Memorie di una segretaria
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MEMORIE DI UNA SEGRETARIA
Entrai quel pomeriggio nella sede della famosa Società di moda e quando mi annunciai alla reception venni accolta con un certo riguardo e fui accompagnata in una piccola sala d’attesa dove mi fecero sedere. Ero partita presto di casa per non avere ritardi, ma una volta arrivata decisi di attendere in macchina. Mi dissi che dovevo dare l’impressione della puntualità, così quando mi sedetti ad attendere mancavano solo alcuni minuti.
Mi ero preparata attentamente all’intervista. Era l’occasione della vita e non volevo perderla, anche se sapevo di avere molta concorrenza. D’altra parte sapevo di avere tutte le carte in regola e tutti i requisiti necessari, compresa la bella presenza, un requisito cui si era dato molto rilievo nell’annuncio. Ero comunque stata convocata per l’intervista e questo doveva voler dire che ero tra le prescelte. Mi sentivo un po’ nervosa, ma ero sicura di me, come sempre nelle occasioni importanti.
D’un tratto la porta si aprì e sull’uscio apparve un uomo alto e piuttosto corpulento, vestito con un impeccabile doppio petto grigio.
L’uomo, che aveva tutta l’aria di essere il Direttore, mi disse di accomodarmi e mi indicò una bella sedia in pelle. Poi, senza preamboli, prese il mio CV dal tavolo e lesse in fretta il mio nome, Gaia Venturini, 25 anni, orfana, collegio in Svizzera, conoscenza parlata e scritta di quattro lingue oltre all’italiano, Laurea in Scienze della Comunicazione con 110 e Lode, diploma in tecnica dell’informatica, sposata senza figli. Si rallegrò e mi disse che avevo un bel CV.
A quel punto il Direttore mi fece un bel discorso per dirmi che dall’inserimento di questo nuovo elemento la Società riponeva molte aspettative, aggiunse che avevano ricevuto un’infinità di richieste e che io ero una delle cinque prescelte. Fece presente che la cernita di tutti i CV arrivati era stata fatta in forma molto accurata, in collaborazione con una ditta di consulenza. Poi mi fece un rapido quadro della Società, diede molto peso al fatto che in poco tempo era riuscita a raggiungere una posizione di assoluta elite nel settore della moda. Spiegò che la segretaria avrebbe svolto un ruolo molto dinamico nell’ambito della Società ed avrebbe fatto parte di diversi gruppi di lavoro. Alla fine, pesando le parole, aggiunse che la Società aveva previsto per questo nuovo inserimento benefici economici di grande rilievo e uno stipendio a cinque zeri. Così dicendo mi mise un foglio davanti agli occhi sul quale con un dito mi fece leggere la cifra. Rimasi di stucco. Mi spiegò che la filosofia della Società era di consentire ai dipendenti la massima agiatezza. Vestire elegantemente, vivere nell’agiatezza, si rifletteva nell’immagine dell’Azienda, aggiunse con enfasi.
Finito di parlare si accomodò meglio sulla poltrona e volle che gli raccontassi di me.
Io mi ero preparata bene la lezione. Raccontai di essere divenuta orfana da bambina, che avevo perso i genitori in un incidente d’auto, che i nonni avevano deciso allora di affidarmi a un collegio a Zurigo, in Svizzera, dove avevo fatto tutti i miei studi. Spiegai che l’idea dei nonni era quella di inserirmi al più presto nella loro grande azienda vinicola, e che dopo la laurea conseguita all’Università a Ginevra, mi avevano presa subito con loro affidandomi i contatti con la clientela. Presto però io avevo conosciuto l’uomo con cui mi sarei sposata e mi ero quindi trasferita da lui. Di lí avevo comunque proseguito ad occuparmi dell’azienda familiare, ma poi mi ero resa conto di non avere alcun interesse per quel tipo di attività. Cosí, quando avevo letto l’annuncio, mi ero subito decisa di rispondere. Poi dissi che avevo sempre provato interesse per la moda, anche se la vita un po’ isolata che avevo fatto non mi aveva dato tante occasioni per dedicarmici. A quel punto io lo guardai dritto negli occhi e gli feci un bel sorriso che penso gli piacque.
Il Direttore rimase un attimo in silenzio, poi mi disse che voleva essere franco con me e che erano state sollevate perplessità sulla mia attitudine a quel posto, data l’educazione speciale che avevo ricevuto e alla mia situazione familiare. Il lavoro che mi si prospettava richiedeva infatti un grande impegno, orari irregolari, viaggi, a volte anche di lunga durata. Tutto questo poi in un ambiente, quello della moda, che poteva essere molto spregiudicato e a volte perfino disinibito. Ce l’avrei fatta io, che finora avevo fatto una vita tranquilla, che ero sposata e che presto o tardi avrei potuto divenire madre?
Io quella domanda me l’aspettavo, ma sapevo subito cosa rispondere perchè era proprio lí che i miei problemi erano cominciati. Prima la vita di sacrificio in collegio, poi per fortuna l’Università, che mi aveva aperto un po’ gli occhi, ma poi quella vita in campagna con la ditta dei nonni, che mi era stata subito un po’ stretta. Era per questo, in fondo, che avevo deciso di sposarmi, tra l’altro con un uomo decisamente più anziano di me, per uscire dal guscio nel quale i nonni loro malgrado mi avevano rinchiuso. Tutto questo dissi al Direttore, al quale dissi anche che di questo avevo parlato lungamente con mio marito. Lui aveva il suo ristorante a cui pensare ed era più lí che a casa. Avere figli in quelle condizioni non appariva logico a nessuno dei due.
Il Direttore aveva seguito il mio discorso con molta attenzione e mentre parlavo mi era sembrato di leggere approvazione sul suo volto. Pareva soddisfatto quando alla fine mi disse sorridendo che a quel punto restava una sola cosa che lui voleva io facessi. Mi spiegò che l’intervista prevedeva la prova di due capi d’abbigliamento di loro produzione, che io avrei dovuto fare. Mi indicò una porta dicendomi che li dietro, in quel camerino, avrei trovato appesi alla parete gli abiti da indossare. Io avrei dovuto scegliere la mia taglia, il colore che preferivo, dovevo indossarlo e tornare da lui. Aggiunse che avrei trovato anche delle scarpe in una scatola e che avrei potuto scegliere quelle che trovavo più adatte.
Io rimasi un po’ sorpresa, ma poi mi resi conto che non era strano che una Società che produce moda mi volesse fare indossare un abito. Così andai nel camerino, dove c’era una parete tutta ricoperta di specchi. Trovai i due abiti, ambedue da sera, nelle diverse taglie. Ne presi uno di color rosso scarlatto e scelsi la mia taglia. Mi piacque perché quel colore si adattava perfettamente a quello della mia pelle e al nero della mia folta capigliatura. Lo indossai davanti allo specchio e rimasi un attimo senza fiato quando vidi la scollatura che arrivava quasi fino all’ombelico. Mi resi subito conto che dovevo togliermi il reggiseno. Quando lo feci mi venne da ridere, perché le mie tette, che generalmente attirano lo sguardo degli uomini, con quella stretta guaina, retta da due leggere spalline, sarebbero straripate solo con uno starnuto. Mi dissi che dovevo camminare molto dritta per non diventare indecente.
Scelsi le scarpe, le indossai e uscii lentamente. Avevo visto sfilare modelle e avrei saputo imitarle. Avanzai lentamente, a passi cadenzati, tenendomi ben dritta, con lo sguardo estraneo. Giunta davanti al Direttore lui mi guardò con aria ammirata. Mi fece cenno che andava bene e io mi girai per tornare indietro. Senonché i tacchi a spillo e la moquette mi fecero perdere l’equilibrio e io sarei caduta se il Direttore non si fosse affrettato ad alzarsi e sorreggermi prontamente. A quel punto, però, mentre io cadevo la stoffa cedette e le tette fecero capolino. Io riuscii comunque a riprendere subito l’equilibrio e un po’ imbarazzata, riassettando la scollatura tornai nel camerino.
Stranamente non mi sentii molto imbarazzata quando rimasi sola. Mi dissi che il Direttore nel suo lavoro di tette ne doveva aver viste a bizzeffe. E poi, malgrado la vita un po’ da eremita degli ultimi anni, mi sentivo ancora dentro l’istinto provocatorio che si era formato in me fin dall’adolescenza.
Mi spogliai e mi accorsi che la cosa mi eccitava. Mi guardai ancora nello specchio, poi presi l’altro abito e lo sollevai con le due mani. Rimasi subito sconcertata, perché se anche qui il reggiseno non aveva senso, quel minuscolo abito era piuttosto scosciato e mi sarebbe arrivato solo poco sotto il sedere. Ma era soprattutto quel suo colore grigio scuro e l’esiguità del tessuto, che per di più era trasparente, che mi mise addosso un po’ di apprensione. Le mutandine che portavo in quel momento erano assolutamente inadatte. Mi guardai in giro. Su un ripiano vidi un paio di scatoloni, li aprii e trovai subito quello che cercavo. C’erano diversi tanga e io ne provai alcuni e finii per scegliere quello meno audace. Feci tutto questo guardandomi allo specchio. Mi divertii un attimo a posare in modo provocante, senza sapere che qualcuno in quel momento mi stava osservando sullo schermo di un PC. Lo seppi solo più tardi. Mi venne da ridere, perché mi trovavo buffa, anche se ero molto sexy con la tenue striscia di stoffa che mi entrava tra le natiche e il sedere completamente scoperto. Indossai l’abitino e mi sentii piuttosto nuda quando aprii la porta per fare ingresso nell’ufficio del Direttore. Provai a ripetere i passi che avevo fatto prima con lo sguardo fisso davanti a me. Quando mi fermai davanti al Direttore lo vidi ancora soddisfatto. Questa volta ce la feci a voltarmi senza problemi e dopo un cenno del Direttore me ne andai di nuovo nel camerino. Lí tirai finalmente un sospiro di sollievo. Mi sembrava di aver fatto una buona esibizione, malgrado il piccolo incidente, che però doveva essere stato apprezzato. Rientrai dopo un attimo nell’ufficio e tornai a sedermi di fronte al Direttore.
Lui mi accolse con un gran sorriso. Mi disse che avevo superato quella prova in modo egregio e che aveva molto apprezzato il mio ottimo senso d’iniziativa Nessuno mi aveva detto di togliermi il reggiseno e neppure di cambiarmi gli indumenti intimi. Così mi disse. Mi fece molti complimenti anche perché avevo mostrato fantasia e molto coraggio. Ora potevo rivestirmi.
Andai via di lì più che soddisfatta. Mi sembrava tutto considerato di aver fatto una buona figura e di aver fatto colpo sul Direttore. Gli avevo perfino fatto vedere le tette. Speravo solo che non avesse pensato che l’avevo fatto apposta quando gli ero cascata tra le braccia. E poi a pensarci bene, mi sembrava che quel lavoro mi calzasse a pennello. Certo, avrei avuto problemi con Mario, il mio amato marito. Mi rendevo conto però che con lui, dopo poco più di un anno, ero a un vicolo cieco. E lui lo sapeva. Prima o dopo bisognava parlarne.
Il 1 giugno ero seduta alla mia nuova scrivania. Ero appena stata dal Direttore, che mi aveva accolta quella mattina e mi aveva dato il benvenuto. La mail mi era arrivata già il giorno dopo dell’intervista. Mi dovevo trovare quel giorno alle 8 del mattino presso l’ufficio del Direttore per la firma del contratto e per le altre formalità.
Quel giorno io mi ero portata con me alcune cose per personalizzare il mio nuovo ufficio. Avevo però solo tempo una mezz’ora perché il Direttore mi aveva detto di presentarmi subito dalla signora Schott, responsabile del settore PR. Lei mi avrebbe relazionata in dettaglio sull’attività dell’azienda, sull’organizzazione, i vari sistemi operativi e quant’altro era necessario che io sapessi per inserirmi nella società in modo ottimale.
Trovai quasi subito la porta, non lontano dalla mia. Nicole Schott, c’era scritto su un piccolo cartellino sulla destra della porta. Responsabile PR, si leggeva sotto al nome. Bussai e subito una voce mi disse di entrare. Mi trovai allora in uno splendido ufficio, che era arredato in modo molto raffinato. C’era molta luce che proveniva da una finestra panoramica su un lato della camera. Su un altro lato si scorgeva un gruppo di divano e poltrone di ultimissima generazione, un grande tappeto e tavolino su cui erano sistemate alcune riviste di moda. Nicole Schott si alzò e mi venne incontro tendendomi la mano. Quando gliela strinsi sentii una mano forte e decisa- Mi fece sedere al tavolo e poi mi guardò con un sorriso malizioso che al momento non realizzai.
