Il matrimonio di un cornuto sottomesso. Storia cuckold estrema.
di
Boomer 3000
genere
dominazione
«E’ stato un bel matrimonio, vero caro?» «Si, proprio fantastico!» «Anche i tuoi sono rimasti contenti, alla fine» «Sì, abbastanza, sai come sono no?» «Certo, certo, non ti devi scusare per loro, tua madre è una stronza, si sa. Ora però vai un po' più forte che Giuseppe si è stufato di aspettare ed è pure incazzato» «Vabbè, adesso non esageriamo dai, pure incazzato?» «Mi sembra ne abbia tutte le ragioni no? Quella troia di tua madre non lo ha fatto venire al matrimonio, lo sappiamo tutti che è stata lei, doveva farmi da testimone, ricordi? E pure Osvaldo non ha invitato, che cazzo c’entrava?»
«Sì ma è da capire no? Osvaldo è un amico di Giuseppe e poi, forse, ha capito qualcosa.» «Capire? Ma capire cosa?» «Bhe insomma, ti ha trovato al letto con lui. Cosa volevi che facesse?» «Capire la situazione, che a sposatte te sto a fa’ solo un favore. Ti avrà visto nudo no? E' una donna pure lei, avrà capito che anche io ho diritto ad un cazzo vero e non a quella lumaca che c’hai tra le gambe che manco se addrizza più! E poi dai, nu’ me fa parlà, se non c’erano quei due!»
Giuseppe era già all'angolo di Via del Minotauro quando arrivammo. Indossava dei bermuda jeans ed una polo attillata che metteva in evidenza il corpo asciutto e muscoloso a dispetto dei suoi 50 anni. «Ce l'avete fatta, ce stavo a mette radici qui…» disse aprendo il cofano della mia auto per sistemare il suo bagaglio. «T’avevo detto de sbrigatte brutto stronzo!». «Ma, ho fatto prima possibile, sai la cerimonia, il pranzo» cercai di giustificarmi.«Daje, comincia a guidà, e fa poco er cojone che oggi già m’avete fatto rode er culo, te e li parenti tua co’ la puzza sotto er naso!» replicò Giuseppe chiudendo lo sportello posteriore.
Appena partii si avvinghiò a Patrizia e cominciò a pomiciarsela. «Mamma mia amore» lei con voce stridula «sei già duro duro, chissà come ti farà male…» «Eh, sì, amore, è da stamattina, da quanno sei uscita ce lo sai, 'n ce la faccio già più!» «Ma lo abbiamo fatto tutta la notte» e, come se io non ci fossi, lei gli abbassa la zip dei bermuda e gli tira fuori il cazzo duro. Con delicatezza, gli massaggia il frenulo, finché il suo polpastrello non diventa lucido di liquido prespermatico. Le vene del cazzo pulsano gonfie, quasi dovessero esplodere e la macchina si satura in un attimo dell’odore del suo uccello.
«E tu non stare sempre a guardare, maiale!» disse all'improvviso Patrizia guardandomi nello specchietto retrovisore e risistemandosi, poi ridendo verso di me «stanotte non puoi nemmeno sapere cosa gli faccio, tutto quello che dovresti farmi tu ma non puoi». Lui ripose il suo pene a fatica nei pantaloni e chiuse gli occhi come per riposare «Sei fortunato» disse ironico «nemmeno il dovere matrimoniale stanotte te tocca! ah, ah»
Giuseppe lo abbiamo conosciuto quando eravamo ragazzi, due fidanzatini, a uno stabilimento di Fregene nel giugno di qualche anno fa. Aveva circa 15 anni più di lei, faceva la guardia giurata e si era da poco separato. Per arrotondare si prodigava in traffici più o meno leciti e, per questo, frequentava persone poco raccomandabili. Aveva un fisico atletico e muscoloso, forgiato dalla professione di strada e dalle arti marziali ed un modo di fare sicuro che attrassero irrimediabilmente Patrizia.
Per tutta quell'estate lo frequentammo assiduamente. «Mi faccio un giro con Giuseppe amore, aspettami qui, mi fa vedere lo stabilimento più giù!» Facevano lunghe passeggiate sulla spiaggia da soli, parlavano, scherzavano io per lei ero diventato trasparente «Giuseppe è troppo forte, ha esperienza da vendere, stallo a sentire ti può essere utile anche a te». «A Settembre te presento quer notaro amico mio» le diceva «ce vai a fa er tirocinio no? Però te devo conosce bene, pe’ fidamme, me capisci? Quello è un amico non vojo fa’ figuracce.» «Certo certo» gli diceva lei e poi sparivano per delle ore. «Ma dove sei stata? Cazzo!» «Ma non fare l’idiota, mi ha fatto conoscere delle persone importanti, non fare il troglodita». Non che non avessi capito cosa stesse succedendo ma mi illudevo che dopo l’estate tutto sarebbe tornato come prima. Cercavo di creare sempre qualche ostacolo per non farli rimanere da soli, ma non serviva a nulla, se non a fare irritare palesemente Giuseppe. Per questo, un pomeriggio che ero riuscito a non farla venire al mare, lui si avvicinò deciso. «Senti ragazzì noi dovemo parlà tra omini» «Ok, sì, dimmi!» «Nu rompe i cojoni quanno deve venì con me, falla finita. Fa’ finta de niente, non te preoccupà finita l’estate te la restituisco sana e salva» poi ridendo «proprio tutta sana no!» «Ma come.» «Ma come un cazzo. Che problema c’hai? L’ho sverginata così trovi la strada aperta! me dovresti solo che da ringrazià!»
