Un ricordo lontano

di
genere
gay

Dai miei dodici anni fino ai diciannove, l'estate, a Luglio, i miei mi portavano in campagna dalla sorella di papà.
Dicevano che non potevo rimanere a casa da solo mentre loro dovevano lavorare e quindi mi portavano a Viterbo.
A Roma, in effetti, non avevo molti amici e, quei pochi che avevo, d'estate andavano in vacanza.
Mia zia aveva trentacinque anni e da dodici era sposata con Gabriele, non avevano ancora avuto figli e forse si erano arresi.
Il mio tempo trascorreva tra lunghe camminate e visite agli animali, in stalla e nel cortile.
Ero molto esile e piuttosto basso, e Gabriele, per quel motivo, non mi voleva tra i piedi, dicendo che non potevo essergli di nessuno aiuto.
Zia Marta invece mi coccolava e mi rendeva partecipe delle sue giornate fatte di lavoro nell'orto e in cucina. Negli anni avevo imparato molte cose da lei.
Nell'anno dei miei diciotto anni, arrivato al casolare notai un cambiamento.
Gabriele sembrava essersi accorto di me, forse l'idea dei miei diciotto anni lo sollevava da colpe in caso di eventuali incidenti che potevano sempre succedere.
Così cominciò a portarmi con lui nelle lunghissime giornate sul trattore e fra i boschi a sistemare la legna che sarebbe servita per l'inverno.
Non sembrava il "solito" zio, scherzava e mi chiedeva della mia vita a Roma, se per caso avevo una ragazza e che tipo di donna mi piaceva.
Io non avevo mai avuto una ragazza e in genere fantasticavo su una mia vicina di casa che spesso e di nascosto avevo visto quasi nuda.
Le risposte che davo a Gabriele erano però sempre evasive e lui rideva e poi mi diceva: - tu sei un paraculo altroché - e scoppiava in una bella risata.
Fu un Luglio molto bello sia per il clima sia per me, mi sentivo finalmente parte di un mondo adulto che fino ad allora avevo bramato.
La sera prima che i miei tornassero a prendermi, rincasammo tardi. Gabriele mi affidava ormai la gestione di una parte della stalla e questo mi portava via tempo.
Arrivammo a casa e Marta ci disse che la cena era quasi pronta, e che avevamo non più di mezz'ora per darci una ripulita.
Zio intervenne dicendo che quel tempo ci sarebbe bastato perché avremmo fatto la doccia insieme, visto che ormai eravamo amici e colleghi di lavoro.
Io non obbiettai, non ne ebbi la forza, feci un sorriso stiracchiato e un cenno di assenso con la testa.
Ci chiudemmo in bagno e Gabriele cominciò a spogliarsi. Tolse gli scarponi e le calze poi si sfilo' la canottiera ed infine tolse i pantaloni.
In mutande si avvicinò alla tazza e cominciò a pisciare canticchiando.
Quando ebbe finito si girò e si accorse che io ero ancora vestito. Mi guardò e mi disse : - mica ti vergognerai di me? - io, cercando di non tradirmi dissi di no, allora lui mi incalzo' facendomi presente che il tempo passava.
Mi denudai e rimasi anche io in mutande, lui mi guardò e chiese : - faremo la doccia con le mutande? - e scoppiò a ridere mentre velocemente le sfilava.
Aveva un pisello che sembrava vecchio, era pieno di rughe e un gran pezzo di pelle Che copriva la punta. Sotto penzolavano due palle pelose e asimmetriche, quella destra, insomma, era molto più calante.
Tirai giù i miei slip liberando un pisello che davanti al suo tremava per la vergogna. Il tutto senza quasi un pelo.
Gabriele mi guardò ma non disse niente, entrammo nel box doccia e apri' l'acqua.
Era almeno quindici centimetri più alto di me e li dentro ci stava stretto.
Cominciammo ad insaponarci ognuno per conto suo.
Si era chinato e si era insaponato i piedi poi via via era risalito soffermandosi Prima sul culo e poi sul pisello e i coglioni. Io lo imitavo e feci lo stesso.
Abbassai per caso lo sguardo ed ebbi un sussulto. Il cazzo dello zio si era trasformato, era tutto teso e la testa, uscita dalla pelle, sembrava un ombrello. Era gonfio e sembrava potersi strappare di lì a poco.
