Guardavo Teresa tra le gambe

Scritto da , il 2022-12-02, genere prime esperienze

I RICORDI DI MARCO
Negli anni sessanta abitavo in un paesino dell’entroterra, dove il miracolo economico, che stava trasformando rapidamente l’Italia, si avvertiva poco. A seguito degli ottimi risultati scolastici conseguiti, sia alle scuole elementari sia alle medie e con grandi sacrifici da parte dei miei, frequentavo la prima classe del liceo, nella cittadina vicina.
Ero l’unico ragazzo del paese che continuava a studiare, cosa che a quell’età, mi creava qualche problema di adattamento. Non ero in grado, per censo e per luogo di residenza, di frequentare la compagnia dei coetanei cittadini, né riuscivo a fare gruppo con i ragazzi del paese, ormai avviati ad attività lavorative.
A quindici anni passavo i pomeriggi a studiare e avevo relazioni con poche persone, i miei familiari e qualche volta con Teresa.
Teresa era una ragazza di circa venti anni, che abitava nella casa a fianco della mia. Aveva conseguito, da poco, il diploma artistico, ed era in attesa di trovare un impiego e un marito.
Parlare con lei era piacevole e utile per i miei studi e anche a Teresa piaceva intrattenersi con me; in quel periodo di attesa, era spesso da sola in casa e mi aveva autorizzato a farle visita, ogni volta che avevo bisogno.
Un pomeriggio mi recai da Lei per parlare de “l’arte di Pericle e Fidia” che dovevo studiare per Storia dell’Arte. Trovai Teresa intenta a stirare gli indumenti della famiglia, nel piccolo tinello dove aveva sistemato l’asse da stiro, vicino a un divanetto.
Nell’attesa che finisse le sue faccende, cominciammo a parlare delle cose più svariate, mentre io la aiutavo porgendole gli indumenti che prendevo da una cesta.
L’ultimo indumento che raccolsi era un paio di mutandine a fiorellini che a me sembrarono veramente piccine, per cui mi venne spontaneo chiedere:
«Di chi sono queste?».
«Sono mie, di chi vuoi che siano.» Rispose Teresa.
Quella risposta fu per me uno shock. Non avere saputo riconoscere quell’indumento femminile mi confermò, l’idea che già avevo, di essere inadeguato.
Mi sedetti intristito sul divano, rimuginando sui miei brutti pensieri. Teresa che continuava a stirare gli ultimi indumenti, si era accorta di qualcosa, perché io partecipavo alla conversazione con monosillabi.
«Cosa ti succede? Stai male?» Mi domandò Teresa, quando ebbe finito, sedendosi accanto a me.
«No, no.» Risposi senza guardarla.
«Allora spiegami. Fino a un momento fa eri ciarliero come un uccellino poi, hai preso in mano le mie mutandine e improvvisamente ti sei chiuso in un mutismo assoluto.». Argomentò Teresa aggiungendo, in modo perentorio.
«Guardami e dimmi cosa ti succede.»
Non potevo sottrarmi dal rispondere a quella ragazza che rappresentava per me, un punto di riferimento importante tra le mie scarse relazioni sociali.
«E’ che non ho saputo riconoscere le tue mutandine.». Risposi guardandola.
«E allora. Dov’è il problema?» Domandò ancora Teresa, che non comprendeva la relazione tra le due cose.
«Il problema è che io non ho mai visto una donna tra le gambe.». Confessai con un po’ d’imbarazzo.
«Per l’età che hai, a me non sembra proprio un problema, avrai modo di soddisfare questa curiosità.». Cercò di rassicurarmi Teresa.
«Ma tutti i miei compagni dicono di avere visto: chi la sorella, chi la cugina, chi un’amica.». Argomentai, con sempre meno imbarazzo, contento di poter parlare di una cosa che mi angosciava tanto.
Teresa mi squadrò perplessa poi, poggiandomi una mano sulla spalla, disse:
«Senti. Se ti facessi guardare sotto la mia gonna, supereresti il tuo problema?».
Mi voltai verso la mia consolatrice e con trepidazione domandai:
«Lo faresti?».
«A una condizione. Non devi vantartene con i tuoi amici.» Ammonì Teresa.
«Te lo giuro.» La rassicurai con convinzione.
Teresa, restando seduta, si sollevò la gonna e aprì un poco le gambe.
Io, come un gattino, balzai giù dal divano e mi gettai in ginocchio, davanti a lei. Con le mani sopra le sue ginocchia, come se dovessi tenermi in equilibrio, guardavo Teresa tra le gambe.
Altro che sbirciare una donna, sotto una gonna che svolazza o mentre sale le scale; qui potevo ammirare da vicino l’oggetto dei miei desideri.
