E poi lui

Scritto da , il 2017-08-22, genere prime esperienze

Ho sempre avuto tendenze omo, il mio sesso mi ha sempre attratta. Le forme morbide, le curve generose, la flessibilità, la pelle morbida.
Ero fermamente convinta che quella fosse la mia tendenza sessuale.
Ero, poi ho conosciuto lui…
Era grosso, definirlo armadio renderebbe meglio ciò che avevo davanti. Lo conobbi per caso, a lavoro, una stagione estiva tra un anno e l'altro di scuola.
Il nostro rapporto iniziale era indifferente, io continuavo a badare a ciò che poteva offrirmi il mio stesso sesso, a ciò che avrei potuto definire un avventura estiva, ne avevo adocchiata una che veniva spesso a locale, sempre in compagnia di amiche, un corpo generoso, niente che si potesse definire filiformi, un seno prorompente, un sedere da perdersi, due labbra da mordere.
Fissata, ecco cos’ero, fissata.
- Così… sei lesbica!
Certo che come inizio di discorso lasciava molto a desiderare, visto la totale assenza di dialogo.
- La cosa ti crea problemi?
Odioso, antipatico e odioso.
- No, nessun problema.
Com’era venuto se ne andò, ma stavolta con un sorrisetto fastidioso di scherno. Ma se lo prendesse in culo!
La situazione, dopo quel breve scambio di battute non cambiò, lui per i fatti suoi io per i fatti miei.
Quella sera c'ero riuscita, mi aveva dato il numero di telefono finalmente, la cosa mi eccitava all’inverosimile, non riuscivo a trattenere l'eccitazione. Il giorno dopo il locale sarebbe stato chiuso, l'avrei chiamata e avrei avuto tutta la notte per spupazzarmela per bene.
Talmente ero nel mio mondo da non rendermi conto di ciò che mi circondava.
- Finalmente eh!
Me lo ritrovai dietro talmente vicino da farmi saltare dallo spavento, solo quando mi voltai per affrontarlo mi resi conto che eravamo nell’angolo più buio del locale, non so perché il mio cervello aveva captato quel dato. Io e lui nell’angolo più buio del locale.
- Ma che vuoi?
Nessuna risposta solo un passo avanti, poi due. Quando alzò la mano ero convinta mi stesse per schiaffeggiare, invece, la posò sul mio collo. Delicato, nonostante le mani ruvide, risali dietro la nuca e mi prese i capelli per poi avvicinarsi all'orecchio destro.
- Non mi piacciono gli sprechi.
La sua bocca fu sulla mia veloce e rude, la sua lingua nella mia bocca risucchiata tutto ciò che poteva, la sua mano , nel frattempo, scese sul sedere poi sulla coscia, non fu difficile per lui sollevarmi di peso e appoggiarmi al muro più vicino per farmi sentire il suo sesso tra le gambe, colpi decisi come la sua lingua sul palato, veloce, preciso, tanto da rendermi gelatina. Quando mi lasciò le gambe non mi reggevano e il cervello si era spostato dalla testa alla figa.
- Peccato…
Come era venuto se n'era andato, di nuovo...
La serata finì, avevo il numero della ragazza in tasca e le mutande bagnate per colpa di quel'idiota. Tornata a casa, da sola nel mio letto fresca di doccia non sono riuscita a pensare alle labbra carnose, al seno generoso, alla figa che avrei potuto assaggiare, non sono riuscita ad evitare di pensare a mani grandi e cazzi duri, a lingue esigenti e barba ispida, non sono riuscita a trattenermi, mi sono masturbata, mi sono toccata furiosamente fino a raggiungere un orgasmo potente ed intenso.
Il giorno dopo avevo ignorato, concentrata su ciò che dovevo fare, chiamarla, darle appuntamento, uscirci e possibilmente scoparmela. Presi il telefono composi il numero. Non la chiamai. Il pensiero era li, in quell’angolo maledetto. Cancellai il numero ne composti un altro.
- Speravo mi chiamassi!
