Quello che vuoi da me - Cap. 2

Scritto da , il 2018-10-16, genere bondage

La porta d’ingresso che si muoveva sui cardini, ogni volta che il portone della palazzina, due piani più in basso, veniva aperta e richiusa al passaggio di qualcuno, cominciava a darmi sui nervi. Il dente della serratura batteva contro lo stipite senza riuscire a superare il gradino. Per fortuna, altrimenti sarei stata nei guai, ma una corrente troppo forte l’avrebbe aperta, mettendomi in un altro tipo di guai. Non avevo voglia che nessuno degli altri inquilini mi vedesse in piedi, legata per i polsi con un paio di manette che pendevano da una catena fissata ad una trave del soffitto, bendata, e ovviamente nuda. Mi stavo, ancora una volta domandando, mentre i sensi affinati dalla cecità e dall’ansia mi facevano arrivare amplificati tutti i rumori provenienti dalla strada attraverso la finestra lasciata aperta, e soprattutto da ogni angolo della palazzina, che cosa mi avesse detto la testa.
Dopo la prima serata con Marco ci eravamo rivisti un paio di volte, senza però approfondire materialmente la mia sottomissione. Ci sentivamo tutti i giorni, e lui mi aveva chiesto subito come mi sentissi, come procedeva la “convalescenza”, e sopratutto come stessi metabolizzando la mia nuova condizione. Mi era già capitato di essere l’amante fissa di qualcuno, mai la schiava. Per ora le due condizioni si sovrapponevano, almeno in parte. Mi era piaciuto, sicuramente, anche se mi inquietava il fatto che non avesse approfittato di me per prendersi il suo piacere, o non mi avesse nemmeno baciato. Credevo che tutto il gioco fosse in fondo finalizzato a quello, e temevo che potesse anche avere qualche problema.
- Credi o temi che non mi si alzi? - rise divertito, guardando la mia faccia più che perplessa, dopo l’ultima serata al fotoclub prima della pausa estiva. In quello che stava diventando il nostro locale, si chinò verso di me, e istintivamente lo imitai, sperando dentro di me che mettendo in mostra quello che avevo sotto la camicia gli venisse una minima tentazione. Fissandomi negli occhi con il suo sguardo pulito e penetrante parlò piano, perché solo il lo sentissi sopra il rumore di fondo – credevo di averti detto che raramente bacio una schiava. Di solito ai tuoi ragazzetti basta che tu gli lasci sbirciare la scollatura – sorrisi del mio ingenuo tentativo, davvero lui era differente - e il sesso non è fondamentale, ma potrà capitare o meno. Dipende. Mi diverto in quello che faccio e non faccio quello che faccio per venire. Non che sia un mistico, ma credo che nel bondage e nella dominazione ci sia molto di più. E in quelle situazioni penso più al piacere della donna. Un mio modo per ringraziare per la disponibilità che mi viene concessa, e un po’ per ribadire che faccio quello che capisco piaccia alla schiava, ma alle mie condizioni.
- Mi sarebbe piaciuto se mi avessi presa…
- Appunto. Lo desideravi e sei rimasta frustrata. Non sono uno dei tuoi amici che arrivano, ti tirano due colpi e ti salutano. Speravo fosse chiaro.
- Certo, ma…
- Sei venuta?
- Sì – arrossii per il suo tono leggermente più alto – non arrabbiarti, però…
- Ti è piaciuto? Non sono arrabbiato, sto cercando di spiegarti cose che non puoi sapere
- Certo, non sarei qui adesso
- Vuoi continuare? - continuava ad incalzarmi senza rispondermi direttamente.
- Mi sembra chiaro anche questo – cambiai posizione, abbassando leggermente gli occhi prima di cercare nuovamente i suoi, che mi stavano sorridendo. Come faceva a rassicurarmi sempre?
- Allora cosa sei?
- Una schiava?
- Senza il punto di domanda, coraggio
- Una schiava
- La mia schiava
- La tua schiava, giusto
- Ti senti meglio adesso che lo hai detto?
- Non lo so.
- Comunque lo hai detto. E una schiava deve…?
- ehm...obbedire – mi sforzai di dare a quella semplice parola un tono affermativo.
- Bravissima. Fai solo quello. Anche perché fra qualche giorno te ne vai in vacanza con il tuo Luca – disse il nome con un impercettibile sorriso che si poteva interpretare in vari modi – e scoperai quanto vuoi, almeno spero. Soprattutto ti abbronzerai bene, e quando torni riprendiamo con le foto e tutto il resto.
- E tu? Non ti cercherai un’altra in questo mese?