Mi disse che ci dovevamo dare del tu, poi mi chiese se volevo un caffè, e un attimo dopo c’erano due tazzine sul tavolo. Mi diede subito l’impressione di essere una donna efficiente. Ci guardammo un attimo. Lei era una bella donna tra i 40 e i 50, alta e asciutta ma ben fatta, i capelli biondicci tagliati corti. Aveva dei bellissimi grandi occhi vivaci di un bel colore azzurro, che risaltavano sul suo bel volto minuto. Era vestita semplicemente ma in modo elegante, con un’ampia blusa sbottonata sul davanti sotto la quale si intravedevano due piccole tette appena pronunciate. Non aveva reggiseno. Portava poi una gonna ampia, retta da una sottile cintura alla vita che dava risalto al suo bel corpo.
Mi spiegò che era francese, di Lyon, ma preferiva parlare l’italiano. In effetti lo parlava molto bene. Si sentiva solo quell’inflessione tipica dei francesi, che le dava un certo fascino. Poi mi disse che il Direttore le aveva parlato molto di me e che si aspettava molto dalla nostra collaborazione. Avremmo quindi avuto molto da fare insieme. Quando me lo disse aveva ancora quell’aria un po’ strana che avevo avvertito prima. Poi, sporgendosi verso di me, aveva aggiunto, quasi sottovoce: “Sai, mi ha detto che eri una bella donna, ma così bella non me lo aspettavo”. Poi mi aveva sorriso in un modo che la fece molto seducente. Allora in un attimo tornai di molti anni indietro ai tempi dell’adolescenza in collegio. Allora ero ancora giovane e piena di curiosità per il sesso. Un giorno ero rimasta sola con un’altra ragazza un po' più grande di me. Lei prese subito l’iniziativa e mi baciò e poi cominciò a toccarmi da tutte le parti. Io la lasciavo fare un po’ eccitata, e le lasciai prendere la mia mano quando volle che anche io la toccassi. A me però piaceva di più quando era lei a toccarmi. Ìo da qualche tempo avevo cominciato a masturbarmi e quella volta, quando fu lei a farlo con me, mi piacque talmente che ebbi subito un orgasmo. Da allora ci vedevamo spesso da sole e facevamo i nostri giochi, ma era quasi sempre lei a soddisfare me. Certo anche a me piaceva guardarla quando godeva, ma non come piaceva a lei vedermi, quando chiudevo gli occhi e gemevo e tremavo tutta. Erano i suoi occhi che riconobbi in quelli di Nicole e in quel momento fui presa da una voglia matta di fare con lei gli stessi giochi di una volta, ripetuti da allora solo una volta in una breve avventura ai tempi dell’università.
Nicole aveva preparato una cartella e improvvisamente prese un tono serio e deciso e cominciò a spiegarmi tutto sulla Società, come era composta, cosa produceva, qual era il fatturato, come era organizzata, quali erano i reparti e chi erano i responsabili di ciascun reparto. Mi parlò dei nuovi gruppi di lavoro e di quali avrei fatto parte anch’io. Io la guardavo mentre lei parlava ed ero stupita che lei sapesse essere due persone così diverse, da una parte quella sorridente, provocante di prima, ed ora invece quella professionalità, quella presentazione così accurata.
Eravamo ambedue stanche quando Nicole ebbe finito di parlare. Fu allora che stiracchiandosi lei mi propose di andare a casa sua, farci una mangiatina e continuare a parlare, per conoscerci meglio, come disse lei ammiccando. Io avevo fame e tutta la voglia del mondo di conoscerla meglio. Ci alzammo tutte e due e uscimmo dall’ufficio. Decidemmo di andare con la mia macchina. Lei abitava piuttosto vicino e l’indomani sarebbe venuta in ufficio a piedi.
In un attimo arrivammo in una zona signorile piena di verde con graziose palazzine a pochi piani. Entrammo in casa. Era un appartamento elegante, dove Nicole aveva messo tutto il suo gusto, che era decisamente squisito. Tutto era stato scelto con attenzione e tutto era armonioso, nelle forme, nei colori. C’era poi in giro una quantità di oggetti, tutti scelti con cura, alcuni esotici, comprati chissà dove.
Chiesi di andare in bagno e quando fui lí rimasi incantata dalla cabina della doccia e che era una di quelle di ultima generazione. Mi venne un’improvvisa voglia di farmi una doccia e lo chiesi subito a Nicole. Un attimo dopo mi ero spogliata e me ne stavo inerte, a occhi chiusi, nella cabina a sentire gli spruzzi caldi dell’acqua che mi colpivano il corpo. Mi dissi che mi sarebbe piaciuto se Nicole mi avesse visto così. Quando uscii dalla doccia Nicole era lì ad aspettarmi con un grande asciugamano. Io le andai incontro e un istante dopo ci baciavamo come furie. Lei mi strinse a sè con l’asciugamano mentre con le mani mi percorreva tutto il corpo. Mentre mi stringeva si avvicinò ad un orecchio e mi disse che mi aveva già vista nuda, davanti allo specchio, quando mi ero spogliata nel camerino a fianco dell’ufficio del Direttore. Allora capii. Mi disse che da allora non aveva sognato altro che di potermi toccare. Poi d’un tratto si staccò da me e disse che ora era il momento di mangiare. Poi avremmo giocato.
A tavola io mi ero messa solo un accappatoio. L’avevo lasciato aperto perché mi stuzzicava vedere gli occhi di Nicole attaccati alle mie tette. Mangiammo e bevemmo un buon vinello bianco. Tutt’e due volevamo la stessa cosa, ma allo stesso tempo godevamo dell’attesa. Ad un tratto Nicole, sempre con quel suo sorriso seducente, mi chiese se io facevo sempre la porcellona davanti allo specchio. Io mi schernii arrossendo e le spiegai che quando ero davanti a uno specchio io mi divertivo a mettermi in pose diverse. Non sapevo perché, ma mi eccitava farlo. Mi spiegò che lo specchio del camerino era collegato al suo PC e a quello del Direttore, per vedere quando era necessario, e vedere me era stato bellissimo.
Fu Nicole che, dopo aver bevuto un ultimo sorso dal suo bicchiere, si alzò e prendendomi per mano mi trascinò nella sua camera.
In un attimo eravamo ambedue sul suo letto. Io ero tutta eccitata e volevo subito che Nicole mi prendesse. Così aprii le cosce e la attirai a me. Lei era ora trasformata. Come una furia si gettò su di me. Mi infilò con forza la sua lingua in bocca. Era una lingua lunga e sottile, ma forte, che si insinuava nella mia bocca, per poi uscirne e gettarsi sulle mie tette, prima l’una e poi l’altra. Con le labbra me le succhiava, per poi titillarle con quella sua lingua lunga da ramarro. Io gemevo per il piacere e mi premevo contro il suo corpo. Volevo ora solo la sua lingua tra le cosce, dentro di me, sul mio clitoride. Quando finalmente venne con il suo volto tra le mie gambe ricordo che io quasi urlai. Ma lei si era ora messa a cavalcioni su di me, così che io avevo il suo pube dorato davanti agli occhi. Io allora la strinsi a me e la leccai con frenesia. Era passato tanto tempo da quando, quasi con vergogna, l’avevo fatto con l’amichetta del collegio. Ora invece mi sentivo libera e davo sfogo a tutto il mio desiderio. Non so quanto durò questo amplesso, ma alla fine eravamo esauste tutt’e due.
Rimanemmo per un po’ ferme accanto l’una all’altra, poi Nicole cominciò lentamente a masturbarsi. Io la guardai sorpresa, provai a baciarla ma lei mi con la mano mi respinse. Così continuai a guardarla mentre lei con quelle sue lunghe dita continuava a toccarsi. Poi, d’un tratto vidi che s’inarcava gemendo, poi ebbe un sussulto e si riversò nel letto. Io rimasi a guardarla, poi non potei fare a meno di domandarle perché mi aveva respinto. Lei mi rispose tranquilla che era perchè io non ero lesbica. Mi disse che lo aveva avvertito subito, fin da quando ci eravamo baciate. Sostenne che io stavo con lei solo perché lei mi faceva godere e che io per lei non provavo niente. Ma aggiunse che non dovevo preoccuparmi perché lei mi adorava perché ero così bella, e che poi adorava il mio corpo e da quando mi aveva vista nuda non faceva altro che pensare a me. Io non seppi cosa risponderle. Forse era vero. Io mi ero abituata in collegio a ricevere le carezze e forse non ero lesbica, forse neanche quando lo feci in seguito. Però con lei avevo goduto un sacco e avrei continuato a vederla, se lei voleva.
Si era intanto fatto un po’ tardi, le diedi un bacio su una guancia, mi rivestii e me ne andai.
Dopo quella sera continuammo ogni tanto a vederci a casa sua dopo il lavoro e ogni volta io provavo la stessa eccitazione prima di abbandonarmi sul letto con lei. Si stabilì presto una specie di alleanza tra noi, ma dovemmo subito metterci d’accordo che in quella nostra relazione il sesso e il lavoro dovevano restare del tutto separati tra loro.
Una sera mi chiese improvvisamente di Mario, mio marito e del perché mi fossi sposata. E allora le raccontai tutto di me, del mio appetito sessuale fin dall’adolescenza, delle mie esperienze lesbiche con le compagne di scuola, e poi di quella prima volta che feci sesso con un uomo. Le raccontai così che ero in vacanza con i nonni, ad Alassio, alla fine del penultimo anno di collegio. Il mio corpo si era allungato e le mie tette erano già ben formate, tanto che la nonna mi aveva comprato il reggiseno. Se prima, già a quattordici anni avevo sempre gli occhi degli uomini addosso, ora che avevo anche le tette e un bel culetto, mi sentivo a volte imbarazzata dovunque andassi. Imparai però presto a sfruttare le mie grazie e ad essere provocante, anche se non potevo farlo quando ero in compagnia dei nonni. Ad Alassio non ero mai stata e non avevo perciò amicizie, così mi annoiavo un poco. Poi un giorno allo stabilimento era comparso un ragazzo, che faceva il bagnino e serviva anche al bar. Era spagnolo e aveva un bel corpo lungo e abbronzato. Aveva soprattutto un viso simpatico. Mi piacque subito e siccome io lo spagnolo già lo parlavo bene, cominciai a parlargli un poco quando ero al bar a bere una cola o a comprare il gelato. Avevo imparato che l’ora migliore per parlargli era dopo pranzo, quando tutti avevano lasciato la spiaggia per andare a casa a mangiare. Noi andavamo generalmente tardi in spiaggia e facevamo solo uno spuntino lì nello stabilimento oppure ci portavamo da casa un panino. A me piaceva tanto quel momento, nel primo pomeriggio, il silenzio sulla spiaggia, il rumore delle onde, la quiete sotto l’ombrellone. Siccome quello era il momento in cui i nonni facevano il pisolino, io ne approfittavo per andare su al bar. Lui era lì a raddrizzare i tavoli, raccogliere i piatti e i bicchieri dal lavastoviglie assieme alla padrona. Io mi facevo dare il gelato e andavo poi a sedermi nello spiazzo davanti al bar e lo guardavo di nascosto. A quei tempi mia nonna mi aveva comprato dei costumi da bagno interi. Niente bikini, mi aveva detto. Così dopo il bagno io, fatta la doccia, mi mettevo spesso addosso solo l’accappatoio, senza niente sotto. Mi piaceva sentirmi nuda. Mi sentivo spavalda. Un giorno che come al solito andai al bar, lo trovai solo. Lui mi sorrise, mi diede il gelato e continuò con il suo lavoro mentre io andai a sedermi. A quel punto il mio istinto di zoccola fu quello di appoggiare un piede su un’altra sedia in modo da mettere in vista le cosce. Seduta com’ero l’accappatoio mi si era aperto un po’ sul davanti e le mie belle tette si intravedevano sotto la stoffa. Poi cominciai a leccare il gelato lentamente, con la lingua bene in mostra. L’avevo visto fare in un film e sapevo che la scena faceva molto effetto. Finito di mangiare il gelato poi mi alzai e feci per andarmene. Passando davanti a lui, gli feci un bel sorriso e mi diressi verso la mia cabina. Speravo che mi seguisse e con la coda dell’occhio vidi che mi stava guardando. Entrai in cabina e chiusi la porta. Un attimo dopo la porta si riaprì e lui entrò chiudendo rapidamente il catenaccio. Ci baciammo come forsennati e le sue mani corsero subito sul mio corpo sotto l’accappatoio. Ricordo ancora la sensazione che provai quando me lo sentii addosso. Sentii le sue mani percorrermi la schiena, e poi mi afferrò di dietro. Io in quel momento ero pronta a tutto, proprio a tutto. Mentre lo baciavo, io mi stringevo, mi strofinavo come un’ossessa. Sentii subito il gonfiore sotto i suoi shorts. Fu allora che lui se li sfilò, mi prese la mano e se la mise lì, sul suo uccello. Io ero mezzo inebetita, con quel coso in mano che avevo tanto sognato. Lo sentivo morbido e duro allo stesso tempo. Io mi inginocchiai per vederlo più da vicino e lui allora con la mano mi accompagnò su di lui. Io automaticamente aprii le labbra e lo accolsi in bocca. Lo sentii caldo, palpitante, ne sentii il sapore. Rimasi ferma, esitante, così lui con le mani mi costrinse a muovermi, avanti e indietro. Avevo capito. Glielo presi con tutte e due le mani e con le labbra ben strette cominciai a fargli quel pompino che avevo visto fare nei pochi film porno visti di nascosto. Lui cominciò presto a gemere e poco dopo ebbe un sussulto e poi con un ultimo gemito soffocato si spinse su di me e in bocca mi arrivò un getto di sperma. Io aprii la bocca così parte dello sperma mi andò sul viso e sulle tette. Lui si riassettò subito, prese un asciugamano e mi asciugò in fretta. Poi mi sorrise e mi chiese se era la prima volta che lo facevo. Gli risposi di si. Mi disse allora che ero stata molto brava, ma che ora aveva fretta e doveva andarsene. Poi, sulla porta, prima di uscire, mi bisbigliò che il giorno dopo sarebbe stato solo e se andavo da lui alla stessa ora potevamo divertirci ancora.
