Quando penso al mio professore
di
Meg
genere
tradimenti
Lo osservo, mentre spiega la posizione schizoparanoide secondo Melanie Klein, tramite i concetti di seno buono e seno cattivo. Le sue parole mi rimbombano in testa, rimbalzando tra le pareti di quest'aula poco ghermita, nonostante l'enorme spazio a disposizione. Seduta tra le prime file, come sempre. Non è una scelta che adotto di solito, ma per lui me lo concedo, il mio professore. In realtà, all'inizio era una scelta dettata da un'esigenza pratica, ovvero per sentirlo meglio e stare più attenta, dato che il microfono non funziona benissimo e il rischio che la sua voce si disperda senza raggiungere le mie orecchie è reale; poi però, il mio interesse si è evoluto al punto che mi vado a mettere tra le prime file anche perché così posso guardarlo meglio in viso. Mi piace guardargli la bocca, circondata dalla barba, e mi soffermo sulle singole labbra immaginandone la morbidezza. Mi perdo così a lungo in questo piccolo dettaglio che il mio intento iniziale di seguire meglio la spiegazione rischia di non essere sempre rispettato; non riesco a gestire due compiti insieme, soprattutto di questa portata. A volte abbasso lo sguardo sperando di poter posare lo sguardo tra le sue gambe per poi accorgermi, tristemente, che sono coperte dalla cattedra dalla quale si vedono sporgere solo fili connessi al computer. Allora cerco di approfittare durante la pausa, quando lui si alza per uscire dall'aula e tornare dopo, ma non ho un margine di tempo sufficiente per fantasticarci su... Però la mia mente è così curiosa e al tempo stesso esausta che va imperterrita a domandarsi dove vada il nostro adorato professore.
Lo immagino alla toilette, che si sbottona la cintura e abbassa la zip dei pantaloni: immagino che slip potrebbe indossare, quale forma ne ravviverebbe il tessuto. Immagino le sue mani dirette a estrarre il pene e mirarlo verso la tazza. Lo immagino urinare e scuotere l'asta fino all'ultima goccia, asciugarsi, pulirsi, risistemarsi e infine telefonare sua moglie o un collega ricercatore oppure rispondere a una email di lavoro prima di tornare in aula con le sue argomentazioni sull'importanza della diagnosi per il trattamento dei disturbi psichici.
Vorrei interrompere questa microcatena di eventi con un mio silenzioso intervento, magari mentre si trova in corridoio. Sedurlo con un'abile combinazione di parole e sguardi dal tono vagamente erotico, mai irrispettoso. Vorrei vederlo cedere, consapevole di star tradendo tanto la deontologia quanto il matrimonio.
«Professore, la sua materia è affascinante e sarei interessata ad approfondirla e lavorare nel settore, ma ancor di più mi affascina il docente che abbiamo la fortuna di avere quest'anno. Mi piace come spiega!».
Direi questo, per esempio, abbassando timidamente lo sguardo verso la cinta dei pantaloni, per cercare di trasmettere l'implicito delle mie parole.
«Oh, bene. La cosa mi rende felice».
Quel sorriso. Oh, quel sorriso splende dal cespuglietto della corta barba nera che gli circonda la bocca e ha un non so che di tenerezza. Ha un viso da brav'uomo, ha l'aria di un marito fedele e dedito alla sua professione di aiuto. Si presenta sempre in pantaloni scuri accostando una camicia bianca o chiara a una giacca nera che non leva quasi mai. Quando sorride raramente mostra i denti, ma nonostante ciò è come se tutto attorno si irradiasse di gioia.
Vorrei fermarlo, durante la pausa, in un angolo tranquillo del corridoio e, dopo aver balbettato parole come quelle sopra, avvicinarmi, seppur ancora timidamente, cercando un contatto fisico di qualsiasi tipo, fosse anche solo una mano sull'avambraccio. Ricambiando il sorriso continuerei:
«Sicuramente non sa che vengo a lezione solo per lei. Ritrovarmi adesso qui a una distanza così ravvicinata mi emoziona...»
Immagino l'emergere di uno sguardo un po' più confuso nei suoi occhi mentre rallentiamo il passo.
«E...» sospiro.
«...Lo sa, lei mi piace anche in un altro senso...»