- Non stiamo insieme. Non dovrebbe riguardarti la cosa. Ma non ho nessun programma in quel senso. In compenso, ho molto lavoro. Non metterti a fare la gelosa, sei tu quella che va in vacanza con fidanzato e scopata occasionale...
- No… - un po’ lo ero, e mi sarebbe mancato quell’adorabile bastardo – ma vorrei che capissi che sto facendo tanto per…
- Non devi ricordarmi niente. Lo so. E sai che lo apprezzo. Come mi piace vedere che non tieni più le spalle ricurve in avanti, da un paio di settimane. Camminavi come una che vuole nascondere le tette, e adesso guardati...
Istantaneamente mi ritrassi, guardando in basso per controllare se la camicetta sbottonata lasciasse vedere più del dovuto. Lui si buttò sullo schienale, ridendo, ancora una volta. Di me. Con una smorfia, ripresi la posizione di prima.
- Sii orgogliosa di te. E’ anche per quello che voglio che tu ti abbronzi in topless, o nuda, se vuoi. Fai vedere al mondo chi sei. Fai vedere a te stessa chi sei. Tanti, quasi tutti, cercheranno di buttarti giù, non dargli una mano…
Più facile da dire che da fare, pensai in quella frazione di secondo, ma ora avevo quel po’ di fiducia in me per provarci, almeno.
- Ora andiamo. Niente foto, niente di niente per stasera. Ti faccio fare la brava
- Peccato…
Speravo che mi facesse un regalino d’addio, ma non volevo pregarlo ancora una volta.
- Ogni tanto fatti viva, per quello non c’è problema
Uscimmo e ripresi la strada di casa. A casa, Luca stava giocando con la xbox insieme a Fabio, il nostro compagno di vacanza insieme alla sua ragazza. Luca notò appena il mio rientro, come sempre, mentre Fabio, con cui avevo passato qualche serata trasgressiva qualche mese prima, mi squadrò dalla testa ai piedi con un sorriso ed un cenno di approvazione. Finsi di ignorarlo, e mi preparai per la notte, salutandoli dalla camera da letto.
La vacanza, un mese sulla barca a vela di Fabio in giro per l’Adriatico, fu divertente e mi permise di superare la ritrosia di Luca per il topless, anche perché lui non staccava mai gli occhi da quello di Valeria, decisamente più dotata di me fisicamente. Capitava, in navigazione, che lei togliesse anche il perizoma, invitando me a fare altrettanto, ma non volevo provocare ulteriori dissidi con Luca, né dare materiale a Fabio, che tra il serio ed il faceto proponeva scambi e sesso di gruppo ad ogni occasione. Pensavo già al ritorno, a quello che avrebbe pensato Marco della mia abbronzatura quasi integrale, e ogni tanto gli mandavo selfies e messaggini, quando in porto ci agganciavamo ad una rete wifi, cancellando tutto immediatamente. Scattai anche tante foto, perché la fotografa in me voleva stupire Marco anche con quelle.
Il giorno del mio rientro al lavoro mi chiamò durante la pausa
- Bentornata! Com’è andata?
- Bene, ho fatto come mi avevi chiesto, l’abbronzatura è invidiabile
- Mi piacerebbe vederla, appena possibile
- Volentieri, ma Luca non farà turni di notte per altre due settimane.
- Puoi uscire tu, prendi la macchina e scattiamo un po’.
- Domani sera? Si può fare…
- Passo a prenderti in moto
Fosse stato per me, avrei chiesto di vederci quella stessa sera, ma evidentemente era già impegnato, pensai, e morsi il freno, con la testa al nostro incontro per tutto il tempo. Luca, finito l’entusiasmo dimostrato durante la vacanza, in cui mi aveva cercato più spesso del solito, proponendo però sempre il solito menu, era ripiombato nella routine cena, videogiochi, sonno.
Marco mi porse il casco, osservandomi con cura.
- Bei sandali – sapevo che gli sarebbero piaciuti nel momento in cui li avevo visti su una bancarella a Dubrovnik. Molto semplici, con lacci che salivano fin sotto il ginocchio - inadatti alla moto, perfetti per le foto.
- Correrò entrambi i rischi.
- Per il dopo casco ho una spazzola nel bauletto.
Andammo lì vicino. In moto Marco girava spesso nei sentieri, e conosceva tutti gli angoli di quei posti, apparentemente così lontani dalla civiltà. Si fermò presso una casa abbandonata.
- O ggi ci fermiamo qui. Se vuoi fare qualche foto mentre preparo il set…
- Credi che ne abbia voglia?
- Hai la macchina, scatta foto.
- Ne ho un mare da sistemare nella scheda
- Scatta…
Presi la mia Nikon e gironzolai lì intorno, alla ricerca di spunti che non faticai a trovare, poi tornai rapidamente da lui
- Sei pronta?