Nicole mi ascoltava attentamente in silenzio. Sembrava interessata, così io continuai.
Io quella notte non riuscivo a dormire. Non facevo che pensare a quello che era successo in cabina. E domani l’avrei rivisto. Cosa avremmo fatto? Mi correvano in testa un sacco di pensieri e la testa mi girava. Dovetti masturbarmi a lungo per calmarmi un po’.
Il giorno dopo in spiaggia ero tutta nervosa. Tanto che la nonna mi chiese preoccupata se non stavo bene. Per tranquillizzarla le dissi che avevo le mestruazioni. Stetti a lungo in acqua quella mattina e poi mi stesi al sole. Sentivo che mi faceva bene. Il tempo correva e io non stavo nella pelle. Mi sentivo sconvolta dall’emozione e quando fu il momento di andare mi ero preparata a lungo in cabina. Come il giorno prima avevo solo l’accappatoio su di me, ma mi ero messa addosso della crema perché volevo che il mio corpo fosse profumato. Quando andai da lui mi tremavano le gambe. Poi lo vidi e lui mi sorrise e io mi sentii subito meglio. Appoggiato con i gomiti al bancone mi guardava sorridendo. Mi chiese se volevo qualcosa da bere. Presi una cola e la bevvi tutta d’un fiato. Lui poi tranquillo mi fece cenno di seguirlo. Andammo sul retro dello stabilimento. Aprì una porta ed entrammo in un grosso ripostiglio dove c’era un po’ di tutto. A terra vidi che lui aveva già preparato un materassino di gommapiuma su un tappeto di stracci e un cuscino. Mi disse di stendermi lí e io con il cuore che galoppava lo feci seguendolo con gli occhi. Lui si inginocchiò su di me e cominciò a leccarmi le tette, piano piano, prima l’una poi l’altra, mi prese i capezzoli tra le labbra e me li succhiò lungamente. Poi mi mise una mano tra le gambe e mentre mi baciava cominciò a frugare dentro di me. Io ero già fradicia. Lui continuò per un po' senza fretta. Poi mi disse di voltarmi e di mettermi in ginocchio. Poi si inginocchiò dietro di me e spinse la mia schiena in avanti. Io mi trovai adesso a quattro zampe, e aspettavo senza fiato. Ad un tratto sentii la sua pressione su di me ed un istante dopo mi aveva sfondato. Non attese che prendessi coscienza di cosa mi stava facendo ma iniziò subito a sbattermi con forza. Sulle prime io sentii un po' di dolore, ma fui subito sommersa da un’ondata di piacere che mi pervase per tutto il corpo. Continuò così per un po' poi improvvisamente mi disse di alzarmi. Fu lui allora a stendersi sul materassino e mi attirò a sé. Ora lo avevo sotto di me. Era così bello sentirmi riempita da lui in quella posizione. Stetti un attimo ferma, poi cominciai, su e giù, ero io ora a dare il ritmo. Oh come era bello, dissi a Nicole. Lei mi guardava senza dire una parola. Non mi aveva mai detto se aveva avuto esperienze con uomini e neppure ora mi fece capire se quello che le raccontavo lo avesse vissuto anche lei. Rise poi però quando le raccontai di un’altra avventura.
Erano ormai i tempi dell’università e io vivevo ora da sola a Milano. I nonni mi avevano trovato una stanza a casa di loro amici e io non ero così libera come avrei voluto, ma siccome ero perennemente accerchiata da nugoli di ammiratori, forse era meglio così. Un venerdí dopo le lezioni avevo deciso di andare dai nonni e presi così l’unico treno che trovai, che era però una di quelli che si fermava a tutte le stazioni. Entrai sul treno che era quasi vuoto, scelsi uno scompartimento tutto per me, chiusi lo sportello e mi sedetti. Ero stanca e presto mi addormentai pesantemente. Quando mi svegliai il treno era in moto. Era stato un piede estraneo, dell’uomo che ora era seduto di fronte a me, a svegliarmi. Un piede che, impertinente, cercava di aprirmi le gambe. Dormendo io mi ero spostata con il corpo in avanti, la gonna si era sollevata ben sopra le ginocchia e io a cosce larghe avevo le mutande in bella mostra. Subito accavallai le gambe e allora mi arrivò la risata dell’uomo che protestò perché gli avevo tolto il panorama. Era un bel giovane, con un bel volto intelligente che mi ispirò subito simpatia. Così io gli risposi ridendo che il panorama era a pagamento. La mia era naturalmente una battuta, ma lui la prese sul serio e cominciò a dire che era disposto a pagare ma voleva sapere quanto volevo e se avevo altri servizi in vendita. Io tutta confusa cercai di spiegargli che si trattava di un malinteso e lui per fortuna si fece subito convincere. Mi disse che non avevo l’aspetto della puttana. Di qui nacque comunque un simpatico scambio di battute e di parole che fece presto comprendere ad entrambi che volevamo scoparci e al più presto. Fu lui ad alzarsi per primo e io lo seguii nel corridoio. Il treno era quasi vuoto ma noi decidemmo di andare nell’ultimo vagone per essere più sicuri di non essere disturbati. Aprimmo la porta dell’ultimo bagno nell’ultimo vagone e ci richiudemmo dentro. Eravamo tutti e due così arrapati che quasi non sapevamo da dove cominciare. Fui io che inginocchiandomi mi gettai sulla cintura dei suoi pantaloni, glieli tirai giù e mi presi il suo cazzo in bocca. Poi mi girai dall’altra parte e fu lui che cominciò a scoparmi dal di dietro come un forsennato. Poi si sedette lui sulla tazza del cesso e io a cavalcioni su di lui a scoparlo, come mai avevo fatto fino allora. Non so cosa ci era successo, ma fu una delle più belle scopate che avevo fatto, con una uomo del tutto estraneo, in un bagno di seconda classe, su un treno accelerato che, nel frattempo, si era fermato ad una stazione, aveva lasciato lì gli ultimi tre vagoni e aveva proseguito la sua strada. Avevo perso il treno. Dovetti aspettarne un altro e arrivai così in piena notte a casa dei nonni, che erano rimasti in piedi ad aspettarmi preoccupati.
Fu allora che Nicole, che aveva appena smesso di ridere, mi chiese perché mai io, con la vita che avevo fatto, mi ero sposata con uno come Mario. Le spiegai che una volta iniziato il lavoro nell’azienda vinicola dei nonni, vivendo in campagna e facendo una vita così tranquilla e regolare mi ero calmata. Poi mi ero preso una cotta per un uomo che mi aveva fatto impazzire perché era cinico e egocentrico e pieno di problemi. Era solo molto bello e io cercai in tutti i modi di renderlo normale, ma mi costò molta fatica senza risultato. Nel frattempo avevo conosciuto Mario, mio marito, che veniva di tanto in tanto a comprare vino per il suo ristorante. Era un uomo pacato e rassicurante che incuteva tanta fiducia. Un giorno mi disse che voleva andare in un ristorante di cui aveva sentito parlare molto bene e voleva che lo accompagnassi. Gli risposi subito di si. Fu un giorno molto piacevole, mangiammo divinamente bene e tornando a casa ad un certo punto lui mi chiese se volevo sposarlo. Io rimasi a bocca aperta. Non ci eravamo mai neanche toccati e lui era l’ultimo uomo a cui avrei pensato come marito dal punto di vista fisico. Lo ringraziai, gli dissi che mi sentivo lusingata e che ci avrei pensato su.
Ci pensai a lungo. Io ero molto maturata come donna. L’università mi aveva reso più forte e più cosciente dei miei mezzi. Agli esami avevo sempre i migliori dei voti. C’era sempre molto da fare e le sere ero sempre troppo stanca per pensare ad altro. Piano piano il mio appetito per il sesso si era un po’ assopito, malgrado le proposte mi arrivassero in continuazione e dovunque. Mi sfogavo d’estate in vacanza, ma non più con la stessa frenesia dei primi tempi. I miei gusti si erano poi anche fatti più difficili. Non mi bastava più il figo simpatico, volevo di più da un uomo. Lo studio mi aveva aperto gli orizzonti. Ora volevo stare con gente con cui potevo anche parlare. Volevo una relazione più solida, ma non la trovavo. Dopo la tesi i nonni mi vollero subito da loro. L’azienda andava a gonfie vele e loro avevano bisogno di me. Stare in campagna, la responsabilità che venne con il lavoro, la vita tranquilla mi diedero forse l’illusione che si poteva vivere così. Dopo un anno mi ero assestata, i nonni si erano affidati completamente a me e la proposta di matrimonio mi parve essere il coronamento di quella fase della mia vita. Ora poteva iniziarne un’altra. Così dissi di si a Mario. Ci sposammo, con grande felicità dei nonni ed iniziò per me una vita che più tranquilla di così non ci poteva essere. Io al mattino andavo all’azienda, che non era lontano dalla casa dove abitavo con Mario e quando tornavo la sera ero quasi sempre sola perché il ristorante di Mario chiudeva tardi. Io e Mario ci vedevamo poco, ma all’inizio non ci facevo caso.
I problemi iniziarono quando dovetti andare alla Fiera del vino a Verona e curarmi del nostro stand. Mi trovai improvvisamente in mezzo alla gente e tornai a sentirmi corteggiata. Resistetti un paio di giorni, ma al terzo non ce la feci più. Avevo conosciuto un produttore francese a conduzione familiare, come la nostra azienda. Il responsabile era il giovane rampollo della famiglia, il bel Roland, che una sera mi invitò fuori e la serata finì nella sua camera d’albergo. Quella sera mi tornò l’appetito per il sesso. Facemmo tutto e in tutte le posizioni possibili. Fu lì, in quella camera, che io per la prima volta corsi il pericolo di venire sverginata anche di dietro. Mentre mi scopava mi andava sempre con un dito nel culo e la cosa in genere non mi era mai dispiaciuta. Solo che lui era insistente. Quando mi prese da dietro poi cominciò a leccarmi con cura proprio lì e io godevo e mugolavo per il piacere. Poi si era staccato un attimo e un istante dopo sentii che voleva entrare dentro, ma io non glielo permisi. Sapevo che si faceva, l’avevo visto fare nei film porno, ma a cosa non mi piaceva, non mi sentivo di volerla fare e quindi non l’avevo ancora mai fatta.
Nicole fu molto carina quella sera. Il mio racconto le era molto piaciuto. Mi disse che mi capiva, anche se lei non sentiva attrazione per il sesso maschile. Mi disse anche che avrei fatto bene a risolvere presto il mio problema di relazione con Mario per non continuare con un’ambiguità che alla lunga mi avrebbe fatto male.