Ci fermiamo. Lui ha inarcato le sopracciglia e spalancato leggermente le labbra. Appare decisamente confuso, probabilmente non se lo aspettava.
«Signorina, cosa intende?»
A questo punto, dato che sta sospettando sulle mie reali intenzioni, comincio a percepire una certa eccitazione mentale. Passo istintivamente la lingua tra le labbra, perché la situazione sta diventando anche un po' imbarazzante e la bocca secca è sintomo di una leggera ansia dovuta al fatto che so di rischiare. Ma nel mio sguardo penso si legga tutto.
«Mi dispiace, non sono brava con le parole. A dire il vero sono un po' timida, ma vorrei essere onesta...»
E, accompagnando a queste ultime tre parole una carezza accennata sul suo fianco combinata a uno sguardo malizioso, spero di porre fine all'imbarazzo del dover parlare per impliciti.
«Signorina, se vuole passare l'esame non ha bisogno di questi stratagemmi. Non sono il tipo di docente che crede. Le basterà studiare e presentarsi quando si sentirà pronta»
«No, no, no, no, no! Professore, mi scusi, non voglio malintesi! Voglio essere chiara: non ho problemi a studiare e sostenere l'esame normalmente. Non ho intenzione di corromperla, non è da me, assolutamente. Non è per questo, non voglio nulla in cambio, lo farei solo per il puro piacere. Se lei non vuole non c'è problema, ma non vorrei mai metterla a disagio o farle credere che io voglia corromperla. Per carità, non mi permetterei mai! Anzi, sono anche disposta a farmi esaminare da un assistente che non saprà nulla dell'accaduto, se è per questo»
A questo punto, ci sono due possibilità. Se lui rifiuta, confermando la sua estrema fedeltà e professionalità, la storia finisce qui. Ma, al fine di proseguire nella mia perversa fantasia, mi soffermerò sull'altra possibilità.
Ci dirigiamo alla toilette del piano di sotto, che è meno trafficata. Per non destare sospetti, prima entro io. Come volevasi dimostrare: non c'è nessuno, sono tutti in aula oppure di fronte alla macchinetta del caffè o ancora in cortile. Mi chiudo nella porta centrale, sarà facile riconoscermi visto che accanto ce n'è una aperta e una per i disabili.
Aspetto.
Due minuti più tardi sento dei passi: eccolo. Non c'è neanche bisogno di bussare. Entra richiudendo a chiave la porta e inizia il vivo della mia fantasia.
Ci baciamo, da vestiti, in piedi. La lingua non è necessaria, non ancora. Per ora mi interessa solo sentire le sue mani sotto la mia maglietta e sondare le parti del suo corpo attraverso il tessuto del suo completo elegante. Si toglie la giacca per muoversi meglio e non accaldarsi troppo; la appende sulla maniglia. Continuiamo a baciarci e io, ormai estremamente eccitata anche a livello fisico, mi spingo istintivamente sul suo pacco. Gli palpo il petto, attraverso la camicia che inizia a tirar fuori dai pantaloni. Immergo le mie dita tra i suoi capelli corti. Mi bacia. Adoro le sue labbra, così morbide e desiderose di me, così maschili. Sta ansimando. Stiamo ansimando.
Dopo avergli fatto sbottonare i pantaloni gli afferro le parti intime e inizio a masturbarlo. Lui sembra godere abbastanza. Il suo membro è caldo e si sta indurendo mentre mi bacia dolcemente. Adesso voglio la lingua e glielo faccio capire introducendola leggermente tra un bacio e l'altro. Vorrei fare così per diversi minuti ancora, lentamente. Godere di questi baci passionali mentre gli faccio una sega, mentre lo sento ansimare, ma purtroppo abbiamo poco tempo. Così, mi abbasso frettolosamente per del sesso orale. Il suo pene è eretto davanti al mio viso, al mio naso arriva un odore pungente, ma piacevole. Una peluria scura e ripiegata su se stessa fa da sfondo all'organo ardentemente desiderato che tengo in mano. Lentamente, cercando di prendere confidenza, lo introduco nella mia bocca. Lo ricopro di saliva facendolo gonfiare. Non posso far altro che osservare, da quaggiù, lo sguardo perso ed estatico del professore: sta diventando rosso, il che ai miei occhi lo rende ancora più attraente. Sapere di eccitarlo mi eccita a mia volta. Succhio avidamente facendo scorrere la sua asta gonfia nella mia bocca, mentre rumori perversi e si propagano per questo piccolo vano.
