Schiava aziendale

Scritto da , il 2016-10-14, genere dominazione

ATTENZIONE: Questo racconto contiene scene forti e in alcuni casi anche estreme di abuso, umiliazione, violenza, e sesso non consensuale. Non contiene vero e proprio "snuff"; ma a parte questo, c'è di tutto. Tutto ciò è inteso come fantasia e ovviamente l'autore non giustificherebbe queste pratiche nella vita reale - in nessun modo, grado, o circostanza. Si dà anche per scontato che chi legge sappia che il reale BDSM è un'altra cosa ed è basato sul consenso, come qualsiasi altra attività sessuale sana. Tra l'altro, alcune forme di violenza che appaiono nel racconto non sono descritte realisticamente né come pratica né come conseguenze, e non sarebbero accettabili nemmeno in un rapporto consensuale.

Diversi lettori hanno trovato questo racconto troppo forte per i loro gusti; quindi suggerisco a chi ritiene di poter essere urtato di astenersi dal leggere, scusandomi con chi l'ha fatto prima che inserissi questo avviso.

PS: Il racconto dovrebbe forse essere classificato sotto "sadomaso" e non "dominazione". Può darsi che eventuali puntate future siano pubblicate in quel genere.

Manuela si svegliò in un bagno di sudore, e il suo primo, sgradevole pensiero fu per il suo direttore, il signor Depoulos, e la difficile prova che la attendeva. Rimase a letto qualche minuto, rivivendo per l’ennesima volta il ricordo di quel momento fatale in cui, qualche giorno prima, Depoulos l’aveva chiamata nel suo ufficio, e aveva sbattuto sulla scrivania l’incartamento della pratica Mauri. Lei era sbiancata in volto, ma non aveva trovato il coraggio di dire nulla. “Non voglio neppure sapere per quale motivo tu abbia manomesso questi documenti”, aveva sibilato Depoulos, “ma quello che hai fatto è illegale e contro gli interessi dell’azienda, e ho intenzione di assicurarmi che tu subisca tutte le conseguenze di questo tuo enorme errore”.

L’espressione di Depoulos… benché l’avesse vista solo per un istante (aveva tenuto gli occhi bassi per gran parte del tempo), le era rimasta impressa in modo indelebile nella memoria. Quegli occhi neri, quello sguardo tagliente come un coltello. Questo era accaduto venerdì pomeriggio. Per tutto il finesettimana, aveva sfogliato i libri e cercato su Internet per capire qual era la cosa peggiore che poteva capitarle. E aveva scoperto che quello che poteva capitarle era, semplicemente, perdere tutto. Oltre a essere licenziata, poteva essere sottoposta a un procedimento penale… trovarsi a dover pagare una multa salatissima, gli avvocati… e non avrebbe più trovato un lavoro come segretaria, che era tutto quello che sapeva fare. Tutta la sua vita era in pericolo..

Alla sua famiglia non aveva avuto il coraggio di dire nulla. Lo stipendio di Manuela era una voce importante del bilancio familiare… si sarebbero infuriati con lei se avessero saputo che lo aveva messo in pericolo per colpa del suo buon cuore. Era rimasta aggrappata alla speranza che Depoulos le desse una seconda chance. E allora nessuno avrebbe dovuto più saperne nulla. Se Depoulos l’avesse perdonata… Depoulos sapeva che il motivo per cui Manuela aveva commesso delle irregolarità con quella pratica non era egoistico: aveva cercato di aiutare una famiglia in gravi difficoltà. I documenti sarebbero stati rimessi a posto, nessuno sarebbe stato danneggiato, lei avrebbe fatto capire al suo capo di aver capito la lezione e che non avrebbe mai più fatto un errore del genere… Poteva lasciare la società se lui lo pretendeva, ma tutto il resto… doveva evitare tutto il resto…

“Discuteremo della questione lunedì”, aveva detto Depoulos… e lunedì era arrivato.

Manuela non fece colazione, aveva un nodo allo stomaco. Cominciò a prepararsi. Quasi inconsciamente, mentre pensava a quanto era importante il perdono di Depoulos, scelse gli abiti che sapeva che le donavano di più. Mise un completo di intimo nero, un elegante tailleur grigio con la gonna sopra il ginocchio, una camicetta bianca di raso. Aprì il cassetto dei collant ed esitò; quindi, passò al cassetto successivo e prese un paio di autoreggenti. Per un attimo, si sentì in colpa. Perché così sexy? Era forse un invito? Il solo pensiero le fece venire la pelle d’oca. Certo che no, non in quel senso… Depulous era l’uomo meno attraente del mondo, grasso, grossolano, cinico; aveva fatto carriera nel ramo grazie alla sua totale mancanza di scrupoli. La maggior parte dei colleghi si riferiva a lui con espressioni come “il bastardo” o anche “il vecchio sadico”… Manuela rabbrividì per un attimo quando le venne in mente questa espressione. Comunque no, non voleva essere attraente per quel motivo. Era solo perché così si sentiva più forte… forse anche lui, inconsciamente, sarebbe stato influenzato dall’aspetto di lei, positivamente, in qualche modo…

Completò la propria mise con un paio di scarpe nere col tacco alto, e con un trucco applicato con cura. Si pettinò e si mise il mascara…

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Manuela entrò nell’ufficio di Depoulos. Non le era mai piaciuto entrare in quella stanza, da quell’uomo che trovava detestabile. Aveva anche sempre avuto l’impressione di non piacergli, o addirittura che lui la disprezzasse, come disprezzava molti dei suoi sottoposti. Ripensandoci, non l’aveva mai visto sorridere.