Arrivammo in albergo a Venezia che era ormai tardi per la cena al ristorante. Durante il viaggio Giuseppe, naturalmente, non si era risparmiato. Si era sbattuto Patrizia un paio di volte «Sto cojone va troppo piano, arivamo tardi, mejo avvantaggiasse» aveva detto ridendo. Alla reception pagai le due stanze comunicanti che avevo prenotato e Giuseppe ordinò una cena in camera per quattro persone.
La cosa tra di loro, naturalmente non finì con l’estate ed in città ci fu il problema di dove potessero incontrarsi. «Domani dovrei vedermi con Giuseppe, ma a casa mia non posso…» «E che vuoi da me?» «Dai, fammi andare a casa dei tuoi, sono fuori per lavoro tutto il giorno no?» «Sei matta?» «Già glielo ho detto, non rompere, sei il solito stronzo». Alle 10 in punto del giorno successivo, Giuseppe suonò al citofono di casa mia, che Patrizia non era ancora arrivata. Aprii e lo feci salire. «Sei un bravo ragazzo» iniziò con quella sua aria da spaccone «hai capito come se fa pe’ tenesse ‘na donna. Je devi sempre dì de sì, la devi da accontentà! Bravo!» e mi diede una pacca sulla spalla «Sì ma solo questa volta Giuseppe, ok?» «Ma certo, nun te preoccupà è solo che non c’avevo er posto giusto e c’avevo le mie esigenze, palle piene, me capisci no? Sei un omo pure tu!» e giù una seconda pacca «Senti che cazzo duro che c’ho» e presami una mano se la mise sul cazzo «Me fa male pe’ quanto è duro. Famme un caffè va» ed andai in cucina a preparglielo. Quando tornai in sala col caffè, Giuseppe si era accomodato sulla poltrona di mio padre e si era versato una bella dose di un whisky molto costoso. «Cazzo sei scemo? Quello costa un occhio della testa, mio padre se ne accorgerà!» «Ma nu rompe er cazzo, dai, è solo un goccetto! Sei bravo ma tante vorte me fai incazzà co ste stronzate. Siete la solita famiglia de egoisti che non sapete condivide co’ chi c’ha bisogno!» poi, come non bastasse allungò i piedi sul tavolino in radica.
«Ora basta, vattene a fanculo!» gli urlai. «Sei un ragazzino viziato, te devi imparà a campà, e mo m’hai rotto er cazzo sur serio, viè qua, sbrigate!» e siccome non mi muovevo si alzò e, avvicinatosi, mi mollò prima due ceffoni da togliere il respiro, poi mi prese per un orecchio e mi riportò verso la poltrona. «Mo’ te insegno io a campà. Se voi che nun te smonto sta casa de merda, fai quello che dico io!». Ero paonazzo, impaurito «Leveme le scarpe e poi li carzini! Bravo, così, veloce. Bene, così, guarda che belle fette che c’ho, bravo, bravo! Bravo lecca bene, daje, puliscili bene che Patrizia sta pe’ arrivà e me vojo fa trovà bello pulito, daje lecca. Pure in mezzo alle dita, daje, nun te fa dì tutto!»
In quel mentre suonò Patrizia. Ci mise un attimo a salire, era tutta trafelata, eccitata. Lui non la fece nemmeno parlare, le infilò la lingua in bocca e cominciò a stringerle le natiche con forza. «Scenni e vamme a fa er pieno alla machina, sta giù in seconda fila, daje!» e se ne andò in camera dei mie genitori. Naturalmente non uscii, non potevo lasciarli lì da soli. Lentamente mi avvicinai allo spiraglio della porta socchiusa, volevo guardare, controllare.
Patrizia era nuda, i suoi vestiti buttati alla rinfusa sul pavimento, mentre Giuseppe si era solo abbassato i pantaloni e stava sotto di lei a godersi la monta. Il pube setoso di Patrizia aveva completamente inghiottito il grosso cazzo di Giuseppe, e si muoveva in senso circolare, con foga rabbiosa, mentre le sue tettine ballonzolavano scomposte. «Amore stai attento eh!» e continuava la danza «Ti voglio venire dentro dai, ti prego» grugniva lui. Il letto cigolava in modo sinistro. Avevo paura e non vedevo l’ora che la finissero ma, allo stesso tempo, mi resi conto di essere eccitato e presi a toccarmi l’uccello attraverso i pantaloni.
Quando Giuseppe arrivò all’orgasmo mi misi al centro della porta, incurante del fatto che mi avrebbero visto. Lo vidi estrarre il cazzo dalla fica di Patrizia appena in tempo; dalla cappella gonfia e scura partì un primo fiotto di sperma che atterrò alla base del collo di Patrizia e cominciò a colarle su una tetta. Ora lei poteva vedermi e mi vide. Ma il suo sguardo era come di terrore e non capivo; forse la mia mano nei pantaloni l’aveva turbata? Vedermi così? No, in realtà, dietro di me s’era palesata mia madre, rientrata in anticipo a casa, allibita dalla scena. Giuseppe che dalla sua posizione non aveva visto nulla continuò a sborrare sulla coperta del letto di mia madre, come nulla fosse, creando una pozzetta di liquido giallastro.
«Ora chiamo i carabinieri. E tu brutta puttana vai a vestirti. E te» verso di me «Brutto coglione rimetti tutto a posto prima che arrivi tuo padre!»