Fu quella stessa sera che io le dichiarai che io provavo più piacere a scopare con gli uomini. Il piacere che provavo con lei era di altra natura, ma lo adoravo e io non volevo perderlo. Il mio istinto però mi faceva preferire il maschio. Le chiesi se questo la rendeva gelosa. Lei mi rispose che aveva avuto molte relazioni simili alla mia e che a lei bastava sapere di potermi avere, di tanto in tanto. Lei godeva a vedermi godere. Fu allora, a sentirla, che mi venne in mente un episodio della mia vita di studentessa universitaria. A quei tempi io d’estate viaggiavo e stavo a lungo all’estero per perfezionare le lingue che avevo studiato. Una volta, dopo essere stata per un paio di mesi ad Heidelberg in Germania, pensai di andare più al nord per vedere i paesi scandinavi, dove non ero ancora andata. Andai prima a Copenhagen e poi di lì proseguii verso la Svezia e fu sul traghetto tra la Danimarca e la Svezia che conobbi una coppia svedese con cui feci amicizia. Avevano passato i trenta tutti e due, parlavano l’inglese perfettamente ed erano molto belli. Lui, Björn, era biondastro, alto e di corporatura atletica e lei, Linda, era invece scura di capelli, con un volto molto dolce e gli occhi azzurri. Aveva una magnifica pelle color perla e aveva sempre un’andatura tranquilla, ondeggiante con quelle sue lunghe gambe, che la rendeva affascinante. Seppi che era finlandese. Io non mi stancavo mai di guardarla. Dovevano essere pieni di soldi perché avevano una macchina favolosa ed avevano addosso abiti di gran marca. Furono subito molto carini con me, mi invitarono a mangiare con loro sul traghetto e mi dissero subito che se volevo potevo seguirli in macchina e andare a Stoccolma, dove potevo star da loro il tempo che volevo. Io non me lo lasciai dire due volte e li seguii. In viaggio mi raccontarono di loro. Lui era un grosso imprenditore e lei aveva una catena di negozi di profumeria. Avevano viaggiato molto ed erano stati più volte in Italia. Mi promisero ridendo che la prossima volta in Italia sarebbero venuti a comprare il vino dai miei nonni, se io fossi stata lì. Sentivo attrazione per ambedue e sentivo nell’aria che avrei dovuto aspettarmi cose piacevoli in loro compagnia.
La loro era una casa splendida, una grossa villa con un grande giardino che scendeva fino al mare. Sulla riva c’era un molo dove era ormeggiato un motoscafo ed a fianco del molo si vedeva una piccola costruzione in legno che più tardi avrei scoperto che nascondeva una sauna.
Lui mi portò subito nella camera degli ospiti, al piano superiore, una bella camera con vista sul mare. Sei ore di viaggio in macchina mi avevano un po’ spossata, così mi sdraiai e dopo un attimo mi ero addormentata. Più tardi sentii bussare. Quando aprii era Björn che aveva addosso un accappatoio. Porse anche a me un accappatoio, mi disse che avevano preparato la sauna e voleva sapere se volevo andare anch’io. Io la sauna non l’avevo mai fatta, ma dissi subito di si. Mi disse di spogliarmi, di mettermi l’accappatoio e di raggiungerli alla casina sul molo. Era una bella giornata estiva, ma l’aria non era così calda come in Italia. Scesi alla casina sul molo, aprii la pesante porta e fui investita da un’ondata di calore. La porta si richiuse dietro di me e io mi trovai in uno spazio quadrato dove ad un lato si vedeva una stufa elettrica coperta da grosse pietre. Alle altre pareti scorreva un’impalcatura di legno con due file di banchi per sedersi e tutto all’interno ero ricoperto di legno. Vidi subito Björn e Linda seduti uno di fronte all’altro. Avevano un asciugamano per ricoprire le parti intime, ma lei aveva in mostra due tette stupende, che sembravano scolpite. Io ne rimasi sorpresa, perché dal suo lungo corpo non mi aspettavo un seno così. Mi sedetti vicino a lei e subito lei mi porse un asciugamano. Io feci come loro e mi tolsi l’accappatorio. Non ebbi problemi a mostrare le tette. Björn mi sorrise e io gli risposi con un sorriso. Domandai quanti gradi erano e lui mi rispose che erano settanta gradi. Chiesi cosa si doveva fare e lui ridendo mi rispose che dovevo aspettare e sudare un po’, poi avrei visto. Mi disse che dopo ci saremmo tuffati nel mare. Stetti zitta. Ora il caldo si faceva più pesante ma io cominciavo a sentirmi addosso una sensazione di benessere e mi sentivo sempre più rilassata. Linda si era ora allungata sulla panca a gambe larghe, l’asciugamano le era sceso su una coscia e ora le vedevo il triangolino del pube, che lei si era raso in parte. Era molto sexy e io mi eccitai. Ad un tratto lei si alzò, prese da terra un secchio con dell’acqua e ne gettò uno scroscio sulla stufa. In un attimo si sprigionò una nube di vapore che mi colpì gli occhi e le narici. Istintivamente chiusi le ginocchia. Nel frattempo Linda aveva aperto lo sportello di un frigo che c’era in un angolo. Ne aveva estratto un cubetto di ghiaccio che si era messo in bocca. Poi tranquillamente si era diretta verso di me, si era inginocchiata, mi aveva aperto le cosce e mi aveva infilato la lingua dentro. Fu un attimo. La sorpresa, il freddo della lingua e il calore che sentivo dentro mi paralizzò. L’effetto in me fu elettrizzante. La sua lingua in quei pochi istanti mi fece impazzire. Godetti come una pazza e rimasi per qualche istante in trance. Björn intanto si era seduto accanto a me. Gli si era rizzato e io non feci altro che chinarmi verso di lui e prenderglielo in bocca. Gli facevo il pompino mentre Linda con la sua lingua faceva godere me, così ad un tratto io me ne venni e così facendo feci venire lui che mi spruzzò in bocca. Non ebbi tempo di riprendermi che Linda mi aveva preso per mano e, aperta la porta, mi aveva trascinato sul bordo del molo e spinto nell’acqua. Fu uno shock perché l’acqua era gelata, ma mi ripresi subito e mi sentii da Dio.
Tornata in camera feci una doccia e mi misi a ripensare all’incredibile momento trascorso nella sauna. Sicuramente le ore insieme a loro, i discorsi, gli scherzi che avevamo fatto, le piccole provocazioni, avevano creato molta aspettativa tra noi e questo forse spiegava quell’esplosione. Quello però che mi stupiva era l’eccitazione che provavo per Linda e ora non vedevo l’ora di sentirla vicina, di guardarla, di carezzarla, di godere con lei. Non avevo mai provato qualcosa di simile per una donna. Guardai Nicole, mentre dicevo quelle parole, e poi aggiunsi che non l’avevo mai provato prima di conoscere lei. Lei rise.
Io continuai così il mio racconto.
Tornai giù da loro e li trovai in cucina che stavano preparando la cena. Mi dissero che sarebbe venuto un loro amico a cenare con noi. Avevano preparato un cocktail e ci sedemmo in salone ad attendere l’ospite. Ad un tratto fu Björn che tranquillamente venne a sedersi accanto a me, mi infilò una mano sotto la blusa e cominciò a carezzarmi una tetta. Sorridendomi mi disse che erano felici di avermi incontrato. Poi senza alcun pudore confessò che lui e Linda erano entrambi bisessuali e da tempo avevano relazioni con altre persone di ambo i sessi. Avevano fatto anche scambio di coppia e altre cose più o meno trasgressive, almeno agli occhi della gente normale. Ma continuavano ad amarsi. L’uomo che stavano aspettando era anche lui bisessuale, così quella sera, mi disse, ci saremmo molto divertiti. Linda mi guardava intanto sorridendo. Poi si alzò e venne verso di me. Quando mi fu vicina mi alzò la gonna e ridendo vide che avevo addosso le mutande. Poi si voltò e sporgendo il sedere fece lo stesso con il suo abito, ma lei sotto era nuda, e vidi che aveva un plug nel sedere. Io non ne avevo mai usati da nessuna parte. Non mi erano mai piaciuti i metodi non naturali. Non capivo perché portava quell’aggeggio nel culo e andai a sedermi vicino a lei per chiederglielo. Lei si stupì della mia domanda. Mi disse subito che sia a Björn che all’amico, che si chiamava Axel, piaceva il sesso anale e lei in quel modo si preparava. Mi disse che si era anche già lubrificata, per essere pronta. Io non potei fare a meno di domandarle che piacere provava e lei mi rispose che bisognava provare per credere. A lei piaceva molto, soprattutto quando lo faceva con Björn. In quel momento divenne come una gattina e si mise a far le fuse con me. Il cocktail aveva cominciato a farle effetto, evidentemente. Mi chiese se volevo provare anch’io, cominciò a leccarmi sul collo, poi mi disse in un orecchio che mi poteva leccare il culo, così scese prima con la lingua tra le mie cosce e poi mi voltò, mi separò le natiche e dolcemente cominciò a leccarmi tutto attorno e dentro all’orifizio . Non era la prima volta che qualcuno mi leccava lì dietro, ma lei mi aveva così eccitato con la sua insistenza che se adesso Björn che si era intanto avvicinato, avesse voluto l’avrei fatto subito. Ma suonarono alla porta e si ruppe l’incanto.
Quando finalmente arrivò Axel ci mettemmo a tavola a mangiare. Axel era anche lui un bell’uomo. Non aveva l’aspetto nordico, poi mi disse il cognome e mi disse che era di origine polacca. Seppi che faceva il modello e ogni tanto gli davano particine in film o alla TV. Lo avevano messo seduto a fianco a me e lui dimostrò subito per me grande interesse. Mi disse che non aveva mai conosciuto una ragazza italiana e che era molto curioso di vedere se ero come se l’immaginava. Gli chiesi cosa si aspettava da un’italiana ma non mi seppe rispondere. Mangiammo e bevemmo e Linda,, probabilmente per effetto dell’alcol, cominciò a fare la troietta sotto gli occhi divertiti dei due uomini. Si mise prima a girare attorno al tavolo in pose provocanti. Poi si mise a terra a quattro zampe strisciando sul tappeto come un felino. Senza mutande io le vedevo il plug ondeggiarle tra le natiche e mi domandavo quanto i due uomini avrebbero resistito. Poi d’un tratto lei mi venne incontro e disse che ora era il mio turno di esibirmi. Anche io avevo bevuto e mi sentivo piuttosto allegra, così, senza rispondere mi alzai dal tavolo e cominciai a fare alcuni passi a ritmo di danza. Linda corse a mettere un disco e un istante dopo cominciai lo spettacolo A scuola ero stata una brava ginnasta e ora sapevo ancora gestire il mio corpo con una certa abilità. Sapevo fare la spaccata e la ruota. Alternai quindi un po’ di acrobazia con lo spogliarello, che iniziai a fare lentamente e ammiccando, come avevo visto fare diverse volte. Mi sentivo molto eccitata quando alla fine rimasi nuda e mi gettai sul divano a gambe spalancate. Mi sentivo pronta a tutto. Sentii le urla di approvazione e un istante dopo Linda era corsa da me e aveva cominciato a baciarmi. Quando poi si inginocchiò per andare tra le mie gambe vidi Björn che le si avvicinava, e toltele il plug, senza indugio cominciò a scoparla nel culo. I colpi che le dava arrivavano fino a me, così io godevo ancora di più. Poi vidi che anche Axel si era avvicinato e ora si era inginocchiato dietro a Björn. Non avevo mai visto due uomini scoparsi e ne rimasi scioccata. Non resistetti alla scena, presi subito Linda per mano e la portai in camera mia. La serata finì così per me tra le braccia di Linda e i due uomini li rividi solo la mattina dopo.
La mattina dopo, quando ci ritrovammo a fare colazione, c’era un po’ di freddezza nell’aria. Probabilmente i due uomini si sentivano traditi. Io comunque avevo deciso di partire e fu così Linda ad accompagnarmi all’aeroporto. In macchina le dissi che mi era dispiaciuto di aver rovinato la festa, ma Linda rise. Mi disse che mi capiva. Anche lei era rimasta scioccata quando si rese conto che a Björn piacevano anche gli uomini. Ma in fondo a lei piacevano anche le donne, così si era instaurato un tacito accordo tra loro, che funzionava molto bene.
Guardai Nicole, che mi aveva ascoltato tutto il tempo senza battere ciglio e la vedevo un po’ rabbuiata. Le dissi che quella era stata l’ultima volta che me l’ero fatta con una donna. Linda sarebbe piaciuta anche a lei, aggiunsi. Ma nessuna donna mi aveva mai fatto godere come Nicole.
