Un pomeriggio di shopping andato male

Scritto da , il 2019-05-10, genere etero


Un’altra giornata persa all’università. Il professore per l’ennesima volta non si è presentato al ricevimento in ufficio e mi tocca annegare i dispiaceri sfilando una terza sigaretta dal pacchetto di Marlboro, fresco d’acquisto.
Strofino i polpastrelli sulla fronte, cerco di mantenere la calma e nel frattempo do un’occhiata all’orario sul telefono. Sono le due in punto.
–Bene, e adesso cosa faccio? Il treno è alle cinque.
Penso, mentre sistemo i libri in borsa e mi avvio verso l’uscita, trovando mentalmente un luogo dove passare il tempo ed alla fine vince la mia passione per lo shopping.
La passeggiata è tranquilla, il corso sembra quasi deserto che è un piacere starci, i negozi però per la maggiore sono chiusi e devo accontentarmi delle vetrine.
-Bellezza!
Una voce maschile mi fa girare di scatto ed indietreggiare di qualche passo.
-Hey, il negozio è aperto?
Ero appena passata al solito negozio in cui faccio acquisti, le luci erano spente e quindi ero passata avanti senza nemmeno provare ad entrare.
-No, ma io solitamente resto, non mi conviene andare avanti ed indietro abitando a mezz’ora da qui.
Faccio un ampio sorriso, non conoscevo nemmeno il suo nome ma mi era capitato spesso scambiare qualche chiacchiera con lui, con la differenza del brusio di sottofondo.
-Come passi il tempo, non ti annoi?
Chiedo, cercando di fare attenzione alla sua figura, forse per la prima volta. Mi ero focalizzata sugli occhi, un marroncino chiaro che sfiorati dal tocco della luce si schiarivano in una circonferenza verdeggiante. Il suo sorriso accompagnava il mio, con maggiore sicurezza.
-A dire il vero si, però metto a posto, faccio le foto da mettere sui social e alla fine mi tengo occupato. Tu invece, che ci fai a Napoli?
Sollevo gli occhi al cielo, ripensando alla mattinata fallimentare. Intanto mi appoggio al muro dato che i tacchi, seppur bassi, iniziavano a dar fastidio.
-Dovevo far controllare alcuni capitoli della tesi, lasciamo perdere. Ho anche il treno alle cinque, quindi per non annoiarmi stavo facendo un giro da queste parti.
Apre meglio la porta del negozio, spalancandola. Il suo avvicinarsi mi permette di inspirare il suo profumo. Oltre allo sguardo, la seconda cosa che noto è l’odore maschile ed il suo era avvolgente e speziato.
-Dai entra! Pure non hai niente da fare, almeno mi fai compagnia.
Avrei rifiutato, ma alla fine le mie gambe si erano mosse da sole, sgattaiolando all’interno. Mi siedo, accavallando le cosce fasciate dai jeans chiari e sistemo la camicetta, controllando che i bottoni siano perfettamente chiusi e nel sollevare lo sguardo incontro le verdi iridi che molto probabilmente avevano seguito le mie, azzurre.
-Hai sete?
Dice, mentre solleva una bottiglina d’acqua e alla mia negazione, svita il tappo e beve a lunghi sorsi. Le labbra si lucidano ed il pomo d’Adamo diventa ipnotico, agitandosi velocemente. Trovai davvero sensuale lo strofinare indice e medio piegati, tanto da rendere quel gesto quasi elegante.
Ormai era palese, il ragazzo non mi era per niente indifferente. Per evitare che si accorgesse del mio imbarazzo, iniziai a guardare i vestiti esposti, soffermandomi su uno in particolare.
-Questo è bellissimo! Un po’ appariscente ma bello davvero.
Subito si era precipitato a mostrarmelo meglio, ormai abituato al mestiere. Un tubino nero che però sui fianchi aveva delle trasparenze in pizzo, così come sulla schiena.
-Dai provatelo, non devi nemmeno fare la fila per il camerino.
Intanto già aveva riposto la gruccia sul bancone ed io dopo una passeggera titubanza, avevo chiuso la tendina alle mie spalle. Poso la borsa sul pouf, sfilo le scarpe e inizio a litigare con le asole, fino a liberarmi del tutto, camicia e pantalone che ripongo sull’appendiabiti.