Dopo questo episodio, casa dei miei e quella dei genitori di Patrizia non potette più essere utilizzata. «Me la devi portà a Guidonia» mi disse Giuseppe «Te devi da organizzà sei tu che hai sbajato, te e tu’ madre!» «Ma come faccio?» «Dai amore, che ci vuole!» e dopo un po’ di minacce mi convinsi che era meglio ubbidire. A Guidonia Giuseppe viveva con un certo Osvaldo, un tipo losco sulla cinquantina che non voleva rotture di coglioni. Mentre i due amanti scopavano a volte mi intratteneva «Te ce devi abituà, senza rompe er cazzo, fai finta de niente! Lei c’ha voja de cazzo ignorante e lui è omo e c’ha bisogno de svotà le palle. Tutto qui. Se te incazzi fai du fatiche, tutto inutile, tanto quelli scopano uguale. Pijace gusto, vedrai che poi te piace» «E se la lasciassi?» «Nun ce devi nemmeno provà a pensallo. Uno perché lei te vole bene e te vole sposà, due perché se ce provi questi te vengheno a cercà sotto casa! Pe’ lei no? Dopo che se stufano lei che fa?»
Tre o quattro volte la settimana partivo da casa mia con la macchina di mia madre, andavo a prendere Patrizia a casa sua e la portavo a Guidonia. Dovevo arrivare sempre puntuale, secondo l’orario che mi dicevano. Spesso dovevo aspettare sotto casa di Giuseppe, in macchina, una o due ore; poi lei scendeva soddisfatta e la riaccompagnavo a casa. Nelle giornate tranquille, senza traffico, con circa quattro ore si poteva fare tutto, nei giorni di punta... anche sei ore! Mi stava venendo un esaurimento nervoso.
« Vedi tu sei abituato male» cominciò Osvaldo un giorno che mi vide molto depresso «T’hanno fatto ave’ sempre la pappa pronta. Devi da esse meno egoista, te l’ha detto pure Giuseppe de imparà a pensà pure alle esigenze dell’artri, a chi è meno fortunato de te. Fumete ‘sta cannetta e vedrai come stai mejo, sta roba so come rimedialla gratis, nun te devi preoccupà. Devi da esse orgoglioso che pure l’artri se divertono». Da quel giorno, presi a farmi delle canne mentre aspettavo Patrizia, e più passava il tempo più mi sentivo calmo e docile, sempre più desideroso di ubbidire, anche se il mio uccello faceva sempre più fatica ad alzarsi.
Osvaldo per i primi tempi osservò solo questo via vai per casa, ma col tempo cominciò ad avere delle pretese su Patrizia. Era il classico macho romano, tatuato, orecchino, viso scavato e perennemente abbronzato. Fisico magrissimo e muscoloso, non altissimo, ma molto prestante. Vestiva sportivo, con abiti molto costosi e di marca. Insomma, poteva avere il suo fascino, anche su una ragazza giovane come Patrizia. «Sei bella, Patrì…» le disse un giorno mentre le metteva una mano sulla spalla. Lei guardò Giuseppe, in cerca di una rassicurazione. «E’ un amico, come fosse mio fratello... è così solo…» disse Giuseppe ridendo. Osvaldo fece scendere la sua mano sul seno di Patrizia. Lei era paonazza, come paralizzata, ma visibilmente compiaciuta di quelle attenzioni. Io intanto assistevo impotente, senza potermi ribellare, senza reagire.
Quando lui tirò fuori il cazzo dai pantaloni e le mise una mano dietro la nuca con l'intenzione di farselo succhiare, lei guardò di nuovo Giuseppe con gli occhi di un agnello sacrificale, "lo faccio solo per te", sembrava volesse dirgli. Osvaldo la spingeva con forza sul suo cazzo duro, troppo grosso per entrarle tutto in bocca. Lei tossiva, ma continuava, convinta, con grande zelo. D'un tratto si alzò, si tolse le mutandine e salì a cavalcioni di Osvaldo. Ci volle un attimo. Lui con la testa reclinata indietro, con gli occhi chiusi, godette tranquillo dentro di lei, mentre Patrizia si muoveva lentamente sul suo pene a ritmo dei suoi schizzi di sperma. Appena si alzò da sopra Osvaldo, Giuseppe eccitato la prese per i capelli e cominciò a scoparla a pecora, da dietro. Ed in un attimo gli esplose anche lui dentro la sua fica fradicia.
Da quel giorno cominciarono ogni volta a scoparla tutti e due, senza alcuna protezione, nessuna barriera. Io, a furia di canne, mi ero un po’ imbolsito, ma mi sentivo molto più tranquillo e collaborativo ed avevo ammesso che questo gioco non mi dispiaceva per nulla. Ora non serviva più che attendessi in macchina. Salivo ed aiutavo a mettere a posto casa, accettavo i loro giochi goliardici, bevevo la loro pipì, mi faceva prendere a calci nelle palle tra le risate di Patrizia e li aiutavo a mettere il cazzo nella sua fica. Era ormai circa due anni che non avevo più alcun rapporto sessuale con Patrizia, anzi, a dire il vero non ne avevo mai avuti di completi, quando mi informarono che lei era in cinta e che avrei dovuto immediatamente sposarla. «E’ arrivato il momento de fa’ il tuo dovere!»
