La vetta del piacere 2

Scritto da , il 2012-08-21, genere gay

(seguito)
“Ora è meglio se entriamo nel bivacco.”, mi dice Ivan, “Quando cala il sole, l’escursione termica è notevole a queste altitudini”. So già che non è il caso di fare obiezioni, lo seguo mentre raccatta i vestiti e lo zaino e si avvia a quella che sarà la nostra alcova alpestre. Il bivacco è una costruzione parte in muratura parte in metallo di pochi metri quadri; ha cinque cuccette, due su ciascuno dei lati, una sull’altra, e la quinta, più ampia, sul lato est, di fronte alla porta, con sopra una finestra a forma di oblò. Ivan accende la lampada elettrica e la appende al chiodo a fianco della porta, poi si sfila pantaloncini e slip senza togliersi gli scarponcini e li butta su una delle cuccette ai lati; si stira allargando le braccia sopra la testa. La luce della lampada produce un bell’effetto sui nostri corpi accaldati; chiedo a Ivan se posso scattargli qualche foto. “Fa pure, ma non aspettarti che mi metta in posa” mi risponde, mentre inizia ad armeggiare con lo zaino. Io prendo la mia macchina e cerco di scattare qualche foto al mio stambecco montatore. La fotografia è una passione che coltivo da due anni e devo dire che riesco a fare delle belle cosette con la mia Nikon. Immortalo Ivan genuflesso e di profilo mentre ha un braccio infilato nello zaino: maremma troia se sei bello, amore mio! Il colore ambrato del profilo del culo si perde a poco a poco nel bronzeo delle sue cosce poderose, del torso su cui ben dritto spunta il capezzolo durissimo, del ginocchio appoggiato a terra, del polpaccio che spunta, massa d’acciaio appena marezzata di peli, dallo scarponcino ancora allacciato. “Dai, facciamone una insieme. Metto l’autoscatto”, propongo al mio compagno, dopo che gli ho scattato alcune foto da far invidia a quelle dei calendari. “Chissà quando ci torneremo qui”. Ivan accetta: “Ok, allora dobbiamo rivestirci”. “No, sono foto nostre, mica da pubblicare”. Uso uno sgabello per appoggiare la macchina e ci mettiamo davanti alla cuccetta centrale: Ivan sta dietro di me e mi avvolge un braccio attorno alle spalle , io ho la testa girata verso di lui che sembra chinarsi sulle mie labbra a chiedere un bacio. Click e s’aprono le nostre bocche l’una sull’altra, le lingue scattano a cercarsi. Ci lasciamo cadere sulla cuccetta dietro di noi. “Oh, Luca, ora potrò goderti tutto” ,“Quanto e come vuoi, amore mio”. “Dai, togliti gli scarponcini, stendiamoci qui”. Ivan ora è sopra di me, mi stringe forte, avvolgendomi le braccia attorno alla schiena senza smettere di limonarmi. Le sue mani mi percorrono ovunque e le mie fanno lo stesso sul suo corpo, le nostre cosce irruvidite di peli si strusciano in un contatto che sembra voler sprigionare un incendio. Quando le bocche si staccano è per cercare nuove superficie di piacere su cui appoggiarsi ed è così che ci titilliamo i capezzoli a punta di lingua l’un l’altro, lecchiamo il torace e, infine, girandoci a 69, prima affondiamo le lingue nei rispettivi ombelichi poi schiudiamo le bocche reciprocamente alle cappelle di nuovo gonfie. Io ormai sono bravo a sbocchinare, ma Ivan a volte mi rallenta causandomi forti gemiti con la sua bocca che va giù di brutto lungo la mia asta tesissima: cazzo se mi pompa a dovere. All’improvviso Ivan si interrompe e mi chiama a sé, chiedendomi se ho ancora la cocacola che mi ha visto tirare fuori oggi dallo zaino. Penso che gli sia venuta sete, annuisco e vado a rovistare nello zaino; prima mi esce la bottiglia da un litro di gatorade, poi quella da mezzolitro di cocacola. Gliela porgo ma Ivan mi sussurra una cosa all’orecchio. Ho capito. Ciascuno si beve metà del contenuto della bottiglia, anzi non lo beve ma se lo gargarizza in bocca e poi giù, di nuovo fiondati l’uno sul cazzo dell’altro. “Mmmmm sìììì” vorrei mugolare, ma sto già ciucciando anch’io quando Ivan mi ubriaca il cazzo di bollicine. Che sballo: gli uccelli si lubrificano e scivolano in gola fino