Depoulos alzò gli occhi dalla sua grande scrivania lucida, fissandoli su di lei. Lei salutò a mezzavoce e, invitata da un gesto di lui, si sedette su una sedia. Aveva il cuore in gola: le sembrava di trovarsi di fronte al giudice. E non era così lontano dalla realtà…

– Immagino che in questi giorni tu ti sia fatta un’idea abbastanza dettagliata delle possibili conseguenze del tuo errore, – disse, con voce fredda. – Si, signor Depoulos, – rispose lei. Per un attimo abbassò gli occhi a terra, ma si sforzò di alzarli e guardarlo. La parola “possibili”… una speranza? Eppure il tono dell’uomo non sembrava affatto suggerire l’intenzione di perdonare…

– Considerando tutto, la multa, la condanna penale per truffa, le spese per gli avvocati, la macchia indelebile alla tua carriera…Posso rendere la tua vita un inferno. In effetti, posso distruggerti. Dico bene?

Manuela annuì. – Si, signor Depoulos. Io vorrei… lascerò subito l’azienda e…

Depoulos la interruppe, ridendo ad alta voce. – Non sono interessato a quello che vuoi offrire, Manuela, – disse, – dato che posso prendere tutto quello che voglio. Non credi?

Manuela arrossì. – Come… prendere cosa? – mormorò.

L’uomo la guardò con i suoi occhi penetranti. – Quell’anello è un regalo del tuo fidanzato?

Manuela fu colta di sorpresa. Cosa stava succedendo? – No, signor Depoulos… è di mia madre.

– E’ una cosa a cui tieni molto, con un grande valore affettivo?

– Si, signor Depoulos.

– Dammelo.

Manuela esitò per un istante. Ancora non capiva. Era una punizione simbolica? Si sarebbe accontentato di quello? Con le mani tremanti, arrossendo, si sfilò l’anello. Lui la osservava, sogghignando. Manuela realizzò che l’uomo stava traendo piacere da quell’esercizio di potere nei suoi confronti. Lei appoggiò l’anello sulla scrivania, lui lo prese.

Depoulos cominciò a giocherellare con l’anello mentre parlava. – Rimarrai in questa azienda, – cominciò. Manuela si rese conto che era giunto il momento: era il verdetto. – Rimarrai con lo stipendio più basso. Mi assicurerò che non ci sia nemmeno un fattorino che guadagna meno di te.

Manuela trattenne il fiato. Depoulos non aveva finito…

– E sarai di mia completa proprietà.

Lei si sentì morire.

– Tutto ciò che hai, come il tuo anello, è mio. Finché accetterai questo stato di cose, la denuncia sarà rimandata. I documenti che provano il tuo reato rimarranno in cassaforte, pronti a essere “trovati” se creerai problemi.

Manuela stava cominciando a capire, ma non riusciva a dir nulla. Era molto peggio di quanto avesse immaginato, peggio di quanto potesse sopportare… Eppure non riusciva a trovare il coraggio di dire di no e di affrontare la condanna… Nel suo stato di confusione, per un istante, sperò di aver frainteso. “Non capisco…” balbettò.

Depoulos la guardò con un’espressione mista di disprezzo e irritazione. – Sei fai la stupida con me, e fai finta di non capire, rischi di farmi cambiare idea. Ti ho graziato, per ora, ma mi aspetto che tu paghi con tutta te stessa. Non sai che mi chiamano “vecchio porco”, “vecchio sadico”? Tu sei una bella donna, hai venticinque anni, e non puoi dirmi di no, – continuò, giocherellando con l’anello. – Cosa pensi che voglia fare un vecchio porco sadico con te?

Manuela non riuscì a rispondere nulla. Cercava di guardare Depoulos, ma continuava ad abbassare lo sguardo. Aveva il respiro affannato, era rossa in volto, il cuore le stava scoppiando…

Depoulos fece una pausa, e poi scandì le parole:

– Userò il tuo corpo…

– ti torturerò…

– e ti umilierò.

Allungò il braccio, e lasciò cadere l’anello nel cestino dei rifiuti. – Giorno dopo giorno. Pensaci bene, e se non te la senti, alzati adesso e comincia a cercarti un avvocato.

Manuela provò l’impulso di alzarsi e fuggire, ma le sue gambe erano immobilizzate. La sua mente stava cercando disperatamente una via d’uscita. Calò un silenzio glaciale, gli occhi di Depoulos fissi su di lei, Manuela che non riusciva a trovare nulla da dire, non sapeva come reagire, rimaneva seduta come congelata dall’imbarazzo e dalla paura. Pensò alla sua famiglia, alla vita che voleva salvare. Parlò tenendo lo sguardo al pavimento. – Rimarrà… tutto… fra queste mura? – chiese infine, con la voce rotta di pianto.

Depoulos rispose con un tono di sufficienza: – può darsi.

Non era nemmeno una promessa, non era niente. Ma era tutto quello che Manuela aveva. La ragazza cercò la forza di alzare gli occhi verso di lui e annuì lentamente, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime e le labbra le tremavano.

Depoulos sorrise e si appoggiò allo schienale della scrivania. – Ho sempre pensato che tu fossi portata a obbedire, – le disse. – Chissà, forse tutto questo ti piacerà.

Manuela sentì un brivido. Non ebbe la forza di replicare nulla.