«Nun m’hai invitato ar matrimonio mo’ paga ‘na cena come se deve» aveva detto Giuseppe prima di arrivare in albergo. Aveva ordinato frutti di mare, caviale russo, ostriche e, naturalmente, molto champagne «La prima notte de nozze ha da esse indimenticabile». Osvaldo arrivò poco dopo di noi, in tempo per gustarsi il cibo prelibato. «Auguri e figli maschi!» mi disse lanciandomi un bicchiere di champagne addosso «Adesso però devi fa’ er dovere tuo, è la prima notte di nozze pe’ Patrizia, e visto che non te la devi nemmeno scopà, devi falla sta sta bene! ce fai dvertì un po’ che dici? Come ar solito!» «Sì amore, sì amore, facci divertire» disse lei mezza ubriaca «Sì perchè ce devi capì che se te sfrucujamo un po’, poi se divertimo de più co’ tu moje, hai capito?» «Certo, lo capisco, ci mancherebbe».
Avevo già il cazzo dritto al pensiero di quello che mi avrebbero fatto davanti a lei, ero eccitato ma la cosa prese una piega diversa. In pochi minuti mi ritrovai nudo, legato ad una sedia, con tutti che ridevano «Tu’ marito è proprio un cojone» «Sì è ero!» lei rispondeva ridendo «Stai tranquilla che mo’ lo sistemamo per le feste». Stavano mezzi nudi pure loro tre, si toccavano a vicenda, eccitati e divertiti. Quando però Osvaldo mi mise il nastro isolante sulla bocca mi spaventai un po’. «Scusa ma co ‘sto cazzetto che c’hai» diceva mentre trafficava tra le mie gambe «ce vole de più. Sei proprio ‘na troia, ce l’hai pure dritto! ah ah. Ma mo se divertimo!». Lentamente, ma inesorabilmente, i miei testicoli cominciarono ad essere compressi da una gogna che Osvaldo ci aveva applicato, sempre più stretta. Non riuscivo ad urlare anche se il dolore era sempre più intenso «dai resisti, dai che te fa bene!». Patrizia mi spiava con la coda dell’occhio, mentre con la mano carezzava l’uccello duro di Giuseppe. Quando steti per scoppiare, finalmente Osvaldo diminuì la pressione della gogna, per farmi respirare un po’. Mi tolse il nastro e «Fa male?» «Sì Osvaldo, malissimo, basta ti prego, siete matti, non si gioca così?» «No non siamo matti, ma smettiamo quando vogliamo noi, e più ti fa male meglio è!». Poi rimessomi il nastro, ristrinse la gogna, più stretta di prima.
Sudavo per il dolore intenso ero in pieno panico. Osvaldo mi si fece davanti al viso guardandomi seriamente. «Vedi, potrei smettere di fartelo, se vuoi, ma tu devi collaborare. Fai sì con la testa!» naturalmente feci sì «Ti spiego, è facile, devi solo firmare un documento, d'accordo?» feci di nuovo sì. Lui allentò la morsa, ma non del tutto; il dolore era minore ma non del tutto sparito quando mi tolse il nastro. Si abbassò verso la mia mano destra legata, mi mise una penna in mano e mi avvicinò il documento. «Firma daje e la famo finita!» «Ma posso leggerlo prima? di cosa si tratta?». Senza rispondermi tolse il documento, mi ritappò la bocca e strinse la morza. Lentamente si alzò Giuseppe e venne verso di me. «Fino a mo avemo giocato, mo se semo rotti er cazzo, se nun firmi le palle te le stacco e te le metto in bocca». «Sì dai amore, firma, su e la facciamola finita con questa pagliacciata». Feci segno di sì, Osvaldo allentò la morza ma non tolse il bavaglio. Firmai a fatica, ma firmai. “Ora finisce, ora finisce, poi vi faccio vedere io” pensai, invece Osvaldo ristrinse la morza ed andò a parlare, col documento in mano, con gli altri due. Il dolore era lancinante. Parlottavano tra loro, incuranti della mia sofferenza poi, alla fine, Osvaldo ritornò ad allentare la morza e mi ritolse il nastro. «Stamme a sentì bene! La casa l’hai intestata a tu’ moje, me pare giusto. Questo hai firmato!» «Ma come, quella è mia, me l’hanno comprata i miei…» «Sta zitto, nun devi parlà, me fai sempre incazzà» «Quella è de tu’ moje adesso, c’hai rinunciato, però pure noi, che semo i padri de ‘sto regazzino, avemo diritto a quarche cosa no?» «Dai slegatemi ora, basta!». «Dai non creare sempre problemi» intervenne spazientita Patrizia «hai la firma sul conto dei tuoi genitori, ce lo sapemo tutti, faje un assegno e buonanotte no? Non fa sempre er tirchio, come co’ le bomboniere!»
Il nastro isolante sulla bocca ritornò immediatamente dopo il suggerimento di Patrizia e la morsa divenne così stretta che pensai di morire. Vedevo Giuseppe e Osvaldo frugare nel mio borsello e, dopo un po’, arrivare con il libretto degli assegni. «Direi che armeno 50 ce vonno, che dici?» iniziò Giuseppe «Sì, po’ annà» gli rispose Osvaldo «50mila a me e 50mila a te no?» «te credo!» «Va bene pe’ te stronzetto?» feci segno di sì. «Però Giuse’ s’è fatto tardi, questo ce fa perde troppo tempo, famo così, prima firma poi je liberamo le palle, che dici?» rifeci segno di sì. Con la destra firmai i due assegni e rimasi in attesa di essere liberato.