Ho voglia di sesso spinto, sporco, senza ritegno. E glielo faccio capire un po' a parole e un po' a gesti. Porgendogli un profilattico molto lubrificato, sussurro:
«Mi prenda da dietro... La prego...»
Piegandomi in avanti, mi tengo alla casetta del water cercando di imitare una pecorina. Sono visibilmente eccitata. Lui recepisce e fa calare in una sola volta i miei jeans e mutandine. Gli fermo le mani quando arriva a metà delle mie cosce. Mi piace essere svestita per metà in questo modo, mi fa sentire come un oggetto.
Allargo una natica con una mano mentre lui fa lo stesso con l'altra. Avvicina la punta, sento il suo glande attraverso il lattice, curioso del mio canale segreto... Vuole penetrarmi e io voglio essere penetrata. Dal mio professore. Voglio essere posseduta dal suo membro duro e ingrossato. Voglio sentirmi tutta allargata mentre sono a pecorina e cerco di soffocare gli inevitabili gemiti di piacere.
«Sì... Oh, sì…» sussurro, anche se vorrei gridarlo.
Nessuna risposta da parte sua, ma so che sta godendo come un matto.
Arrivato, è dentro. È in fondo. Mi sto facendo aprire il culo dal mio professore di psicologia. Godo come una cagnolina in calore. Ho perso la facoltà di pensare, lo sento muoversi dentro di me, gonfio, duro, lo sento mugolare di piacere. Uno psicoanalista sposato di forse 40 anni o poco più che gode facendo sesso con una studentessa di 24 anni nel bagno pubblico dell'università.
«Mi fa godere così, professore... Professore… Mmm... Ah... Oddio…» per poco non mi scappa un urlo.
Niente parole ma tanti respiri e gemiti da parte sua. Forse chiude gli occhi, forse anche una sua fantasia si è realizzata. Chissà come lo prende sua moglie, come e quanto lo fanno. Chissà se tradire lo eccita. Anche questi pensieri costernavano la mia mente durante la lezione.
Mentre continuiamo così, mi sale la voglia di sentire il suo cazzo anche davanti. Vorrei cavalcarlo mentre mi bacia in bocca. Vorrei avere un orgasmo su di lui mentre mi faccio palpare senza pudore dalle sue mani mature.
Dopo una serie di lente e profonde spinte da dietro, ci rimettiamo in piedi e, baciandolo, mi lascio appoggiare al muro. Abbiamo forse ancora qualche minuto, non ne ho idea. Lui sembra non preoccuparsene, mi toglie i jeans e tranquillamente solleva una mia coscia. Si avvicina a me col suo corpo, strusciando il suo membro sulla mia vulva. Lo adoro da impazzire e la mia voglia di cazzo si triplica. Lui, sapientemente, poggia due dita sul mio clitoride e mi masturba mentre mi mette la lingua in bocca. Mi tocca il seno, cercando un capezzolo. Dio, sono così tanto bagnata…
Gli porgo un altro profilattico che avevo saggiamente conservato e mi abbandono totalmente a una dolce penetrazione da davanti, con una coscia in aria, tra le sue braccia possenti. Mentre la mia vagina stretta viene violata penso solo a una cosa: di essere montata sul pavimento a quattro zampe e avere la libertà di gridare mentre prendo il cazzo del mio professore nell'altro buco, facendomi sfondare con violenza e fino all'orgasmo. Penso anche di riceverlo in figa a missionario con le cosce spalancate e le ginocchia in aria. Voglio farmi possedere procurandogli un immenso piacere. Voglio succhiargli il pene, fino in gola, passare la lingua famelica sulla cappella e sulle palle, voglio essere legata e usata per il suo capriccio... Quante cose vorrei… E mentre ci penso lui aumenta la velocità della penetrazione, di poco ma sufficiente a farmi venire in un intenso orgasmo soffocato.