Depoulos fece un cenno con la mano: – ora alzati e mostrami la mia nuova proprietà.

Manuela impallidì. Aveva acconsentito… Stava veramente accadendo? Si alzò con le ginocchia che le tremavano, le mani appoggiate sul ventre, immobilizzata dall’imbarazzo.

– Cosa… devo fare? – mormorò.

Depoulos scosse il capo. – Cos’è, vuoi prendermi in giro? Non sei così stupida – disse, ad alta voce. – Vuoi che ti sbatta sulla scrivania, ti strappi le mutandine e ti prenda a cinghiate subito?

Manuela iniziò a tremare, terrorizzata. – No.. no signor Depoulos… io…

– Ho detto che voglio guardarti. Cosa pensi di dover fare, cretina?

– Spogliarmi… signore.

Lui fece un piccolo applauso ironico. – In ogni caso riceverai cinque cinghiate sul culo per aver fatto finta di non capire. – L’uomo lasciò che queste parole avessero effetto, che le guance di Manuela diventassero ancora più rosse, e poi aggiunse: – ora sbrigati.

Singhiozzando, Manuela si sfilò la giacca, appoggiandola alla sedia, e poi portò le mani ai bottoncini della camicetta, cominciando a slacciarli. Lottò con ogni bottone, le mani che le tremavano. Arrivò all’ultimo in basso, sganciò anche quello. Sfilò la camicia e appoggiò anche quella sulla sedia, sopra la giacca.

– Voglio vedere le mammelle della mia troia. Via il reggiseno.

Manuela sentì le lacrime che le scivolavano sulle guance per la vergogna. “La mia troia”… “mammelle”… Il cuore le batteva ancora all’impazzata, aveva il volto in fiamme. Si slacciò il reggiseno, e poi lo sfilò, scoprendosi. Il suo seno, morbido, giovane e pieno, era qualcosa di cui era sempre stata fiera… Ma in quel momento, di fronte agli occhi porcini di Depoulos, le parole di lui ancora nelle orecchie, per la prima volta ebbe la sensazione che fossero troppo grosse, oscene, volgari.

Il commento di lui le giunse come una nuova fitta al cuore: – ma guarda che belle mammelle da frusta! – Era il peggiore incubo… e sembrava che diventasse ogni momento più insopportabile…

– Ora la gonna.

Manuela portò le mani al bottoncino della gonna, lo slacciò, abbassò la cerniera, e la fece scivolare a terra. Il rossore ora si era esteso dal suo volto ai suoi seni nudi.

– Girati.

Manuela obbedì, esponendo le proprie natiche all’isperazione dell’uomo. Depoulos rimase per qualche istante a contemplarla: un bel corpo giovane, il tanga, le autoreggenti, i tacchi alti…

– Ti vesti sempre da troia in questo modo, o stavi pensando a me questa mattina quando hai scelto i vestiti?

Manuela era troppo confusa per cercare una risposta che fosse meno umiliante della verità. – Stavo pensando a lei, signor Depoulos…

Lui rise. – Togliti quel tanga da mignotta.

Manuela portò le mani all’orlo del tanga.

– Da oggi in poi, – proseguì lui, – niente mutandine: buco del culo e fica sempre nudi.

Manuela sentì una nuova ondata di sangue affluirle alle guance. Davvero pensava di poter reggere a quell’inferno? Per quanto? Le mani le tremavano sempre di più, spingeva sull’orlo del tanga ma non riusciva a trovare il coraggio di toglierlo… esporre il proprio sesso a quell’uomo che ne avrebbe abusato nei modi più orribili…

– Stai esitando di nuovo, Manuela. Sai che le tue esitazioni hanno un prezzo.

Lei fece scivolare giù il tanga.

– Siamo a dieci cinghiate sul culo. Al prossimo errore, saranno cinque cinghiate sulla fica. E ti assicuro che lì fa più male, e che siccome amo frustare la fica, tendo ad avere la mano pesante. Hai capito?

Manuela sentì una lacrima che le scivolava dal mento sui seni nudi.

– Si, signore… – La sua risposta fu appena percettibile.

– Non ho sentito. Cos’avrai come prossima punizione?

– Cinque… cinghiate… – Manuela esitò. “Sul sesso?” “Fra le gambe?” aveva troppa paura di farlo arrabbiare ancora. – Cinque cinghiate sulla fica, signor Depoulos.

Manuela aveva fatto scivolare il tanga a terra, ne sfilò i piedi. Stava ancora dando le spalle a Depoulos.

– Anche il tuo culo è perfetto per i miei scopi Manuela, – disse Depoulos, – carne morbida da frustare, mordere, sculacciare… Ora passiamo alla fica. Apri bene le gambe e piegati per mostrarmela.

Manuela allargò i piedi, e piegò il busto in avanti. Portò le mani sulle ginocchia, e poi, all’esortazione “di più, troia” di Depoulos, le fece scendere fino ai polpacci. Non si era mai sentita così umiliata, in mostra come un animale al mercato. – Non è così che si mostra la fica al tuo padrone. Apriti subito le grandi labbra, puttana. Fammi vedere bene il buco in cui infilerò il cazzo quando vorrò svuotarmi i coglioni.

