La mia sottomissione

Scritto da , il 2018-02-19, genere dominazione

Entrai in casa di Cristiana con il cuore in gola. Lei mi attendeva indossando un vestitino nero, lucido, in latex, che arrivava fino a metà coscia; qualche centimetro più in basso le gambe erano coperte da un paio di stivali con tacco, anch’essi neri e lucidi; i capelli neri a coda di cavallo, lo sguardo severo, impassibile, gli occhi chiari che mi squadrarono da cima a fondo.

Mi ero ritrovato in quella casa perché, qualche sera prima, ci eravamo conosciuti in un pub dove lei mi aveva detto che la sua passione più grande era quella di dominare ed umiliare gli uomini. Io non le avevo creduto e l’avevo sfidata. Ecco perché ero lì, ecco perché appena la vidi capii che forse non avevo fatto bene a sfidarla.

Mi porse la sua mano affinchè la potessi baciare, rimasi stupito da quel gesto, ma non potei che prendere la sua mano con la mia e baciarla.

“Vai in bagno, spogliati e raggiungimi in salotto”

Senza batter ciglio andai in bagno, tra me mi dissi “come pensavo questa vuole solo trombare” ; mi spogliai in fretta, il cazzo era in tiro, l’orgoglio a mille, uscii dalla stanza ed andai da lei con un sorriso sfacciato stampato sul volto.

Lei, quando mi vide, si alzò dalla poltrone su cui sedeva, lo sguardo era come quello di quando ero entrato: impassibile. Si avvicinò a me, accarezzò il mio cazzo in maniera molto dolce, si avvicinò al mio orecchio e mi sussurò: “gran bel cazzo, ci divertiremo un sacco” sul suo volto comparve una sorta di sorriso, la mano passò dal cazzo alle palle. Le strinse piantandomi le unghie, mi mancò il fiato, mi piegai in avanti, ed ancora avvicinandosi al mio orecchio mi disse “ma tu non sei qua per scopare, qua comando io e tu non starai mai in piedi in mia presenza a meno che non te lo ordini io, hai capito sfigato che non sei altro? Ora mettiti a quattro zampre”. Obbedii e mi misi a quattro zampe, non mi rendevo bene conto di quello che succedeva, ma soprattutto non ero in grado di reagire e questo mi frustrò non poco.

Fissavo il pavimento, potevo vedere solo i suoi piedi avvolti da quegli stivai che se prima mi sembravano tremendamente sexy, ora mi incutevano un certo timore. Si sedette sulla poltrona e mi mise davanti alla faccia un piede; non sapevo che fare, rimasi a fissarlo, non avevo il coraggio di alzare lo sguardo, non avrei mai potuto reggere il suo.

“Forza, lecca! – mi disse dopo avermi dato un calcetto in faccia per svegliarmi – e vedi di lucidare per bene”

Con una certa titubanza iniziai a leccare gli stivali, ma mano a mano che leccavo ed assaporavo gli odori di quegli stivali iniziai a farlo con più passione e cura. Lo leccai tutto, dalla suola alla cima passando per il tacco a spillo. Il cazzo era sempre in tiro, sempre più in tiro. Quella situazione, quella posizione cominciava a piacermi. Leccai anche l’altro stivale, cercai di metterci ancora più cura e passione.

Una volta finita la pulizia degli stivali, Cristiana mi buttò a terra dei polsini e delle cavigliere con moschettone attaccato e mi ordinò di indossarli. A cosa le servivano? Non ero legato da nessuna parte ma la sensazione di esserlo c’era comunque, la sensazione di essere in suo potere aumentava sempre di più.

Mi fece stendere in avanti le mani, la faccia a terra e le gambe leggermente divaricate; ora il mio culo era totalmente esposto. Mi accarezzò le natiche, fino a scendere allo scroto, poi un fulmine, un dolore assurdo mi trafisse, ancora il respiro che cercò di abbandonarmi.

“Sei nelle mie mani stronzo – mi disse mentre stringeva e girava le mie palle con estrema decisione – vedrai, prima vorrai scappare ma poi mi supplicherai di continurare”

Non riuscivo a respirare, mi faceva un male assurdo.

“Da adesso io sono la tua Padrona, il tuo compito, schiavo, sarà solo uno: fare tutto e solo quello che ti ordinerò io…semplice no?” ed accompagnò il tutto con una risata che non faceva presagire a nulla di buono.

Mi fece stendere completamente a terra, il cazzo che avanzava fuori. Ma come faceva ad essere ancora in tiro? Come facevo ad essere ancora eccitato?

Mi schiacciò il cazzo con la suola dello stivale premendo sempre di più, il dolore fu fortissimo; dolore che aumentò quando al posto della suola ci fu il tacco a spillo. Urlai. Mi diede un calcio sul sedere ordinandomi di non urlare più. Era difficile, il dolore era molto forte.

