Quel molesto deisiderio

di
genere
prime esperienze

Quel molesto desiderio
Di Davide Giannicolo

Quando avevo diciotto anni mi innamorai di un uomo molto più grande di me, i suoi sguardi invadenti spesso riuscivano a farmi stare male, il mio giovane ventre sembrava sul punto di sciogliersi in quei momenti, senza che io potessi fare nulla per impedirlo.
Non era bello ma racchiudeva in sé un fascino oscuro, i suoi occhi, verdi e penetranti, sembravano specchi precari dietro i quali si nascondevano labirinti di torbida passione.
Era stato sposato già due volte in passato, ma quell’estate era tornato al paese in compagnia di una ragazza poco più grande di me, era bella, ben vestita e sempre sorridente, tutti sapevano che erano amanti ma lui si ostinava a presentarla come sua nipote.
Io ero giovane e volubile a quei tempi e non facevo altro che fantasticare riguardo quell’uomo, pensavo alle sue mani nodose nell’atto di accarezzarmi, a baci forzati che inizialmente non avrei concesso , unicamente per pudore, ma sapevo che lui non era certo un ragazzino, che non si sarebbe fermato, mi avrebbe forzata, stretta a sé contro la mia volontà e allora dopo una simbolica resistenza mi sarei disciolta in un languido abbandono.
Ma questi rimanevano però soltanto i sogni a occhi aperti di una ragazza poco più che adolescente.
Un giorno però, mentre ero di ritorno a piedi da un paese vicino, sotto un sole cocente, vidi la sua lussuosa automobile accostarsi, i vetri erano calati e quando guardai dentro notai che era solo, non c’era con lui la “nipote”.
Mi sorrideva con quel suo sguardo impassibile e rilucente, colmo di tremolanti lucori.
“Sali, ti accompagno a casa!”
Il cuore colpiva le ossa del mio petto come fosse un prigioniero irrequieto, faceva caldo, orribilmente caldo, e le mie gambe cominciarono a tremare.
Sorrisi e salii in macchina senza proferire una parola, allora notai che la sua espressione era mutata, adesso nel suo sguardo carpivo quegli oscuri desideri che tanto mi avevano colpita in altre occasioni, quegli occhi si soffermarono per un istante sulle mie gambe sudate, allora sentii nel mio stomaco l’appiccarsi di una vampa indistinta, traboccante calore misto a un gelo sconosciuto mai provato fino ad allora.
Ero salita in quella macchina con la mente temeraria di chi sta compiendo una follia, come se mi fossi tuffata in un salto nel vuoto con gli occhi chiusi ed il cuore accelerato, avevo paura, non di quell’uomo però bensì dei misi stessi desideri.
“Tua nipote?” Gli chiesi ad un tratto infrangendo quel silenzio che altrimenti mi avrebbe soffocata rivelando le mie vergognose voglie.
Lui mi sorrise, con l’espressione di chi si rivolge a una bambina.
“L’ho accompagnata alla stazione, stava cominciando a fare troppi capricci!”
Non odiavo quella ragazza, semplicemente la invidiavo, fui dunque molto contenta della sua dipartita.
“Hai voglia di andare a casa?”
Disse lui divenendo improvvisamente serio e spaventandomi per il suo repentino cambio d’espressione.
“Perché vuoi andare da qualche altra parte?” Gli dissi in un sorriso nervoso, percepivo gocce di gelido sudore percorrermi la schiena, ero a disagio e lui certamente lo notava.
“Mi chiedevo se avevi voglia di passare da casa mia, l’hai mai vista dentro?”
Aveva una casa bellissima, no, non l’avevo mai vista dentro ma certo non mi interessava.
Quella sensazione inconfessabile si moltiplicò dentro di me, il desiderio violento di abbandonarmi a lui, di concedergli qualsiasi cosa, mi divorava dall’interno.
E se qualcuno mi avesse visto entrare in casa sua? Se avessero avvisato mio padre e ci avrebbe sorpresi insieme? Per me sarebbe stata la fine.
Ma acconsentii con fievole voce, in un debole sussurro gli dissi che avrei visto volentieri casa sua.