Manuela singhiozzò ancora. Il linguaggio di quell’uomo… Come poteva essersi ridotta così? Si sentì colpevole per essersi alla mercé dell’uomo più disgustoso e volgare del mondo… colpevole e sporca… Portò le mani al sesso, entrambe, e si aprì le grandi labbra per il suo padrone, obbediente. Obbediente come una cagnetta ammaestrata…

Ora Depoulos si era alzato. L’uomo girò intorno alla scrivania, e allungò una mano. Manuela sentì un brivido attraversarle il corpo quando le dita di Depoulos toccarono il suo sesso. E poi il dito medio di lui… che le entrava dentro lentamente, a fondo…

– Chi usa questo buco, Manuela? Il tuo fidanzato?

Manuela scosse il capo, con gli occhi chiusi. – N… no… signor Depoulos… – mormorò, con un filo di voce, – non sono fidanzata…

Una violenta pacca di Depoulos sulle natiche nude le strappò un gemito e le fece tornare a battere all’impazzata il cuore. – Voce alta quando rispondi.

– Non sono fidanzata signore…!

Depoulos sorrise, e iniziò a pompare col dito dentro e fuori di lei con vigore, aggiungendo poi anche l’indice. – Meglio così. In questo modo non dovrò preoccuparmi di non lasciarti segni addosso. Potrò farti tutto quello che voglio… Sei contenta?

– Si… signore, – singhiozzò lei. Il sonoro schiocco di un’altra sculacciata echeggiò nella stanza, seguito dal gemito di dolore di Manuela.

– In ogni caso è un crimine che questa grassa fica da troia non sia usata per quello che è, non credi?

– … si… signore…

– Grassa e pelosa, – disse lui. Il sesso di Manuela non era depilato, ma la peluria era ben curata, sfumata in un grazioso triangolino. – La devi depilare completamente, – disse Depoulos.

Lei fece per replicare qualcosa, ma lui la zittì come un cenno. – Non osare presentarti domani in ufficio con la fica in queste condizioni.

Depoulos aggiunse anche l’anulare, prendendo a fotterle la vagina con le dita, con violenza crescente, e avvicinò il viso alle natiche di Manuela.

Manuela si sentì gelare… Sentì la lingua di Depoulos accarezzarle l’ano… scivolare fra le sue natiche… mentre le dita di lui continuavano a pomparla, sempre più forte. Era disgustoso… degradante… lei sentì le ginocchia che le vacillavano. Depoulos continuò a leccarla in quel modo per un po’… troppo tempo… titillandola, infilando la lingua… lo sentì sputare e spingerle la propria saliva nell’ano con la lingua…

… E sentì le dita di Depoulos scivolare più agevolmente nella sua vagina… Era una reazione fisica, solo una reazione fisica… odiosa e degradante… ma si stava bagnando…! Cercò di non abbandonarsi… di resistere…

Ma fu Depoulos a impedirle di sprofondare in quel disgustoso piacere, ritirandosi improvvisamente, e sfilando le dita dalla vagina di lei. Manuela si sentì improvvisamente vuota, frustrata, e ancora più sporca… Una nuova pacca sulle natiche, questa volta non era la punizione per nulla, ingiustificata, Manuela la ricevette e per un attimo attese la seconda… con quella sensazione di bagnato fra le cosce…

Ma Depoulos era tornato a sedersi.

– Mettiti dritta e girati verso di me ora, troia.

Manuela tolse le mani dal sesso e si raddrizzò, voltandosi verso di lui. Fissandola, l’uomo si pulì su un fazzoletto le dita con cui l’aveva penetrata, con un sorriso sprezzante. – Capisco perché non sei fidanzata, comunque. Chi si fidanzerebbe con una cagna che cola in questo modo quando la violentano?

Manuela non rispose, mortificata. Depoulos aveva ragione… odiava quell’umido fra le sue gambe…

– Ora, troia, dimmi a cosa pensi che serva la tua bocca.

Manuela si asciugò le lacrime. Sentiva di essere rossa in volto, ma era talmente sconvolta da avere arrossati anche i seni nudi. Si fece coraggio. Non era difficile capire che risposta voleva Depoulos.

– La mia bocca… serve per succhiare… signore.

– Ho una cinghia pronta, Manuela, e tu hai una fica nuda. Per succhiare cosa? Da capo.

– La mia bocca… serve per succhiare il cazzo signor Depoulos…

– Giusto. Ora, ci sono donne che succhiano il loro cazzo dei loro uomini chinandosi dolcemente, forse sono abbracciati, o seduti accanto sul divano… E ci sono troie che succhiano il cazzo in ginocchio, con le chiappe nude pronte per essere frustate se il loro uomo pensa che non si siano impegnate abbastanza. Tu a quale categoria appartieni?

– A quella… delle troie, signor Depoulos… delle troie che succhiano in ginocchio…

Depoulos annuì. – Proprio così. Puoi venire qui da me a quattro zampe, con le cosce ben aperte e le tette penzoloni, e chiedermi l’onore di prenderlo in bocca.

Manuela si inginocchiò, e si mise a quattro zampe, iniziando a strisciare sul pavimento coperto di moquette, attorno alla scrivania, verso il direttore. Si sentiva totalmente degradata… non era solo carponi… il fatto di tenere le cosce spalancate mentre avanzava in quel modo la rendeva ancora più goffa e oscena… Depoulos ruotò la sedia girevole verso di lei, osservandola con un ghigno compiaciuto, godendosi la vista di quella bella ragazza umiliata, dei suoi grossi seni che dondolavano sotto di lei… Manuela arrivò di fronte ai piedi del direttore, e si fermò.

– Ti piace bere sborra, troia?