In fondo alle cosce, ben tornite, vedevo il triangolo delle mutandine di cotone bianco con i lati leggermente orlati: in basso la stoffa appariva più spessa e faceva una piccola piega al centro, più in alto invece il tessuto era ben disteso e un poco trasparente, che a me sembrava di intravedere dei peli.
«Sei soddisfatto ora?» Mi domandò Teresa.
Quella domanda mi fece ritenere che, da lì a poco, quello spettacolo sarebbe terminato. Tolsi le mani dalle ginocchia di Teresa, alzai lo sguardo verso di lei e temerariamente domandai:
«Posso vedere sotto?».
«Sotto cosa?» chiese Teresa.
«Sotto le mutande.» Fu la mia titubante risposta.
Ci fu un momento di silenzio, durante il quale pensai di avere osato troppo.
Poi Teresa disse: «Ricordati il giuramento che mi hai fatto.».
Alzò le ginocchia contro il petto e si cavò le mutande. Quando tornò ad aprire, davanti a me il sipario delle sue gambe vidi, per la prima volta, la fica di una donna.
Dove terminavano le cosce, una parte più prominente, era ricoperta ai lati di radi peli, che si facevano più folti in alto; in mezzo un taglio, come una bocca in verticale, ma con labbra sottili e serrate.
Speravo che l’emozione e il turbamento che provavo non m’impedissero di fissare, in modo nitido, quella visione nella mia mente.
«Come sei bella Teresa. Posso baciarti?» Domandai, mentre con le mani carezzavo le sue cosce.
Teresa non mi rispose. Allora, con un poco di apprensione, intrufolai la testa tra le sue gambe e, come un cieco, iniziai a esplorare, solo con la bocca e con il naso, quella parte del corpo.
Nessun pensiero, che poteva determinare timore, ansia, incertezza, occupava più la mia mente. Agivo solo seguendo gli impulsi naturali dell’istinto, più che con ragionamento e riflessione.
Baciavo e leccavo la fica di Teresa nei punti meno pelosi, insistendo soprattutto su quella “bocca verticale”, le cui labbra mi parvero dischiudersi un poco.
Teresa teneva le cosce ben aperte e la sentivo mormorare qualcosa, che non era di disapprovazione. Io in preda ad una grande eccitazione, percepivo il fastidio della costrizione, sotto gli indumenti, del mio pene in erezione.
Mi slacciai i pantaloni e con una mano lo cavai fuori. Teresa notò la manovra e quasi urlando gridò:
«NO.» e rapidamente si ricompose seduta sul divano. Poi:
«Siediti.» M’intimò, con la voce ancora alterata, vedendomi ancora in ginocchio, davanti a lei.
Frastornato e confuso mi sedetti, senza preoccuparmi di ricoprire il pene che, nonostante tutto, era ancora ritto e usciva dai pantaloni slacciati.
Teresa con tono fermo ma più pacato, disse:
«Non devi MAI infilare questo “coso”, nella vagina di una ragazza e nemmeno strusciarlo sopra, senza preservativo, perché potresti metterla incinta. Capito?»
Io, intimorito, annuivo con il capo.
Poi mi prese in mano il cazzo, la cui testa spuntava il suo pugno, e disse:
«Vedi questo non è più il pisello di un bambino. E’ come una pistola carica, pronta a sparare e può fare male a te e a colei che colpisce.». E iniziò a segarmi lentamente.
Dopo tante emozioni, quasi tramortito, ero seduto sul divano con le braccia abbandonate lungo i fianchi. Solo la pancia, seguendo il respiro, si alzava e si abbassava, come volesse assecondare il ritmo della sega.
Quando Laura abbassò la testa sul mio ventre e cominciò a sbaciucchiarmi il cazzo, iniziai a respirare con affanno e un senso di vertigine mi fece reclinare la testa all’indietro.
Poi il calore delle mucose della sua bocca sulla cappella, mi portarono all’orgasmo. Stringevo gli sfinteri e il mio petto sobbalzava, come sotto l’effetto di un defibrillatore.
Dal cazzo iniziarono a fuoriuscire lo sperma e forse anche il mio complesso d’inadeguatezza. Laura fu svelta a raccogliere tutto nelle mutandine che prima si era tolta, poi mostrandomele disse:
«Vedi basta una goccia di questo liquido, per mettere incinta una donna.».
Gettò l’indumento sporco nella cesta e indossò le mutandine a fiorellini che prima aveva stirato.
Mi congedò dicendo: «Marco, quello che è successo oggi, non accadrà mai più. Ora sistemati e vai»
Rientrato a casa, per tutto il pomeriggio cercai di studiare, da solo, “l’arte di Pericle e Fidia” ma, il giorno dopo, mi recai impreparato alla lezione di Storia dell’Arte.

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