*
Non appena fummo dentro lui cambiò radicalmente, aveva sicuramente già deciso di farmi sua dalla prima volta in cui ci eravamo visti, perché solo allora capivo che il suo era lo sguardo del predatore e non ne poteva più di fingere, così accadde tutto come lo avevo sognato.
Le sue carezze, prima fugaci, poi quasi violente, la mia debole, fittizia resistenza, poi il suo respiro, sempre più pesante e affannoso, s’avvicinava al mio collo per poi baciarlo avidamente, morderlo, inghiottirlo, come in seguito fece col resto delle mio corpo ormai seminudo.
Ero in balia della sua forza, non capivo più nulla poiché una sorta di ebbra eccitazione mi ottenebrava il cervello, mi lasciai così andare alla sua passione, a quel trasporto quasi animale che mi faceva male ma allo stesso tempo accendeva il mio ventre di peccaminoso abbandono.
Se devo pensarci adesso, a distanza di anni, quell’uomo molto più grande di me non mi trattò certo con dolcezza, ma mi usò il rispetto e la tenerezza che si devono ad una vergine quale io ero, poi mi abbandonò aiutandomi a rivestirmi, mentre ancora le lenzuola erano macchiate dal rosso del mio primo amplesso virginale.
Dopo quel giorno la vergogna mi accompagnò per molti mesi, come fosse una vecchia megera alla quale ero stata affidata.

*
Non parlai mai a nessuno di quanto accadde, tanto meno al mio attuale marito, più tardi seppi che la nipote amante di quell’uomo in realtà non era partita, lui l’aveva mandata all’ospedale, a causa forse di gravi percosse, lei confessò rivelando una certa inclinazione alla ferocia che caratterizzava il suo amante, un uomo geloso e violento a sua detta.
Da allora lui sparì ed io, anche dopo il mio matrimonio, ogni estate sono sempre tornata al paese senza più rivederlo.
Ora ho due figli e proprio quando loro avevano rispettivamente sei e quattro anni, in una torrida giornata d’agosto, mentre passeggiavo lungo il sentiero in cui lui si affiancò con l’automobile, lo rividi, ormai quasi sessantenne ma ancora solido e affascinante, accompagnato da un paio di sgualdrinelle che erano poco più adulte di me nel momento in cui prese la mia verginità.
Mi fece un certo effetto rivederlo, rabbia mista a smarrimento, volevo che mi notasse ma non ebbi il coraggio di avvicinarmi, così proseguii dritta per la mia strada.