Manuela singhiozzò debolmente. In realtà… non aveva mai provato. Ma sapeva che quello che Depoulos voleva non era la verità.

– Si, signore, – mormorò. – Mi piace bere sborra.

– Bene, – rispose Depoulos. – Da oggi in avanti, dovrai assicurarti di bere la mia sborra almeno tre volte alla settimana. – Fece un pausa. – Guardami mentre ti parlo, troia.

Manuela alzò lo sguardo da terra, incontrando gli occhi crudeli di Depoulos. – Si signore..

– Se alla fine della settimana non avrai bevuto tre volte la mia sborra, sarai punita molto severamente, – riprese lui, fissandola, osservando compiaciuto l’espressione di disperazione e vergogna sul viso di lei. La prese per i capelli e si chinò in avanti, tirando fuori la lingua e dandole una lunga, disgustosa leccata alle guance, per asciugarle le lacrime. Manuela rabbrividì. – E se sarai punita, ti assicuro che piangerai veramente… non queste quattro lacrimucce di oggi. E ho detto che dovrai bere tre volte a settimana: molto spesso ti verrò nella fica, nel culo, sulle tette, in faccia… – Fece una risatina: – probabilmente ti verrò anche negli occhi e nelle orecchie, puttana… e tutte queste non conteranno come “bevute”. Quindi a volte dovrai essere tu a implorarmi di farti bere la mia sborra, e io accetterò solo se dimostrerai di meritartela umiliandoti per me.

Le lasciò i capelli e le prese il mento, continuando a fissarla. Manuela stava tremando… era terrorizzata da quel monologo di Depoulos. Si rese conto che in quelle frasi si stava delineando il suo destino…

Depoulos sorrise ancora, e le sputò in faccia.

Manuela fu presa di sorpresa… Ricominciò a singhiozzare. Mentre piangeva, ebbe la percezione dei suoi seni che oscillavano sotto di lei a ogni singhiozzo. Come poteva sopportare quella vergogna…? Eppure… si rese conto di aver chiuso gli occhi quando lui aveva sputato, li riaprì subito, tornando a fissare il suo ricattatore, terrorizzata dall’idea di aver disobbedito all’ordine di guardarlo…

– Il nostro principale obiettivo in questa prima fase del tuo nuovo lavoro è farti perdere ogni traccia di amor proprio e di rispetto di te stessa. Ogni volta che fai o dici qualcosa che dimostra che ti ritieni qualcosa di più di un oggetto di piacere… una “troia aziendale”… sarai punita. Se non dedichi tutta la tua attenzione e il tuo impegno a soddisfare ogni mia voglia, sarai punita.

Le fece un sorriso. – La troia aziendale ha capito?

– Si… signor Depoulos… – mormorò lei.

– Hai appena meritato le cinque cinghiate sulla fica, Manuela. FRASI COMPLETE quando mi rispondi, brutta troia di merda. LA TROIA AZIENDALE HA CAPITO?

Terrorizzata dall’ira di Depoulos, Manuela si affrettò a rispondere di nuovo: – si.. signore… mi perdoni… la troia aziendale ha capito.

– Ho idea che servirà una lavagna per tenere conto di tutte le frustate che ti guadagni, all’inizio. Vediamo, ci penserò sopra. Ora usiamo la tua bocca da troia. Slacciami i pantaloni e non smettere di guardarmi.

Manuela allungò le mani tremanti alla patta di Depoulos. Lui lasciò fare, godendosi lo spettacolo del bel volto di lei… le guance arrossate… i begli occhi nocciola resi velati di lacrime.. le mani che un po’ impacciate gli slacciavano il bottone dei calzoni, e poi gli abbassavano la cerniera.

– Tiralo fuori.

Manuela allungò la mano, tremando di disgusto… gli occhi fissi su quelli di Depoulos mentre trovava il membro dell’uomo, già durissimo, e lo sfilava gentilmente dai boxer. Solo per un istante i suoi occhi si spostarono sul membro dell’uomo, rosso, gonfio, minaccioso…

– Accarezzalo lentamente, Manuela. Goditelo… so che ti piace sentirlo in mano.

Manuela cominciò ad accarezzare l’asta, morbidamente, i suoi begli occhi umidi di lacrime ancora rivolti a Depoulos… sentì che il membro dell’uomo si irrigidiva ancora di più per lo spettacolo che gli stava offrendo con quella involontaria dolcezza…

– Guardalo, troia – fece lui, alludendo al proprio membro. – Ti piace?

Manuela annuì, abbassando lo sguardo al membro dell’uomo e mordendosi un labbro. – Si, signor Depoulos, mi piace…

Depoulos fece un cenno largo con le mani al suo grande, lussuoso ufficio. – E’ il cazzo del maschio dominante, Manuela. Quello che usa le donne degli altri come troie. Quello di cui le puttane come te vogliono lo sperma. Continua a guardarlo mentre mi lecchi le palle e mi dici che vuoi il mio sperma.

Manuela si chinò in avanti, iniziando a leccare i testicoli gonfi dell’uomo, senza smettere di accarezzarlo docilmente, senza smettere di guardarlo. “Voglio… il suo sperma… signor Depoulos… lo voglio.. lo vorrei bere…

Un nuovo scoppio di pianto completò la sua frase, due grocce lacrime scivolarono lungo le sue guance fino ai testicoli di Depoulos.