- Per te lo sono sempre – risposi baldanzosa.
- Tieni solo i sandali, e sistema i capelli.
Erano cresciuti molto, e nonostante i ricci naturali mi coprivano i capezzoli
- Bene così? - gli arrivai dietro le spalle, mentre faceva passare una corda sopra una diramazione del tronco di un albero. Si voltò, e per un secondo mi squadrò in silenzio. Oddio, che c’è che non va? Non gli piaccio nemmeno, pensai, e sentii la vampata di quando arrossisco salirmi dal petto alla testa mentre feci per portare le mani al petto, cercando di capire cosa non andasse in me.
- Che fai, ti copri davanti a me?
Pensavo ci fosse qualcosa di sbagliato nel mio aspetto. Abbassai le mani lungo i fianchi.
- Scusami, mi sembravi contrariato.
- Ma basta un mese per dimenticarti tutto quello che ti ho detto? Che ti prende?
- Niente, te l’ho detto.
- Non ti ho mai vista così in forma. L’abbronzatura ti dona, e sei anche più tonica. Pensavo a quello.
- Davvero?
Gli occhi mi si inumidirono, e lui se ne accorse. Fece due passi verso di me e mi abbracciò fin quasi a stritolarmi.
- Che succede ora? Se non te la senti stasera puoi rivestirti e facciamo qualche foto al rudere…
- No – tirai dentro le lacrime che premevano per uscire. Ero commossa dal suo complimento,furiosa per non averne ricevuto uno in tutto il mese in vacanza. Perché, mi chiedevo? - è il primo complimento da un mese, e mi fa piacere, come ad ogni donna. Solo che non me li fa chi dovrebbe.
- Io non sono esentato perché ti domino. Anzi…
- E quell’altro che vive con me non dovrebbe anche lui? No, tanto ci sono sempre. E Fabio pure, me l’ha velatamente chiesta anche in vacanza, ma qualcosa di carino mai
- Adesso non mi sembra che tu sia con loro…
- E chissà perché? - ora dovevo cercare di calmarmi. Marco non era di quell’avviso.
- Ok, rabbia, paura e frustrazione. Tirale fuori per me.
Mi fece dare le spalle all’albero e mi sollevò le braccia, legandole alla corda.
- Mettile nelle foto. Ascoltami e fai come ti dico
- Va bene. - e di nuovo ero creta da plasmare, nelle mani di chi mi leggeva come un libro
Mi cinse i fianchi con uno straccio, e iniziò a scattare, facendomi spostare per quello che potevo, e dicendomi a cosa pensare per assumere l’espressione che voleva. Avevo staccato il cervello, e cercavo di esprimere rabbia, tristezza, paura, ma anche felicità attraverso il corpo e con il viso. Mi tolse e rimise lo straccio ad ogni cambio di posa, mi legò in vari modi fuori dalla casa e dentro, scavando dentro di me. Ormai era buio, e stava usando il flash ed il faro della moto per illuminarmi.
- Ora sei un’amazzone guerriera. Ti hanno sconfitta e ridotta in schiavitù.
- Bella prospettiva… - ridacchiai di rimando, ma lui mi zittì per non farmi perdere la concentrazione.
- Probabilmente diventerai il premio di qualche guerriero, o finirai sacrificata agli dei. Ma se anche sei stata battuta, non sarai mai sconfitta o piegata. Riesci ad essere quella donna?
Pensai a come potesse sentirsi la donna che aveva disegnato. Tesi ogni muscolo cercando di farlo risaltare sotto la pelle, e mi innalzai sulla punta delle dita mentre mi spingevo verso di lui per quanto mi permettevano le corde che mi tenevano i polsi. Pensai che se fossero stati i miei ultimi momenti, non li avrei passati chiedendo pietà, non avrei dato quella soddisfazione a chi mi stava distruggendo. Marco scattava, e io mi immedesimavo nel personaggio. Contrassi la bocca e digrignai i denti serrando la mandibola, gli occhi divennero due fessure e strattonai oltre misura le corde, facendomi anche un po’ male ai polsi, come in un tentativo di raggiungere chi mi stava davanti per togliergli gli occhi. Poi restai immobile, gli occhi seminascosti dai capelli, la bocca aperta a cercare fiato ed il petto che si gonfiava ritmicamente. Il fuoco fra le cosce. Al minimo contatto sarei esplosa. Ero
Marco tolse la macchina fotografica dalla faccia e la posò a terra, ancora una volta in silenzio per qualche secondo interminabile. Ci guardiamo, e lentamente ripresi possesso del mio corpo e delle sensazioni. Una leggera brezza mi copriva di brividi la pelle sudata, e sentivo i capezzoli inturgiditi puntare in avanti. Le braccia mi dolevano, i polsi bruciavano per le corde. E l’unica cosa che riuscii a dirgli in quel momento fu
- Ti prego, fai qualcosa…
Volevo quell’orgasmo. Dovevo scaricare la tensione, la paura, la frustrazione. La stanchezza che sentivo, perché era stata una serata comunque faticosa in un ruolo sempre nuovo. Mi ero fatta prendere per mano e lasciata portare dove aveva voluto, ma sentivo di meritarlo. Non volevo tornare a casa con la voglia, e dover fare qualcosa che sarebbe stato soddisfacente a metà con Luca, o finirmi da sola. Marco capì senza altre parole. Marco capiva sempre. Perché non era lui il mio uomo?