Si accorse che lo guardavo e si giustifico' :- quando mi lavo con l'acqua calda lui reagisce, è naturale, a te non lo fa? - in effetti anche il mio si era scaldato ma rimaneva una piccola cosa al confronto.
- dobbiamo sbrigarci - disse con aria scherzosa - adesso laviamoci la schiena a vicenda così facciamo un bel lavoro-
Cominciai io, presi la spugna e lavai le spalle, la schiena e le chiappe, dure e pelose. Il sapone sembrava non riuscire a liberarsi da tanta peluria.
Poi toccò a lui. Prese la spugna e la riempì di bagnoschiuma, esagerando.
Cominciò a strofinare la schiena ma subito, seguendo la linea della spina dorsale, scese sulle chiappe. - adesso piegati un pochino perché altrimenti non riesco- non capivo ma obbedii, la sua mano sinistra mi teneva la spalla mentre con l'altra scivolo' nel solco delle mie chiappe lisce.
Ero pieno di sapone, sentivo la mano scivolare su e giù, poi fermandosi, trovò il mio buco con l'indice e ne infilò la metà. Strinsi il culo e tentai di parlare, lui, stringendomi la spalla mi disse di stare tranquillo e che la pulizia interna, di tanto in tanto andava fatta. Così cominciò a fare dentro e fuori con il dito. Mi bruciava, forse il sapone, ma lui non se ne curava.
Come ha fatto poi a far entrare il cazzo in me, ancora me lo chiedo. Improvvisamente mi aveva infilato mezzo cazzo nel culo e sembrava intenzionato a non lasciarne l'altra metà di fuori. Le pareti del mio buco hanno ancora memoria della corona della cappella che, entrando, strusciava ogni millimetro del mio intestino, scaldandolo di brutto. Non diceva niente, le sue mai sembravano lavarmi la schiena mentre il suo bacino rimbalzava tra il muro ed il mio corpo affondando il cazzo ad ogni ondata sempre di più.
Il mio pisello semimoscio sputava una specie di bava scivolosa mentre quei colpi mi davano dei brividi alla pancia.
Gabriele era partito, sembrava grugnire e mi diceva parole strane , vacca, piccola troia, la mia puttanella... Pensavo stesse pensando ad una donna.
Marta bussò alla porta improvvisamente dicendoci che avremmo mangiato freddo. Gabriele si irrigidi' e riuscì a malapena a dire che avevamo fatto.
Nel dirlo aveva sfilato il cazzo dal mio culo rosso e nell'uscire aveva fatto un strano rumore. Aveva la cappella striata di cacca, senza aprire bocca mi guardò Severo e dandomi la spugna ed il sapone mi indicò il da farsi.
Con la spugna in mano cominciai a strofinare ma non veniva via facilmente perché si muoveva. Allora lo presi con la mano sinistra e con la destra lo strofinai.
Averlo in mano era una sensazione strana, duro e liscio nello stesso momento, sembrava respirare. Zio mi prese la mano e cominciò a fare su e giù, quando capi' che avevo capito mi lasciò fare. Lo segai lentamente facendo sparire ritmicamente, la cappella nel prepuzio. Non durò molto, improvvisamente si irrigidi' e la cappella divenne viola, poi schizzo'.
Sei o sette schizzi che mi colpirono ovunque. Mi carezzo' la testa poi come se si fosse svegliato da un sogno, riprese il controllo e, scherzando mi mise fretta costringendomi ad asciugarmi alla bene e meglio.
Usciti dal box finimmo di asciugarci e cominciammo a rivestirci. Mentre mi piega vo per infilarmi gli slip zio insinuo' un dito tra le chiappe cercando il buco che però si era richiuso. Mi guardò soddisfatto poi mi disse :- spero che questo inverno continuerai ad usare il tuo culo perché il prossimo anno, se tornerai te lo allarghero' talmente tanto che ti farò fare la cacca come le mucche, te lo prometto- poi si avvicinò e mi baciò la fronte, teneramente.
Avevo tutto un inverno per pensarci......





di
scritto il
2022-08-31
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