– Ora datti da fare, Manuela, e mostrarmi che troia da sborra sei. Fallo con calma, dimostra che sei grata di potermi servire. Non deludermi, – aggiunse, prendendola per i capelli per un attimo; – se non mi piace, ti gonfierò la fica con la cinghia. Mi aspetto che tu sia dolce, attenta, e troia… la schiava perfetta.

Manuela si asciugò velocemente le lacrime con il dorso di una mano, e avvicinò la bocca al glande di Depoulos. E cominciò… nel modo più dolce che le riusciva. Alzò gli occhi a Depoulos… lo avrebbe guardato tutto il tempo. Lasciò scivolare le labbra lungo l’asta, accarezzandola appena con la lingua, dalla base fino al glande, e ancora indietro. Lo baciò, lo leccò, incollò le labbra al membro di lui… Appoggiò la bocca aperta sull’asta, accarezzandola con la lingua… Salì con la bocca al glande dell’uomo, pulsante, violaceo, lo accarezzò con la lingua, lo baciò morbidamente, e infine lasciò scivolare le labbra attorno a esso, prendendolo.

Depoulos la lasciava fare. – Ma com’è brava la mia troietta, – disse lui, guardandola negli occhi e accarezzandole una guancia. Quel finto gesto di dolcezza sembrò a Manuela così ripugnante… lui la stava stuprando! Come poteva comportarsi in quel modo?

– Ora che la troietta mi ha mostrato quanto sa essere dolce, – continuò Depoulos, – è il momento che la sua bocca sia scopata come quella di una troia di strada.

Manuela spalancò gli occhi per la sorpresa mentre Depoulos si alzava bruscamente dalla sedia, trattenendola per i capelli in modo che il suo membro restasse nella bocca della ragazza. Portò anche l’altra mano sulla testa di Manuela, afferrando un’altra ciocca, trattendola con forza… E poi cominciò a fotterle la bocca. Con violenza… strattonandole la testa e sbattendole il membro in profondità… Manuela cercava a fatica di respirare, non riusciva nemmeno più a gemere… l’unico suono che si sentiva nella stanza era l’osceno sciabordio del membro di lui che si muoveva dentro e fuori della sua bocca…

– So che ti piace essere fottuta in questo modo, troia. Pizzicati le mammelle e strofinati il clitoride, – disse lui. Anche volendo, Manuela non avrebbe più potuto fissarlo ora, né annuire, ma fece debole “mmmh” di assenso, portando una mano al proprio sesso e una al seno nudo, cominciando a toccarsi e strizzarsi la morbida carne dei seni… Di nuovo, come quando Depoulos l’aveva fottuta con le dita, sentì con orrore un’ondata di piacere e di desiderio attraversarla.

Depoulos rallentò gradualmente, per poi fermarsi, ancora col membro ben piantato nella bocca di Manuela. Aspettò che la ragazza alzasse di nuovo gli occhi verso di lui – cosa che Manuela si affrettò a fare. – Ti masturberai molto d’ora in poi, – le disse quindi. – Passerai molto tempo con vibratori accesi nella fica… o a strofinartela contro la gamba della mia scrivania come un cagnolino… insomma sarai stimolata per gran parte del tempo. Ma non sarai autorizzata a venire, se non sono io a ordinartelo. l tuo piacere è una mia proprietà come tutto il resto.

Depoulos la fissò ancora un istante, un luccichio perverso negli occhi. – Non smettere di masturbarti. Tira fuori la lingua e leccami di nuovo le palle.

Manuela fece per sfilare la bocca dal membro dell’uomo, ma lui la trattenne. – Non ho detto di smettere di succhiarmelo, troia. Tienilo in bocca e leccami le palle allo stesso tempo.

Manuela arrossì violentemente. A fatica tirò fuori la lingua, la bocca piena del membro di lui, e la spinse in fuori più che poteva, fino ad appoggiarla sullo scroto dell’uomo. Cercò di muoverla come poteva. Vide nello sguardo sprezzante dell’uomo, riflessa, tutta l’oscenità, la degradazione di quel momento.

– Dimmi che hai capito bene.

Manuela esitò, trattenendo il fiato. Poi cercò di parlare come poteva… Per un attimo fece per muovere la lingua ma un cenno netto di Depoulos le fece capire che non le era concesso. “ooo aiiiooo eeemf…” furono gli unici suoni che riuscì a emettere. Il direttore le sorrise. – Brava cagnetta. – Dopodiché le sputò ancora in volto, uno sputo e poi un rivolo di saliva fatta scivolare fino alla guancia di Manuela. – Ringraziami, – la incalzò quindi.

“Aaaamf… eee…” fece lei.

– Vuoi bere la mia sborra ora, troia?

Lei cercò di annuire. “Iiii..”

Lui le diede un ceffone su una guancia, poi sull’altra. – Si cosa, vuoi bere la mia sborra?

“Iiiii… oooomf… eee… aaa ooaaa”…

– Usa una mano per aprirti la fica, e con l’altra prenditi il clitoride e tiralo come se volessi strappartelo.

