi, prima piano, ogni spinta un’esplorazione, poi sempre più forte, il ritmo che cresceva con i suoi gemiti. Più forte spingeva, più forti diventavano i suoi versi—crudi, disperati, un canto di piacere che riempiva il monolocale. Le mani di Luca afferrarono i suoi fianchi, tenendola ferma mentre la scopava, il suo corpo che si piegava al suo volere.
Sofia si abbandonava, il foulard che tirava appena, il suo pene turgido che dondolava tra le gambe, sfregando contro le lenzuola ad ogni spinta. Luca sentì il suo calore, la sua stretta, il modo in cui lo accoglieva, e perse ogni controllo, il ritmo che diventava selvaggio. Poi lo notò—il suo pene non stava più gocciolando. Sofia era venuta, senza mani, il suo orgasmo che esplodeva sotto di lui, schizzi caldi che bagnavano le lenzuola, il suo corpo che tremava mentre gemeva, travolta dal piacere di essere scopata da Luca.
Luca rallentò, il respiro corto, il suo cazzo ancora duro dentro di lei, ma la fame non si spegneva. Voleva di più, voleva sporcarsi con lei, farla sua fino in fondo. Con un movimento deciso, slegò il foulard dalla spalliera, liberandole i polsi, ma non le diede tregua. La afferrò per i fianchi, tirandola verso di sé, e la fece sdraiare di lato, i loro corpi sudati che si incastravano. “Non abbiamo finito,” ringhiò, la voce roca, posizionandosi sopra di lei in un 69 disordinato, il letto che scricchiolava sotto il loro peso. “Succhia,” ordinò, spingendo il suo cazzo verso la sua bocca, mentre si chinava sul suo pene, ancora bagnato dal suo sperma, la cappella lucida che pulsava contro la sua lingua.
Sofia obbedì, la sua bocca che lo avvolgeva, calda e scivolosa, la saliva che colava mentre lo prendeva tutto, gemiti soffocati che vibravano contro di lui. Luca non si trattenne—leccò il suo pene con forza, assaporando il suo sperma fresco, salato, mescolato al sudore che gli colava sulla faccia. La sua lingua esplorava ogni centimetro, dalla cappella al buco, mordicchiando appena per farla tremare, mentre infilava un dito dentro di lei, ancora stretta e bagnata dalla penetrazione. Il monolocale era un caos—lenzuola inzuppate, gemiti che si intrecciavano, il letto che sbatteva contro il muro. La bocca di Sofia lavorava senza sosta, saliva che gocciolava sul suo mento, mentre Luca la divorava, la sua lingua che si impigliava nel suo sperma, il gusto di lei corso che lo mandava fuori di testa.
Luca spinse più forte, il suo cazzo che scivolava nella gola di Sofia, il ritmo che diventava brutale. “Cazzo, sì,” ansimò, mentre leccava il suo buco, il dito che entrava e usciva, sentendola contrarsi. Sofia gemeva, il suo corpo sensibile che rispondeva ad ogni tocco, il suo pene che pulsava contro la lingua di Luca, ancora duro nonostante l’orgasmo. Il piacere li travolse, un disastro di fluidi—saliva che colava, sperma di Sofia sulle lenzuola, sudore che li incollava. Luca sentì il fuoco montare, il suo orgasmo che esplodeva senza preavviso. Venne nella sua bocca, schizzi caldi che lei non riuscì a trattenere, il suo sperma che le colava sulle labbra, sul mento, mentre lui continuava a leccarla, la sua lingua che si sporcava del suo sapore, il dito che spingeva più a fondo.
Crollarono, ansimanti, il letto un relitto di sudore, sperma e saliva. Luca si tirò su, il respiro spezzato, e guardò Sofia—i suoi occhi verdi lucidi, il mento bagnato, un sorriso stanco ma trionfante. La tirò a sé, baciandola senza ritegno, il gusto di loro due che si mescolava, un caos sporco che li legava. Sofia gli sfiorò la guancia, la voce roca: “Resta qui stanotte, o te la faccio pagare.”
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