CONTINUA
Entrai quel pomeriggio nella sede della famosa Società di moda e quando mi annunciai alla reception venni accolta con un certo riguardo e fui accompagnata in una piccola sala d’attesa dove mi fecero sedere. Ero partita presto di casa per non avere ritardi, ma una volta arrivata decisi di attendere in macchina. Mi dissi che dovevo dare l’impressione della puntualità, così quando mi sedetti ad attendere mancavano solo alcuni minuti.
Mi ero preparata attentamente all’intervista. Era l’occasione della vita e non volevo perderla, anche se sapevo di avere molta concorrenza. D’altra parte sapevo di avere tutte le carte in regola e tutti i requisiti necessari, compresa la bella presenza, un requisito cui si era dato molto rilievo nell’annuncio. Ero comunque stata convocata per l’intervista e questo doveva voler dire che ero tra le prescelte. Mi sentivo un po’ nervosa, ma ero sicura di me, come sempre nelle occasioni importanti.
D’un tratto la porta si aprì e sull’uscio apparve un uomo alto e piuttosto corpulento, vestito con un impeccabile doppio petto grigio.
L’uomo, che aveva tutta l’aria di essere il Direttore, mi disse di accomodarmi e mi indicò una bella sedia in pelle. Poi, senza preamboli, prese il mio CV dal tavolo e lesse in fretta il mio nome, Gaia Venturini, 25 anni, orfana, collegio in Svizzera, conoscenza parlata e scritta di quattro lingue oltre all’italiano, Laurea in Scienze della Comunicazione con 110 e Lode, diploma in tecnica dell’informatica, sposata senza figli. Si rallegrò e mi disse che avevo un bel CV.
A quel punto il Direttore mi fece un bel discorso per dirmi che dall’inserimento di questo nuovo elemento la Società riponeva molte aspettative, aggiunse che avevano ricevuto un’infinità di richieste e che io ero una delle cinque prescelte. Fece presente che la cernita di tutti i CV arrivati era stata fatta in forma molto accurata, in collaborazione con una ditta di consulenza. Poi mi fece un rapido quadro della Società, diede molto peso al fatto che in poco tempo era riuscita a raggiungere una posizione di assoluta elite nel settore della moda. Spiegò che la segretaria avrebbe svolto un ruolo molto dinamico nell’ambito della Società ed avrebbe fatto parte di diversi gruppi di lavoro. Alla fine, pesando le parole, aggiunse che la Società aveva previsto per questo nuovo inserimento benefici economici di grande rilievo e uno stipendio a cinque zeri. Così dicendo mi mise un foglio davanti agli occhi sul quale con un dito mi fece leggere la cifra. Rimasi di stucco. Mi spiegò che la filosofia della Società era di consentire ai dipendenti la massima agiatezza. Vestire elegantemente, vivere nell’agiatezza, si rifletteva nell’immagine dell’Azienda, aggiunse con enfasi.
Finito di parlare si accomodò meglio sulla poltrona e volle che gli raccontassi di me.
Io mi ero preparata bene la lezione. Raccontai di essere divenuta orfana da bambina, che avevo perso i genitori in un incidente d’auto, che i nonni avevano deciso allora di affidarmi a un collegio a Zurigo, in Svizzera, dove avevo fatto tutti i miei studi. Spiegai che l’idea dei nonni era quella di inserirmi al più presto nella loro grande azienda vinicola, e che dopo la laurea conseguita all’Università a Ginevra, mi avevano presa subito con loro affidandomi i contatti con la clientela. Presto però io avevo conosciuto l’uomo con cui mi sarei sposata e mi ero quindi trasferita da lui. Di lí avevo comunque proseguito ad occuparmi dell’azienda familiare, ma poi mi ero resa conto di non avere alcun interesse per quel tipo di attività. Cosí, quando avevo letto l’annuncio, mi ero subito decisa di rispondere. Poi dissi che avevo sempre provato interesse per la moda, anche se la vita un po’ isolata che avevo fatto non mi aveva dato tante occasioni per dedicarmici. A quel punto io lo guardai dritto negli occhi e gli feci un bel sorriso che penso gli piacque.
Il Direttore rimase un attimo in silenzio, poi mi disse che voleva essere franco con me e che erano state sollevate perplessità sulla mia attitudine a quel posto, data l’educazione speciale che avevo ricevuto e alla mia situazione familiare. Il lavoro che mi si prospettava richiedeva infatti un grande impegno, orari irregolari, viaggi, a volte anche di lunga durata. Tutto questo poi in un ambiente, quello della moda, che poteva essere molto spregiudicato e a volte perfino disinibito. Ce l’avrei fatta io, che finora avevo fatto una vita tranquilla, che ero sposata e che presto o tardi avrei potuto divenire madre?
Io quella domanda me l’aspettavo, ma sapevo subito cosa rispondere perchè era proprio lí che i miei problemi erano cominciati. Prima la vita di sacrificio in collegio, poi per fortuna l’Università, che mi aveva aperto un po’ gli occhi, ma poi quella vita in campagna con la ditta dei nonni, che mi era stata subito un po’ stretta. Era per questo, in fondo, che avevo deciso di sposarmi, tra l’altro con un uomo decisamente più anziano di me, per uscire dal guscio nel quale i nonni loro malgrado mi avevano rinchiuso. Tutto questo dissi al Direttore, al quale dissi anche che di questo avevo parlato lungamente con mio marito. Lui aveva il suo ristorante a cui pensare ed era più lí che a casa. Avere figli in quelle condizioni non appariva logico a nessuno dei due.
Il Direttore aveva seguito il mio discorso con molta attenzione e mentre parlavo mi era sembrato di leggere approvazione sul suo volto. Pareva soddisfatto quando alla fine mi disse sorridendo che a quel punto restava una sola cosa che lui voleva io facessi. Mi spiegò che l’intervista prevedeva la prova di due capi d’abbigliamento di loro produzione, che io avrei dovuto fare. Mi indicò una porta dicendomi che li dietro, in quel camerino, avrei trovato appesi alla parete gli abiti da indossare. Io avrei dovuto scegliere la mia taglia, il colore che preferivo, dovevo indossarlo e tornare da lui. Aggiunse che avrei trovato anche delle scarpe in una scatola e che avrei potuto scegliere quelle che trovavo più adatte.
Io rimasi un po’ sorpresa, ma poi mi resi conto che non era strano che una Società che produce moda mi volesse fare indossare un abito. Così andai nel camerino, dove c’era una parete tutta ricoperta di specchi. Trovai i due abiti, ambedue da sera, nelle diverse taglie. Ne presi uno di color rosso scarlatto e scelsi la mia taglia. Mi piacque perché quel colore si adattava perfettamente a quello della mia pelle e al nero della mia folta capigliatura. Lo indossai davanti allo specchio e rimasi un attimo senza fiato quando vidi la scollatura che arrivava quasi fino all’ombelico. Mi resi subito conto che dovevo togliermi il reggiseno. Quando lo feci mi venne da ridere, perché le mie tette, che generalmente attirano lo sguardo degli uomini, con quella stretta guaina, retta da due leggere spalline, sarebbero straripate solo con uno starnuto. Mi dissi che dovevo camminare molto dritta per non diventare indecente.
Scelsi le scarpe, le indossai e uscii lentamente. Avevo visto sfilare modelle e avrei saputo imitarle. Avanzai lentamente, a passi cadenzati, tenendomi ben dritta, con lo sguardo estraneo. Giunta davanti al Direttore lui mi guardò con aria ammirata. Mi fece cenno che andava bene e io mi girai per tornare indietro. Senonché i tacchi a spillo e la moquette mi fecero perdere l’equilibrio e io sarei caduta se il Direttore non si fosse affrettato ad alzarsi e sorreggermi prontamente. A quel punto, però, mentre io cadevo la stoffa cedette e le tette fecero capolino. Io riuscii comunque a riprendere subito l’equilibrio e un po’ imbarazzata, riassettando la scollatura tornai nel camerino.
Stranamente non mi sentii molto imbarazzata quando rimasi sola. Mi dissi che il Direttore nel suo lavoro di tette ne doveva aver viste a bizzeffe. E poi, malgrado la vita un po’ da eremita degli ultimi anni, mi sentivo ancora dentro l’istinto provocatorio che si era formato in me fin dall’adolescenza.
Mi spogliai e mi accorsi che la cosa mi eccitava. Mi guardai ancora nello specchio, poi presi l’altro abito e lo sollevai con le due mani. Rimasi subito sconcertata, perché se anche qui il reggiseno non aveva senso, quel minuscolo abito era piuttosto scosciato e mi sarebbe arrivato solo poco sotto il sedere. Ma era soprattutto quel suo colore grigio scuro e l’esiguità del tessuto, che per di più era trasparente, che mi mise addosso un po’ di apprensione. Le mutandine che portavo in quel momento erano assolutamente inadatte. Mi guardai in giro. Su un ripiano vidi un paio di scatoloni, li aprii e trovai subito quello che cercavo. C’erano diversi tanga e io ne provai alcuni e finii per scegliere quello meno audace. Feci tutto questo guardandomi allo specchio. Mi divertii un attimo a posare in modo provocante, senza sapere che qualcuno in quel momento mi stava osservando sullo schermo di un PC. Lo seppi solo più tardi. Mi venne da ridere, perché mi trovavo buffa, anche se ero molto sexy con la tenue striscia di stoffa che mi entrava tra le natiche e il sedere completamente scoperto. Indossai l’abitino e mi sentii piuttosto nuda quando aprii la porta per fare ingresso nell’ufficio del Direttore. Provai a ripetere i passi che avevo fatto prima con lo sguardo fisso davanti a me. Quando mi fermai davanti al Direttore lo vidi ancora soddisfatto. Questa volta ce la feci a voltarmi senza problemi e dopo un cenno del Direttore me ne andai di nuovo nel camerino. Lí tirai finalmente un sospiro di sollievo. Mi sembrava di aver fatto una buona esibizione, malgrado il piccolo incidente, che però doveva essere stato apprezzato. Rientrai dopo un attimo nell’ufficio e tornai a sedermi di fronte al Direttore.
Lui mi accolse con un gran sorriso. Mi disse che avevo superato quella prova in modo egregio e che aveva molto apprezzato il mio ottimo senso d’iniziativa Nessuno mi aveva detto di togliermi il reggiseno e neppure di cambiarmi gli indumenti intimi. Così mi disse. Mi fece molti complimenti anche perché avevo mostrato fantasia e molto coraggio. Ora potevo rivestirmi.
Andai via di lì più che soddisfatta. Mi sembrava tutto considerato di aver fatto una buona figura e di aver fatto colpo sul Direttore. Gli avevo perfino fatto vedere le tette. Speravo solo che non avesse pensato che l’avevo fatto apposta quando gli ero cascata tra le braccia. E poi a pensarci bene, mi sembrava che quel lavoro mi calzasse a pennello. Certo, avrei avuto problemi con Mario, il mio amato marito. Mi rendevo conto però che con lui, dopo poco più di un anno, ero a un vicolo cieco. E lui lo sapeva. Prima o dopo bisognava parlarne.
Il 1 giugno ero seduta alla mia nuova scrivania. Ero appena stata dal Direttore, che mi aveva accolta quella mattina e mi aveva dato il benvenuto. La mail mi era arrivata già il giorno dopo dell’intervista. Mi dovevo trovare quel giorno alle 8 del mattino presso l’ufficio del Direttore per la firma del contratto e per le altre formalità.
Quel giorno io mi ero portata con me alcune cose per personalizzare il mio nuovo ufficio. Avevo però solo tempo una mezz’ora perché il Direttore mi aveva detto di presentarmi subito dalla signora Schott, responsabile del settore PR. Lei mi avrebbe relazionata in dettaglio sull’attività dell’azienda, sull’organizzazione, i vari sistemi operativi e quant’altro era necessario che io sapessi per inserirmi nella società in modo ottimale.
Trovai quasi subito la porta, non lontano dalla mia. Nicole Schott, c’era scritto su un piccolo cartellino sulla destra della porta. Responsabile PR, si leggeva sotto al nome. Bussai e subito una voce mi disse di entrare. Mi trovai allora in uno splendido ufficio, che era arredato in modo molto raffinato. C’era molta luce che proveniva da una finestra panoramica su un lato della camera. Su un altro lato si scorgeva un gruppo di divano e poltrone di ultimissima generazione, un grande tappeto e tavolino su cui erano sistemate alcune riviste di moda. Nicole Schott si alzò e mi venne incontro tendendomi la mano. Quando gliela strinsi sentii una mano forte e decisa- Mi fece sedere al tavolo e poi mi guardò con un sorriso malizioso che al momento non realizzai.