Ero in intimo, reggiseno bianco semitrasparente con fiocco al centro delle coppe ed in coordinato il perizoma.
Mentre regolo le bretelle, sento qualcuno osservarmi. Non faccio in tempo a girarmi che le mani dell’uomo stringono prepotenti i miei fianchi, bloccando anche le mie di mani, attorno ad essi. La sensazione era molto strana, il cuore batteva a mille, non mi piaceva per niente quella situazione, in cui non ero libera delle mie azioni, allo stesso tempo il suo alito caldo sul collo mi faceva fremere.
-Sssh, ho chiuso la porta a chiave, mi piaci da morire, ti desidero.
Ogni parola era scandita da un bacio che percorreva la linea della giugulare fino a raggiungere il lobo dell’orecchio che aveva iniziato a succhiare.
-Ma che cazzo fai? Sei impazzito? Lasciami, sei un coglione malato, lasciami.
Deglutivo forte, mi agitavo, cercando di svegliare il mio corpo dal dolce torpore in cui si stava assopendo. Eppure mi piaceva, quel calore che poco prima riscaldava il collo, adesso pervadeva la mia interezza, in particolare tra le gambe, che volevo tanto tener serrate ma che in realtà erano già pronte e schiuse.
Le sue labbra curiose avevano puntato alla mia bocca, stampandomi svariati baci cancellati poi dalla ferocia della lingua zuppa di saliva. Mi lasciai andare ad un piccolo mugolio, e lui, approfittando di questa perdita di controllo solleva la mano verso l’alto incontrando il bianco tessuto. Ciò che mi fermò dal porre resistenza fu il suo tocco adorante, diverso a cui ero solitamente abituata. Godeva di ogni centimetro concesso con lentezza, premendo i polpastrelli avanti e dietro solo nei pressi del capezzolo, che a quella pressione, rispondeva inturgidendosi.
Preso dalla frenesia, si era abbassato, girandomi verso di lui, lasciandomi guardare solo la sua cascata di ricci mentre sentivo la sua bocca rapire e succhiare quella piccola ciliegia ormai matura. Le labbra erano schiuse di tanto in tanto per allietare anche l’areola, la cui scurezza veniva schiarita da colpi di lingua ben assestati. Stavolta mi mordo le labbra per non gemere, cercando di tirargli i capelli e allontanarmi da lui, anche se a malincuore.
-Lasciami, sei un maniaco!
-Non ci posso fare niente se mi ecciti da morire
Il sorriso beffardo cambiò il suo atteggiamento nei miei confronti da dolce a spietato, dato che con un colpo secco aveva fatto cadere già le mie mutandine. Stavo morendo di vergogna e tentavo invano di coprirmi, di proteggere quel tesoro prezioso. Lui più massiccio di me, non contento stringeva le mie esili braccia facendomi male, sicuramente erano livide.
Gli occhi si stavano arrossando e ciò che vedevo non era più perfettamente nitido. Uno strano solletico però mi condusse di nuovo a guardare verso il basso, dopo aver strofinato le palpebre sulla spalla.
Nel camerino, vi era un vaso con delle piume di pavone, ne aveva appena presa una e la stava scuotendo sulla mia timida orchidea.
-Non fare la finta santa che sei arrapata anche tu
Non aveva tutti i torti, sentivo ingrossarsi le grandi labbra della vagina ormai gelosa di quel contatto e lentamente il bacino rincorreva quel movimento, anzi, stavolta non era lui ad avvicinare la piuma a me ma ero io a volermici strusciare, senza rendermene conto. Mi stava cuocendo a puntino, baciando l’interno coscia per poi mordere a lato del ginocchio.
Ed io volevo solo che tornasse su a dare soddisfazione al clitoride che pulsava come non mai. Crollai sulle sue gambe, in ginocchio, raggiungendo il suo viso che raccolsi tra le mani. I suoi ricci che poco fa avevo stretto con violenza stavolta non erano accolti in malo modo. Ero rapita da quel momento, e lo baciai con trasporto, con le lingue pronte a darsi duello fuori dal palato in una gara a chi avesse più predominio sull’altro, ed ancora una volta dovetti accettare la sconfitta.
