Vita e opinioni di un proprietario di schiave
di
Stern DiLaurencèio
genere
sadomaso
[…]
3 non puoi trattarmi come la tua innamorata
Mi sveglio prima dell'alba. Le ragazze hanno passato una notte tranquilla: se si sono agitate, io non le ho sentite! Metto una nuova flebo a Clio. Ha un po' di febbre e aggiungo un antipiretico alla sacca. Vuoto la sua urina e la lascio dormire ancora un po'. Mi rimetto a letto ma non riesco a riprendere sonno. Ormai il mio cervello è in funzione e non riesco a non pensare a tutto quello che ho da fare oggi. L'enormità della mia situazione mi fa vacillare, come colpito da un macigno. Ho la responsabilità di tre vite!
Decido di alzarmi, ho fame, posso riflettere e preoccuparmi anche facendo colazione. Sento un movimento fra le brande, una figura si alza e zompetta verso di me, non può essere che Irina, perché Adele non riesce a poggiare il tallone. Penso che si diriga alla porta per prendere le stampelle e andare in bagno. Invece si avvicina, tasta il mio letto per non schiacciarmi e si siede sul materasso. «Sei sveglio, vero?» Non rispondo, e lei si stende al mio fianco, per fortuna ho un letto King Size. Le faccio spazio.
La fanciulla si accoccola e la sento calda fra le mie braccia. Odora di buono, di sudore, di femmina. Il mio migliore amico si desta, non che abbia bisogno di molti stimoli. La sua mano mi pizzica leggermente un capezzolo attraverso la maglietta. Ci giocherella un po', poi solleva il busto e mi mordicchia. La mano scende più in basso e mi accarezza l'inguine attraverso le mutande. Ci vuole poco perché il mio amico faccia capolino, trattenuto solo dall'elastico dell'indumento. Sento la ragazza sorridere mentre libera il mio cazzo dalle costrizioni e inizia a tastare il glande e i testicoli. «Ti va?» chiede sottovoce. «Certo, se va anche a te. Non sei tenuta a farlo.»
Lei si irrigidisce. Ritira la mano. Mi sembra di sentire le proteste del mio amico: «Stronzo! Grandissimo stronzo! A me non pensi? Adesso dovrai farti una bella sega, e non potrai nemmeno fartela a letto, perché hai ospiti!» Sospiro. Ho detto la cosa sbagliata? Ora non so più cosa fare, cosa dire. Non voglio respingerla, ci mancherebbe altro. Però…
Rimaniamo immobili per un po'. Poi lei riprende ad accarezzarmi spalle, torso e addome, senza scendere oltre. Non parla. Il mio amico si rassegna e comincia mestamente a ritrarsi. Poi sento che si scuote. Mi sembra che singhiozzi. Sussurra: «Non sei tenuta a farlo. Che significa?» Una pausa, non so cosa dire. Lei continua fra le lacrime: «Io SONO tenuta a farlo. Sono una schiava da più di cinque anni. Ero vergine, quando mi hanno presa. Mi hanno violata e picchiata, e poi picchiata e violata. Me e le altre. Per insegnarci l'obbedienza. Per addestrarci. Per farci capire quanto valessimo e quale fosse il nostro posto nel mondo. Hanno usato bastoni su di noi. Per picchiarci e aprirci. Sanguinavamo fuori e dentro. Senza acqua, senza cibo e senza sonno. Solo violenza, dolore e oscurità.»
Cerco di interromperla, di calmarla, ma lei si divincola e solleva il busto al mio fianco. Geez, com'è bella, i seni sono sbucati dall'enorme t-shirt che ho dato loro per dormire, sento il suo odore, vorrei annusarla e leccarla e masticare quei capezzolini che paiono dritti nella penombra… non solo è carina, è bella, bellissima, stupenda, meravigliosa, ma forse è solo il mio amico che parla, sta riprendendo vigore, mi spinge verso di lei, contro di lei, dentro di lei… ma questo non è il momento di scoparla. Questo è il momento di ascoltarla, di condividere la sua rabbia, la sua paura, la sua tristezza. Guardo il mio amico come Tom guarda me, e lui si accascia.