Mi disse che ci dovevamo dare del tu, poi mi chiese se volevo un caffè, e un attimo dopo c’erano due tazzine sul tavolo. Mi diede subito l’impressione di essere una donna efficiente. Ci guardammo un attimo. Lei era una bella donna tra i 40 e i 50, alta e asciutta ma ben fatta, i capelli biondicci tagliati corti. Aveva dei bellissimi grandi occhi vivaci di un bel colore azzurro, che risaltavano sul suo bel volto minuto. Era vestita semplicemente ma in modo elegante, con un’ampia blusa sbottonata sul davanti sotto la quale si intravedevano due piccole tette appena pronunciate. Non aveva reggiseno. Portava poi una gonna ampia, retta da una sottile cintura alla vita che dava risalto al suo bel corpo.
Mi spiegò che era francese, di Lyon, ma preferiva parlare l’italiano. In effetti lo parlava molto bene. Si sentiva solo quell’inflessione tipica dei francesi, che le dava un certo fascino. Poi mi disse che il Direttore le aveva parlato molto di me e che si aspettava molto dalla nostra collaborazione. Avremmo quindi avuto molto da fare insieme. Quando me lo disse aveva ancora quell’aria un po’ strana che avevo avvertito prima. Poi, sporgendosi verso di me, aveva aggiunto, quasi sottovoce: “Sai, mi ha detto che eri una bella donna, ma così bella non me lo aspettavo”. Poi mi aveva sorriso in un modo che la fece molto seducente. Allora in un attimo tornai di molti anni indietro ai tempi dell’adolescenza in collegio. Allora ero ancora giovane e piena di curiosità per il sesso. Un giorno ero rimasta sola con un’altra ragazza un po' più grande di me. Lei prese subito l’iniziativa e mi baciò e poi cominciò a toccarmi da tutte le parti. Io la lasciavo fare un po’ eccitata, e le lasciai prendere la mia mano quando volle che anche io la toccassi. A me però piaceva di più quando era lei a toccarmi. Ìo da qualche tempo avevo cominciato a masturbarmi e quella volta, quando fu lei a farlo con me, mi piacque talmente che ebbi subito un orgasmo. Da allora ci vedevamo spesso da sole e facevamo i nostri giochi, ma era quasi sempre lei a soddisfare me. Certo anche a me piaceva guardarla quando godeva, ma non come piaceva a lei vedermi, quando chiudevo gli occhi e gemevo e tremavo tutta. Erano i suoi occhi che riconobbi in quelli di Nicole e in quel momento fui presa da una voglia matta di fare con lei gli stessi giochi di una volta, ripetuti da allora solo una volta in una breve avventura ai tempi dell’università.
Nicole aveva preparato una cartella e improvvisamente prese un tono serio e deciso e cominciò a spiegarmi tutto sulla Società, come era composta, cosa produceva, qual era il fatturato, come era organizzata, quali erano i reparti e chi erano i responsabili di ciascun reparto. Mi parlò dei nuovi gruppi di lavoro e di quali avrei fatto parte anch’io. Io la guardavo mentre lei parlava ed ero stupita che lei sapesse essere due persone così diverse, da una parte quella sorridente, provocante di prima, ed ora invece quella professionalità, quella presentazione così accurata.
Eravamo ambedue stanche quando Nicole ebbe finito di parlare. Fu allora che stiracchiandosi lei mi propose di andare a casa sua, farci una mangiatina e continuare a parlare, per conoscerci meglio, come disse lei ammiccando. Io avevo fame e tutta la voglia del mondo di conoscerla meglio. Ci alzammo tutte e due e uscimmo dall’ufficio. Decidemmo di andare con la mia macchina. Lei abitava piuttosto vicino e l’indomani sarebbe venuta in ufficio a piedi.
In un attimo arrivammo in una zona signorile piena di verde con graziose palazzine a pochi piani. Entrammo in casa. Era un appartamento elegante, dove Nicole aveva messo tutto il suo gusto, che era decisamente squisito. Tutto era stato scelto con attenzione e tutto era armonioso, nelle forme, nei colori. C’era poi in giro una quantità di oggetti, tutti scelti con cura, alcuni esotici, comprati chissà dove.
Chiesi di andare in bagno e quando fui lí rimasi incantata dalla cabina della doccia e che era una di quelle di ultima generazione. Mi venne un’improvvisa voglia di farmi una doccia e lo chiesi subito a Nicole. Un attimo dopo mi ero spogliata e me ne stavo inerte, a occhi chiusi, nella cabina a sentire gli spruzzi caldi dell’acqua che mi colpivano il corpo. Mi dissi che mi sarebbe piaciuto se Nicole mi avesse visto così. Quando uscii dalla doccia Nicole era lì ad aspettarmi con un grande asciugamano. Io le andai incontro e un istante dopo ci baciavamo come furie. Lei mi strinse a sè con l’asciugamano mentre con le mani mi percorreva tutto il corpo. Mentre mi stringeva si avvicinò ad un orecchio e mi disse che mi aveva già vista nuda, davanti allo specchio, quando mi ero spogliata nel camerino a fianco dell’ufficio del Direttore. Allora capii. Mi disse che da allora non aveva sognato altro che di potermi toccare. Poi d’un tratto si staccò da me e disse che ora era il momento di mangiare. Poi avremmo giocato.
A tavola io mi ero messa solo un accappatoio. L’avevo lasciato aperto perché mi stuzzicava vedere gli occhi di Nicole attaccati alle mie tette. Mangiammo e bevemmo un buon vinello bianco. Tutt’e due volevamo la stessa cosa, ma allo stesso tempo godevamo dell’attesa. Ad un tratto Nicole, sempre con quel suo sorriso seducente, mi chiese se io facevo sempre la porcellona davanti allo specchio. Io mi schernii arrossendo e le spiegai che quando ero davanti a uno specchio io mi divertivo a mettermi in pose diverse. Non sapevo perché, ma mi eccitava farlo. Mi spiegò che lo specchio del camerino era collegato al suo PC e a quello del Direttore, per vedere quando era necessario, e vedere me era stato bellissimo.
Fu Nicole che, dopo aver bevuto un ultimo sorso dal suo bicchiere, si alzò e prendendomi per mano mi trascinò nella sua camera.
In un attimo eravamo ambedue sul suo letto. Io ero tutta eccitata e volevo subito che Nicole mi prendesse. Così aprii le cosce e la attirai a me. Lei era ora trasformata. Come una furia si gettò su di me. Mi infilò con forza la sua lingua in bocca. Era una lingua lunga e sottile, ma forte, che si insinuava nella mia bocca, per poi uscirne e gettarsi sulle mie tette, prima l’una e poi l’altra. Con le labbra me le succhiava, per poi titillarle con quella sua lingua lunga da ramarro. Io gemevo per il piacere e mi premevo contro il suo corpo. Volevo ora solo la sua lingua tra le cosce, dentro di me, sul mio clitoride. Quando finalmente venne con il suo volto tra le mie gambe ricordo che io quasi urlai. Ma lei si era ora messa a cavalcioni su di me, così che io avevo il suo pube dorato davanti agli occhi. Io allora la strinsi a me e la leccai con frenesia. Era passato tanto tempo da quando, quasi con vergogna, l’avevo fatto con l’amichetta del collegio. Ora invece mi sentivo libera e davo sfogo a tutto il mio desiderio. Non so quanto durò questo amplesso, ma alla fine eravamo esauste tutt’e due.
Rimanemmo per un po’ ferme accanto l’una all’altra, poi Nicole cominciò lentamente a masturbarsi. Io la guardai sorpresa, provai a baciarla ma lei mi con la mano mi respinse. Così continuai a guardarla mentre lei con quelle sue lunghe dita continuava a toccarsi. Poi, d’un tratto vidi che s’inarcava gemendo, poi ebbe un sussulto e si riversò nel letto. Io rimasi a guardarla, poi non potei fare a meno di domandarle perché mi aveva respinto. Lei mi rispose tranquilla che era perchè io non ero lesbica. Mi disse che lo aveva avvertito subito, fin da quando ci eravamo baciate. Sostenne che io stavo con lei solo perché lei mi faceva godere e che io per lei non provavo niente. Ma aggiunse che non dovevo preoccuparmi perché lei mi adorava perché ero così bella, e che poi adorava il mio corpo e da quando mi aveva vista nuda non faceva altro che pensare a me. Io non seppi cosa risponderle. Forse era vero. Io mi ero abituata in collegio a ricevere le carezze e forse non ero lesbica, forse neanche quando lo feci in seguito. Però con lei avevo goduto un sacco e avrei continuato a vederla, se lei voleva.
Si era intanto fatto un po’ tardi, le diedi un bacio su una guancia, mi rivestii e me ne andai.
Dopo quella sera continuammo ogni tanto a vederci a casa sua dopo il lavoro e ogni volta io provavo la stessa eccitazione prima di abbandonarmi sul letto con lei. Si stabilì presto una specie di alleanza tra noi, ma dovemmo subito metterci d’accordo che in quella nostra relazione il sesso e il lavoro dovevano restare del tutto separati tra loro.
Una sera mi chiese improvvisamente di Mario, mio marito e del perché mi fossi sposata. E allora le raccontai tutto di me, del mio appetito sessuale fin dall’adolescenza, delle mie esperienze lesbiche con le compagne di scuola, e poi di quella prima volta che feci sesso con un uomo. Le raccontai così che ero in vacanza con i nonni, ad Alassio, alla fine del penultimo anno di collegio. Il mio corpo si era allungato e le mie tette erano già ben formate, tanto che la nonna mi aveva comprato il reggiseno. Se prima, già a quattordici anni avevo sempre gli occhi degli uomini addosso, ora che avevo anche le tette e un bel culetto, mi sentivo a volte imbarazzata dovunque andassi. Imparai però presto a sfruttare le mie grazie e ad essere provocante, anche se non potevo farlo quando ero in compagnia dei nonni. Ad Alassio non ero mai stata e non avevo perciò amicizie, così mi annoiavo un poco. Poi un giorno allo stabilimento era comparso un ragazzo, che faceva il bagnino e serviva anche al bar. Era spagnolo e aveva un bel corpo lungo e abbronzato. Aveva soprattutto un viso simpatico. Mi piacque subito e siccome io lo spagnolo già lo parlavo bene, cominciai a parlargli un poco quando ero al bar a bere una cola o a comprare il gelato. Avevo imparato che l’ora migliore per parlargli era dopo pranzo, quando tutti avevano lasciato la spiaggia per andare a casa a mangiare. Noi andavamo generalmente tardi in spiaggia e facevamo solo uno spuntino lì nello stabilimento oppure ci portavamo da casa un panino. A me piaceva tanto quel momento, nel primo pomeriggio, il silenzio sulla spiaggia, il rumore delle onde, la quiete sotto l’ombrellone. Siccome quello era il momento in cui i nonni facevano il pisolino, io ne approfittavo per andare su al bar. Lui era lì a raddrizzare i tavoli, raccogliere i piatti e i bicchieri dal lavastoviglie assieme alla padrona. Io mi facevo dare il gelato e andavo poi a sedermi nello spiazzo davanti al bar e lo guardavo di nascosto. A quei tempi mia nonna mi aveva comprato dei costumi da bagno interi. Niente bikini, mi aveva detto. Così dopo il bagno io, fatta la doccia, mi mettevo spesso addosso solo l’accappatoio, senza niente sotto. Mi piaceva sentirmi nuda. Mi sentivo spavalda. Un giorno che come al solito andai al bar, lo trovai solo. Lui mi sorrise, mi diede il gelato e continuò con il suo lavoro mentre io andai a sedermi. A quel punto il mio istinto di zoccola fu quello di appoggiare un piede su un’altra sedia in modo da mettere in vista le cosce. Seduta com’ero l’accappatoio mi si era aperto un po’ sul davanti e le mie belle tette si intravedevano sotto la stoffa. Poi cominciai a leccare il gelato lentamente, con la lingua bene in mostra. L’avevo visto fare in un film e sapevo che la scena faceva molto effetto. Finito di mangiare il gelato poi mi alzai e feci per andarmene. Passando davanti a lui, gli feci un bel sorriso e mi diressi verso la mia cabina. Speravo che mi seguisse e con la coda dell’occhio vidi che mi stava guardando. Entrai in cabina e chiusi la porta. Un attimo dopo la porta si riaprì e lui entrò chiudendo rapidamente il catenaccio. Ci baciammo come forsennati e le sue mani corsero subito sul mio corpo sotto l’accappatoio. Ricordo ancora la sensazione che provai quando me lo sentii addosso. Sentii le sue mani percorrermi la schiena, e poi mi afferrò di dietro. Io in quel momento ero pronta a tutto, proprio a tutto. Mentre lo baciavo, io mi stringevo, mi strofinavo come un’ossessa. Sentii subito il gonfiore sotto i suoi shorts. Fu allora che lui se li sfilò, mi prese la mano e se la mise lì, sul suo uccello. Io ero mezzo inebetita, con quel coso in mano che avevo tanto sognato. Lo sentivo morbido e duro allo stesso tempo. Io mi inginocchiai per vederlo più da vicino e lui allora con la mano mi accompagnò su di lui. Io automaticamente aprii le labbra e lo accolsi in bocca. Lo sentii caldo, palpitante, ne sentii il sapore. Rimasi ferma, esitante, così lui con le mani mi costrinse a muovermi, avanti e indietro. Avevo capito. Glielo presi con tutte e due le mani e con le labbra ben strette cominciai a fargli quel pompino che avevo visto fare nei pochi film porno visti di nascosto. Lui cominciò presto a gemere e poco dopo ebbe un sussulto e poi con un ultimo gemito soffocato si spinse su di me e in bocca mi arrivò un getto di sperma. Io aprii la bocca così parte dello sperma mi andò sul viso e sulle tette. Lui si riassettò subito, prese un asciugamano e mi asciugò in fretta. Poi mi sorrise e mi chiese se era la prima volta che lo facevo. Gli risposi di si. Mi disse allora che ero stata molto brava, ma che ora aveva fretta e doveva andarsene. Poi, sulla porta, prima di uscire, mi bisbigliò che il giorno dopo sarebbe stato solo e se andavo da lui alla stessa ora potevamo divertirci ancora.
