Al centro commerciale

Scritto da , il 2016-04-12, genere esibizionismo

Daniele vorrebbe vedermi vestita da scolaretta.
E come si veste una scolaretta?
Mi metto una minigonna anni ‘60, una camicetta bianca, calzettoni al ginocchio e scarpe da tennis nere. Ci vorrebbe un fiocco al collo per completare lo stereotipo, ma non ce l’ho. Poso davanti allo specchio, ma più che sexy mi sembro abbastanza ridicola. Tolgo calzettoni e scarpe e mi infilo le autoreggenti, così faccio contento anche Gabriele, e gli stivaletti.
Mi torno a guardare: sì, sono piuttosto provocante (trovo che a rendermici siano le autoreggenti che arrivano appena sotto la gonna e le si distinguono come tali quando ad ogni passo più deciso o ad ogni minimo piegamento del busto il pizzo e la pelle nuda si mostrano inattesi), ma non eccessivamente, come mi vuole Stefano per il suo gioco, che ho deciso di fare.
Tiro fuori dal fondo del cassetto il piccolo vibratore telecomandato che quelle cretine delle mie amiche mi hanno regalato qualche secolo fa. Gli cambio le pile e lo provo.
Funziona.
Me lo metto nella tasca della camicetta insieme a qualche banconota ed esco.
L’aria fresca che finalmente è arrivata mi si insinua tra le cosce nude e mi dà un brivido.
Corro alla fermata dell’autobus che sta arrivando ripensando alla cerbiatta che zompettava in piazza e constato contenta di non provare più invidia. Ora sono mie le gambe che tutti osservano furtivamente mentre salgo al volo, mentre oblitero e mentre me ne vado a sedere nell’ultima fila, in mezzo, come facevo da ragazzina, per lasciare che tutto il corridoio possa vedermi, mentre poi scendo dagli scalini ripidi facendo svolazzare in alto la gonna ed entro nella stazione ferroviaria, mentre aspetto il pendolino che mi porterà all’ennesimo nuovo centro commerciale con allegra musica di sottofondo e deprimenti facce che vi si aggirano.
Salgo sul treno tra i primi, mi siedo a metà d’una carrozza ancora semivuota e senza pensarci troppo mi tolgo le mutande e le appallottolo nel taschino, da cui estraggo il piccolo fallo artificiale.
Lo posiziono al suo posto... Nessuno mi ha vista.
Un uomo mi si siede accanto. Mi squadra serio.
Un ragazzo mi si sistema di fronte, cerca signorilmente di non urtare con le ginocchia le mie, ma mi sfiora ugualmente. Mi sorride. Ricambio.
Una ragazza gli si accomoda a fianco.
Il treno parte.
Ho poche fermate a disposizione, quindi mi faccio coraggio e tiro subito fuori il telecomando. Sposto l’interruttore su 1.
Niente.
2.
Niente.
3, 4, lo muovo convulsa, me lo sbatto ripetutamente sul palmo dell’altra mano e riprovo a farlo scorrere su e giù.
Ancora niente.
I miei compagni di viaggio mi guardano incuriositi.
Impreco sottovoce strizzando e torcendo la plastica, inutilmente.
E poi accade l’inaspettato.
“C’è lo sportellino aperto” mi dice il ragazzo.
“Come?” Sobbalzo, non avevo previsto un’interazione.
“Lo sportellino delle pile. È chiuso male.” Allunga una mano e me lo prende dalle mani. “Forse non toccano bene le batterie.” Apre e richiude il piccolo vano dopo aver sistemato con il pollice le pile, poi fa scattare il cursore sull’1 e...
Io sussulto.
Ora va. Va molto bene.
“Cosa dovrebbe fare?” mi chiede portandolo direttamente a 4.
“Comanda...” Mi sforzo di tenere un tono normale, mentre le vibrazioni mi fanno contrarre involontariamente i muscoli delle cosce.
Lui mi interrompe, tendendo l’orecchio verso di me: “Si sente un ronzio...” Merda, Avevo dato per scontato che nel rumore di fondo del treno non si sentisse.
“...Un massaggiatore... Ce l’ho addosso...” Tento un sorriso, ma che espressione realmente io abbia fatto non saprei dire. Il piacevole fastidio, a velocità 4, è decisamente intenso.
“Un massaggiatore? Tipo fascia muscolare?” Mi porge il mio oggetto, senza spegnerlo.
“Tipo.” Me lo riprendo e lo riporto a 2.
La ragazza mi guarda senza espressione. L’uomo di nascosto, ma chiaramente interessato. Il ragazzo tira fuori dallo zaino un libro e legge, o forse finge, come faccio di solito io.
Mi rilasso, lasciando che i sussulti della rotaia e il congegno nel mio corpo mi massaggino e masturbino.
Non riesco a raggiungere però l’orgasmo prima dell’arrivo; non che ci sperassi davvero, conoscendomi.
Spengo il dildo, con grande delusione dei miei compagni di viaggio che sicuramente la verità l’hanno ipotizzata. Saluto cordiale alzandomi in piedi. Il ragazzo deve aver notato l’assenza dei miei slip e ricambia il saluto più arrossito di me.
Mentre scendo dal treno, più attenta ai movimenti che faccio, sento che il fallo artificiale sta fuoriuscendo dal suo intimo nascondiglio.
Non faccio in tempo a decidere una soluzione: cade sulla banchina e inavvertitamente lo calcio in avanti.
Senza il coraggio di guardarmi intorno gli corro dietro e mi chino veloce per raccoglierlo, dimenticandomi della minigonna, che sale.
Faccio finta di niente e mi allontano dalla piccola stazione sforzandomi di non guardare in faccia nessuno.
Il centro commerciale mi si presenta davanti maestoso e inquietante.
Luca vorrebbe vedermi con un costumino Wicked Weasel. Ammetto di aver dovuto guardare su internet per sapere di cosa si trattasse - per poi scoprire di averne già fatto uso in passato, su una spiaggia tropicale, lontana migliaia di chilometri da chiunque mi conoscesse fatto eccezione del mio ragazzo di allora che mi accompagnava, e che in effetti non resisteva a tastarmi ogni minuto (mi ha perfino masturbato, con successo, in due diverse occasioni, incurante del possibile arrivo prima, e della presenza poi, di altri turisti) - e di non possederne però più alcuno (mi pare se li sia tenuti il suddetto ragazzo, nella probabilmente vana speranza di trovare un giorno un’altra disposta a indossarli).
Luca mi propone anche di aggirarmi per un posto pieno di gente e di negozi come questo con un vestito sexy, cosa che sto facendo, e di cambiarmi in un camerino lasciando la porta socchiusa. Questo mi accingo a fare.
“Mi scusi, avete dei costumi Wicked Weasel?”
“Prego?”