*
Fu alla festa di paese che lui mi notò e a giudicare dalla luce che scrutai nei suoi occhi mi riconobbe all’istante.
Non mi aveva dimenticata così come io non avevo fatto con lui, si, perché nelle mie notti di rimorsi io in realtà non feci altro che desiderarlo e continuare a fantasticare.
Non avevo dimenticato il sapore della sua bocca sulle mie labbra, un sapore che si era impregnato nella mia carne, indelebilmente impresso, e ogni volta che mi soffermavo a fiutare il mio labbro superiore mi sembrava di carpire quella sua fragranza, come se la mia bocca fosse ancora cosparsa dall’umidore dei suoi baci, e allora ricordavo quel peccato nascosto nei recessi oscuri del mio ventre, quella violenta passione che credevo di aver completamente rimosso, quell’abbandono a cui mi ero concessa e che nessun uomo mi aveva mai fatto provare dopo quel giorno.
Ci vedevamo spesso giù in paese, e i suoi sguardi divennero sempre più insistenti, mio marito non si accorgeva di nulla, mentre lui mi osservava senza ritegno io guardavo il padre dei miei figli che ultimamente non faceva altro che distruggere il romanticismo che ci aveva innamorati.
Una sera, nel pieno della festa, che durava una settimana, lui si alzò dal suo tavolo lasciando sole le sue due appariscenti accompagnatrici, mi scrutava ancora, fissamente.
Ad un tratto mi sentii come allora, come quando dieci anni prima entrai nella sua macchina senza pensare a nulla, tuffandomi nel baratro ignoto di una torbida, magnetica passione, e allora quell’impensato ritorno di fiamma sconvolse nuovamente la mia vita, avevo la serenità di una famiglia, l’amore dei miei figli, tutto questo era lì a quel tavolo, ma mi alzai lo stesso e lo seguii, mossa da strani sentimenti di paura, senza dire una parola né a mio marito né ai miei figli mi appartai con l’uomo che anni prima aveva preso la mia verginità per poi abbandonarmi come fossi una delle sue corrotte e viziate sgualdrine.
Mi ero illusa di averlo dimenticato, seppellito sotto gli strati della mia vita comune, d’aver annegato quella strana passione nel fondale ricoperto dalle immote acque del mio passato.
Ma non era così, quando la fiamma della voluttà ritorna finisce per bruciarti in maniera dolorosa, avvampa le percezioni rendendoti schiavo di essa, ed un simile fuoco non si può dominare, perché c’è un preciso motivo per cui non si dimentica, ovvero la passione, il desiderio, o semplicemente un qualcosa rimasto in sospeso che attende di riaffiorare al fine d’esser risolto.
Questo tipo di ritorno di fiamma non può essere nascosto, né essere soffocato sotto falsi sentimenti unicamente allo scopo di preservare ciò che ci eravamo creati, queste situazioni sono simili a fiumi inquieti che rompono gli argini seminando indistintamente follia e distruzione e lo fanno con innocente cecità.
Per questo io quella sera mi alzai, ipnotizzata dal suo sguardo smeraldino, rimasto lo stesso di tanti anni prima, mentre gli andavo contro però non mi rendevo ancora conto di quello che stava accadendo, ero come imbambolata, rapita da una sorta di stato di trance, le mie gambe tremavano, la testa mi sembrava pesante, provavo nuovamente le stesse sensazioni di quando mi condusse alla sua ricca casa.
“Non gli darò speranze, sarò acida e spregevole! Ho un marito, dei figli, anche se hai creduto d’amarlo e adesso il dubbio ti torna non puoi comportarti come una prostituta qualunque!”
Pensavo queste cose mentre mi avvicinavo ma per contraddizione notavo la sua bellezza maturata negli anni, il suo portamento fiero, le mani massicce che mi avevano toccata con bramosia, le larghe spalle alle quali mi ero aggrappata in preda all’oblio dell’estasi, era ancora terribilmente bello, nonostante fosse passato tutto quel tempo, intimante lo desideravo nonostante mi aggrappassi ai pensieri di prima, timorosa di infrangerli, poiché se lo avessi fatto si sarebbe sgretolata anche quella che fino ad allora avevo creduto una solida esistenza matrimoniale.
Fummo finalmente faccia a faccia ed il cuore cominciò a battere come quando ero adolescente, sorridendo mi rivolse la parola:
“Lucia, sei tu?”
Non so che faccia avevo in quel momento, molto probabilmente apparivo come una signora che si avvicina ai quarant’anni e vuole apparire piacente agli occhi di un suo ex e nel far ciò non lascia trasparire altro che un triste senso del ridicolo.
“Sono passati molti anni!” Gli risposi.
“E tu non sei cambiata affatto, anzi, sei molto più bella!”
Sorrisi ma provai rabbia, non capivo dove voleva arrivare, se lui avesse assecondato il mio desiderio sarebbe stata la fine, non potevo lasciarmi nuovamente trasportare tra i tentacoli di quella passione e lui non mi aiutava affatto in tal senso.
“Ma che fine hai fatto?”
Gli dissi cambiando argomento e facendo finta di ignorare il suo complimento.
Lui sorrise con amarezza e mi disse senza vergogna ciò che in parte sapevo già.
“Sono stato in galera, non lo hai saputo? Ingiustamente tra l’altro, ma non ha più importanza adesso, non ho mai picchiato nessuno che non lo meritasse, ho però ugualmente sentito il bisogno di non farmi più vedere. E tu? Cosa ne hai fatto della tua vita? Perché non ne parliamo bevendo qualcosa? Ne hai voglia?”
Fu come se un polipo si agitasse nelle mie viscere, una sensazione di colpa e peccato già germogliava dentro di me, ma mi trattenei a stento.
“Non posso, devo tornare da mio marito.”
Lui si voltò verso il tavolo dove sedeva il mio uomo insieme ai miei due figli, stanco e annoiato nemmeno ci aveva notati.
“Quindi ti sei sposata…E’ geloso?”
“No, non è per quello, ci vediamo dai devo andare!”
Mi voltai con risolutezza, fermamente decisa a non degnarlo mai più di uno sguardo, uccidendo così il desiderio che in quel momento mi mordeva lo stomaco, lui però mi chiamò ancora mentre ero voltata.
“Lucia!”
Io allora mi girai verso di lui e avevo voglia di piangere, non so se per rabbia o per amore, in quel momento mi disse ad alta voce delle parole molto pericolose:
“Io non ti ho mai dimenticata!”