«Ci hanno picchiate finché non è rimasto niente di noi. Gusci vuoti che loro potevano riempire di sperma da tutti i buchi, indifferenti ormai a tutto. Solo allora hanno caricato le sopravvissute su un camion, ci hanno rinchiuse in una specie di stalla, ci hanno dato da bere, da mangiare e ci hanno lasciate in pace a riprenderci. Quando ci hanno ripreso, puzzavamo come capre, coperte di sporcizia, di croste e di sangue raggrumato. Ci hanno buttate in una vasca per lavarci. Ci hanno messo dei collari a strozzo, come fossimo bestie pericolose. E ci hanno appese ad un rack per esibizione.»
Lei fa una pausa e tira su col naso. Mi allungo verso il comodino e le porgo un pacchetto di fazzoletti, che lei accetta con un «Grazie.» appena udibile. Si soffia il naso in modo decisamente poco femminile. Questo la fa scendere dall'empireo dove la mia lussuria l'aveva posta e la riporta fra le donne mortali.
Io ho già visto dei rack per esibizione. Ce ne sono in alcune delle tenute che ho visitato con mio nonno o con il padrone. Si tratta di tre barre orizzontali sorrette da montanti. La prima è al livello del terreno, e tramite occhielli permette di legare i piedi divaricati. La seconda è al livello del bacino di una ragazza di media altezza, ed è spostata in avanti di circa tre spanne rispetto alla prima. Permette di appoggiare una fanciulla sul basso ventre prima di legarle i piedi. La terza barra è più alta, circa all'altezza della testa di un uomo, ed è spostata in avanti abbastanza perché una alta la tocchi con le mani dopo che i piedi sono stati legati. Permette di legare la vittima per i polsi e per i capelli o per il collo, in modo che il viso rimanga ben visibile.
Così la femmina tiene le natiche all'infuori con le cosce divaricate, per una comoda ispezione dell'ano e della vulva. La posizione inclinata consente di valutare la snellezza delle cosce e della vita, e di tastare comodamente la morbidezza e la consistenza delle mammelle. La testa è tenuta sollevata per i capelli per esaminare i lineamenti, la bocca e la lingua. La prigioniera è silenziata con un collare a strozzo, stretto abbastanza da permetterle appena un rantolo: questo evita di doverla imbavagliare. Un cartello appeso alla barra superiore riporta usualmente i dati significativi: nome da schiava, età, altezza, altezza misurata al bacino, circonferenza seno-vita-fianchi, colore, eventuale verginità anale e vaginale, numero di proprietari precedenti, eventuali malattie o difetti. L'altezza misurata al bacino è un parametro importante nelle corsiere, perché le coppie vanno formate da ragazze con le gambe della medesima lunghezza.
Sono normalmente a disposizione dei corti flagelli di cuoio, con corregge larghe e leggere. Servono per testare la vivacità e la docilità delle sottomesse, che non sono legate all'altezza del sedere e possono quindi agitarlo liberamente. Si chiede all'utilizzatore di non danneggiare la ragazza, poiché di solito è destinata alla vendita. Se questa riceve un'offerta che soddisfa il venditore, la cessione viene firmata al momento e la schiava viene slegata e condotta via. Quelle invendute vengono condotte all'asta che si tiene nei pressi.
«Sono rimasta appesa per tutta la mattina, senza una goccia d'acqua. Avevamo un discreto pubblico. Persone apparentemente normali, come puoi incontrarle passeggiando in centro. Persone come mio padre, o i miei zii. C'erano anche donne. Ho dovuto pisciare davanti a tutti. Mi hanno toccato la faccia, infilato le dita in bocca, nella vagina, nell'ano, mi hanno strizzato ovunque potessero strizzarmi, mi hanno morso i capezzoli e il culo, mi hanno frustata per la prima volta in vita mia. Una donna di mezz'età si è messa di fianco e mi ha colpito dolorosamente sotto le ascelle, poi è sparita e ho sentito il morso della frusta sulla vulva. Quando cercavo di girarmi per coprirmi l'inguine, mi arrivavano dei colpi fortissimi sul sedere e sulle cosce, così sono rimasta ferma e ho lasciato che mi colpisse fra le gambe.»