Con calma riposero gli assegni nel loro portafoglio, parlottarono un attimo tra di loro poi, mi presero di peso con tutta la sedia e mi misero davanti al letto matrimoniale, ma di spalle, con un cappuccio sulla testa e le palle ancora strette. «Strigni un’artro po’ va che ‘sto porco c’ha preso gusto!» «Sì giusto, stringo ar massimo!» e presero a scoparsi mia moglie, per tutta la notte, dimenticandosi di me.
Al mattino, quando finalmente mi liberarono corsi al bagno e mi feci la più bella sega della mia vita.
PS graditi commenti e suggerimenti di qualsiasi tipo. Grazie
«Sì ma è da capire no? Osvaldo è un amico di Giuseppe e poi, forse, ha capito qualcosa.» «Capire? Ma capire cosa?» «Bhe insomma, ti ha trovato al letto con lui. Cosa volevi che facesse?» «Capire la situazione, che a sposatte te sto a fa’ solo un favore. Ti avrà visto nudo no? E' una donna pure lei, avrà capito che anche io ho diritto ad un cazzo vero e non a quella lumaca che c’hai tra le gambe che manco se addrizza più! E poi dai, nu’ me fa parlà, se non c’erano quei due!»
Giuseppe era già all'angolo di Via del Minotauro quando arrivammo. Indossava dei bermuda jeans ed una polo attillata che metteva in evidenza il corpo asciutto e muscoloso a dispetto dei suoi 50 anni. «Ce l'avete fatta, ce stavo a mette radici qui…» disse aprendo il cofano della mia auto per sistemare il suo bagaglio. «T’avevo detto de sbrigatte brutto stronzo!». «Ma, ho fatto prima possibile, sai la cerimonia, il pranzo» cercai di giustificarmi.«Daje, comincia a guidà, e fa poco er cojone che oggi già m’avete fatto rode er culo, te e li parenti tua co’ la puzza sotto er naso!» replicò Giuseppe chiudendo lo sportello posteriore.
Appena partii si avvinghiò a Patrizia e cominciò a pomiciarsela. «Mamma mia amore» lei con voce stridula «sei già duro duro, chissà come ti farà male…» «Eh, sì, amore, è da stamattina, da quanno sei uscita ce lo sai, 'n ce la faccio già più!» «Ma lo abbiamo fatto tutta la notte» e, come se io non ci fossi, lei gli abbassa la zip dei bermuda e gli tira fuori il cazzo duro. Con delicatezza, gli massaggia il frenulo, finché il suo polpastrello non diventa lucido di liquido prespermatico. Le vene del cazzo pulsano gonfie, quasi dovessero esplodere e la macchina si satura in un attimo dell’odore del suo uccello.
«E tu non stare sempre a guardare, maiale!» disse all'improvviso Patrizia guardandomi nello specchietto retrovisore e risistemandosi, poi ridendo verso di me «stanotte non puoi nemmeno sapere cosa gli faccio, tutto quello che dovresti farmi tu ma non puoi». Lui ripose il suo pene a fatica nei pantaloni e chiuse gli occhi come per riposare «Sei fortunato» disse ironico «nemmeno il dovere matrimoniale stanotte te tocca! ah, ah»
Giuseppe lo abbiamo conosciuto quando eravamo ragazzi, due fidanzatini, a uno stabilimento di Fregene nel giugno di qualche anno fa. Aveva circa 15 anni più di lei, faceva la guardia giurata e si era da poco separato. Per arrotondare si prodigava in traffici più o meno leciti e, per questo, frequentava persone poco raccomandabili. Aveva un fisico atletico e muscoloso, forgiato dalla professione di strada e dalle arti marziali ed un modo di fare sicuro che attrassero irrimediabilmente Patrizia.
Per tutta quell'estate lo frequentammo assiduamente. «Mi faccio un giro con Giuseppe amore, aspettami qui, mi fa vedere lo stabilimento più giù!» Facevano lunghe passeggiate sulla spiaggia da soli, parlavano, scherzavano io per lei ero diventato trasparente «Giuseppe è troppo forte, ha esperienza da vendere, stallo a sentire ti può essere utile anche a te». «A Settembre te presento quer notaro amico mio» le diceva «ce vai a fa er tirocinio no? Però te devo conosce bene, pe’ fidamme, me capisci? Quello è un amico non vojo fa’ figuracce.» «Certo certo» gli diceva lei e poi sparivano per delle ore. «Ma dove sei stata? Cazzo!» «Ma non fare l’idiota, mi ha fatto conoscere delle persone importanti, non fare il troglodita». Non che non avessi capito cosa stesse succedendo ma mi illudevo che dopo l’estate tutto sarebbe tornato come prima. Cercavo di creare sempre qualche ostacolo per non farli rimanere da soli, ma non serviva a nulla, se non a fare irritare palesemente Giuseppe. Per questo, un pomeriggio che ero riuscito a non farla venire al mare, lui si avvicinò deciso. «Senti ragazzì noi dovemo parlà tra omini» «Ok, sì, dimmi!» «Nu rompe i cojoni quanno deve venì con me, falla finita. Fa’ finta de niente, non te preoccupà finita l’estate te la restituisco sana e salva» poi ridendo «proprio tutta sana no!» «Ma come.» «Ma come un cazzo. Che problema c’hai? L’ho sverginata così trovi la strada aperta! me dovresti solo che da ringrazià!»
Arrivammo in albergo a Venezia che era ormai tardi per la cena al ristorante. Durante il viaggio Giuseppe, naturalmente, non si era risparmiato. Si era sbattuto Patrizia un paio di volte «Sto cojone va troppo piano, arivamo tardi, mejo avvantaggiasse» aveva detto ridendo. Alla reception pagai le due stanze comunicanti che avevo prenotato e Giuseppe ordinò una cena in camera per quattro persone.