Dopo pochissimo viene anche lui, il suo seme inonda il serbatoio del preservativo. Continuo a baciarlo, più lentamente, accarezzandogli i capelli. È sudato. È tutto rosso. Ha goduto. E io con lui.
Subito ci ricomponiamo, non ho idea di che ora sia e non mi importa. Lui scappa via, non prima di avermi guardata e salutata con un'espressione a tratti sconvolta e a tratti complice.
Quando torno in aula mi accorgo che sono passati 5 minuti oltre la pausa. Ne sono passati altri 7 quando lui torna, con un bicchiere in mano, e si scusa, imbarazzato per il ritardo:
«Scusate… Sono stato fermato da un vostro collega laureando a proposito della tesi. Allora… Riprendiamo…»
E io faccio di tutto per soffocare una risatina mentre lo guardo e penso che su quel bicchiere, dalla sua bocca, ci sono tracce della mia saliva.
Lo immagino alla toilette, che si sbottona la cintura e abbassa la zip dei pantaloni: immagino che slip potrebbe indossare, quale forma ne ravviverebbe il tessuto. Immagino le sue mani dirette a estrarre il pene e mirarlo verso la tazza. Lo immagino urinare e scuotere l'asta fino all'ultima goccia, asciugarsi, pulirsi, risistemarsi e infine telefonare sua moglie o un collega ricercatore oppure rispondere a una email di lavoro prima di tornare in aula con le sue argomentazioni sull'importanza della diagnosi per il trattamento dei disturbi psichici.
Vorrei interrompere questa microcatena di eventi con un mio silenzioso intervento, magari mentre si trova in corridoio. Sedurlo con un'abile combinazione di parole e sguardi dal tono vagamente erotico, mai irrispettoso. Vorrei vederlo cedere, consapevole di star tradendo tanto la deontologia quanto il matrimonio.
«Professore, la sua materia è affascinante e sarei interessata ad approfondirla e lavorare nel settore, ma ancor di più mi affascina il docente che abbiamo la fortuna di avere quest'anno. Mi piace come spiega!».
Direi questo, per esempio, abbassando timidamente lo sguardo verso la cinta dei pantaloni, per cercare di trasmettere l'implicito delle mie parole.
«Oh, bene. La cosa mi rende felice».
Quel sorriso. Oh, quel sorriso splende dal cespuglietto della corta barba nera che gli circonda la bocca e ha un non so che di tenerezza. Ha un viso da brav'uomo, ha l'aria di un marito fedele e dedito alla sua professione di aiuto. Si presenta sempre in pantaloni scuri accostando una camicia bianca o chiara a una giacca nera che non leva quasi mai. Quando sorride raramente mostra i denti, ma nonostante ciò è come se tutto attorno si irradiasse di gioia.
Vorrei fermarlo, durante la pausa, in un angolo tranquillo del corridoio e, dopo aver balbettato parole come quelle sopra, avvicinarmi, seppur ancora timidamente, cercando un contatto fisico di qualsiasi tipo, fosse anche solo una mano sull'avambraccio. Ricambiando il sorriso continuerei:
«Sicuramente non sa che vengo a lezione solo per lei. Ritrovarmi adesso qui a una distanza così ravvicinata mi emoziona...»
Immagino l'emergere di uno sguardo un po' più confuso nei suoi occhi mentre rallentiamo il passo.
«E...» sospiro.
«...Lo sa, lei mi piace anche in un altro senso...»
Ci fermiamo. Lui ha inarcato le sopracciglia e spalancato leggermente le labbra. Appare decisamente confuso, probabilmente non se lo aspettava.
«Signorina, cosa intende?»
A questo punto, dato che sta sospettando sulle mie reali intenzioni, comincio a percepire una certa eccitazione mentale. Passo istintivamente la lingua tra le labbra, perché la situazione sta diventando anche un po' imbarazzante e la bocca secca è sintomo di una leggera ansia dovuta al fatto che so di rischiare. Ma nel mio sguardo penso si legga tutto.
«Mi dispiace, non sono brava con le parole. A dire il vero sono un po' timida, ma vorrei essere onesta...»
E, accompagnando a queste ultime tre parole una carezza accennata sul suo fianco combinata a uno sguardo malizioso, spero di porre fine all'imbarazzo del dover parlare per impliciti.