Mi fece girare a pancia in su, ancora a schiacciare il cazzo con la suola dello stivale, con il tacco piantato nelle palle. Ancora una volta un dolore forte, che però cominciava a diventare quasi un piacere. Come era possibile?

Salì sopra di me, non pesava molto, ma i tacchi erano come delle frecce che mi penetravano il corpo. Mi schiacciò i capezzoli con il tacco, il dolore stava scomparendo lasciando spazio al piacere e alla voglia di subirne ancora. Mi stava già soggiogando e portando dove voleva lei.

Mi fece alzare e mi legò a dei moschettoni attaccati al muro; ero a forma di X, non potevo difendermi, ma chi voleva difendersi? Io volevo subire e basta.

Mi attaccò delle mollette in acciaio ai capezzoli, strinsi i denti per non urlare.

Mi prese per l’ennesima volta le palle con le mani e strinse. Mi guardò diretta negli occhi e con un sorriso compiaciuto mi disse “sei già mio”. Era vero, ero suo, totalmente suo, ma come aveva fatto in così poco tempo?

Prese un frustino, iniziò a colpirmi il cazzo e le palle, mi dimenai per non urlare dal dolore ma questo scatenò solamente l’ilarità della mia padrona. Ero stremato.

Mi liberò dopo un tempo di quella tortura che mi sembrò eterno. Mi portò in un’altra stanza cavalcandomi come fossi una bestia, ogni tanto mi piantava un tacco nelle cosce, ogni tanto mi dava un colpo con frustino sul sedere.

Mi fece sdraiare sul letto, agganciò i moschettoni della mani alla testata del letto, fece scendere dal soffitto, tramite una carrucola, una sbarra di acciaio alla qualche fissò i moschettoni delle caviglie e la tirò verso il soffitto. Ero immobilizzato, con le gambe divaricate e il culo totalmente esposto. Si allontanò dalla mia vista, la sentii armeggiare con qualcosa, poi salì sul letto, si mise a cavalcioni sul mio petto, indossava un fallo in plastica. Mi prese la testa e mi infilò quel cazzo fino in gola, iniziò letteralmente a scoparmi la bocca. Avevo le lacrime agli occhi e facevo fatica a respirare con quel coso in bocca. Si tolse, mi lasciò lì ansimante a riprendere fiato.

Si mise davanti al mio culo, vi spalmò qualcosa di freddo, si avvicinò con il cazzo finto e mi penetrò. Sgranai gli occhi ed aprii la bocca. Lei, mentre continuava a penetrarmi ed aprirmi sempre di più, si piegò su di me, passò le sue unghie sul mio petto e con un sorriso compiaciuto e divertito mi disse “sai perché ti ho messo in questa posizione schiavo? Perché adoro sverginare il culo degli uomini e godermi la loro espressione passare dal doloro allo shock al piacere”.

Era vero, cominciava a piacermi, ma soprattutto mi piaceva essere in suo possesso, sentirmi alla sua mercé, abbandonarmi al dolore e all’umiliazione.

Si tolse da sopra e dentro di me. Ero stremato. Il culo mi pulsava, il cuore mi batteva a mille, la testa inesistente. Mi liberò da tutto. Mi fece mettere in ginocchio.

Preparò su una sedia un plug anale, lo lubrificò per bene, mi fece alzare e poi sedermi sulla sedia in modo da avere nuovamente il culo pieno. Mi mise delle calze che mi avvolgessero fino alla pancia. Si sedette sulle mie gambe, mi accarezzò il cazzo che provava a sfondare le calze. “Masturbati” fu il comando detto con una tale dolcezza che quasi mi stupì. Iniziai a masturbarmi mentre ci guardavamo diretti negli occhi. Il suo sguardo soddisfatto ed orgoglioso, il mio in totale balia di quella donna.

Venni copiosamente, l’orgasmo fu forte, inzuppai le calze. Lei si alzò, abbandonò la stanza, mi accorsi di essere di fronte ad uno specchio; guardai l’immagine di quell’uomo in calze seduto su una sedia, con il culo aperto da un plug. Mi piaceva quella situazione e quella sensazione.

La padrona tornò con i miei vestiti. Li buttò a terra, mi ordinò di vestirmi tenendo calze e plug. Chinarmi per prendere i vestiti mi faceva sentire il plug sempre più dentro di me. Ora ero vestito, come quando ero entrato, era quello che c’era sotto che era cambiato, per sempre.

Mi accompagnò alla porta, e mentre mi porse la mano come quando ero entrato, mi disse “per oggi può bastare sfigato, ti voglio qua domani mattina alle undici. Potrai toglierti le calze, ma il plug no. Quello lo toglieremo domani mattina qua”. Non ebbi nemmeno un esitazione tanto ero soggiogato da quella donna. Le baciai la mano, uscii dalla porta e me ne tornai a testa bassa verso casa.

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