*
Piansi ininterrottamente quella notte, voltata dall’altra parte del letto mentre mio marito dormiva, non mi aveva neanche chiesto chi era quell’uomo e tanto meno si era accorto della mia irrequietezza durante il resto della serata, ero infatti scappata al mio tavolo senza rispondere a quella affermazione dolorosa, ma mio marito sembrava far finta di nulla.
Non uscii di casa per una settimana, unicamente allo scopo di non incontrare la mia vecchia fiamma, soffocando così i miei confusi sentimenti e preservando quel triste matrimonio.
L’estate intanto volgeva al termine e spesso le giornate all’ormai semideserto paese si tingevano di sfumature malinconiche dovute alle prime piogge di un autunno incombente.
Di tanto in tanto mi capitava non volendo di pensare a lui, era un poco di buono, uno che circuiva ragazzine, non riuscivo a trovare lati positivi in lui eppure quando la mia mente si soffermava sulla sua figura provavo una terribile stretta interiore ed ero incapace di contenerla, avevo timore di essere sopraffatta da essa e abbandonarmici nuovamente, così come avevo fatto anni prima.
Non avevo mai provato un simile sentore, nemmeno nei primi istanti in cui capii di amare mio marito, questa cosa mi spaventava, provavo un morboso senso di colpa che mi stava logorando poiché anche se mi ero barricata in casa e fingevo di non pensare a lui, la prima pioggia che percuoteva i vetri della finestra mi faceva tornare alla mente, il mio cuore cominciava a seguire il battito scrosciante del temporale estivo e le malinconiche vette di quella malcelata passione cominciavano a tormentarmi lentamente.
La cosa che più mi feriva era la mancanza di ogni seppur minima percezione che sembrava caratterizzare mio marito, che o fingeva di non accorgersi dei miei sentimenti, o semplicemente ignorava ogni cosa, facevamo l’amore di rado e quando accadeva io restavo silenziosamente sotto il suo pesante corpo gemente.
Fino a che punto potevo arrivare conciata in quello stato? In quei giorni cominciai a capire che non potevo andare avanti così, sentivo il bisogno di affrontare il problema, prenderlo di petto e vedere l’effetto che mi avrebbe fatto.
“Non ti ho mai dimenticata!”
Questa frase, che lui aveva pronunciato quella sera, rimbombava in maniera sempre più energica nella mia testa, chissà a quante l’aveva già detta, voleva circuirmi, o semplicemente divertirsi giocando con quella che forse credeva ancora una bambina, questo pensiero mi rese folle di rabbia, la mia era diventata una sfida, se quella fiamma che ci aveva sorpresi era destinata a travolgermi allora avrebbe dovuto farlo con entrambi.
Improvvisamente non ero più disposta a starmene da sola a rimuginare, dunque passai all’azione.

*
Non mi rendevo conto che in quella faccenda le mie emozioni prendevano risvolti adolescenziali, lo stesso periodo d’apatia seguito da una così istintiva e poco coscienziosa voglia di reagire, avrebbe dovuto farmi capire quanto quell’avventura mi aveva fatto tornare giovane e avventata, non più dunque la scialba casalinga in cui mi stavo trasformano negli ultimi anni.
Mi decisi allora a scendere giù in paese, i temporali estivi non avevano cessato la loro malinconica danza e proprio mentre stavo uscendo bussarono alla porta.
Aprii convinta di trovare mio marito, che era uscito per delle compere insieme ai miei figli, sull’uscio invece trovai lui, fradicio di pioggia, con in volto un espressione supplichevole, quasi patetica.
“So che tuo marito non è in casa!” Esclamò lui guardando al di sopra della mia spalla.
“E allora? Questo cosa significherebbe?” Gli risposi con tono crudele.
Lui allora mi spinse dentro chiudendo la porta alle sue spalle, poi mi baciò, con fervido trasporto, inizialmente mi opposi serrando la bocca e spingendo via il suo corpo fremente, ma lentamente, come fosse un bocciolo, la mia bocca si dischiuse, lasciai che ilsuo bacio mi sciogliesse con dolce fermezza, poi i nostri corpi si incollarono, come due magneti di carne si univano mentre un calore profondo, ormai dimenticato, s’impadronì di del mio ventre.
Cominciò a spogliarmi senza mai staccare le sue labbra dalle mie, ero ormai seminuda, lì a pochi passi dalla porta d’ingresso dove mio marito e i miei figli potevano apparire da un attimo all’altro.
“No!” Gli dissi staccandomi dal suo bacio e per l’ennesima volta mi sentivo la stessa, spaventata ragazza di dieci anni prima, restia per pudore ma schiava del mio fervente desiderio, attratta dalla sua carne ma impaurita dalle conseguenze, non avevo più diciott’anni, eppure in me non era cambiato nulla, se allora temevo mio padre adesso ero spaventata da mio marito, solo adesso rifletto sulla follia di quel mio comportamento, cosa avrebbero pensato i mie figli se avessero sorpreso la loro madre, seminuda e avvinghiata ad uno sconosciuto in ambigue movenze amatorie?
Avrei sicuramente distrutto la loro psiche.
Ma anche il mio amante era lo stesso di sempre e non aveva perduto le proprie risolute e barbare abitudini.
Mi afferrò per i fianchi e cominciò a baciarmi il collo, era ancora forte, forte e convincente, gemetti con languore mentre stavo per abbandonarmi ancora a lui, chiusi gli occhi e distesi ogni muscolo, lui intanto percorreva il mio corpo con le sue mani, mi sentivo leggera come una bolla di sapone che galleggia nel buio di una sensazione eterna simile all’estasi, ma d’un tratto riaprii gli occhi e lo respinsi ancora, questa volta agii con straordinaria energia, tanto da mandarlo a sbattere contro la parete, i miei seni erano scoperti e ricoperti dall’umida brina lasciata dai suoi baci, mi affrettai a coprirmi poiché mi sentivo a disagio, così svestita davanti a lui che poi era stato il primo uomo a vedermi nuda.
“Ho detto che devi andartene via!” Gli urlai.
“Tu non capisci Lucia! Non capisci che sono tornato a posta per te!” Rispose lui seguendo il mio tono di disperazione.
Sorrisi, le sue parole esplosero dentro di me facendomi provare una galvanizzante soddisfazione, poi gli dissi:
“E hai deciso di portarti dietro anche quel corteo di sgualdrine? Ma chi vuoi incantare? Ti vuoi solo divertire seducendo una donna sposata!”
Lui era confuso, avanzava verso di me come un automa inebetito.
“Ma cosa dici Lucia? Quelle sono le mie figlie!”
“Si, come l’altra era tua nipote? E la madre? L’hai ammazzata di botte?”
“Non ho mai picchiato nessuno, te lo ripeto, tu non sai quante cattiverie è in grado di dire la gente invidiosa, quelle ragazze le ho avute dalla mia prima moglie!”
Mi importava poco, anche se avesse ucciso le sue mogli io lo avrei ugualmente perdonato, alla carne non si comanda con tanta facilità, restava il fatto che io ormai mi ero creata la mia vita, in cui erano coinvolte persone innocenti, non potevo sbriciolare i loro sentimenti solo al fine di assecondare quella passione molesta riaffiorata dopo molti anni di silenzio.
“Non mi interessa niente, devi andartene e non farti più vedere!”
A queste parole lui abbassò lo sguardo, uscì di casa senza dire una parola, aveva smesso di piovere, lo osservai allontanarsi con passo incerto mentre il temporale cessato aveva dischiuso erbose fragranze tutto intorno, ma nonostante ciò, sul mio labbro superiore aleggiava nuovamente il profumo della sua bocca, allora piansi come una bambina.