Nicole mi ascoltava attentamente in silenzio. Sembrava interessata, così io continuai.
Io quella notte non riuscivo a dormire. Non facevo che pensare a quello che era successo in cabina. E domani l’avrei rivisto. Cosa avremmo fatto? Mi correvano in testa un sacco di pensieri e la testa mi girava. Dovetti masturbarmi a lungo per calmarmi un po’.
Il giorno dopo in spiaggia ero tutta nervosa. Tanto che la nonna mi chiese preoccupata se non stavo bene. Per tranquillizzarla le dissi che avevo le mestruazioni. Stetti a lungo in acqua quella mattina e poi mi stesi al sole. Sentivo che mi faceva bene. Il tempo correva e io non stavo nella pelle. Mi sentivo sconvolta dall’emozione e quando fu il momento di andare mi ero preparata a lungo in cabina. Come il giorno prima avevo solo l’accappatoio su di me, ma mi ero messa addosso della crema perché volevo che il mio corpo fosse profumato. Quando andai da lui mi tremavano le gambe. Poi lo vidi e lui mi sorrise e io mi sentii subito meglio. Appoggiato con i gomiti al bancone mi guardava sorridendo. Mi chiese se volevo qualcosa da bere. Presi una cola e la bevvi tutta d’un fiato. Lui poi tranquillo mi fece cenno di seguirlo. Andammo sul retro dello stabilimento. Aprì una porta ed entrammo in un grosso ripostiglio dove c’era un po’ di tutto. A terra vidi che lui aveva già preparato un materassino di gommapiuma su un tappeto di stracci e un cuscino. Mi disse di stendermi lí e io con il cuore che galoppava lo feci seguendolo con gli occhi. Lui si inginocchiò su di me e cominciò a leccarmi le tette, piano piano, prima l’una poi l’altra, mi prese i capezzoli tra le labbra e me li succhiò lungamente. Poi mi mise una mano tra le gambe e mentre mi baciava cominciò a frugare dentro di me. Io ero già fradicia. Lui continuò per un po' senza fretta. Poi mi disse di voltarmi e di mettermi in ginocchio. Poi si inginocchiò dietro di me e spinse la mia schiena in avanti. Io mi trovai adesso a quattro zampe, e aspettavo senza fiato. Ad un tratto sentii la sua pressione su di me ed un istante dopo mi aveva sfondato. Non attese che prendessi coscienza di cosa mi stava facendo ma iniziò subito a sbattermi con forza. Sulle prime io sentii un po' di dolore, ma fui subito sommersa da un’ondata di piacere che mi pervase per tutto il corpo. Continuò così per un po' poi improvvisamente mi disse di alzarmi. Fu lui allora a stendersi sul materassino e mi attirò a sé. Ora lo avevo sotto di me. Era così bello sentirmi riempita da lui in quella posizione. Stetti un attimo ferma, poi cominciai, su e giù, ero io ora a dare il ritmo. Oh come era bello, dissi a Nicole. Lei mi guardava senza dire una parola. Non mi aveva mai detto se aveva avuto esperienze con uomini e neppure ora mi fece capire se quello che le raccontavo lo avesse vissuto anche lei. Rise poi però quando le raccontai di un’altra avventura.
Erano ormai i tempi dell’università e io vivevo ora da sola a Milano. I nonni mi avevano trovato una stanza a casa di loro amici e io non ero così libera come avrei voluto, ma siccome ero perennemente accerchiata da nugoli di ammiratori, forse era meglio così. Un venerdí dopo le lezioni avevo deciso di andare dai nonni e presi così l’unico treno che trovai, che era però una di quelli che si fermava a tutte le stazioni. Entrai sul treno che era quasi vuoto, scelsi uno scompartimento tutto per me, chiusi lo sportello e mi sedetti. Ero stanca e presto mi addormentai pesantemente. Quando mi svegliai il treno era in moto. Era stato un piede estraneo, dell’uomo che ora era seduto di fronte a me, a svegliarmi. Un piede che, impertinente, cercava di aprirmi le gambe. Dormendo io mi ero spostata con il corpo in avanti, la gonna si era sollevata ben sopra le ginocchia e io a cosce larghe avevo le mutande in bella mostra. Subito accavallai le gambe e allora mi arrivò la risata dell’uomo che protestò perché gli avevo tolto il panorama. Era un bel giovane, con un bel volto intelligente che mi ispirò subito simpatia. Così io gli risposi ridendo che il panorama era a pagamento. La mia era naturalmente una battuta, ma lui la prese sul serio e cominciò a dire che era disposto a pagare ma voleva sapere quanto volevo e se avevo altri servizi in vendita. Io tutta confusa cercai di spiegargli che si trattava di un malinteso e lui per fortuna si fece subito convincere. Mi disse che non avevo l’aspetto della puttana. Di qui nacque comunque un simpatico scambio di battute e di parole che fece presto comprendere ad entrambi che volevamo scoparci e al più presto. Fu lui ad alzarsi per primo e io lo seguii nel corridoio. Il treno era quasi vuoto ma noi decidemmo di andare nell’ultimo vagone per essere più sicuri di non essere disturbati. Aprimmo la porta dell’ultimo bagno nell’ultimo vagone e ci richiudemmo dentro. Eravamo tutti e due così arrapati che quasi non sapevamo da dove cominciare. Fui io che inginocchiandomi mi gettai sulla cintura dei suoi pantaloni, glieli tirai giù e mi presi il suo cazzo in bocca. Poi mi girai dall’altra parte e fu lui che cominciò a scoparmi dal di dietro come un forsennato. Poi si sedette lui sulla tazza del cesso e io a cavalcioni su di lui a scoparlo, come mai avevo fatto fino allora. Non so cosa ci era successo, ma fu una delle più belle scopate che avevo fatto, con una uomo del tutto estraneo, in un bagno di seconda classe, su un treno accelerato che, nel frattempo, si era fermato ad una stazione, aveva lasciato lì gli ultimi tre vagoni e aveva proseguito la sua strada. Avevo perso il treno. Dovetti aspettarne un altro e arrivai così in piena notte a casa dei nonni, che erano rimasti in piedi ad aspettarmi preoccupati.
Fu allora che Nicole, che aveva appena smesso di ridere, mi chiese perché mai io, con la vita che avevo fatto, mi ero sposata con uno come Mario. Le spiegai che una volta iniziato il lavoro nell’azienda vinicola dei nonni, vivendo in campagna e facendo una vita così tranquilla e regolare mi ero calmata. Poi mi ero preso una cotta per un uomo che mi aveva fatto impazzire perché era cinico e egocentrico e pieno di problemi. Era solo molto bello e io cercai in tutti i modi di renderlo normale, ma mi costò molta fatica senza risultato. Nel frattempo avevo conosciuto Mario, mio marito, che veniva di tanto in tanto a comprare vino per il suo ristorante. Era un uomo pacato e rassicurante che incuteva tanta fiducia. Un giorno mi disse che voleva andare in un ristorante di cui aveva sentito parlare molto bene e voleva che lo accompagnassi. Gli risposi subito di si. Fu un giorno molto piacevole, mangiammo divinamente bene e tornando a casa ad un certo punto lui mi chiese se volevo sposarlo. Io rimasi a bocca aperta. Non ci eravamo mai neanche toccati e lui era l’ultimo uomo a cui avrei pensato come marito dal punto di vista fisico. Lo ringraziai, gli dissi che mi sentivo lusingata e che ci avrei pensato su.
Ci pensai a lungo. Io ero molto maturata come donna. L’università mi aveva reso più forte e più cosciente dei miei mezzi. Agli esami avevo sempre i migliori dei voti. C’era sempre molto da fare e le sere ero sempre troppo stanca per pensare ad altro. Piano piano il mio appetito per il sesso si era un po’ assopito, malgrado le proposte mi arrivassero in continuazione e dovunque. Mi sfogavo d’estate in vacanza, ma non più con la stessa frenesia dei primi tempi. I miei gusti si erano poi anche fatti più difficili. Non mi bastava più il figo simpatico, volevo di più da un uomo. Lo studio mi aveva aperto gli orizzonti. Ora volevo stare con gente con cui potevo anche parlare. Volevo una relazione più solida, ma non la trovavo. Dopo la tesi i nonni mi vollero subito da loro. L’azienda andava a gonfie vele e loro avevano bisogno di me. Stare in campagna, la responsabilità che venne con il lavoro, la vita tranquilla mi diedero forse l’illusione che si poteva vivere così. Dopo un anno mi ero assestata, i nonni si erano affidati completamente a me e la proposta di matrimonio mi parve essere il coronamento di quella fase della mia vita. Ora poteva iniziarne un’altra. Così dissi di si a Mario. Ci sposammo, con grande felicità dei nonni ed iniziò per me una vita che più tranquilla di così non ci poteva essere. Io al mattino andavo all’azienda, che non era lontano dalla casa dove abitavo con Mario e quando tornavo la sera ero quasi sempre sola perché il ristorante di Mario chiudeva tardi. Io e Mario ci vedevamo poco, ma all’inizio non ci facevo caso.
I problemi iniziarono quando dovetti andare alla Fiera del vino a Verona e curarmi del nostro stand. Mi trovai improvvisamente in mezzo alla gente e tornai a sentirmi corteggiata. Resistetti un paio di giorni, ma al terzo non ce la feci più. Avevo conosciuto un produttore francese a conduzione familiare, come la nostra azienda. Il responsabile era il giovane rampollo della famiglia, il bel Roland, che una sera mi invitò fuori e la serata finì nella sua camera d’albergo. Quella sera mi tornò l’appetito per il sesso. Facemmo tutto e in tutte le posizioni possibili. Fu lì, in quella camera, che io per la prima volta corsi il pericolo di venire sverginata anche di dietro. Mentre mi scopava mi andava sempre con un dito nel culo e la cosa in genere non mi era mai dispiaciuta. Solo che lui era insistente. Quando mi prese da dietro poi cominciò a leccarmi con cura proprio lì e io godevo e mugolavo per il piacere. Poi si era staccato un attimo e un istante dopo sentii che voleva entrare dentro, ma io non glielo permisi. Sapevo che si faceva, l’avevo visto fare nei film porno, ma a cosa non mi piaceva, non mi sentivo di volerla fare e quindi non l’avevo ancora mai fatta.
Nicole fu molto carina quella sera. Il mio racconto le era molto piaciuto. Mi disse che mi capiva, anche se lei non sentiva attrazione per il sesso maschile. Mi disse anche che avrei fatto bene a risolvere presto il mio problema di relazione con Mario per non continuare con un’ambiguità che alla lunga mi avrebbe fatto male.
