Dolcetti marocchini

di
genere
gay

Torino, marzo 2018.
Alcuni amici mi hanno consigliato una piccola pasticceria araba a Porta Palazzo, il mercato più grande della città, ci vado un sabato mattina, clientela eterogenea, italiani, magrebini, una coppia di turisti francesi.
Dietro il banco una signora di mezza età un po’ in carne e un ragazzo sui vent’anni, un bellissimo ragazzo!
Alto e magro, classico fisico da marocchino o forse tunisino, capelli neri, corti, folti, pelle scura, ma non nera, una via di mezzo, occhi neri e sguardo fiero, mi serve lui e come sempre mi metto un po’ a chiacchierare, faccio il simpatico, compro, pago, esco.
Ci torno la settimana seguente, i dolcetti di pasta di mandorle sono piaciuti molto a mia moglie e mio figlio.
Oggi la signora dell’altra volta non c’è, forse perché non è sabato.
Lui è solo a servire, c’è parecchia gente e aspetto pazientemente il mio turno guardandolo un po’ di nascosto.
Anche lui ogni tanto mi guarda, o almeno così mi sembra, o almeno così mi piacerebbe che fosse.
Tocca a me, mi fa assaggiare un dolcetto al pistacchio, buono, lo mastico lentamente guardandolo, mi sorride, due battute simpatiche, parla bene la nostra lingua, deve essere in Italia già da un bel po’, magari è nato qui.
Compro, pago, ringrazio, esco.
Altra settimana, altro giro nella piccola pasticceria araba.
I dolcetti di pasta di mandorle sono quasi diventati un’abitudine a casa nostra.
A mia moglie piacciono molto e a me piace molto lui!
Oggi i clienti oltre a me sono solo due, arriva il mio turno, dopo di me non è entrato nessun altro, siamo solo io e lui, mi passa un dolcetto, mentre lo prendo le nostre dita si sfiorano, un brivido.
Anche lui pare abbia gradito il contatto, mi sembra che il suo sguardo sia particolarmente dolce.
Mette i miei dolcetti nella scatola di cartone, pago, le mani si sfiorano nuovamente, mi sembra proprio che si soffermi a toccarmi, le sue dita sono calde, lisce, lunghe e affusolate.
Dling! Entra un cliente, ritiro la mano, lui ritira la sua, mi sorride, gli sorrido ed esco.
Passano solo tre giorni e sono di nuovo lì, a casa i dolcetti non sono finiti ma non potevo aspettare tutta un’intera settimana. Mi vede entrare e mi fa un gran sorriso.
Quando tocca a me le sue dita si soffermano sulle mie meno del solito, ma posso capire, ci sono dei clienti arabi e probabilmente si vergogna, mi porge il pacchetto e mentre mi da il resto mi dice a voce bassa che la mia torta sarà pronta per l’ora della chiusura e di tornare per le tredici e trenta.
Esco un po’ stordito, ma esaltato dalla piega che sta prendendo questa storia, non ci avrei mai sperato nemmeno da lontano.
Gironzolo per i banchi del mercato aspettando che si faccia l’ora giusta, poi alle 13,30 esatte mi ripresento al negozio.
Ci sono ancora dei clienti, lui esce da dietro il bancone mi passa di fianco come se non ci fossi e va ad abbassare la saracinesca a metà altezza, in modo da evitare che entri altra gente.
A poco a poco gli ultimi avventori vengono serviti e se ne vanno piegandosi sotto la serranda.
Sono rimasto solo io.
Esce di nuovo dal bancone e va ad abbassare completamente la griglia, chiude a chiavetta la porta d’entrata, si gira, “ciao“ mi dice, “mi chiamo Mohamed” “piacere, Mario” rispondo, ci stringiamo la mano, non la lascia, la prende tra le sue, ha le mani calde, il tocco è piacevolissimo, “vieni” dice sottovoce mentre si dirige verso il retro del negozio.
Il laboratorio è nella penombra, un odore dolciastro e vagamente fastidioso pervade l’aria.
Tavolacci di legno e di acciaio, sacchi di farina, enormi latte di pasta di mandorle e altri semilavorati troneggiano ovunque.