La cosa tra di loro, naturalmente non finì con l’estate ed in città ci fu il problema di dove potessero incontrarsi. «Domani dovrei vedermi con Giuseppe, ma a casa mia non posso…» «E che vuoi da me?» «Dai, fammi andare a casa dei tuoi, sono fuori per lavoro tutto il giorno no?» «Sei matta?» «Già glielo ho detto, non rompere, sei il solito stronzo». Alle 10 in punto del giorno successivo, Giuseppe suonò al citofono di casa mia, che Patrizia non era ancora arrivata. Aprii e lo feci salire. «Sei un bravo ragazzo» iniziò con quella sua aria da spaccone «hai capito come se fa pe’ tenesse ‘na donna. Je devi sempre dì de sì, la devi da accontentà! Bravo!» e mi diede una pacca sulla spalla «Sì ma solo questa volta Giuseppe, ok?» «Ma certo, nun te preoccupà è solo che non c’avevo er posto giusto e c’avevo le mie esigenze, palle piene, me capisci no? Sei un omo pure tu!» e giù una seconda pacca «Senti che cazzo duro che c’ho» e presami una mano se la mise sul cazzo «Me fa male pe’ quanto è duro. Famme un caffè va» ed andai in cucina a preparglielo. Quando tornai in sala col caffè, Giuseppe si era accomodato sulla poltrona di mio padre e si era versato una bella dose di un whisky molto costoso. «Cazzo sei scemo? Quello costa un occhio della testa, mio padre se ne accorgerà!» «Ma nu rompe er cazzo, dai, è solo un goccetto! Sei bravo ma tante vorte me fai incazzà co ste stronzate. Siete la solita famiglia de egoisti che non sapete condivide co’ chi c’ha bisogno!» poi, come non bastasse allungò i piedi sul tavolino in radica.
«Ora basta, vattene a fanculo!» gli urlai. «Sei un ragazzino viziato, te devi imparà a campà, e mo m’hai rotto er cazzo sur serio, viè qua, sbrigate!» e siccome non mi muovevo si alzò e, avvicinatosi, mi mollò prima due ceffoni da togliere il respiro, poi mi prese per un orecchio e mi riportò verso la poltrona. «Mo’ te insegno io a campà. Se voi che nun te smonto sta casa de merda, fai quello che dico io!». Ero paonazzo, impaurito «Leveme le scarpe e poi li carzini! Bravo, così, veloce. Bene, così, guarda che belle fette che c’ho, bravo, bravo! Bravo lecca bene, daje, puliscili bene che Patrizia sta pe’ arrivà e me vojo fa trovà bello pulito, daje lecca. Pure in mezzo alle dita, daje, nun te fa dì tutto!»
In quel mentre suonò Patrizia. Ci mise un attimo a salire, era tutta trafelata, eccitata. Lui non la fece nemmeno parlare, le infilò la lingua in bocca e cominciò a stringerle le natiche con forza. «Scenni e vamme a fa er pieno alla machina, sta giù in seconda fila, daje!» e se ne andò in camera dei mie genitori. Naturalmente non uscii, non potevo lasciarli lì da soli. Lentamente mi avvicinai allo spiraglio della porta socchiusa, volevo guardare, controllare.
Patrizia era nuda, i suoi vestiti buttati alla rinfusa sul pavimento, mentre Giuseppe si era solo abbassato i pantaloni e stava sotto di lei a godersi la monta. Il pube setoso di Patrizia aveva completamente inghiottito il grosso cazzo di Giuseppe, e si muoveva in senso circolare, con foga rabbiosa, mentre le sue tettine ballonzolavano scomposte. «Amore stai attento eh!» e continuava la danza «Ti voglio venire dentro dai, ti prego» grugniva lui. Il letto cigolava in modo sinistro. Avevo paura e non vedevo l’ora che la finissero ma, allo stesso tempo, mi resi conto di essere eccitato e presi a toccarmi l’uccello attraverso i pantaloni.
Quando Giuseppe arrivò all’orgasmo mi misi al centro della porta, incurante del fatto che mi avrebbero visto. Lo vidi estrarre il cazzo dalla fica di Patrizia appena in tempo; dalla cappella gonfia e scura partì un primo fiotto di sperma che atterrò alla base del collo di Patrizia e cominciò a colarle su una tetta. Ora lei poteva vedermi e mi vide. Ma il suo sguardo era come di terrore e non capivo; forse la mia mano nei pantaloni l’aveva turbata? Vedermi così? No, in realtà, dietro di me s’era palesata mia madre, rientrata in anticipo a casa, allibita dalla scena. Giuseppe che dalla sua posizione non aveva visto nulla continuò a sborrare sulla coperta del letto di mia madre, come nulla fosse, creando una pozzetta di liquido giallastro.
«Ora chiamo i carabinieri. E tu brutta puttana vai a vestirti. E te» verso di me «Brutto coglione rimetti tutto a posto prima che arrivi tuo padre!»
