Dissertazione
di
Moïra
genere
etero
«Elegante come una lagrangiana.»
Sono più che certa che le mie mutandine si siano inumidite, ascoltandolo pronunciare quelle quattro parole.
In effetti, una parte di me avrebbe voluto avventarglisi addosso, famelica. Mi sarei accomodata a cavalcioni su di lui, muovendomi sinuosa ed accertandomi di offrirgli una visuale privilegiata su ciascuna delle mie grazie, e poi, probabilmente, lo avrei baciato. Un bacio avido, uno spasmodico intreccio di lingue che cercano e succhiano e leccano e vogliono di più. Con le mutandine sempre più impiastricciate, i capezzoli turgidi e sensibili, le mie unghie sulla sua nuca.
Avrei sbottonato la camicetta, porgendogli i seni abbracciati dai merletti della lingerie. Avrei inarcato la schiena, lasciando cadere la testa all’indietro, abbandonandomi a lui. Le sue grandi mani avrebbero stretto i miei seni con fervore, saggiandone la consistenza e liberandoli poi dall’impiccio del tessuto.
Lo immaginavo abile, nell’amore. Almeno, tanto quanto lo era con i numeri e gli enigmi. Sarebbe stato il più impetuoso degli amanti ed, al contempo, il più attento. Avrebbe percorso ogni curva del mio corpo, ricavandone equazioni e sospiri con cura meticolosa, accertandosi di non aver tralasciato né trascurato alcunché.
Mi avrebbe cullata dolcemente, stringendomi fra le braccia, dopo avermi regalato l’ennesimo orgasmo, strappandomi via l’anima per un momento, per poi restituirmela più viva, appagata e fremente di prima. Avrebbe protetto l’istante in cui, indifesa e smarrita, avrei dichiarato all’universo la mia resa, dando voce alla tensione erotica accumulata, gridando il mio primordiale, liberatorio, catartico piacere.
Avrebbe condotto un’accurata ricerca, mappando e memorizzando ciascuna delle linee del mio corpo. Mi avrebbe sussurrato, affondando il naso fra i miei capelli, di essersi smarrito senza possibilità di redenzione.
«Hmm... Hai quasi spodestato quel tale che m'inviò un video in cui un'equazione veniva rappresentata graficamente, disegnando un cuore.» dissi, ridestatami dalle mie fantasticherie, mettendo in atto un pallido tentativo che speravo fosse utile a celare il fatto che con quell’apprezzamento così deliziosamente da nerd mi aveva conquistata e che, se avessi dato ascolto unicamente al mio istinto, in quel momento il suo cazzo starebbe già stato dentro di me, immerso nel mio ventre e nei miei traboccanti umori.
«Se fossi bravo sul serio, ti dedicherei un teorema. Un teorema sì, che è per sempre.»
Francamente, a quel punto avrei potuto consegnarmi. I polsi legati dietro la schiena, i capelli intrecciati e vestita soltanto della serica trama della mia pelle, avrei preso in bocca il suo enorme, pulsante, febbrile, maestoso membro, leccandolo amorevolmente. Beandomi del suo sguardo ebbro d’eccitazione, posato sul mio viso trasfigurato dal piacere di succhiare avidamente la sua prodigiosa erezione.
Gli avrei offerto le mie labbra, avvolgendole attorno all’asta eretta, con la lingua che, sotto, accompagna il movimento, massaggiandolo sino a condurlo ad un passo dal baratro. Lo avrei succhiato, leccato, preso e tenuto in bocca per un tempo senza fine, unicamente per il piacere di vederlo trasalire.
Avrebbe conservato, impresso nel più segreto e prezioso meandro di sé, il ricordo dei miei occhi incorniciati dalle lunghe ciglia scure, che lo guardano fisso mentre ingoio il suo cazzo.
«Mettiti all’opera. Che aspetti?!»
Sorridendogli, lasciai la stanza, facendo in modo di assicurarmi che potesse godersi il mio incedere, mentre mi allontanavo.
La mattina successiva, sulla mia scrivania, trovai un plico ad attendermi.
