The girl who sold the world. -pt2.

Scritto da , il 2018-08-25, genere pulp


Do ut des.
Una frase antica per descrivere qualcosa di estremamente attuale.
È così che funziona.
Qualsiasi cosa l'essere umano faccia, la fa seguendo questo principio.
Ok, i valori e tutte le sovrastrutture sono delle cose bellissime, ma non è su quelli che si basa il nostro sistema.
Si basa sullo scambio, più o meno alla pari.
Proprietà, prestazioni, mazzate.
È sempre stato così e sarà così anche domani.
In questo preciso istante, mentre leggi, lo stiamo applicando.

Io ti lascio questi dieci fogli e te mi concedi la possibilità di dire, anzi scrivere, la mia versione.
La mia verità.
Il tuo tempo per dieci fogli.
Mi sembra conveniente.

Però non devo divagare troppo, che dieci fogli sembrano un'infinità quando si inizia a scrivere, ma so già che mi toccherà scriver le ultime righe in maniera quasi inconprensibile per riuscire a farci star tutto.
Solo che non ci riuscirò, tanto per cambiare, perché non so tutto.
Quelli che sanno tutto di solito vengono ritrovati nei pressi delle discariche.
O nei vicoli.
Abbastanza morti, sempre.
Credimi, lo so.
Su questo non mento.

Possiamo tralasciare il percorso che abbiamo fatto attraverso il settore per raggiungere lo stabile, lui nei suoi abiti informali, io con la divisa nera, quella della mia professione, del mio ceto.
I tempi dei camici bianchi son passati da un pezzo.
Lo possiamo tralasciare perché, alla fin della fiera, non è successo assolutamente nulla.
E non è per questo che stai continuando a leggere. Nevvero?

Stai leggendo per quel "quando è andato tutto a puttane".
L'incidente per il quale vale la pena rallentare per osservare meglio quello che non è capitato a te.
Non te ne vergognare, è così per tutti e per tutte.

Raggiunta la biblioteca, sarei potuta tornare a casa, con il suo nominativo, con il suo numero.
Probabilmente sarebbero finiti nel dimenticatoio, archiviati in qualche cartella, sommersi tra migliaia di file.
Probabilmente sarebbe stato meglio.

Ma la spontaneità con cui mi ha passata la sua scheda, mi ha spiazzata al punto che non ho potuto non fare altrettanto.
E così ho aspettato, seduta sotto la pensilina sull'altro lato della strada.

Ho aspettato a lungo.

Quando è uscito, non è sembrato tanto sorpreso di vedermi.
Miseria, con quegli abiti sembrava un bersaglio ambulante.
Tutti hanno osservato quello straniero.
Con disappunto, aggiungo io.

Abbiamo parlato dei libri che ha consultato e ho finto interesse mentre gli osservavo le mani, il collo, il viso, in cerca di un segno che mi lasciasse intendere da quanto tempo si trovasse effettivamente in città.
Questo posto ti insegna a sopprimere le emozioni o, almeno, a nasconderle bene.
Ed è contagioso.

Paolo non lo faceva.
È stato spontaneo, umano, fin da subito.
E lo era ancora, l'ultima volta che l'ho visto.

Ecco, questo non è il momento in cui le cose hanno iniziato ad andar a puttane, ma è stato il punto in cui la spirale ha iniziato a restringersi sempre più.
L'entropia è una brutta bestia.

Non è stata la prima volta che ho chiesto ad un uomo di venire a casa mia, senza tanti giri di parole.

No, lo scopo non era andarci a letto.
Volevo, dopo tanto tempo, conoscere meglio qualcuno senza dovermi assicurare avesse superato il test di Turing.
Giocare quella partita a scacchi che si gioca, quando si interagisce con uno sconosciuto.
Far cadere un pezzo alla volta, sacrificando i propri difensori per prender quelli avversari.

Do ut des.
Ancora una volta. Vedi che è come ti dicevo io?

