I vizi capitali : Superbia & Ira

Scritto da , il 2020-01-22, genere etero


Quella sera faceva un gran caldo. Alberta andò in cerca del suo spolverino rosso. Da anni non si dava più pena di fare il cambio dell'armadio, da quando aveva tentato di insegnare a Carlo a ripiegare decentemente gli indumenti da riporre. Ma nulla. Non solo quell'ingrato non si complimentava mai con lei per il suo perfetto lavoro di casalinga operosa, ma osava pure gettare le camicie appena stirate una sull'altra vanificando i suoi sforzi. Cosicché, in buona parte della stanza da letto era finito per regnare sovrano un disordine nel quale nulla si trovava. Alla fine riuscì a raccapezzare una camicetta leggera che tutta abbottonata lasciava intravedere in trasparenza il colore del reggiseno e quello della sua pelle. Una pelle ancora tonica che, manco a dirlo, Carlo non apprezzava a sufficienza. Ritrovò pure una gonna a fiori. Si liberò dell'accappatoio e andò a piazzarsi davanti allo specchio in corridoio.
Adorava osservare il proprio corpo, prendersi le tette e avvicinarle notando che l'età non ne aveva provocato il cedimento. Amava ricevere apprezzamenti sul suo ventre piatto e le bello gambe lunghe che però non arrivavano. Veramente, Carlo la stava osservando dalla cucina, appoggiato al davanzale con un bicchiere di whisky e avrebbe anche esposto il suo compiacimento e magari qualche timida avance. Non lo fece. E non lo fece perché sapeva già che la risposta della moglie sarebbe stata il classico “seee, ti piacerebbe”, che usava per punirlo di non essersi complimentato abbastanza in fretta.
Alberta gli lanciò un'occhiata di sbieco, allora lui filò a letto lasciando il whisky a metà.
“Maledetto.” Pensò. Tanti sforzi per tenersi su bella e profumata e mai una parola da quel tizio che ora strisciava a mettersi il pigiama come una lumaca in cerca il guscio perduto.
Infilò gli abiti e sistemò il crocefisso d'oro che teneva appeso al collo nello spazio intermammario poi si avviò verso la cucina.
Carlo dalla stanza da letto pensò di chiederle dove intendeva andare a quell'ora tutta in tiro ma non volendo stizzirla optò per un altro approcio.
“Sei bellissima con quella camicia. Vieni di qua, fammi vedere come ti sta.”
“Seee, ti piacerebbe.”
Dato il riscontro la lumaca si avvolse nella coperta decisa a cedere al sonno eterno ormai collaudato della sua vita sessuale.

Alberta andò verso il davanzale, incrociò l'insegna del locale di Guido e il bicchiere mezzo pieno lasciato da Carlo le strizzò l'occhiolino.
“Non ho intenzione di cederle caro signore!”
Disse decisa rivolgendosi in parte al marito che non l'ascoltava più e in parte alla bevanda alcolica che pure avrebbe lenito la sua tristezza di donna consapevole di come stessero andando sprecati i suoi migliori anni e il suo splendore, assieme alle sue meravigliose qualità morali che nessuno lodava.
Poi cedette. Cedette sul tardi, quando constatò mezza stesa sul divano che non sarebbe riuscita a chiudere occhio. Si sentiva una dea Afrodite espulsa dall'Olimpo, prigioniera in un mondo meschino che non era il suo. Svuotò il bicchiere mezzo pieno e dopo un altro. Crebbe il suo ardore, di pari passo con l'erbaccia della frustrazione innaffiata dall'alcol.
Dopo il terzo bicchiere ingollato d'un fiato seppe finalmente dove si trovava il suo mondo.
Esso era là fuori, indicatole dall'insegna dei “Peccati”, contenuto nella cucina di Guido che deteneva le chiavi della sua gioia tutta intera. Insieme alla grassona però. Doveva uscire e rimediare subito all'affronto che le facevano Carlo col suo ignorarla e la pasticcera col suo sottrarle la gioia, ripagandoli con la stessa moneta. Mentre cercava le chiavi del portone, lo spolverino saltò fuori per magia dal suo nascondiglio. Era lì appoggiato ad una sedia. Lo prese e scese in strada.