all’ugola, gorgogliano cantando il piacere di annegare in quel liquido gassato. Ma a Ivan non basta farmi andare il sangue alle tempie con questa mega pompa liquida, mi vuole proprio godere tutto, come ha annunciato. Sento improvvisamente due dita aprirmi il buco ed entrare di forza. Ohhh che goduta che mi vuole regalare. Ho come uno scatto di bacino, poi mi rilasso e apro ancora di più le cosce perché il mio uomo possa continuare per bene il suo scavo. Ma in tutta risposta faccio altrettanto con il suo culo, anche se fatico di più; quelle chiappe così sode si stringono attorno al buchino e sembra un passaggio ancora inviolato quello. Alla fine anche lui cede, sento che a poco a poco inizia a pomparmi le dita col culo mentre io non smetto di fare altrettanto di bocca sul suo arnese che è diventato un tronco d’abete. La foga è al massimo, schiumiamo e godiamo, rivoli di bollicine scendono dall’asta e ruscellano tra i coglioni e le cosce fino a bagnare i buchetti, finché un altro liquido, cremoso e rovente come i nostri corpi in amore, sparato a tutta pressione dai condotti dei cazzoni, ci esplode simultaneamente in gola l’uno all’altro; e allora iniziamo a trangugiare quel nettare tra l’asprigno della sborra e il dolce della cocacola, ingolliamo finché ce n’è, e ce n’è tanto, cazzo. Abbiamo goduto di nuovo e ci abbandoniamo sfiniti l’uno a fianco dell’altro. Fuori il vento di Fhon ha preso a soffiare dalle creste dei monti verso valle: accarezza l’erba dei prati, scompiglia le cime degli alberi, fa vibrare le pareti del nostro bivacco, ignaro del segreto vertice dei sensi che in esso s’è schiuso. Trascorre così forse mezzora senza che ci diciamo niente, con gli sguardi alla finestra che ci restituisce il buio del cielo puntinato di stelle. Infine Ivan si alza e si mette di fronte alla cuccetta: fottuta miseria ha di nuovo l’uccello in tiro. Al vederlo così a gambe larghe ben piantate al suolo con quel palo pronto a sfondare, mi ringalluzzisco anch’io: quante riserve di energia ci dà questa giornata di montagna? Il mio uomo resta in piedi, mi trascina verso di lui allargandomi le gambe sulle sue spalle. Mi si bagna ancora una volta il buco dall’eccitazione; Ivan si china leggermente e mi chiede “Mi vuoi ancora dentro?”. Gli faccio appena un cenno d’assenso ed ecco il suo cazzo arrivarmi al buco, aprirmi ormai senza difficoltà, affondare e uhmmmm sììììì, iniziare a chiavarmi lentamente, quasi con svogliatezza. Ma non è che Ivan non ce la faccia, lo so bene, è piuttosto che vuole carburare pian piano, far montare l’eccitazione lungo tutto il corpo di entrambi. Ed infatti, improvviso e violentissimo, mi carabina in culo un colpo dei suoi. “Ahhhhhhhhhh, stronzo, mi apri in due” mi scappa con una smorfia di dolore. I miei occhi si accendono di uno sguardo di sfida, la bocca lascia vedere i denti inchiodati, da belva messa all’angolo. Allora Ivan mi afferra i capelli alla nuca, mi tira indietro la testa facendomi male e mi dice: “Si, bello, fai la bagascietta ritrosa; ci vuole anche questo perché mi innamori ancor di più”. E puahhhh, via uno sputo che mi lava tutta la faccia. Ma Ivan è un mago nell’alternare la giusta durezza alla tenerezza più squisita: ora mi ricopre il viso di bacini mentre estrae pian piano l’uccello dal culo. Mi guarda fisso per qualche secondo e BANG, un altro affondo da urlo con cui mi prendo senza pietà tutti i suoi 26 cm fino alle palle. Quindi di nuovo lentamente sento il suo arnese scivolarmi fuori tutto per calibrare con la giusta pausa il successivo spacco. Questo gioco si ripete più e più volte, lasciandomi stordito. “Ahmm, cazzo sììì, spaccami a dovere”, “Picconami il culo, fottuto maschio” sono tra le cose che dico al mio uomo incitandolo ad entrarmi dentro sempre più duro. Mentre portiamo avanti questa impresa con l’impegno che solo i maschi convinti sanno mettere, ecco che sento squillare il cellulare. Ma porca troia, non dovevamo essere fuori campo? Allungo il braccio come posso a cercare