Aveva raggiunto quasi la mia gola con quel bacio furente ed allargatemi le cosce, sputò tutta la saliva raccolta in quello scoscio così volgarmente offerto. Il pollice aveva iniziato a martoriare il monte di Venere, schiacciando il clitoride quando la mia smania diveniva più palese.
Con un’occhiata veloce mi aveva fatto capire che dovevo togliermi il reggiseno, ed obbedii, offrendo il seno adagiato sui miei palmi che sembravano coppe. Non tardò molto nel saziarsi di ambrosia, stavolta tirava i capezzoli con foga ed io ero stata costretta ad urlare.
-Ahi!
-Stai zitta!
Lo aveva detto con marcato accento napoletano e prendendo la mia camicia l’aveva avvolta intorno ai miei occhi impedendomi la visuale. Si era leggermente sollevato da terra e stavolta a toccare le mie soffici delizie era il suo bel cazzo, non troppo lungo ma dalla cappella grossa, ciò lo percepivo quando cercava di prendere le misure per iniziare a masturbarsi con le mie tette tra le mani, che adesso stringeva senza scrupoli, infilando quel millimetro di unghie nelle carni.
Poi all’improvviso uno schiaffo, la camicia di sposta di lato, e solo da un occhio riesco a rendermi conto di quello che stava accadendo.
-Dammi una mano, non penso che tu non abbia mai fatto una spagnola.
Sentivo il rimmel colare lungo la guancia, volevo urlare, scappare via però si era innescato un senso di sfida dentro di me. Volevo farlo godere, anche perché prima riuscivo nell’intento prima mi sarei liberata dalla sua presa micidiale. Le nocche delle dita stavano schiacciando i capezzoli e con i palmi tenevo ferme le mammelle dal loro tremolio. Stringevo forte quel meraviglioso scettro, facendo gocciolare di tanto in tanto degli sputi sulla cappella che diventava sempre più vermiglia. La pelle così umida rendeva quel passaggio nel mezzo più scorrevole e noi, iniziavamo a profumare di sesso.
Il suo uccello, dopo essersi beato dei liquidi sul petto, si era fiondato a beccare le mie labbra, allargandomele ben bene con le sue ampie dimensioni. Va subito al dunque, superando l’arcata dentale e bussando il pendolo dell’ugola. Il solletichio si fa più fastidioso perché trattenendosi sulle mie spalle cercava di profanare anche la gola, a farmi custodire di rimando anche i coglioni adornati da milioni di spirali nere.
Sbatto i pugni contro le sue gambe, non respiro e cerco a stento di trattenere i conati di vomito. Un trattamento del genere non lo avevo mai subito e soprattutto non pensavo che lui fosse capace di una cosa del genere, lui che mi sembrava dolce, accomodante, il tipico bravo ragazzo.
Finalmente mi libera, ed io assaporo la bontà dell’aria ed allo stesso tempo cerco di asciugare le lacrime che rigavano il viso. Era tornato a sorprendermi perché prima che concludessi quel gesto, leccava là dove avevo pianto, facendomi sciogliere.
Di mia volontà mi rivolsi a lui, piazzandomi davanti a quell’idolo di carne pronta a pregarlo. I baci da lenti si erano fatti più carnali, e le mani mi aiutavano a scappellarlo ad infilare la lingua in quel piccolo buchino per assaporare anche tracce della sua urina. Lo tenevo sulla lingua, sotto il palato, succhiavo forte, sempre più veloce, chiudendo gli occhi e mugolando. Sentivo il suo piacere crescere dentro di me, desiderando inferocita la benedizione finale.
-Rallenta, ti voglio prima fottere!
Non riuscivo a parlare, o meglio non sapevo cosa rispondere. Mi solleva da terra e mi piazza davanti allo specchio. Girai il viso, non riuscivo a vedermi in quelle condizioni, con la faccia rovinata dal trucco sbavato.
-Quanto sei bella, guardati, sei bella.
Lo sussurrava accanto al mio orecchio, mentre tenendo la mano sotto il mento cercava di raddrizzarlo. E vedendomi, iniziavo a provare ancora più piacere, inarcando la schiena ogni volta che la baciava.