«Ma sono stata fortunata. Essendo alta, potevo sostenermi alla barra superiore con tutte le dita delle mani. La ragazza legata alla mia destra invece era bassina, arrivava appena a sfiorare la barra e sosteneva il peso solo con le cinghie ai polsi. Ha cominciato quasi subito a lamentarsi e urlare per il dolore continuo alle mani, così un uomo le ha stretto ancora di più il collare. Quando mi hanno staccata per portarmi via, lei era ancora lì a torcersi.»
«In confronto, la vita nelle scuderie non era così male. Ero sempre nuda, con le braccia dietro la schiena, attaccata ad una cinghia per farmi correre in tondo, attaccata ad un carretto per addestrarmi alle gare, frustata per addestramento, per punizione o per semplice divertimento dei trainer. Ho servito sessualmente volentieri chiunque mi volesse, perché così desiderava il padrone e perché di solito non mi frustavano scopando. Questa è la realtà. In questi anni, non so quanti uomini, e donne, si sono serviti di me. Perciò non essere ipocrita, padrone. Mi hai comprata ad un'asta e lavori in una scuderia. Non puoi trattarmi come la tua innamorata, perché sono una schiava. Non ho scelta. Non ho diritti. Porto un marchio dentro, impresso col sangue e col fuoco, col dolore e la rassegnazione, un marchio che brucia più di qualsiasi frustata che ho ricevuto. Perciò la tua ipocrisia mi offende, padrone. Scopami, se ti va. Rifiutami, se non ti va. Ma non essere ipocrita…»
Si mette a piangere in silenzio. Cerco di abbracciarla, ma mi respinge. A questo punto, Adele deve essersi destata. Mi avvicino a lei «Sei sveglia?» Lei esita, poi risponde: «Sì, ma posso restare ancora a letto, se vuoi, padrone.» Evidentemente, non vuole essere coinvolta. «Non preoccuparti, Irina si calmerà da sola.» La prendo in braccio, la deposito nella carrozzina, la porto in bagno, la metto sul water, la lavo sopra e sotto, la porto in cucina. Dò degli antalgici a lei e ad Irina, che, come previsto, si è calmata da sola. Scaldo le brioches al microonde, preparo del tè, apro una confezione di latte UHT e una di fiocchi d'avena integrali che conservo per le emergenze, tagliuzzo della frutta un po' troppo matura e preparo del porridge freddo per tutti (odio il porridge caldo). Una normale colazione, direi. Non gradisco uova, bacon o salsiccia, al mattino.
Le due ragazze rimangono a guardare la propria brioche, il tè fumante e la ciotola di porridge con la frutta. Forse non vogliono i mirtilli rossi e l'uva passa che ho aggiunto? «Non vi piacciono? Potete toglierli e metterli nella mia ciotola.» Mi riferisco ai mirtilli. Ad alcuni piace fare colazione con frutta secca oltre ai cereali, quindi mi alzo, prendo la scatola con i semi di girasole, noci e mandorle sgusciati, e la metto in tavola. «Servitevi pure. Io li mangio come spuntino a metà mattina e, se ho fame, per merenda, ma forse li preferite a colazione.»
Irina silenziosamente lascia scorrere goccioloni di lacrime lungo la guancia. Un po' di moccio le cola dal naso, ma non se ne cura. Per nulla affascinante, opino. «Hey, se vuoi pane e marmellata, basta dirlo. Non serve piangere!» cerco di sdrammatizzare. Non penso sia una questione di mirtilli o di marmellata.