Manuela annuì ancora a fatica. Portò le mani al proprio sesso… Si prese il clitoride fra il pollice e l’indice… era turgido e ipersensibile… socchiuse gli occhi per il dolore mentre cominciava a tirarlo… le lacrime le annebbiarono la vista… Depoulos sorrise e spinse il membro più a fondo nella bocca di lei, contro la gola, e poi cominciò a muoverlo appena avanti e indietro, meccanicamente, masturbandosi nella bocca di Manuela. Lei non riusciva più a connettere… il dolore che stava provocando al suo sesso, l’umiliazione di quella posizione orribile, con la bocca spalancata, la lingua di fuori, il senso di soffocamento del glande di lui che le spingeva in gola… Si sentì violata fino all’anima, distrutta… E il calore che le si diffondeva fra le cosce… non doveva venire… non era autorizzata… ed era orribile solo pensarlo… si trattenne piangendo disperata, mentre Depoulos finalmente schizzava nella sua gola, fiotto dopo fiotto di denso sperma che le entrava dentro…

Depoulos rimase ad ansimare per qualche minuto, col membro piantato nella bocca di Manuela, i capelli della ragazza stretti nelle mani. Manuela si sentiva annullata, in ginocchio col clitoride gonfio fra le dita, le ginocchia che le tremavano, le guance bagnate di lacrime e le cosce bagnate dei suoi umori…

Finalmente lui si decise a sfilarlo. Senza neppure guardarla, come se davvero usasse un oggetto, se lo ripulì strofinandolo sulle guance della ragazza inginocchiata e poi sui capelli di lei. Quando abbassò lo sguardo di nuovo verso di lei, la vide ancora con le mani tra le gambe, gli occhi supplicanti rivolti verso di lui.

– Hai bisogno di venire? – le chiese, sprezzante.

Manuela non voleva. Non voleva dire di si… non voleva che fosse la verità. Ma non poteva evitare nessuna delle due cose.

– Si, signore… – mormorò, sentendosi sporca come non si era mai sentita in vita sua.

Lui la fissò e la colpì con un ceffone sulla guancia.

– Non ancora. Smetti di sgrillettarti come una cagna in calore. Prima devi avere la tua punizione.

Manuela tolse le mani dalla propria vagina, rimanendo in ginocchio a tremare.

– Rimetti a posto quello che hai usato – ordinò lui, accennando al proprio membro. Manuela obbedì rapidamente, prendendo il membro di Depoulos e rimettendoglielo delicatamente nella patta. Gli allacciò i pantaloni.

– Ora sfilami la cintura.

Manuela portò la mano alla cintura dell’uomo. Era una pesante cintura di cuoio, con una grossa fibia metallica. La terrorizzava. La slacciò, la fece sfilare dai passanti più delicatamente che poteva, e la porse a Depoulos.

– Alzati da terra.

Manuela si alzò in piedi. Lui aveva la cinghia in mano, ma prima di cominciare a usarla si prese qualche momento per guardare ancora il bello spettacolo del corpo nudo di Manuela. Le si avvicinò, e portò la bocca all’orecchio di lei mentre le metteva una mano fra le gambe. Lei le divaricò quasi instintivamente. – Mi fa molto piacere sapere che devi venire, tesoro, – le sussurrò lui nell’orecchio, dischiudendo appena le labbra del sesso di lei per poi sfiorarle il clitoride con la punta dell’indice. Manuela rabbrividì… quel tono di voce quasi affettuoso, quel “tesoro”, erano ancora più umilianti delle offese di prima… – Mi piace saperti vogliosa, – continuò lui, – ma sai che ora devo darti la tua giusta punizione… Quante cinghiate erano?

Lei singhiozzò. – Dieci… dieci sulle… natiche… e cinque… davanti…

Lui rise. – Davanti?

– Sul sesso…

Lui rise ancora. – Le donne hanno le “natiche” e il “sesso”, – le disse. – Le troie e le cagne hanno “chiappe” e “fica”.

Manuela socchiuse gli occhi. Il dito di Depoulos era ancora lì, ancora la stava sfiorando, e lei sentiva che sarebbe potuta venire in qualunque momento, sulla mano di lui, se solo… se solo lui lo avesse ordinato.

– Si… signore… dieci cinghiate sulle mie chiappe… cinque sulla mia fica… signore…

Lui sorrise. – No, tesoro, ora sono dieci sulla tua fica – le disse, – per avere usato le parole sbagliate. – Manuela sentì un’altra lacrima che le attraversava la guancia. Depoulos tolse la mano dal sesso di lei. Le indicò la scrivania.

La ragazza esitò un istante, ma non poteva fingere di non capire. Si piegò, appoggiando il busto e il ventre sul piano della scrivania, le natiche nude pronte ed esposte per la prima parte della punizione. Depoulos piegò la cinghia in due.

– Conta.

Manuela chiuse gli occhi, abbandonandosi. Doveva solo resistere… solo aspettare che passasse.

Il primo schiocco della cinghia echeggiò nella stanza, seguito dal gemito improvviso e soffocato della ragazza. Depoulos non stava scherzando, il dolore era stato come una scarica elettrica, violento e penetrante. Manuela raccolse le forze: – Uno…

La cinghia si abbatté ancora sulla carne giovane di lei. E ancora… – Due… tre…

Le gambe le vacillavano… – Quattro… cinque… – Ogni frustata rimbombava nell’ufficio, e lasciava una striscia di dolore sulla pelle di lei… l’idea che sarebbe presto toccato al suo sesso… come poteva resistere a quel dolore?

– Sette… otto… – la sua voce era più spezzata a ogni numero.

– No… ve… mmmmm… die… ci…!

Depoulos fece una pausa. – Ora girati verso di me e apri le gambe.

Manuela si girò, il volto una maschera di dolore. Appoggiò le natiche al bordo della scrivania, e suo malgrado spalancò le cosce, esponendo il proprio sesso alle sevizie del direttore. – La… supplico… signor Depoulos…

Lui la guardò. – Chi è che mi supplica? Manuela?