Mi aveva sistemato, facendo sporgere il sedere all’infuori, la sua mano era scivolata nel mio sesso e con la maestria di un pianista iniziava a premere tutti i tasti che mi portavano ad accartocciarmi su me stessa. La sua durezza all’improvviso mi assesta, facendomi lanciare un nuovo urlo, stavolta liberatorio.
-Aia!
Aveva oltrepassato le grandi labbra, schiacciando tutto sé stesso dentro di me ed ogni fibra del mio corpo non voleva il suo distacco per niente al mondo. Volevo stare lì, piegata a prendermi il suo cazzo dentro più e più volte. E invece no, striscia via di colpo seguendo il solco delle natiche.
Teneva il mio culo ben aperto, notando che ero avvezza al sesso anale che praticavo nelle occasioni speciali. Per lui si era presentata un’occasione ghiotta, tanto che aveva deciso di rivolgere le sue attenzioni alla piccola rosellina stretta dell’ano. Il muscolo si stringeva al contatto della sua pelle, e quando si allontanava mostrava la reale voglia di essere spanata.
Mordendomi la spalla, mi fa abbassare la testa e tenendomi per i capelli, viola la cassa del violino. Stringo forte i denti, era difficile sopportare le sue dimensioni, l’involucro dello sfintere si lacerava ad ogni spinta, era fastidioso però mi piaceva, provavo uno strano piacere, forse simile ad un orgasmo anche se credo non sia possibile. Il ritmo accelera, lascia la presa dei miei capelli, sento il suo peso farsi sempre più insistente fino a che mi sento schizzare dentro copiosamente, una scintilla che mi infiamma totalmente.
Adesso io ero quella ad avere una voglia matta, a voler essere toccata, baciata e farcita di crema in ogni anfratto. Invece lui era libero, con le mani contro lo specchio e la sua testa appoggiata sulla mia nuca.
Respiriamo allo stesso ritmo, poi si stacca e va in bagno a ripulirsi. Mi sentivo male, usata.
-Stavo scoppiando, ringrazia che tra poco devo aprire, altrimenti ti avrei pisciato volentieri nel buco del culo.
Fanculo dico tra me, raccogliendo quelle quattro pezze per rivestirmi. Non volevo nemmeno sistemarmi e darmi una sciacquata, volevo solo scappare e prendere il primo treno.
Poi lui arriva e mi trascina con sé in bagno, prende i miei vestiti poggiandoli su uno scaffale e con estrema tenerezza mette del sapone al centro della mano e bagnandola con l’acqua inizia a lavarmi, facendomi un bidet con maniacale cura, prendendosi la briga anche di asciugarmi.
-Posso fare da sola
Le carezze sono delicate, sfiorando a stento la pelle glabra e la fessurino ancora in calore.
-Adesso sì
E di nuovo avevo visto spuntare il suo sorriso beffardo, aveva appoggiato le spalle al muro ma il viso era tutto dedicato a me.
Mi rivesto di fretta, lavo il viso e mi trucco alla meno peggio. Sembrava estasiato nel vedermi così affaccendata, non si perdeva nessun passaggio.
Sollevo lo sguardo, erano le quattro e mezza, dovevo sbrigarmi a raggiungere la stazione.
-Lasciami il numero, devo accontentare te.
Ero pronta, avevo anche messo la borsa in spalla e indirizzandomi verso l’uscita l’avevo ignorato volutamente. Veloce mi raggiunge e tirandomi per i capelli, sussurra:
-Da qui non te ne vai se non mi dai il numero, ti strappo i vestiti di dosso.
Stranamente la patta dei suoi jeans era di nuovo generosa, non come prima ovviamente ma aveva ancora da offrire.
Sospirai e allontanandomi dalla sua presa mi sporsi sul bancone in cerca di carta e penna, per annotare il numero. Nel mentre ero in quella posizione seguiva l’arco delle mie forme rendendo il mio perizoma uno straccio per lavare i pavimenti.
Un ultimo bacio, e poi mi aprì la porta lasciandomi andare, sicuro che sarei ritornata.


Se vuoi leggere il seguito di quest'avventura, vai su:

http://iraccontidellacontessa.altervista.org/

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