Passandomi dietro Marco si appoggiò contro di me. Era eccitato anche lui, e finalmente ebbi la conferma che di problemi non ne aveva. Le sue mani mi toccarono i polsi, e scesero con una carezza lungo le braccia, sulle ascelle divennero piume e per il solletico quasi scoppiai a ridere, ma le dita proseguirono delicatamente sulla curva dei miei seni. Una si fermò, solleticandomi il capezzolo, mentre l’altra scivolava sull’ombelico. Sbrigati, cazzo...pensai senza aprire bocca se non per ansimare mentre l’esplorazione proseguiva. Arrivò al pube, e con due dita mi scostò le labbra per scoprirmi il clitoride. Gli ci volle pochissimo ptrima che mi contraessi su me stessa e contro di lui per essere avvolta in quell’abbraccio.. Continuò a stimolarmi finché non gli chiesi di fermarsi, rendendomi conto che ero al tempo stessa appesa per i polsi fino a farmi ancora più male e anche in punta di piedi. Tolse la mano dall’inguine emi cinse con il braccio il ventre, mentre l’altra mano dopo avermi torto dolorosamente il capezzolo si fece strada verso la spalla opposta .
- Sei stata fenomenale stasera. Vedrai che foto…
- Lo spero davvero...ma adesso potresti tirarmi giù? Vorrei dormire, e potrei farlo qui…
Mi liberò e mi aiutò a vestirmi.
- Dovresti fare una doccia. Non si suda così tanto a fare foto.
- Già...se andassimo a mangiare qualcosa? Magari Luca va a dormire e la faccio a casa.
Ci fermammo in una birreria per un panino e una birra. Volevo parlare, ma la domanda che mi girava in testa era una sola.
- Marco, pensi che dovrei mollare Luca?
- A questa domanda puoi rispondere solo tu…Io posso dirti che fra un paio di settimane tu farai qualcosa per me, e ti spiegherò come.
Al solito, mi interessava di più parlare di quello.
- Quando avrò a disposizione la casa?
- Esatto, ti preparerai per me. E dovresti farmi una copia della chiave del portone. Ovviamente saprai quando la userò con molto anticipo, non intendo irrompere casualmente…
- Domani te la faccio e te la porto al club...ma se mi lasciassi, potresti venire da me più spesso
- Katia, non ho programmi di sostituirmi a Luca. Lo sai. Mi fa piacere stare con te e fare tutto quello che facciamo, ma non voglio una storia fissa…
- Non parlo di quello. Solo che abitare con lui, perché ormai di quello si tratta, comincia ad andarmi stretto. Non abbiamo niente in comune.
- Certo, infatti continui a cercare quello che ti serve fuori.
- Quindi sei d’accordo?
- Fossi te, ci penserei seriamente. E’ un passo importante. E ti dico di più: dovresti stare da sola per un po’, anche se ti spaventa. Io non sarò mai molto lontano, sai anche questo, ma devi fare un po’ di strada per conto tuo. Adesso ti porto a dormire, sei schiantata.
- Uffa...con te starei a parlare tutto il giorno…
In moto non parlammo, e continuammo a scambiarci opinioni, che in qualche mese portarono alla dipartita di Luca dalla mia vita. Le foto, come aveva previsto Marco, furono bellissime, io come sempre mi trovai brutta ed inadeguata, e i 5 masters del fotoclub, oltre alla solita amica ed un paio di colleghe a cui fui praticamente obbligata a mostrarle, dissero che avrei dovuto autorizzare una mostra personale.
Quando sentii la porta aprirsi, sperai che fosse Marco. Ero impietrita dalla paura, e l’unico indizio che fosse lui furono la scatto della porta che si chiudeva e l’assenza di reazioni di panico o grida di stupore. Non sentii passi, o altri rumori, e credetti di aver avuto un’allucinazione sensoriale, fino a quando la sua voce, da molto vicino, non mi disse
- Sei stata brava anche questa volta. Ora cominciamo...

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