«Signorina, se vuole passare l'esame non ha bisogno di questi stratagemmi. Non sono il tipo di docente che crede. Le basterà studiare e presentarsi quando si sentirà pronta»
«No, no, no, no, no! Professore, mi scusi, non voglio malintesi! Voglio essere chiara: non ho problemi a studiare e sostenere l'esame normalmente. Non ho intenzione di corromperla, non è da me, assolutamente. Non è per questo, non voglio nulla in cambio, lo farei solo per il puro piacere. Se lei non vuole non c'è problema, ma non vorrei mai metterla a disagio o farle credere che io voglia corromperla. Per carità, non mi permetterei mai! Anzi, sono anche disposta a farmi esaminare da un assistente che non saprà nulla dell'accaduto, se è per questo»
A questo punto, ci sono due possibilità. Se lui rifiuta, confermando la sua estrema fedeltà e professionalità, la storia finisce qui. Ma, al fine di proseguire nella mia perversa fantasia, mi soffermerò sull'altra possibilità.
Ci dirigiamo alla toilette del piano di sotto, che è meno trafficata. Per non destare sospetti, prima entro io. Come volevasi dimostrare: non c'è nessuno, sono tutti in aula oppure di fronte alla macchinetta del caffè o ancora in cortile. Mi chiudo nella porta centrale, sarà facile riconoscermi visto che accanto ce n'è una aperta e una per i disabili.
Aspetto.
Due minuti più tardi sento dei passi: eccolo. Non c'è neanche bisogno di bussare. Entra richiudendo a chiave la porta e inizia il vivo della mia fantasia.
Ci baciamo, da vestiti, in piedi. La lingua non è necessaria, non ancora. Per ora mi interessa solo sentire le sue mani sotto la mia maglietta e sondare le parti del suo corpo attraverso il tessuto del suo completo elegante. Si toglie la giacca per muoversi meglio e non accaldarsi troppo; la appende sulla maniglia. Continuiamo a baciarci e io, ormai estremamente eccitata anche a livello fisico, mi spingo istintivamente sul suo pacco. Gli palpo il petto, attraverso la camicia che inizia a tirar fuori dai pantaloni. Immergo le mie dita tra i suoi capelli corti. Mi bacia. Adoro le sue labbra, così morbide e desiderose di me, così maschili. Sta ansimando. Stiamo ansimando.
Dopo avergli fatto sbottonare i pantaloni gli afferro le parti intime e inizio a masturbarlo. Lui sembra godere abbastanza. Il suo membro è caldo e si sta indurendo mentre mi bacia dolcemente. Adesso voglio la lingua e glielo faccio capire introducendola leggermente tra un bacio e l'altro. Vorrei fare così per diversi minuti ancora, lentamente. Godere di questi baci passionali mentre gli faccio una sega, mentre lo sento ansimare, ma purtroppo abbiamo poco tempo. Così, mi abbasso frettolosamente per del sesso orale. Il suo pene è eretto davanti al mio viso, al mio naso arriva un odore pungente, ma piacevole. Una peluria scura e ripiegata su se stessa fa da sfondo all'organo ardentemente desiderato che tengo in mano. Lentamente, cercando di prendere confidenza, lo introduco nella mia bocca. Lo ricopro di saliva facendolo gonfiare. Non posso far altro che osservare, da quaggiù, lo sguardo perso ed estatico del professore: sta diventando rosso, il che ai miei occhi lo rende ancora più attraente. Sapere di eccitarlo mi eccita a mia volta. Succhio avidamente facendo scorrere la sua asta gonfia nella mia bocca, mentre rumori perversi e si propagano per questo piccolo vano.
Ho voglia di sesso spinto, sporco, senza ritegno. E glielo faccio capire un po' a parole e un po' a gesti. Porgendogli un profilattico molto lubrificato, sussurro:
«Mi prenda da dietro... La prego...»
Piegandomi in avanti, mi tengo alla casetta del water cercando di imitare una pecorina. Sono visibilmente eccitata. Lui recepisce e fa calare in una sola volta i miei jeans e mutandine. Gli fermo le mani quando arriva a metà delle mie cosce. Mi piace essere svestita per metà in questo modo, mi fa sentire come un oggetto.