- Vaffanculo!
- Mi hai chiamato per mandarmi a fanculo?
- Si…
- O mi hai chiamato per dirmi che anche tu odi gli sprechi?
- Sarei io lo spreco?
- Apri!
- Cosa?
- Apri!
La chiamata fu chiusa.
Non poteva essere, non poteva essere appostato vicino casa mia, non poteva sapere che l'avrei chiamato.
Scesi le scale lentamente, sperando di non trovarci nessuno dietro la porta. Apri di scatto, e le mie speranze o attese caddero in un buco. Non c'era nessuno. Lui non c'era. Non sapevo se essere delusa, felice, arrabbiata, sollevata. Non ne avevo idea.
Il telefono squillò.
- Ci speravi?
- No!
- Ammettilo, speravi ancora di avere la mia lingua in bocca e il mio cazzo nella figa, ammettilo, un cazzo come il mio non l'hai mai provato!
- …
- Ah, Ok, mi correggo, un cazzo non l'hai mai provato.
- Che vuoi da me?
- Farti provare ciò che significa prenderlo dentro, poi ti lascerò alla tua amichetta.
- Scordatelo!!
Chiusi la chiamata senza dargli il tempo di ribattere. Mi aveva innervosita, irritata, eccitata. Si, cazzo ero eccitata e non ci potevo fare niente!
Chiamai mia madre a lavoro le dissi che a pranzo non ero a casa e che avrei dormito fuori da un'amica. Mamma sapeva delle mie tendenze, non me le ha fatte mai pesare, era sempre stata una di vedute ampie, fortunatamente.
Mi feci una doccia e mi vesti con la prima tuta che trovai, dovevo andare da qualche parte, uscire di casa, che ne so, un centro commerciale, al parco divertimenti, da qualche parte, non a casa, non a pensare, non a Lui!
Presi lo scooter dal garage, quando lo feci partire la persiana cominciò a chiudersi. Non era elettrica, come cavolo era possibile?
- E così sei vergine?
Spensi il motore lasciando le luci accese, con il casco in mano lo minacciai.
- Hai finito di rompermi i coglioni?
- Non ancora…
Non finì di dirlo che il braccio con il quale lo minacciavo mi venne torto dietro la schiena, l'altra mano finì tra i miei capelli, trattenuta contro la mia volontà, forse. La sua bocca sulla mia, di nuovo, il suo cazzo conto il mio stomaco che spingeva incontrollato.
Il cervello oramai era tornato fra le gambe, non avevo idea del perché mi facesse quest effetto so soltanto che non riuscivo a controllarlo.
- Ti voglio…
Mi sussurro sulla bocca. Non credo che servirono altre parole, mi sollevò è d'istinto andai a strofinare la figa sul suo cazzo di marmo, se ne accorse ma non fece commenti, solo un piccolo ghigno tra un bacio e l'altro. Quando trovò dove sedermi, su un tavolo da lavoro che usava mio padre per tenere gli attrezzi, si staccò dalla mia bocca per togliermi la maglietta e con essa volò il reggiseno. Le sue mani lo contenevano perfettamente la sua bocca sui capezzoli fu inevitabile, li succhiava così avidamente da farmi male, dolore che scendeva dritto sul clitoride che pulsava incontrollato. Si staccò.
- Dimmelo, dimmi che vuoi il mio cazzo, e non una figa, dimmelo.
- Voglio il tuo cazzo.
- È una figa?
- Anche, dopo magari...
Sorrise, e cominciò a sbottonarsi i pantaloni facendoli cadere con gli slip. Un cazzo di tutto rispetto molleggiava davanti ai miei occhi. Era la prima volta che ne vedevo uno, che ne sentivo lo strano odore, odore che mi solleticava le narici e non so perché anche le papille.
- Dai vieni qui, prendimelo in bocca.
Scesi dal tavolo mi inginocchiai è lentamente avvicinai quella mazza alla mia bocca, dandogli prima leggeri baci, poi piccole leccate.
- Apri.