i pantaloncini al fondo della cuccetta da dove viene lo squillo. Guardo: è lei. Puttana la miseria, solo le donne riescono a romperti i coglioni da valle quando sei oltre i duemila metri d’altezza. Che faccio? Ivan non ha nessuna intenzione di mollare il suo lavoro: sa che le cose vanno fatte bene fino in fondo e quando si prende un cazzo come il suo tutto il resto va mandato affanculo. Ma se non rispondo, quella è capace di spedire su gli elicotteri a cercarci. Mi decido a rispondere lasciando che Ivan continui a stantuffarmi con i suoi colpi olimpionici e correndo il rischio di condire di gemiti le mie parole al telefono. “Pronto, ciao cara, cosa c’è? Mhhaiii”, “Cosa c’è? Sono le nove, è buio e non siete rientrati. Che ti è successo?”. “Ma te l’avevo scritto… Azzo sììì, mmmm, piano… che se c’erano contrattempi ci saremmo fermati al bivacco”. “Sì, ma mi sono preoccupata lo stesso. Potevate essere caduti in un burrone. Ma che hai? Ti sento strano. State mangiando?”, “No, abbiamo cenato prima… Uhhh, urca questo è proprio forte mmmm…. Non siamo caduti, ma ho preso una storta, come te ieri… ohhh cazzoooo.... la guida ha detto che era meglio dormire al bivacco per non camminare nel buio e così abbiamo fatto… Ahhhmmm”, “Ma che hai? Stai ansimando?”, “Ma noo, figurati… uhhhffffff… è che qui sta soffiando il Fhon e allora fa quest’effetto di suono al telefono… ohhhmiiiiiiii”, una breve pausa, poi la sua voce incazzatissima “Ma vuoi prendermi per il culo? Porci, maiali. Approfittate d’essere da soli per guardarvi un porno. Fottiti.” E mi chiude il telefono in faccia. A volte le donne difettano proprio di cervello: immaginare che ci sia una presa elettrica e un lettore dvd con una riserva di filmini porno in un bivacco a quasi tremila metri può venire in mente solo a loro. Vabè, pace, buon per me se non capisce che qui si gode alla maschia. Ivan ha ascoltato divertito la nostra conversazione e quasi per dispetto quel gran bastardo mi martellava più forte mentre parlavo con lei. Ora invece ha preso a incularmi a tutto spiano, non più colpi pausati, ma mitragliate ben assestate nel mio buco bollente. “Ohhhmmssssìììì, fammi tuo, riempimi” mi lascio finalmente andare. Anche il mio uomo ansima, sento che sta per godere esplodendomi dentro. Gronda sudore ed è bellissimo vedere i suoi bicipiti bagnati che mi tengono ben salde le cosce per piantarmelo dentro finche ce n’è. “Sììì, Luca, sei un amore di bugiardo. Ohhh cazzoo mi fai venire, vengoooo”. Un calore liquido mi investe l’ano, lo sento salire, mi fa rovesciare indietro gli occhi; istintivamente mi metto una mano alla bocca e me la mordo tanto godo del suo godimento. Ivan mi ha spaccato e poi farcito del suo sperma. Io lo guardo pieno di gratitudine per il dono della sua virilità dentro di me, anche se io non sono riuscito a venire. Anch’egli mi guarda tutto accaldato e col fiatone. “Ora ci vuole un po’ di gatorade per tutti i sali minerali che abbiamo perso in questa scopata”, mi dice sorridendo. “Certo” e mi alzo a prendere la bottiglia che avevo estratto prima. Ivan beve due sorsate poi mi ripassa la bottiglia. Ne bevo anch’io, perché ci vuole un po’ di liquido a ridare frescura a questo bel fisichino così provato dalla sua cavalcata. Sto per posare la bottiglia quando Ivan mi fa cenno con il dito di avvicinarmi. Vuole bisbigliarmi una cosa all’orecchio. Che sagoma d’uomo il mio uomo! Bello da far paura, forte come una roccia, caldo come una fornace, eppure pudico tanto che le idee più porche, anche se non c’è nessuno ad ascoltarci, vuole dirmele piano piano all’orecchio, come fanno i bimbi complici che stanno per combinare qualche marachella. Ho capito quel che devo fare. Lui si mette sdraiato sollevando le gambe fino a far toccare le ginocchia al petto e tenendo le mani sui glutei. Mi accovaccio ai piedi della cuccetta e gli pianto il collo della bottiglia del gatorade su nel buco. Sapete come sono fatte queste bottiglie, coi tappi che per aprirle si tirano verso