Entrata in casa, sarei voluta morire.
Lo stato in cui si trovava non era assolutamente dignitoso, per una persona della mia classe.

Le divise buttate alla rinfusa a terra, nascondendo solo in parte alcune bottiglie vuote.
Il divano in disordine, come se qualcuno ci avesse passato le ultime notti.
In mio soccorso è giunta Lisa, con la sua voce.

"Non c'è nulla di contagioso. Non nell'immediato. Entrate pure"

Quando ho dovuto impostare i suoi valori, ho creduto fosse una cosa divertente avere una casa con il senso dell'umorismo.
Però ha funzionato.
Ha rotto l'imbarazzo iniziale, facendo ridacchiare il mio ospite.
Un suono cristallino, piacevolmente contagioso.

Come avevo intuito, non era un cittadino, né aveva intenzione di diventarlo.
Stava cercando se stesso, girando per il continente, come quel tizio in quel vecchissimo film, quello che decideva d'andar a vivere in una foresta per cercar se stesso, ma alla fine mangiava qualcosa di tossico e moriva.

E non aveva alcun tipo d'innesto.
Nessuno, un sapiens xy completamente al naturale. Liscio.
Per una persona nata e cresciuta in città, sono sempre affascinanti.

Un po' alla volta ho ceduto alla sua parlantina e mi son aperta, raccontandogli a mia volta la mia storia.
Era la prima volta che lo facevo ed è stato strano.
In un certo senso, liberatorio, soprattutto quando mi son resa conto che nel suo sguardo non c'era disappunto, un giudizio malcelato.
Solo interesse.

Gli ho permesso di dormire sul divano, per quella notte.

Stesa sul letto ho ascoltato i suoni della notte, fissando il soffitto illuminato dalla luce dei monitor che, all'esterno, continuavano incessantemente a trasmettere consigli per i cittadini.
Consigli per gli acquisti, consigli sul comportamento da mantenere.
Solo che non sono mai consigli, quelli.

Quando mi son resa conto di come sarebbe trascorsa, anche quella nottata, mi son alzata e, scalza,ho girato per casa, fino a raggiungere la soglia del salotto.
Steso sul divano, dormiva profondamente, gli abiti ancora addosso.

Mi son sdraiata accanto a lui e, sentendo il suo braccio che mi cingeva la vita stringendomi contro la sua persona, ho avvertito quella sensazione che non provavo da tanto, tanto tempo.

La vicinanza di un altro essere umano, di qualcuno con cui condividere qualcosa, qualsiasi cosa.

Non son mai stata un'amante delle effusioni, delle dimostrazioni d'affetto, ma mi son sentita a mio agio, mi son sentita bene quando la sua mano mi ha scostata la t-shirt per insinuarsi sotto di essa, fino a raggiunger il mio seno.
Bacino contro bacino, non ho potuto non rendermi conto della sua erezione.
E di quello che sarebbe accaduto, da li a breve.

Non ci siamo amati, su quel divano.
Abbiamo condiviso una notte, godendo l'uno dell'altra e viceversa.
Due umani.

Alle divise sul pavimento, abbiamo aggiunto i suoi abiti e il mio intimo.

Cavalcioni su di lui, l'ho fissato negli occhi, mentre affondava in me, mentre diventavamo una cosa sola.

Ho ignorato il dolore, concentrandomi sul solo piacere, quando mi ha presa in maniera meno ortodossa.
Quando mi ha usata, quando mi son lasciata usare, anche in modi che non si addicono ad una cittadina.

L'ho accolto tra le labbra sentendo il mio e il suo sapore mischiati sulla sua pelle.

Il suo piacere.




Non credo di aver mai dormito così bene, su quel divano.

Quando son uscita per andar a lavoro, mentre dormiva sul divano, gli ho lasciato una copia delle tessere che permettono di accedere in casa, con i privilegi destinati agli ospiti.

Son uscita di casa con il sorriso, prima di riprender la mia routine.

Questo racconto di è stato letto 1 6 4 6 volte

Segnala abuso in questo racconto erotico

commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.