Dopo questo episodio, casa dei miei e quella dei genitori di Patrizia non potette più essere utilizzata. «Me la devi portà a Guidonia» mi disse Giuseppe «Te devi da organizzà sei tu che hai sbajato, te e tu’ madre!» «Ma come faccio?» «Dai amore, che ci vuole!» e dopo un po’ di minacce mi convinsi che era meglio ubbidire. A Guidonia Giuseppe viveva con un certo Osvaldo, un tipo losco sulla cinquantina che non voleva rotture di coglioni. Mentre i due amanti scopavano a volte mi intratteneva «Te ce devi abituà, senza rompe er cazzo, fai finta de niente! Lei c’ha voja de cazzo ignorante e lui è omo e c’ha bisogno de svotà le palle. Tutto qui. Se te incazzi fai du fatiche, tutto inutile, tanto quelli scopano uguale. Pijace gusto, vedrai che poi te piace» «E se la lasciassi?» «Nun ce devi nemmeno provà a pensallo. Uno perché lei te vole bene e te vole sposà, due perché se ce provi questi te vengheno a cercà sotto casa! Pe’ lei no? Dopo che se stufano lei che fa?»
Tre o quattro volte la settimana partivo da casa mia con la macchina di mia madre, andavo a prendere Patrizia a casa sua e la portavo a Guidonia. Dovevo arrivare sempre puntuale, secondo l’orario che mi dicevano. Spesso dovevo aspettare sotto casa di Giuseppe, in macchina, una o due ore; poi lei scendeva soddisfatta e la riaccompagnavo a casa. Nelle giornate tranquille, senza traffico, con circa quattro ore si poteva fare tutto, nei giorni di punta... anche sei ore! Mi stava venendo un esaurimento nervoso.
« Vedi tu sei abituato male» cominciò Osvaldo un giorno che mi vide molto depresso «T’hanno fatto ave’ sempre la pappa pronta. Devi da esse meno egoista, te l’ha detto pure Giuseppe de imparà a pensà pure alle esigenze dell’artri, a chi è meno fortunato de te. Fumete ‘sta cannetta e vedrai come stai mejo, sta roba so come rimedialla gratis, nun te devi preoccupà. Devi da esse orgoglioso che pure l’artri se divertono». Da quel giorno, presi a farmi delle canne mentre aspettavo Patrizia, e più passava il tempo più mi sentivo calmo e docile, sempre più desideroso di ubbidire, anche se il mio uccello faceva sempre più fatica ad alzarsi.
Osvaldo per i primi tempi osservò solo questo via vai per casa, ma col tempo cominciò ad avere delle pretese su Patrizia. Era il classico macho romano, tatuato, orecchino, viso scavato e perennemente abbronzato. Fisico magrissimo e muscoloso, non altissimo, ma molto prestante. Vestiva sportivo, con abiti molto costosi e di marca. Insomma, poteva avere il suo fascino, anche su una ragazza giovane come Patrizia. «Sei bella, Patrì…» le disse un giorno mentre le metteva una mano sulla spalla. Lei guardò Giuseppe, in cerca di una rassicurazione. «E’ un amico, come fosse mio fratello... è così solo…» disse Giuseppe ridendo. Osvaldo fece scendere la sua mano sul seno di Patrizia. Lei era paonazza, come paralizzata, ma visibilmente compiaciuta di quelle attenzioni. Io intanto assistevo impotente, senza potermi ribellare, senza reagire.
Quando lui tirò fuori il cazzo dai pantaloni e le mise una mano dietro la nuca con l'intenzione di farselo succhiare, lei guardò di nuovo Giuseppe con gli occhi di un agnello sacrificale, "lo faccio solo per te", sembrava volesse dirgli. Osvaldo la spingeva con forza sul suo cazzo duro, troppo grosso per entrarle tutto in bocca. Lei tossiva, ma continuava, convinta, con grande zelo. D'un tratto si alzò, si tolse le mutandine e salì a cavalcioni di Osvaldo. Ci volle un attimo. Lui con la testa reclinata indietro, con gli occhi chiusi, godette tranquillo dentro di lei, mentre Patrizia si muoveva lentamente sul suo pene a ritmo dei suoi schizzi di sperma. Appena si alzò da sopra Osvaldo, Giuseppe eccitato la prese per i capelli e cominciò a scoparla a pecora, da dietro. Ed in un attimo gli esplose anche lui dentro la sua fica fradicia.
Da quel giorno cominciarono ogni volta a scoparla tutti e due, senza alcuna protezione, nessuna barriera. Io, a furia di canne, mi ero un po’ imbolsito, ma mi sentivo molto più tranquillo e collaborativo ed avevo ammesso che questo gioco non mi dispiaceva per nulla. Ora non serviva più che attendessi in macchina. Salivo ed aiutavo a mettere a posto casa, accettavo i loro giochi goliardici, bevevo la loro pipì, mi faceva prendere a calci nelle palle tra le risate di Patrizia e li aiutavo a mettere il cazzo nella sua fica. Era ormai circa due anni che non avevo più alcun rapporto sessuale con Patrizia, anzi, a dire il vero non ne avevo mai avuti di completi, quando mi informarono che lei era in cinta e che avrei dovuto immediatamente sposarla. «E’ arrivato il momento de fa’ il tuo dovere!»
«Nun m’hai invitato ar matrimonio mo’ paga ‘na cena come se deve» aveva detto Giuseppe prima di arrivare in albergo. Aveva ordinato frutti di mare, caviale russo, ostriche e, naturalmente, molto champagne «La prima notte de nozze ha da esse indimenticabile». Osvaldo arrivò poco dopo di noi, in tempo per gustarsi il cibo prelibato. «Auguri e figli maschi!» mi disse lanciandomi un bicchiere di champagne addosso «Adesso però devi fa’ er dovere tuo, è la prima notte di nozze pe’ Patrizia, e visto che non te la devi nemmeno scopà, devi falla sta sta bene! ce fai dvertì un po’ che dici? Come ar solito!» «Sì amore, sì amore, facci divertire» disse lei mezza ubriaca «Sì perchè ce devi capì che se te sfrucujamo un po’, poi se divertimo de più co’ tu moje, hai capito?» «Certo, lo capisco, ci mancherebbe».