*
Mi lavai a lungo, avevo paura che anche mio marito potesse cogliere quel peccaminoso profumo che sembrava marchiarmi labbra e seni, era come se ferri roventi vi si fossero posati segnandomi di invisibile vergogna.
Quando mio marito tornò lo pregai affinché partissimo il giorno dopo.
Tornata in città e presa dagli affari quotidiani continuai ancora per molto tempo a pensare agli avvenimenti di quel giorno, fantasticavo tornando a quelle scene, immaginavo di sciogliermi tra le sue braccia, di acconsentire e non tirarmi indietro, distendendomi lentamente e accogliendolo con trasporto, poi pensavo a mio marito, avevo baciato un altro uomo in casa nostra, avevo consentito a quelle labbra roventi di scorrere lungo i seni a cui solo la bocca del mio consorte avrebbe dovuto avere accesso.
Due anni dopo però scoprii che mio marito mi tradiva già da tempo, divorziai tenendo con me i miei figli e finalmente smisi di sentirmi colpevole, così mi sentii in diritto di cercare quell’uomo, di concludere ciò che avevamo iniziato, non volevo da lui una storia ma un amplesso fugace, un accoppiamento capace di spegnere quella fiamma che era tornata ad avvamparmi due anni prima. Quando andai al paese a cercarlo mi dissero però che era morto, indagai tra le comari e seppi che aveva avuto un infarto la sera in cui decisi di partire.
Fu così che si spense il mio ritorno di fiamma, lui aveva preso la mia verginità e io, inconsapevolmente, avevo preso la sua vita.
In quel momento però non mi sentii minimamente responsabile, non sarebbe stato infinitamente peggio se fosse morto gemendo sul mio corpo con il cuore stroncato?
Immaginai per un attimo la scena, l’umiliazione che ne sarebbe seguita, l’evidenza di un corpo ancora caldo, nudo e privo di vita nel mio letto, gli occhi smarriti e interrogativi dei miei figli…
Capii che ero stata molto più saggia di quanto pensassi a non abbandonarmi a lui quel giorno, perché se lo avessi fatto mi sarebbe morto fra le braccia, così tornai alla mia auto, accesi il motore e mi allontanai dal mio paese natio aspettando la prossima estate.

Fine



di
scritto il
2012-02-27
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