Per tutta risposta, Adele si mette a singhiozzare. Piccoli singhiozzi, da bambina. Contrastano decisamente con l'aspetto adulto della ragazza. Poi i singhiozzi diventano un pianto sommesso. Porca miseria, le mie prodezze culinarie non sono MAI state accolte così male! Pensavo di farle felici, dopo anni di pappone da schiavi, invece ho sbagliato tutto. Forse dovevo preparare un frullato di porridge, brioche, semi di girasole, pane e marmellata e farglielo mangiare in ciotole da cani inginocchiate sul pavimento. Magari con qualche frustata sul culo come condimento. Mmm. L'idea mi affascina e mi eccita. Il mio migliore amico, accasciato dallo sfogo di Irina, prende vita. In effetti, le due ragazze, vestite solo di una t-shirt oversize, sono uno spettacolo. Peccato che piangano entrambe. E comunque, non ho ciotole da cani. Dovrò visitare il sito delle aste al più presto.
Non riesco a mangiare, con quella 'via dolorosa' di fronte a me. Devo fare qualcosa. Il tè si sta freddando troppo. A mali estremi, estremi rimedi! Prendo dal freezer due coni gelato al cioccolato. Chi resiste al cioccolato? Forse Gandhi. Li metto davanti al naso delle piagnucolose: «Mangiateli alla svelta, altrimenti si sciolgono e sporcate la cucina che ho appena pulito.» Sembra che non sappiano cosa sia un cono gelato. Per la verità, non sono un patito dei gelati, li ho comprati per le emergenze e perché erano in offerta. Okay, al gelato posso resistere, ma alle superofferte no!
Finalmente, Adele prende il cono. Ma anziché scartarlo, lo tiene fra le mani giunte, davanti a sé. E ci piange sopra. Letteralmente. Lo bagna con le lacrime. Irina continua a piangere contemplando il tavolo. Aspetto trenta secondi d'orologio, poi considero fallito il tentativo. Rimetto i gelati nel freezer. Le ragazze cominciano a darmi sui nervi. Ora capisco quelli che le tengono legate, imbavagliate e le nutrono col sondino!
Ormai ho finito la mia colazione. Sparecchio le stoviglie che ho usato e le lavo nell'acquaio. Le due frignone stanno ancora lì. Per loro fortuna, non ho una frusta, altrimenti forse la userei. Mi prendo un appunto mentale: chiedere al padrone dove compra le sue. Sono davvero di qualità, spero che non costino troppo. Credo che le fruste siano troppo importanti nella vita di un uomo (e di una donna) per lasciare l'acquisto al caso. Spinto dall'esasperazione, opto per un'azione estrema. Sono riluttante. Mi ero ripromesso di trattarle con durezza ma gentilmente. Pugno di ferro in guanto di velluto, come si dice. Contravvenire ai miei principi già al primo giorno mi ripugna, ma quel che è troppo, è troppo. Se lo sono meritato. Io ho fatto il possibile, e così mi auto assolvo per i miei peccati.
Sono sedute abbastanza vicine, posso afferrarle entrambe contemporaneamente. Mi metto silenziosamente alle loro spalle e mi accoscio. Con la mano destra mi dirigo verso l'ascella destra della ragazza a destra, con la sinistra vado verso l'ascella sinistra dell'altra. Non sospettano di nulla. Non sanno che la loro crisi di pianto sta per finire, le fanciulline! Beh, fanciulline non proprio, sono due pezzi di stangone, se fossero più in carne le definirei giunoniche.
Scatto senza esitazione. La vendetta è mia!
Ho le mani nel cavo delle ascelle delle lagnose. Senza indugio, comincio ad accarezzarle. Entrambe fanno uno zompo, e sicuramente si fanno male battendo il piede a terra. Ignoro gli strilli e continuo. Data la mia posizione, riesco a trattenerle in un abbraccio mortale. Irina è la prima a singultare. Cerca invano di liberarsi della mia mano, poi fa dei versi che sembrano quelli di una chioccia. Adele deve avere il piede in fiamme e ulula, si divincola, si agita, cerca di alzarsi sulla gamba sana, ma è inutile. È presa dai singhiozzi, sento il torace contrarsi, alza le ginocchia e sbatte sotto il tavolo, non ce la fa più, ed è la prima a cedere. Emette versi strani e disarticolati, poi una specie di risata convulsa che contagia l'altra. Entrambe strillano e guaiscono, e alla fine ridono. Non riescono a trattenersi. Smettono di cercare di togliere la mia mano dall'ascella. Si contorcono come capitoni presi all'amo. Si appoggiano al tavolo e lo fanno tremare. Irina è la prima a gridare «Pietà!», poi è un coro di «Basta! Padrone! Pietà!» Ma io non ho pietà delle due sgnàcchere. Mi hanno fatto arrabbiare.