Fu quella stessa sera che io le dichiarai che io provavo più piacere a scopare con gli uomini. Il piacere che provavo con lei era di altra natura, ma lo adoravo e io non volevo perderlo. Il mio istinto però mi faceva preferire il maschio. Le chiesi se questo la rendeva gelosa. Lei mi rispose che aveva avuto molte relazioni simili alla mia e che a lei bastava sapere di potermi avere, di tanto in tanto. Lei godeva a vedermi godere. Fu allora, a sentirla, che mi venne in mente un episodio della mia vita di studentessa universitaria. A quei tempi io d’estate viaggiavo e stavo a lungo all’estero per perfezionare le lingue che avevo studiato. Una volta, dopo essere stata per un paio di mesi ad Heidelberg in Germania, pensai di andare più al nord per vedere i paesi scandinavi, dove non ero ancora andata. Andai prima a Copenhagen e poi di lì proseguii verso la Svezia e fu sul traghetto tra la Danimarca e la Svezia che conobbi una coppia svedese con cui feci amicizia. Avevano passato i trenta tutti e due, parlavano l’inglese perfettamente ed erano molto belli. Lui, Björn, era biondastro, alto e di corporatura atletica e lei, Linda, era invece scura di capelli, con un volto molto dolce e gli occhi azzurri. Aveva una magnifica pelle color perla e aveva sempre un’andatura tranquilla, ondeggiante con quelle sue lunghe gambe, che la rendeva affascinante. Seppi che era finlandese. Io non mi stancavo mai di guardarla. Dovevano essere pieni di soldi perché avevano una macchina favolosa ed avevano addosso abiti di gran marca. Furono subito molto carini con me, mi invitarono a mangiare con loro sul traghetto e mi dissero subito che se volevo potevo seguirli in macchina e andare a Stoccolma, dove potevo star da loro il tempo che volevo. Io non me lo lasciai dire due volte e li seguii. In viaggio mi raccontarono di loro. Lui era un grosso imprenditore e lei aveva una catena di negozi di profumeria. Avevano viaggiato molto ed erano stati più volte in Italia. Mi promisero ridendo che la prossima volta in Italia sarebbero venuti a comprare il vino dai miei nonni, se io fossi stata lì. Sentivo attrazione per ambedue e sentivo nell’aria che avrei dovuto aspettarmi cose piacevoli in loro compagnia.
La loro era una casa splendida, una grossa villa con un grande giardino che scendeva fino al mare. Sulla riva c’era un molo dove era ormeggiato un motoscafo ed a fianco del molo si vedeva una piccola costruzione in legno che più tardi avrei scoperto che nascondeva una sauna.
Lui mi portò subito nella camera degli ospiti, al piano superiore, una bella camera con vista sul mare. Sei ore di viaggio in macchina mi avevano un po’ spossata, così mi sdraiai e dopo un attimo mi ero addormentata. Più tardi sentii bussare. Quando aprii era Björn che aveva addosso un accappatoio. Porse anche a me un accappatoio, mi disse che avevano preparato la sauna e voleva sapere se volevo andare anch’io. Io la sauna non l’avevo mai fatta, ma dissi subito di si. Mi disse di spogliarmi, di mettermi l’accappatoio e di raggiungerli alla casina sul molo. Era una bella giornata estiva, ma l’aria non era così calda come in Italia. Scesi alla casina sul molo, aprii la pesante porta e fui investita da un’ondata di calore. La porta si richiuse dietro di me e io mi trovai in uno spazio quadrato dove ad un lato si vedeva una stufa elettrica coperta da grosse pietre. Alle altre pareti scorreva un’impalcatura di legno con due file di banchi per sedersi e tutto all’interno ero ricoperto di legno. Vidi subito Björn e Linda seduti uno di fronte all’altro. Avevano un asciugamano per ricoprire le parti intime, ma lei aveva in mostra due tette stupende, che sembravano scolpite. Io ne rimasi sorpresa, perché dal suo lungo corpo non mi aspettavo un seno così. Mi sedetti vicino a lei e subito lei mi porse un asciugamano. Io feci come loro e mi tolsi l’accappatorio. Non ebbi problemi a mostrare le tette. Björn mi sorrise e io gli risposi con un sorriso. Domandai quanti gradi erano e lui mi rispose che erano settanta gradi. Chiesi cosa si doveva fare e lui ridendo mi rispose che dovevo aspettare e sudare un po’, poi avrei visto. Mi disse che dopo ci saremmo tuffati nel mare. Stetti zitta. Ora il caldo si faceva più pesante ma io cominciavo a sentirmi addosso una sensazione di benessere e mi sentivo sempre più rilassata. Linda si era ora allungata sulla panca a gambe larghe, l’asciugamano le era sceso su una coscia e ora le vedevo il triangolino del pube, che lei si era raso in parte. Era molto sexy e io mi eccitai. Ad un tratto lei si alzò, prese da terra un secchio con dell’acqua e ne gettò uno scroscio sulla stufa. In un attimo si sprigionò una nube di vapore che mi colpì gli occhi e le narici. Istintivamente chiusi le ginocchia. Nel frattempo Linda aveva aperto lo sportello di un frigo che c’era in un angolo. Ne aveva estratto un cubetto di ghiaccio che si era messo in bocca. Poi tranquillamente si era diretta verso di me, si era inginocchiata, mi aveva aperto le cosce e mi aveva infilato la lingua dentro. Fu un attimo. La sorpresa, il freddo della lingua e il calore che sentivo dentro mi paralizzò. L’effetto in me fu elettrizzante. La sua lingua in quei pochi istanti mi fece impazzire. Godetti come una pazza e rimasi per qualche istante in trance. Björn intanto si era seduto accanto a me. Gli si era rizzato e io non feci altro che chinarmi verso di lui e prenderglielo in bocca. Gli facevo il pompino mentre Linda con la sua lingua faceva godere me, così ad un tratto io me ne venni e così facendo feci venire lui che mi spruzzò in bocca. Non ebbi tempo di riprendermi che Linda mi aveva preso per mano e, aperta la porta, mi aveva trascinato sul bordo del molo e spinto nell’acqua. Fu uno shock perché l’acqua era gelata, ma mi ripresi subito e mi sentii da Dio.
Tornata in camera feci una doccia e mi misi a ripensare all’incredibile momento trascorso nella sauna. Sicuramente le ore insieme a loro, i discorsi, gli scherzi che avevamo fatto, le piccole provocazioni, avevano creato molta aspettativa tra noi e questo forse spiegava quell’esplosione. Quello però che mi stupiva era l’eccitazione che provavo per Linda e ora non vedevo l’ora di sentirla vicina, di guardarla, di carezzarla, di godere con lei. Non avevo mai provato qualcosa di simile per una donna. Guardai Nicole, mentre dicevo quelle parole, e poi aggiunsi che non l’avevo mai provato prima di conoscere lei. Lei rise.
Io continuai così il mio racconto.
Tornai giù da loro e li trovai in cucina che stavano preparando la cena. Mi dissero che sarebbe venuto un loro amico a cenare con noi. Avevano preparato un cocktail e ci sedemmo in salone ad attendere l’ospite. Ad un tratto fu Björn che tranquillamente venne a sedersi accanto a me, mi infilò una mano sotto la blusa e cominciò a carezzarmi una tetta. Sorridendomi mi disse che erano felici di avermi incontrato. Poi senza alcun pudore confessò che lui e Linda erano entrambi bisessuali e da tempo avevano relazioni con altre persone di ambo i sessi. Avevano fatto anche scambio di coppia e altre cose più o meno trasgressive, almeno agli occhi della gente normale. Ma continuavano ad amarsi. L’uomo che stavano aspettando era anche lui bisessuale, così quella sera, mi disse, ci saremmo molto divertiti. Linda mi guardava intanto sorridendo. Poi si alzò e venne verso di me. Quando mi fu vicina mi alzò la gonna e ridendo vide che avevo addosso le mutande. Poi si voltò e sporgendo il sedere fece lo stesso con il suo abito, ma lei sotto era nuda, e vidi che aveva un plug nel sedere. Io non ne avevo mai usati da nessuna parte. Non mi erano mai piaciuti i metodi non naturali. Non capivo perché portava quell’aggeggio nel culo e andai a sedermi vicino a lei per chiederglielo. Lei si stupì della mia domanda. Mi disse subito che sia a Björn che all’amico, che si chiamava Axel, piaceva il sesso anale e lei in quel modo si preparava. Mi disse che si era anche già lubrificata, per essere pronta. Io non potei fare a meno di domandarle che piacere provava e lei mi rispose che bisognava provare per credere. A lei piaceva molto, soprattutto quando lo faceva con Björn. In quel momento divenne come una gattina e si mise a far le fuse con me. Il cocktail aveva cominciato a farle effetto, evidentemente. Mi chiese se volevo provare anch’io, cominciò a leccarmi sul collo, poi mi disse in un orecchio che mi poteva leccare il culo, così scese prima con la lingua tra le mie cosce e poi mi voltò, mi separò le natiche e dolcemente cominciò a leccarmi tutto attorno e dentro all’orifizio . Non era la prima volta che qualcuno mi leccava lì dietro, ma lei mi aveva così eccitato con la sua insistenza che se adesso Björn che si era intanto avvicinato, avesse voluto l’avrei fatto subito. Ma suonarono alla porta e si ruppe l’incanto.
Quando finalmente arrivò Axel ci mettemmo a tavola a mangiare. Axel era anche lui un bell’uomo. Non aveva l’aspetto nordico, poi mi disse il cognome e mi disse che era di origine polacca. Seppi che faceva il modello e ogni tanto gli davano particine in film o alla TV. Lo avevano messo seduto a fianco a me e lui dimostrò subito per me grande interesse. Mi disse che non aveva mai conosciuto una ragazza italiana e che era molto curioso di vedere se ero come se l’immaginava. Gli chiesi cosa si aspettava da un’italiana ma non mi seppe rispondere. Mangiammo e bevemmo e Linda,, probabilmente per effetto dell’alcol, cominciò a fare la troietta sotto gli occhi divertiti dei due uomini. Si mise prima a girare attorno al tavolo in pose provocanti. Poi si mise a terra a quattro zampe strisciando sul tappeto come un felino. Senza mutande io le vedevo il plug ondeggiarle tra le natiche e mi domandavo quanto i due uomini avrebbero resistito. Poi d’un tratto lei mi venne incontro e disse che ora era il mio turno di esibirmi. Anche io avevo bevuto e mi sentivo piuttosto allegra, così, senza rispondere mi alzai dal tavolo e cominciai a fare alcuni passi a ritmo di danza. Linda corse a mettere un disco e un istante dopo cominciai lo spettacolo A scuola ero stata una brava ginnasta e ora sapevo ancora gestire il mio corpo con una certa abilità. Sapevo fare la spaccata e la ruota. Alternai quindi un po’ di acrobazia con lo spogliarello, che iniziai a fare lentamente e ammiccando, come avevo visto fare diverse volte. Mi sentivo molto eccitata quando alla fine rimasi nuda e mi gettai sul divano a gambe spalancate. Mi sentivo pronta a tutto. Sentii le urla di approvazione e un istante dopo Linda era corsa da me e aveva cominciato a baciarmi. Quando poi si inginocchiò per andare tra le mie gambe vidi Björn che le si avvicinava, e toltele il plug, senza indugio cominciò a scoparla nel culo. I colpi che le dava arrivavano fino a me, così io godevo ancora di più. Poi vidi che anche Axel si era avvicinato e ora si era inginocchiato dietro a Björn. Non avevo mai visto due uomini scoparsi e ne rimasi scioccata. Non resistetti alla scena, presi subito Linda per mano e la portai in camera mia. La serata finì così per me tra le braccia di Linda e i due uomini li rividi solo la mattina dopo.
La mattina dopo, quando ci ritrovammo a fare colazione, c’era un po’ di freddezza nell’aria. Probabilmente i due uomini si sentivano traditi. Io comunque avevo deciso di partire e fu così Linda ad accompagnarmi all’aeroporto. In macchina le dissi che mi era dispiaciuto di aver rovinato la festa, ma Linda rise. Mi disse che mi capiva. Anche lei era rimasta scioccata quando si rese conto che a Björn piacevano anche gli uomini. Ma in fondo a lei piacevano anche le donne, così si era instaurato un tacito accordo tra loro, che funzionava molto bene.
Guardai Nicole, che mi aveva ascoltato tutto il tempo senza battere ciglio e la vedevo un po’ rabbuiata. Le dissi che quella era stata l’ultima volta che me l’ero fatta con una donna. Linda sarebbe piaciuta anche a lei, aggiunsi. Ma nessuna donna mi aveva mai fatto godere come Nicole.
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