“Quei costumi ridotti, per l’abbronzatura quasi totale...” La tipa con lo squallido grembiule dell’ipermercato mi guarda ancora interrogativa. “Tipo tanga, ma ancora più stringati...”
Ora mi guarda palesemente come fossi una prostituta.
“Deve chiedere al ragazzo del reparto abbigliamento sportivo.” Me lo indica, fredda. Lui si sente tirato in causa, si avvicina e si informa.
Spiego anche a lui.
Sorride. Sa di cosa sto parlando.
“Non ne teniamo, mi spiace.” Il suo sorriso permane. “Provi in un sexy shop, penso che li vendano solo lì.” Gli posso contare i denti.
“G-Grazie...” E mi allontano imbarazzata.
Opto per un intimo sufficientemente ridotto: un perizoma rosso rubino con abbinato un reggiseno altrettanto provocante.
Il camerino è lì di fronte, ha una tendina che copre dalle ginocchia alle testa; vedo i piedi scalzi e gli stinchi di uno che si sta provando un paio di orrendi pantaloni color escremento fresco. Gli altri sono vuoti.
Trattengo il fiato come i sopravvissuti del Poseidon prima di passare oltre la zona allagata ed entro in quello accanto all’uomo. Tirandomi dietro la tendina, invece di chiuderla del tutto, la lascio a tre quarti e fingo di non accorgermene, con la faccia rivolta allo specchio sul lato opposto, dal quale invece vedo benissimo quanto io sia rimasta esposta.
Mi sfilo la gonna. Il mio sedere ora è nudo e ben visibile. Mentre mi slaccio la camicia guardo riflessi i primi che mi notano e lanciano lunghe occhiate alle mie natiche.
Mi tolgo il reggiseno.
Qualcuno fuori si è fermato e simula interesse per mutandoni e pigiami tristissimi per continuare in realtà a guardare me, vestita solo di stivaletti e autoreggenti.
Mi infilo il completino intimo, molto più lentamente del necessario, e poi rimiro la mia immagine speculare. E non sono l’unica, a rimirare.
Valuto la possibilità di uscire nel corridoio, come a volermi osservare riflessa più da lontano, ma mi sembra eccessivo. Mi limito a posare nello specchio, ad accarezzarmi il poco tessuto e a tirarne l’estatico, per valutarne la qualità. Giro su me stessa per vedermi, e quindi farmi vedere, da tutte le angolazioni.
Alla terza rotazione rimango rivolta verso l’esterno; guardo velocemente in faccia coloro che mi stanno più o meno apertamente spiando e con un gesto secco chiudo la tendina.
Sto tremando.
Mi spoglio del reggiseno e lo faccio cadere a terra, poi mi abbasso il perizoma e lo lascio scivolare fino alle caviglie; lo tengo lì, in modo che tutti lo possano vedere nel rettangolo aperto sotto l’insufficiente chiusura del camerino.
Non riesco a più resistere.
Inizio a toccarmi.
Avevo progettato di comprare preservativi profumati, anello vibrante, olio intimo lubrificante e questo completino, per dare il piacere a Fabio di immaginare la faccia della cassiera e degli altri clienti in fila alla cassa al momento del pagamento. Per far formulare a tutti, come ha scritto lo stesso Fabio, ‘il medesimo concetto, il più antico del mondo’.
Mi riprometto di farlo comunque, anche se so già che dopo non ne avrò alcun desiderio. Perché so che poi ecciterà anche me ripensare che l’ho fatto, quando sarà tornata la voglia.
Una voglia come questa. Che ora non mi permette di fermarmi.
Si capirà sicuramente, da fuori, cosa sto facendo. Staranno certamente notando le mie gambe che languide non riescono a star ferme, il perizoma alle caviglie che si tende e si allenta seguendone i movimenti, i sommessi mugolii che non riesco a trattenere. Mi staranno additando, deridendo, insultando, desiderando...
Vengo.
Le endorfine mi entrano in circolo; mi tolgono per alcuni secondi volontà e consapevolezza. I muscoli si contraggono, senza nemmeno rendermene conto mi sollevo sulle punte dei piedi e le mie mani mi stringono la carne pulsante.
Subito dopo le gambe cedono. Devo appoggiarmi alla specchio e i miei umori lo sporcano lasciando sulla superficie la forma delle mie dita.
Il desiderio si placa. Il bisogno di trasgredire scompare.
Rimango lì, immobile, senza sapere più cosa fare, aspettando che il respiro mi torni regolare. Vergognandomi adesso di quello che staranno pensando e incapace di togliermi da questa situazione.
Fuori i soliti rumori di un qualsiasi ipermercato. Il seducente intimo ancora ai piedi, esposto. Mi ci vogliono alcuni minuti e parecchia forza di volontà per chinarmi, riuscire a rivestirmi, ed uscire dal camerino.
Scappo a testa china, sentendo mille occhi puntati addosso.
Cammino rapida tra le corsie, trovo il reparto medicinali. Afferro velocemente ciò che devo; tengo tutto in mano.
Mi metto in coda alla prima fila di carrelli che raggiungo. Alla cassa c’è una ragazzina che ha tutta l’aria di non avere ancora compreso il suo reale potenziale.
Lo sguardo del piccolo uomo davanti a me è attirato prima dalle mie gambe, poi dalla mia spesa. Sgrana per un attimo gli occhi e poi mi studia velocemente il viso. Sento il rossore infiammarmi le guance.
Cerco inutilmente di estraniarmi. Appena riesco appoggio tutto sul rullo trasportatore. Ho il respiro nervoso e le dita contratte. In questo momento non riuscirei a sorridere nemmeno se di fronte a me apparisse Ratzinger vestito da ballerina brasiliana.
“Contanti?” Tocca finalmente a me. La ragazzina ha già passato gli oggetti sul laser e ora ha l’aria divertita di chi stasera racconterà questa scena ad amici e amiche nell’ilarità generale.
La sua ironia sottintesa non mi piace. La rabbia mi ridona l’audacia e stupendo perfino me stessa la fisso decisa e mi sollevo con due dita la gonna sul fianco destro. “Ho preso anche questo.” Con la mano sinistra le allungo il cartellino del prezzo, ancora attaccato all’intimo con un filo altrettanto sottile, e roteo il bacino per agevolarne la lettura. Lei tituba attonita; poi, ricordandosi di essere la cassiera, si alza a sporgendosi protende verso il mio fianco nudo il lettore manuale.
Bip.
La pago, raccolgo le mie cose e la saluto con un sorriso carico di superiorità. Stasera racconterà ugualmente la scena, ma almeno non susciterò solo risatine.