Le sento respirare a fatica, e le lascio andare. Si afflosciano continuando a ghignare. «Ora mangiate il cibo che vi ho preparato, o sarà peggio per voi!» intimo alle due, ma Irina ribatte: «Ma padrone, non possiamo! Questo cibo è troppo buono per noi. Noi possiamo mangiare solo cibo da schiavi.» Adele annuisce vigorosamente. Almeno non sono più catatoniche. «Fate un po' quello che volete, ma se il cibo non lo mangiate voi, andrà buttato, e voi rimarrete digiune. Non ho pappone e non intendo comprarne. E credo ci sia la regola di prendere tutto quello che il padrone vi dà, che lo vogliate o no. Regolatevi, non siete stupide. Non del tutto, almeno.»
Esco prima di prenderle a pàcchere. Controllo Clio, che sonnecchia, per fortuna. Svuoto l'urina, controllo il drenaggio. Ha ancora metà flebo. Le cambierò medicazione prima di uscire. Raccolgo coperte e lenzuola, quindi piego le brande e le metto in un angolo. Voglio lavorare un po' e ho bisogno dei miei cassetti e della scrivania. Accendo il PC, faccio delle telefonate. Poi sento dei rumori. La casa è chiusa e sigillata, le due non possono uscire. Ma mi chiedo cosa stiano combinando. Vado in cucina e le vedo. Hanno messo via il latte e il resto, lavato le loro stoviglie e le stanno riponendo nello scolapiatti. Irina ci arriva senza difficoltà, ma, per sapere dove riporre le cose, devono avermi tenuto d'occhio mentre piangevano. A dire il vero, mi sembrava che piangessero sul serio, ma chi piange per una colazione troppo lussuosa? Io no. Comincio ad avere dei dubbi. Donne!
Ora capisco quelli che le tengono legate, imbavagliate e le nutrono col sondino!
[…]
(capitolo 3 del romanzo 'vita e opinioni di un proprietario di schiave' di imminente pubblicazione) (se Amazon me lo accetta…)
3 non puoi trattarmi come la tua innamorata
Mi sveglio prima dell'alba. Le ragazze hanno passato una notte tranquilla: se si sono agitate, io non le ho sentite! Metto una nuova flebo a Clio. Ha un po' di febbre e aggiungo un antipiretico alla sacca. Vuoto la sua urina e la lascio dormire ancora un po'. Mi rimetto a letto ma non riesco a riprendere sonno. Ormai il mio cervello è in funzione e non riesco a non pensare a tutto quello che ho da fare oggi. L'enormità della mia situazione mi fa vacillare, come colpito da un macigno. Ho la responsabilità di tre vite!
Decido di alzarmi, ho fame, posso riflettere e preoccuparmi anche facendo colazione. Sento un movimento fra le brande, una figura si alza e zompetta verso di me, non può essere che Irina, perché Adele non riesce a poggiare il tallone. Penso che si diriga alla porta per prendere le stampelle e andare in bagno. Invece si avvicina, tasta il mio letto per non schiacciarmi e si siede sul materasso. «Sei sveglio, vero?» Non rispondo, e lei si stende al mio fianco, per fortuna ho un letto King Size. Le faccio spazio.