Mohamed si sfila il grembiule dandomi le spalle, ha un bellissimo sedere, si indovinano i glutei muscolosi fasciati nei pantaloni neri, si gira, mi guarda negli occhi sorridendo, un bellissimo sorriso, labbra carnose splendidamente disegnate, file di denti bianchissimi e regolari, mi prende la testa tra le mani mi attira a se e mi bacia sulla bocca.
Un bacio breve, dolce, umido, si stacca e sempre tenendomi la testa mi guarda, il mio stomaco è in subbuglio.
Mi tira nuovamente a se, le bocche si aprono un po’ di più, le nostre lingue si toccano per la prima volta, una scossa elettrica mi parte dai testicoli.
Ci baciamo ancora e ancora, le bocche si cercano, ci sbraniamo di baci, sembriamo cani affamati.
Le mie mani scorrono sulla sua camicia bianca slacciando i piccoli bottoni, si infilano a cercare la sua pelle, è liscia, brunita, senza peli, piccoli capezzoli scuri già duri, fremono al tocco dei miei polpastrelli, scendo verso l’ombelico, da qui una strada di peli neri e riccioluti scende verso il basso, ci gioco con le dita, poi con un gesto rapido mi aggrappo alla grossa fibbia della cintura, la slaccio e faccio lo stesso coi bottoni della patta.
Il suo arnese preme per uscire, apro lembi dei pantaloni, mi inginocchio e tuffo la faccia contro le sue mutande, l'odore del suo cazzo passa attraverso il tessuto.
Lo mordo, lo lecco, lo bacio attraverso la stoffa degli slip, gli tiro giù meglio i pantaloni lungo le cosce lunghe e tornite.
Tiro giù anche le mutande scoprendo quel ben di Dio, il grosso cazzone scuro rimbalza verso l’alto e mi si presenta spavaldo davanti alla faccia.
Mi fermo a guardarlo, voglio imprimermi nella mente quell’immagine per poterla rivivere mille altre volte.
È veramente meraviglioso, unico difetto il fatto che sia circonciso, ma per questa volta penso proprio che non ne farò un dramma.
Grosse vene lo percorrono in lungo e in largo, la grossa cappella rosa, più chiara del resto del cazzo ha una forma perfetta, riccioli di peli neri come la notte lo circondano alla base, grossi testicoli pendono, gonfi di crema pasticciera.
Lo prendo in bocca, lui mi prende la testa tra le mani, comincio il mio lavoro di labbra, di lingua, di gola, lui ansima, mi stringe la testa e mi fa capire che gradirebbe un ritmo più veloce.
Non riesco a prenderne in bocca che un terzo della lunghezza, per cui mi aiuto con una mano, la stringo sul suo bastone e la faccio andare su e giù per stimolargli anche quella parte di carne che non riesco a raggiungere con la bocca.
Non ci mette molto ad arrivare al culmine, lo so, sono bravo e lui è affamato.
Gentilmente mi avverte: “sto arrivando...” non mi stacco dal suo tarello di carne marocchina, anzi gli stringo dolcemente le palle tra le dita e le tiro verso il basso accentuando la pompata.
Ecco, un fremito, uno spasmo e la prima bordata di sperma mi colpisce il palato, poi la seconda, la terza, caldo, vischioso, denso, lo trattengo in bocca ma non voglio ingoiare, non mi fido per niente, non me ne sta quasi più, un rivolo di sborra mi cola sottile a lato della bocca, lungo il mento..
Quando sento che la produzione di crema è giunta alle ultime gocce mi alzo e vado a sputare tutto nel grosso lavello d’acciaio, mi sciacquo la bocca e mi pulisco con un rozzo canovaccio non proprio immacolato.
Lui si è già ricomposto e rivestito.
Sembra felice, un po’ in imbarazzo ma soddisfatto.
Usciamo dal retro, ci defiliamo velocemente tra le macchine parcheggiate del cortile.
Più tardi a casa, chiuso in bagno mi tirerò una gran sega pensando al bellissimo cazzo dì Mohamed, ma anche ai suoi occhi scuri, alle sue belle mani calde, al suo corpo tonico e allungato.
E domani, sicuramente dovrò tornare comprare altri dolcetti marocchini.

di
scritto il
2018-07-02
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