Lei ansimò, cercava di capire. Doveva capire. No, non era Manuela. – La sua troia… signor Depoulos… la sua troia… la supplica…

Lui la lasciò continuare.

– La sua troia la implora padrone… non così forte… la prego… morirò…

Lui continuò a fissarla in silenzio. – Conta, – le disse quindi, freddamente. Manuela quasi non lo vedeva più, attraverso le lacrime.

La prima cinghiata la fece quasi svenire, violenta come le precedenti, secca, schioccante, di piatto sul sesso della ragazza. Manuela si piegò dal dolore. – Conta, – la incalzò lui.

– U…. uno…. – pianse Manuela.

Un altro schiocco, un’altra ondata di dolore. – Conta! – insistette lui, cominciando a irritarsi. Manuela sentiva il proprio sesso pulsare. – D… d… du… e….

Il dolore era insostenibile.

Tre…

Quattro… Manuela contava, per quanto le era possibile in mezzo ai gemiti.

– Apri di più.

Sei… sette…

Era troppo… Manuela si sentì ancora implorare, – la… la sua troia… la supplica… padrone… per favore… basta…

Otto…

Manuela si rese conto che Depoulos si era fermato. L’uomo la stava guardando; non la guardava in volto, o meglio non solo, ancora una volta si stava ancora godendo la vista di lei, del suo bel corpo giovane alla sua mercé, nudo, tremante…

– Masturbati, – le disse, – e guardami.

Manuela portò la mano al sesso dolorante… cominciò a toccarsi… le faceva male, ma si toccò come avrebbe fatto normalmente… guardando Depoulos… avrebbe voluto implorare ancora, ma aveva già il rimorso di averlo fatto prima: non poteva sapere se Depoulos non si sarebbe arrabbiato per le sue suppliche, se non avrebbe semplicemente rincarato la dose… Rimase in silenzio, masturbandosi dolorosamente per lui.

– Mancano ancora due cinghiate sulla fica, – disse quindi Depoulos. Abbassò lo sguardo ai seni di Manuela. – Ma ti concedo di scambiarle, con dieci frustate sulle tette.

Manuela esitò. Dieci! Ma il ricordo della violenza delle cinghiate che aveva appena ricevuto sulla carne tenera del suo sesso… Non poteva sopportarlo ancora.

– Si… signore… – mormorò. – Grazie…

– Smetti di masturbarti, metti le mani dietro la schiena, e spingi le tette in fuori.

Manuela obbedì.

Ancora una volta l’ordine di Depoulos che dava inizio al dolore: – Conta.

Le dieci cinghiate si susseguirono a ritmo costante, alternate una per mammella… ognuna data da un angolo diverso, dal basso verso l’alto, dall’alto verso il basso, dall’esterno verso l’interno… Ognuna rimbombava nella stanza seguita da un gemito soffocato di dolore, e dalla voce di Manuela che contava: – tre… quattro… – Ognuna era più dolorosa, man mano che la carne della ragazza si arrossava e la pelle diventava più sensibile… – sette… otto…

E finalmente ancora era finito: – dieci…

– Masturbati, – ordinò di nuovo Depoulos. Non ebbe bisogno di ordinarle di fissarlo.

Manuela lo guardava, ansimante, rossa in viso, i seni e il sesso gonfi e doloranti, toccandosi per lui come una ragazzina vogliosa… Aveva le dita bagnate, stava colando di nuovo…

– Hai bisogno di venire? – chiese ancora lui, come prima. E ancora una volta Manuela non poté evitare la risposta più umiliante. – Si… signore… per favore…

Depoulos rimase a guardarla in silenzio, lasciando che la ragazza continuasse a umiliarsi in quel modo. – La prego…

Quindi, l’uomo si infilò la cintura. – No, – le rispose seccamente. – Oggi non ti permetterò di venire. Voglio che torni alla tua scrivania, ti siedi su quelle chiappe e su quella fica in fiamme, e voglio sapere che stai colando dalla voglia tutto il tempo.

Manuela abbassò gli occhi. – Si… signore.

– Prendi un asciugamano in un bagno e mettitelo sotto prima di sederti, per ora hai ancora la tua costosa sedia in pelle e non voglio che la rovini sbavandoci sopra come una lumaca. In seguito sistemeremo l’arredamento del tuo ufficio per renderlo più consono al tuo nuovo ruolo.

Manuela non sapeva cosa Depoulos potesse intendere, ma non le piaceva.

– Ora rimettiti i vestiti, eccetto per il tanga da troia, quello rimane qui nel mio cassetto per ricordo. Ovviamente da adesso in poi sei a mia disposizione per tutta la giornata.

– Si, signore, – mormorò lei, raccogliendo i vestiti.

– Chiudi il bagno del tuo ufficio a chiave, e portami la chiave. Ti è vietato usare gli altri. Ogni volta che devi andare in bagno, verrai a chiedermi il permesso.

– Si… signore… – disse ancora Manuela, arrossendo mentre si metteva la camicetta.

– Ti farò sapere altre regole via via. Ora togli il culo dal mio ufficio prima di sporcarmi la moquette.

Manuela aveva finito di rivestirsi. Mormorò ancora una volta quella frase, “si, signore…” e per qualche motivo disse anche “grazie, signore”. Si affrettò verso la porta, e uscì dall’ufficio che aveva cambiato la sua vita per sempre.

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