Il mio Brasile - 3

Scritto da , il 2018-09-24, genere gay

Il mio Brasile 3
…andai in bagno e seduto sul water mi gustai un po’ le sensazioni che arrivavano dal mio buco mentre lo sfioravo con le dita: era morbido e caldo come morbida e calda era la cappella del cazzo di Romero che oggi lo aveva accarezzato. Ad occhi chiusi rievocavo quelle sensazioni con tutti i sensi, e lo volevo. Lo volevo e lo desideravo come il giocattolo più bello che potevo immaginare; un giocattolo caldo e liscio, morbido e poi duro, enorme e scuro tra le mie piccole mani. Strinsi nella mano il mio e venni con un due dita nel culetto. Portai la mano alla bocca e assaggiai il mio sperma sognando quello di Romero, poi ne spalmai un po’ sul buchetto e spinsi la banana dentro, tirai su le mutande e andai a letto, lasciando la banana dov’era. Ormai avevo sempre più confidenza con il mio corpo e con il mio forellino: il piacere di darmi piacere era una cosa automatica, e dare piacere a Romero usando tutto il mio corpo era ormai il mio unico pensiero. Mi addormentai sulla scia del pensiero del suo corpo forte che mi stringeva, e sentivo di essere suo. Mi svegliai con ancora la banana nel culo, corsi in bagno, la sfilai e al suo posto infilai il tubo per il solito clistere. Poi tutto pulito e svuotato scesi in cucina e mi fiondai sulla colazione, mentre un brivido saliva dal buco al cervello e poi girava e girava piacevolmente ovunque. Quando arrivò Romero il mio sorriso si specchiò nel suo e sui occhi già mi penetravano, come sicuramente avrebbe fatto tra poco anche il suo cazzo.
I sedili del fuoristrada, leva del cambio, di quelle con l’asta nuda e il pomolo nero a fungo, il metallo del cruscotto e del tunnel, persino i tappetini di gomma infangati, tutto, proprio tutto sapeva di maschio, come la sua camicia e le sue mani nodose sulle mie coscettine bianche. Ero eccitatissimo e in erezione permanente, ero suo, impaziente ed innamorato di lui e del suo cazzo. Sfilai via i pantaloncini e restai nudo, perché ormai per lui non indossavo più le mutandine, poi gli chiesi di fermarsi appena possibile. Lo fece poco più avanti, sotto gli alberi che circondavano uno dei pozzi d’acqua della piantagione. Io aprii lo sportello scesi e mi misi a pecorina con le gambe a terra e le mani sul sedile. Non ci fu bisogno di dire altro, Romero si piazzò dietro di me, tirò fuori il suo cazzo scuro nodoso e duro, sputò sul mio buchetto, ci appoggiò la cappella e spinse tutto dentro, senza esitazioni, in un potente ed infaticabile dentro e fuori di cui ricordo solo il piacere intenso e viscerale che partiva dall’ano e arrivava al cervello, attraverso mille terminazioni nervose spinte al massimo. Sentivo il mio corpo ed il suo legati come un’unica cosa; ero suo finalmente e completamente suo, come lui finalmente era mio. Mi tremavano le gambe e pensai di impazzire quando con un urlo rauco mi scaricò dentro tutto il suo latte bianco. Poi si piegò su di me, lasciandomi il suo cazzo dentro. Sentivo la sua pelle bagnata di sudore che si spalmava sulla mia schiena, la sua mano che mi accarezzava la testa, il suo respiro, il suo cazzo che mi pulsava dentro. Ero felice.
Poi mi sfilai lentamente, mi piegai sulle gambe e glielo presi in bocca, leccandolo fino a quando non fu completamente pulito dallo sperma, mentre dal buchetto mi colava quello che mi aveva lasciato dentro.
Ci baciammo a lungo, lingua a lingua, come due innamorati, e continuai a mordicchiarlo durante tutto il tragitto di ritorno.

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