Avevo già il cazzo dritto al pensiero di quello che mi avrebbero fatto davanti a lei, ero eccitato ma la cosa prese una piega diversa. In pochi minuti mi ritrovai nudo, legato ad una sedia, con tutti che ridevano «Tu’ marito è proprio un cojone» «Sì è ero!» lei rispondeva ridendo «Stai tranquilla che mo’ lo sistemamo per le feste». Stavano mezzi nudi pure loro tre, si toccavano a vicenda, eccitati e divertiti. Quando però Osvaldo mi mise il nastro isolante sulla bocca mi spaventai un po’. «Scusa ma co ‘sto cazzetto che c’hai» diceva mentre trafficava tra le mie gambe «ce vole de più. Sei proprio ‘na troia, ce l’hai pure dritto! ah ah. Ma mo se divertimo!». Lentamente, ma inesorabilmente, i miei testicoli cominciarono ad essere compressi da una gogna che Osvaldo ci aveva applicato, sempre più stretta. Non riuscivo ad urlare anche se il dolore era sempre più intenso «dai resisti, dai che te fa bene!». Patrizia mi spiava con la coda dell’occhio, mentre con la mano carezzava l’uccello duro di Giuseppe. Quando steti per scoppiare, finalmente Osvaldo diminuì la pressione della gogna, per farmi respirare un po’. Mi tolse il nastro e «Fa male?» «Sì Osvaldo, malissimo, basta ti prego, siete matti, non si gioca così?» «No non siamo matti, ma smettiamo quando vogliamo noi, e più ti fa male meglio è!». Poi rimessomi il nastro, ristrinse la gogna, più stretta di prima.
Sudavo per il dolore intenso ero in pieno panico. Osvaldo mi si fece davanti al viso guardandomi seriamente. «Vedi, potrei smettere di fartelo, se vuoi, ma tu devi collaborare. Fai sì con la testa!» naturalmente feci sì «Ti spiego, è facile, devi solo firmare un documento, d'accordo?» feci di nuovo sì. Lui allentò la morsa, ma non del tutto; il dolore era minore ma non del tutto sparito quando mi tolse il nastro. Si abbassò verso la mia mano destra legata, mi mise una penna in mano e mi avvicinò il documento. «Firma daje e la famo finita!» «Ma posso leggerlo prima? di cosa si tratta?». Senza rispondermi tolse il documento, mi ritappò la bocca e strinse la morza. Lentamente si alzò Giuseppe e venne verso di me. «Fino a mo avemo giocato, mo se semo rotti er cazzo, se nun firmi le palle te le stacco e te le metto in bocca». «Sì dai amore, firma, su e la facciamola finita con questa pagliacciata». Feci segno di sì, Osvaldo allentò la morza ma non tolse il bavaglio. Firmai a fatica, ma firmai. “Ora finisce, ora finisce, poi vi faccio vedere io” pensai, invece Osvaldo ristrinse la morza ed andò a parlare, col documento in mano, con gli altri due. Il dolore era lancinante. Parlottavano tra loro, incuranti della mia sofferenza poi, alla fine, Osvaldo ritornò ad allentare la morza e mi ritolse il nastro. «Stamme a sentì bene! La casa l’hai intestata a tu’ moje, me pare giusto. Questo hai firmato!» «Ma come, quella è mia, me l’hanno comprata i miei…» «Sta zitto, nun devi parlà, me fai sempre incazzà» «Quella è de tu’ moje adesso, c’hai rinunciato, però pure noi, che semo i padri de ‘sto regazzino, avemo diritto a quarche cosa no?» «Dai slegatemi ora, basta!». «Dai non creare sempre problemi» intervenne spazientita Patrizia «hai la firma sul conto dei tuoi genitori, ce lo sapemo tutti, faje un assegno e buonanotte no? Non fa sempre er tirchio, come co’ le bomboniere!»
Il nastro isolante sulla bocca ritornò immediatamente dopo il suggerimento di Patrizia e la morsa divenne così stretta che pensai di morire. Vedevo Giuseppe e Osvaldo frugare nel mio borsello e, dopo un po’, arrivare con il libretto degli assegni. «Direi che armeno 50 ce vonno, che dici?» iniziò Giuseppe «Sì, po’ annà» gli rispose Osvaldo «50mila a me e 50mila a te no?» «te credo!» «Va bene pe’ te stronzetto?» feci segno di sì. «Però Giuse’ s’è fatto tardi, questo ce fa perde troppo tempo, famo così, prima firma poi je liberamo le palle, che dici?» rifeci segno di sì. Con la destra firmai i due assegni e rimasi in attesa di essere liberato.
Con calma riposero gli assegni nel loro portafoglio, parlottarono un attimo tra di loro poi, mi presero di peso con tutta la sedia e mi misero davanti al letto matrimoniale, ma di spalle, con un cappuccio sulla testa e le palle ancora strette. «Strigni un’artro po’ va che ‘sto porco c’ha preso gusto!» «Sì giusto, stringo ar massimo!» e presero a scoparsi mia moglie, per tutta la notte, dimenticandosi di me.
Al mattino, quando finalmente mi liberarono corsi al bagno e mi feci la più bella sega della mia vita.
PS graditi commenti e suggerimenti di qualsiasi tipo. Grazie
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