Allargo una natica con una mano mentre lui fa lo stesso con l'altra. Avvicina la punta, sento il suo glande attraverso il lattice, curioso del mio canale segreto... Vuole penetrarmi e io voglio essere penetrata. Dal mio professore. Voglio essere posseduta dal suo membro duro e ingrossato. Voglio sentirmi tutta allargata mentre sono a pecorina e cerco di soffocare gli inevitabili gemiti di piacere.
«Sì... Oh, sì…» sussurro, anche se vorrei gridarlo.
Nessuna risposta da parte sua, ma so che sta godendo come un matto.
Arrivato, è dentro. È in fondo. Mi sto facendo aprire il culo dal mio professore di psicologia. Godo come una cagnolina in calore. Ho perso la facoltà di pensare, lo sento muoversi dentro di me, gonfio, duro, lo sento mugolare di piacere. Uno psicoanalista sposato di forse 40 anni o poco più che gode facendo sesso con una studentessa di 24 anni nel bagno pubblico dell'università.
«Mi fa godere così, professore... Professore… Mmm... Ah... Oddio…» per poco non mi scappa un urlo.
Niente parole ma tanti respiri e gemiti da parte sua. Forse chiude gli occhi, forse anche una sua fantasia si è realizzata. Chissà come lo prende sua moglie, come e quanto lo fanno. Chissà se tradire lo eccita. Anche questi pensieri costernavano la mia mente durante la lezione.
Mentre continuiamo così, mi sale la voglia di sentire il suo cazzo anche davanti. Vorrei cavalcarlo mentre mi bacia in bocca. Vorrei avere un orgasmo su di lui mentre mi faccio palpare senza pudore dalle sue mani mature.
Dopo una serie di lente e profonde spinte da dietro, ci rimettiamo in piedi e, baciandolo, mi lascio appoggiare al muro. Abbiamo forse ancora qualche minuto, non ne ho idea. Lui sembra non preoccuparsene, mi toglie i jeans e tranquillamente solleva una mia coscia. Si avvicina a me col suo corpo, strusciando il suo membro sulla mia vulva. Lo adoro da impazzire e la mia voglia di cazzo si triplica. Lui, sapientemente, poggia due dita sul mio clitoride e mi masturba mentre mi mette la lingua in bocca. Mi tocca il seno, cercando un capezzolo. Dio, sono così tanto bagnata…
Gli porgo un altro profilattico che avevo saggiamente conservato e mi abbandono totalmente a una dolce penetrazione da davanti, con una coscia in aria, tra le sue braccia possenti. Mentre la mia vagina stretta viene violata penso solo a una cosa: di essere montata sul pavimento a quattro zampe e avere la libertà di gridare mentre prendo il cazzo del mio professore nell'altro buco, facendomi sfondare con violenza e fino all'orgasmo. Penso anche di riceverlo in figa a missionario con le cosce spalancate e le ginocchia in aria. Voglio farmi possedere procurandogli un immenso piacere. Voglio succhiargli il pene, fino in gola, passare la lingua famelica sulla cappella e sulle palle, voglio essere legata e usata per il suo capriccio... Quante cose vorrei… E mentre ci penso lui aumenta la velocità della penetrazione, di poco ma sufficiente a farmi venire in un intenso orgasmo soffocato.
Dopo pochissimo viene anche lui, il suo seme inonda il serbatoio del preservativo. Continuo a baciarlo, più lentamente, accarezzandogli i capelli. È sudato. È tutto rosso. Ha goduto. E io con lui.
Subito ci ricomponiamo, non ho idea di che ora sia e non mi importa. Lui scappa via, non prima di avermi guardata e salutata con un'espressione a tratti sconvolta e a tratti complice.
Quando torno in aula mi accorgo che sono passati 5 minuti oltre la pausa. Ne sono passati altri 7 quando lui torna, con un bicchiere in mano, e si scusa, imbarazzato per il ritardo:
«Scusate… Sono stato fermato da un vostro collega laureando a proposito della tesi. Allora… Riprendiamo…»
E io faccio di tutto per soffocare una risatina mentre lo guardo e penso che su quel bicchiere, dalla sua bocca, ci sono tracce della mia saliva.
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