Note finali.
Al rientro, secondo il mio piano iniziale, avrei voluto concludere accogliendo anche la proposta di Luke ed usare nuovamente il mio giocattolino (che non è nero come lui vorrebbe, ma confido che non gli faccia una grande differenza) abbandonandomi all’autoerotismo nell’ingresso del mio appartamento, tenendo la porta blindata aperta e le pudenda ben esposte al pubblico passaggio, con la paura, e forse anche una perversa speranza, di vedere sopraggiungere un condomino sul pianerottolo.
Non ne ho avuto la forza. Avevo già in corpo fin troppa adrenalina.
Si consoli, Luke, che conoscendomi so già che non saprò resistere a questa fantasia, in cui già mi sono piacevolmente immaginata, quando di nuovo l’eccitazione avrà preso il sopravvento sul buonsenso.
Mi perdonino anche quelli che non ho (ancora) nominato, compresi tutti gli aspiranti ‘master’, ancora inconsapevoli che non sto cercando padroni, ma complici. Ho dovuto inoltre scartare proposte perché troppo complesse da eseguire, o perché già vissute e in alcuni casi anche già raccontate, o perché troppo pericolose o troppo schifose per i miei gusti. O perché esageratamente strampalate (Guido, ti pare che possa andare a sdraiarmi nuda sull’altare durante una messa e autosodomizzarmi con un crocifisso?! Angelo, ma come diavolo faccio ad avere un rapporto sessuale con un dromedario?! Philip, dove cavolo la trovo una Katana?!).
Alcune le ho realizzate e vissute, ma il racconto che sarebbe dovuto seguirne o non mi è proprio nato o non è riuscito degno di essere divulgato.
Altre le ho solo accantonate, in attesa di occasioni e ispirazioni propizie.
Altre ancora ne aspetto.
La prossima settimana, caro Emil, si va al cinema.


"La tentazione": https://vivereperraccontare.wordpress.com/ebook

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