Si prese il cazzo alla base, mi prese la testa con l'altra mano e lentamente scivolò sulla mia lingua, lento e inesorabile, quando sentii la carne sotto i denti e vicino alle tonsille, mi venne un conato di vomito e il suo membro era entrato solo per metà, se neanche.
- Quando lo senti infondo simula uno sbadiglio, vedi se riesci un altro po'.
Così feci, ma stavolta il conato di vomito fu reale.
- Ci lavoreremo su…
Mi sollevò per le ascelle mi rimise seduta e con un leggero movimento mi fece stendere con la schiena per togliermi i pantaloni e con loro le mutande.
- Mio dio…rasata…
Lo guardai senza commentare. Chi aveva rapporti esclusivamente orali con il proprio sesso aveva certe esigenze e se a me il pelo non piaceva, non vedo perché avrei dovuto tenerlo io.
Cominciò a leccarmela da destra a sinistra dall’alto in basso, facendomi impazzire e pregare che non finisse mai, quando sentii un dito frugare e allargare la figa credo di aver tremato come una foglia, l'orgasmo che ne seguì fu devastante, credo di avergli strappato anche qualche capello.
- Hai un sapore fantastico.
Si sollevò e lentamente raggiunse il mio viso infilandosi la lingua in bocca, facendomi sentire ciò che lui aveva guastato poco prima, mentre la sua lingua continuava a esplorare il mio palato la sua cappella si faceva strada tra le mie pieghe, trovando facilmente un buco a dir poco allagato, riuscì a scivolarci dentro lentamente, quasi senza farmi male, una volta entrata la punta si fermò.
- Guardami. Farà male, se vuoi fermarti, dimmelo ora.
Non faceva male, adesso, e la voglia era troppa, riuscì solo a negare con il capo, lui si avvicinò prendendomi la testa tra le mani, sollevarla e ricominciare a baciarmi, prima di dare un colpo di reni che lo fece arrivare dritto dritto contro la mia cervice, infrangendo tutto ciò che poteva essere infranto.
Il grido che ne seguì si spense nella sua bocca, che continuò a baciarmi come se nulla fosse, era fermo, immobile, non muoveva un muscolo, solo la sua lingua sulla mia, sul mio palato.
Poi cominciò a muoversi.
- Fa male?
- Si…
- Se mi muovo?
- Sopportabile…
- Respira.
Lentamente cominciò il suo ballo, fuori e dentro, fuori e dentro, fuori e dentro. Con la mano destra si fece lentamente largo tra i nostri corpi per arrivare al clitoride, lo tintinnò, poi lo schiacciò. Andava a ritmo con le spinte. Lo sentivo arrivare, inesorabile, un brivido lungo la schiena che mi fece contrarre i muscoli delle gambe, poi lo stomaco e quando esplose non so che successe ma credo di aver persino fatto pipì.
- Wow…
Commentò esterrefatto. Poi riprese a spingere più velocemente, fuori e dentro fuori e dentro, aggrappato alle mie cosce guardava il suo cazzo che mi possedeva la sua maglietta completamente zuppa di, credo, pipì e sangue. Sputo sulla figa senza neanche piegarsi, la saliva cadde direttamente sul monte di Venere, con la mano la prese e ricominciò a giocare sul clitoride, questa volta più velocemente su e giù, poi da un lato a l'altro veloce, sempre più veloce e stavolta neanche me ne resi conto, il piacere arrivò veloce e potente, così come la pipì che mi scappò, di nuovo, senza controllo alcuno. Le ultime botte furono forti e potenti, poi tiro fuori il cazzo e se lo meno con la mano tre volte, la sua sborra colò come crema sulle sue mani, niente schizzi, come avrei creduto, nulla di così da idrante. O forse ero io che non capivo più niente e il cervello non girava come doveva.
Non avevo la forza di alzarmi, non avevo la forza di pensare, non avevo forza.
- Vieni, ti porto a casa.
- Non posso andare a casa, mia madre sarà tornata.
- Allora andiamo a casa mia…

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