Se qualcuno l'avesse vista da lontano correre in fretta e furia, l'avrebbe probabilmente scambiata per una pendolare in ritardo che cerca di salire sull'ultima metro del mattino a disposizione. E invece quella sagoma che camminava velocemente, in una serata piena di stelle di uno sperduto paesino di provincia, aveva altri progetti, lussuriosi e controversi, misti di desiderio e di speranza. Era sicura che lo avrebbe trovato in osteria, e quando trovò l'uscio socchiuso, fu scossa da una ignota frenesia.
Fu così che la sagoma dallo spolverino rosso scomparve dalla strada e penetro' silenziosa nel locale. Guido era lì, seduto su una poltroncina. Alberta era sicura che fosse lui, nonostante l'uomo le desse le spalle. Stava dormendo, beato e solo.
-Chissà quanto sarà stanco, avrà lavorato molto, povero uomo...
Lo compativa, lei. Avida e arida, mostrava un poco di pietà per quell'uomo che le aveva scombussolato la mente negli ultimi mesi.
- Magari gli faccio un piccolo regalo. Lui gradira '
Si fece coraggio, come se anche un atto sessuale andasse a cozzare con la sua proverbiale avarizia e dovesse essere, per questo, una concessione generosa. Decise di spegnere la luce,​ per dare un alone di mistero a quella folle serata, e seguendo il raggio di luna si avvicinò a lui.
Lentamente, gli aprì la patta e abbassò gli slip.
Dormiva ancora lui, ignaro.
Si accovaccio' ai suoi piedi, ritrovandosi col suo pene in faccia. Lo baciò con estrema dolcezza e lo annuso'.
Da tanto non sentiva quell'odore aspro... Poi iniziò a solleticarlo con la lingua, muovendola lungo l'asta. Si soffermo' sulle palle e prese a succhiarle. L'uomo si mosse.
- Avrai un dolce risveglio.
Pensò tra sé, mentre la sua bocca continuava a succhiare i testicoli, per poi passare di nuovo al pene.
Il fortunato aveva avvertito la presenza della donna e​ inizialmente aveva creduto di sognare.
Poi aveva aperto gli occhi e intravisto una sagoma a capo basso, inginocchiata ai suoi piedi, assorta in uno dei pompini migliori che avesse mai avuto. Magistrale davvero questa ignota creatura, disse tra sé, e non volle disturbarla. Venne nella sua bocca e fu l'orgasmo più potente della sua vita.

Quando Alberta alzò lo sguardo, rimase a dir poco scioccata. Il fortunato, che aveva goduto del suo sublime pompino, non era Guido.
Alberta non riusciva a parlare, e la sua bocca appiccicosa dello sperma non del tutto ingoiato tremava. Sperma che doveva essere di Guido, se i suoi piani si fossero realizzati.
Lei aveva desiderato Guido, fantasticato per mesi, e ora, quando finalmente credeva di avercela fatta, aveva fallito miseramente.

- E questo babbuino se la ride anche... Si prenderà sicuramente gioco di me. Sono certa che mi ha riconosciuto e che tutto il paese saprà...

Questo pensiero non le dava pace... Cosa ne sarebbe stata della sua immagine? In fondo, era la moglie di uno degli insegnanti più rinomati del paese, una donna incorruttibile e perbene.
Urlò come una ossessa, chiamandolo nel peggiore dei modi. E l'uomo divenne il suo bersaglio. Alberta gli lanciò contro tutti gli oggetti che le venivano a tiro. Il malcapitato urlava, provava a proteggersi dall'assalto, ma era una lotta feroce e inaspettata. E lui era un uomo pacifico, che giaceva tra le braccia di Morfeo un attimo prima. Non aveva nemmeno avuto la prontezza di chiudersi i pantaloni e di sistemarsi gli slip, e il suo cazzo ancora sporco ma oramai flaccido, penzolava come un vecchio pendolo.
Un libro, un tablet, alcuni bicchieri poggiati sul tavolino, e un pesante posacenere di terracotta, pieno zeppo di mozziconi. C'era sangue ovunque e quella stanza, che precedentemente era stata teatro di uno storico pompino, sembrava la scena di un crimine.
Imbrattata di sperma, e sbollita la rabbia, Alberta scappò via, in una nuvola di vergogna, e qualcuno vide la sagoma con lo spolverino rosso riattraversare la strada, ma stavolta il suo capo era chino, come se volesse cercare fiori.

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