l’alto. Così appena il culo del mio Ivan si è avvolto attorno al tappo, tiro un po’ indietro la bottiglia facendola aprire; quindi premo dal fondo perché tutta la bibita che è rimasta scenda a riempirlo. Ivan tiene le mani ben puntate ad evitare che il gatorade coli fuori. Svuotata la bottiglia, piano piano la estraggo mentre quel gran maestro di godute si tiene il buco chiuso quasi ermeticamente. A questo punto mi sdraio ai piedi della cuccetta col viso sulla verticale del suo culo e attendo ad occhi spalancati. Contemplo quelle chiappe sode e lisce come le pareti di roccia della cascata in cui ci siamo docciati oggi, agogno a quell’incavo che si apre tra i glutei poderosi, so che presto avrò la mia cascata personalissima. E infatti, appena Ivan rilascia un po’ la pressione delle mani, scrosscccc mi arriva un getto di gatorade a lavarmi i capelli gli occhi la faccia, mentre io boccheggio godendo come un matto: il liquido zampilla giù dal suo culo e mi inonda tutto. Ohhh che frescura, minchia come mi fa rizzare il cazzo questo bagno. Esaurita la cascata, vedo il buchetto di Ivan pulsare di desiderio. Mi rialzo e gli chiedo se vuole mettersi a pecora. Ivan non se lo fa ripetere; non è di quelli che si sclerotizzano in un ruolo, appaga di cazzo e di culo lui. Appoggio le mani alla sua schiena e con un movimento di bacino cerco di far entrare il mio piolo in quell’antro di Alì Babà. Fa resistenza il buco di Ivan, è stretto, incassato com’è tra quelle chiappe da urlo, ma il mio piolo è ormai duro come un chiodo e alla fine la vince. “Ahrggg, bravo Luca, mi sei dentro. Fotti duro”, è l’incoraggiamento che mi dà il mio uomo. Ed io prendo la rincorsa, spingo di brutto, Ivan è costretto ad appoggiarsi con le braccia contro la parete della cuccetta per non dare testate nel muro. Me lo sto inculando con foga, gli restituisco tutte le chiavate che mi ha fatto provare e sento che gode del mio nerbo durissimo che lo impala. “Cazzo come sei stretto. Senti qua come mi stringe l’uccello il tuo buco”, gli dico per farlo partecipe del mio sforzo; “Sìì, ma ti piace se è stretto”. “Cazzo se mi piace, mi fai godere da favola.” Inchiappettarsi un maschio così è da guinnes. Vedo il sudore che gli rivola sulla schiena, esalta i suoi muscoli tesi fino allo spasimo nell’impegno di darmi piacere. Senza uscire dal suo buco me lo cappotto sulla cuccetta e lo prendo di fianco, alzando col braccio la sua gamba. Siamo appoggiati sul fianco sinistro e così io mi posso baciare il suo tatuaggio sulla spalla destra mentre continuo a incularlo senza sosta. Ora sì che geme come uno stallone infoiato: “Ohii, ahiii, mi sei dentro, sììì, mmmm, mi fai godere”. Sono all’apice, gli dico “Vorrei darti la mia sborra”; “Devi. Svuotati dentro di me, amore”. Ed io non mi tengo più, vado a raffica, anzi è il cazzo che va per conto suo, martella ch’è un piacere gonfio di umori, finché esplode, schizza fiotti ch’è un bordello e Ivan li assorbe tutti sparando a sua volta un’ estrema sborrata dalle sue viscere. “0hhhhsììììììì godoooo, sei mioooooo”, “Tuo, tuo, fino alla fine” il rapido scambio di battute mentre i nostri corpi danno il meglio di sé, prima di rilassarsi stremati dalla fatica della scalata al vertice del piacere. A quali altitudini siamo arrivati? Quale vetta abbiamo toccato? Faccio per staccarmi da lui, ma Ivan mi ferma: “No, non uscire da me. Lascia che sia il sonno a separarci. Abbracciami”. Come non sciogliersi di fronte alla sua tenerezza virile? Gli avvolgo le braccia intorno alle spalle fradice di sudore restando col cazzo altrettanto fradicio dentro il suo culo sovrano. Lo bacio ancora, poi volgo lo sguardo all’oblò. Questo l’ultimo ricordo prima che il sonno coroni di pace questi due uomini spaccaculi innamorati: il vento è cessato; la luna agostana naviga il cielo; in lontananza, sulle creste, l’ululato lungo di un lupo uscito dal branco che scioglie in lamento la sua ansia d’amore.

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