Si trattava di un teorema. Portava il mio nome e, naturalmente, la sua firma.
Sono più che certa che le mie mutandine si siano inumidite, ascoltandolo pronunciare quelle quattro parole.
In effetti, una parte di me avrebbe voluto avventarglisi addosso, famelica. Mi sarei accomodata a cavalcioni su di lui, muovendomi sinuosa ed accertandomi di offrirgli una visuale privilegiata su ciascuna delle mie grazie, e poi, probabilmente, lo avrei baciato. Un bacio avido, uno spasmodico intreccio di lingue che cercano e succhiano e leccano e vogliono di più. Con le mutandine sempre più impiastricciate, i capezzoli turgidi e sensibili, le mie unghie sulla sua nuca.
Avrei sbottonato la camicetta, porgendogli i seni abbracciati dai merletti della lingerie. Avrei inarcato la schiena, lasciando cadere la testa all’indietro, abbandonandomi a lui. Le sue grandi mani avrebbero stretto i miei seni con fervore, saggiandone la consistenza e liberandoli poi dall’impiccio del tessuto.
Lo immaginavo abile, nell’amore. Almeno, tanto quanto lo era con i numeri e gli enigmi. Sarebbe stato il più impetuoso degli amanti ed, al contempo, il più attento. Avrebbe percorso ogni curva del mio corpo, ricavandone equazioni e sospiri con cura meticolosa, accertandosi di non aver tralasciato né trascurato alcunché.
Mi avrebbe cullata dolcemente, stringendomi fra le braccia, dopo avermi regalato l’ennesimo orgasmo, strappandomi via l’anima per un momento, per poi restituirmela più viva, appagata e fremente di prima. Avrebbe protetto l’istante in cui, indifesa e smarrita, avrei dichiarato all’universo la mia resa, dando voce alla tensione erotica accumulata, gridando il mio primordiale, liberatorio, catartico piacere.
Avrebbe condotto un’accurata ricerca, mappando e memorizzando ciascuna delle linee del mio corpo. Mi avrebbe sussurrato, affondando il naso fra i miei capelli, di essersi smarrito senza possibilità di redenzione.
«Hmm... Hai quasi spodestato quel tale che m'inviò un video in cui un'equazione veniva rappresentata graficamente, disegnando un cuore.» dissi, ridestatami dalle mie fantasticherie, mettendo in atto un pallido tentativo che speravo fosse utile a celare il fatto che con quell’apprezzamento così deliziosamente da nerd mi aveva conquistata e che, se avessi dato ascolto unicamente al mio istinto, in quel momento il suo cazzo starebbe già stato dentro di me, immerso nel mio ventre e nei miei traboccanti umori.
«Se fossi bravo sul serio, ti dedicherei un teorema. Un teorema sì, che è per sempre.»
Francamente, a quel punto avrei potuto consegnarmi. I polsi legati dietro la schiena, i capelli intrecciati e vestita soltanto della serica trama della mia pelle, avrei preso in bocca il suo enorme, pulsante, febbrile, maestoso membro, leccandolo amorevolmente. Beandomi del suo sguardo ebbro d’eccitazione, posato sul mio viso trasfigurato dal piacere di succhiare avidamente la sua prodigiosa erezione.
Gli avrei offerto le mie labbra, avvolgendole attorno all’asta eretta, con la lingua che, sotto, accompagna il movimento, massaggiandolo sino a condurlo ad un passo dal baratro. Lo avrei succhiato, leccato, preso e tenuto in bocca per un tempo senza fine, unicamente per il piacere di vederlo trasalire.
Avrebbe conservato, impresso nel più segreto e prezioso meandro di sé, il ricordo dei miei occhi incorniciati dalle lunghe ciglia scure, che lo guardano fisso mentre ingoio il suo cazzo.
«Mettiti all’opera. Che aspetti?!»
Sorridendogli, lasciai la stanza, facendo in modo di assicurarmi che potesse godersi il mio incedere, mentre mi allontanavo.
La mattina successiva, sulla mia scrivania, trovai un plico ad attendermi.
Si trattava di un teorema. Portava il mio nome e, naturalmente, la sua firma.
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