La fanciulla si accoccola e la sento calda fra le mie braccia. Odora di buono, di sudore, di femmina. Il mio migliore amico si desta, non che abbia bisogno di molti stimoli. La sua mano mi pizzica leggermente un capezzolo attraverso la maglietta. Ci giocherella un po', poi solleva il busto e mi mordicchia. La mano scende più in basso e mi accarezza l'inguine attraverso le mutande. Ci vuole poco perché il mio amico faccia capolino, trattenuto solo dall'elastico dell'indumento. Sento la ragazza sorridere mentre libera il mio cazzo dalle costrizioni e inizia a tastare il glande e i testicoli. «Ti va?» chiede sottovoce. «Certo, se va anche a te. Non sei tenuta a farlo.»
Lei si irrigidisce. Ritira la mano. Mi sembra di sentire le proteste del mio amico: «Stronzo! Grandissimo stronzo! A me non pensi? Adesso dovrai farti una bella sega, e non potrai nemmeno fartela a letto, perché hai ospiti!» Sospiro. Ho detto la cosa sbagliata? Ora non so più cosa fare, cosa dire. Non voglio respingerla, ci mancherebbe altro. Però…
Rimaniamo immobili per un po'. Poi lei riprende ad accarezzarmi spalle, torso e addome, senza scendere oltre. Non parla. Il mio amico si rassegna e comincia mestamente a ritrarsi. Poi sento che si scuote. Mi sembra che singhiozzi. Sussurra: «Non sei tenuta a farlo. Che significa?» Una pausa, non so cosa dire. Lei continua fra le lacrime: «Io SONO tenuta a farlo. Sono una schiava da più di cinque anni. Ero vergine, quando mi hanno presa. Mi hanno violata e picchiata, e poi picchiata e violata. Me e le altre. Per insegnarci l'obbedienza. Per addestrarci. Per farci capire quanto valessimo e quale fosse il nostro posto nel mondo. Hanno usato bastoni su di noi. Per picchiarci e aprirci. Sanguinavamo fuori e dentro. Senza acqua, senza cibo e senza sonno. Solo violenza, dolore e oscurità.»
Cerco di interromperla, di calmarla, ma lei si divincola e solleva il busto al mio fianco. Geez, com'è bella, i seni sono sbucati dall'enorme t-shirt che ho dato loro per dormire, sento il suo odore, vorrei annusarla e leccarla e masticare quei capezzolini che paiono dritti nella penombra… non solo è carina, è bella, bellissima, stupenda, meravigliosa, ma forse è solo il mio amico che parla, sta riprendendo vigore, mi spinge verso di lei, contro di lei, dentro di lei… ma questo non è il momento di scoparla. Questo è il momento di ascoltarla, di condividere la sua rabbia, la sua paura, la sua tristezza. Guardo il mio amico come Tom guarda me, e lui si accascia.
«Ci hanno picchiate finché non è rimasto niente di noi. Gusci vuoti che loro potevano riempire di sperma da tutti i buchi, indifferenti ormai a tutto. Solo allora hanno caricato le sopravvissute su un camion, ci hanno rinchiuse in una specie di stalla, ci hanno dato da bere, da mangiare e ci hanno lasciate in pace a riprenderci. Quando ci hanno ripreso, puzzavamo come capre, coperte di sporcizia, di croste e di sangue raggrumato. Ci hanno buttate in una vasca per lavarci. Ci hanno messo dei collari a strozzo, come fossimo bestie pericolose. E ci hanno appese ad un rack per esibizione.»
Lei fa una pausa e tira su col naso. Mi allungo verso il comodino e le porgo un pacchetto di fazzoletti, che lei accetta con un «Grazie.» appena udibile. Si soffia il naso in modo decisamente poco femminile. Questo la fa scendere dall'empireo dove la mia lussuria l'aveva posta e la riporta fra le donne mortali.
Io ho già visto dei rack per esibizione. Ce ne sono in alcune delle tenute che ho visitato con mio nonno o con il padrone. Si tratta di tre barre orizzontali sorrette da montanti. La prima è al livello del terreno, e tramite occhielli permette di legare i piedi divaricati. La seconda è al livello del bacino di una ragazza di media altezza, ed è spostata in avanti di circa tre spanne rispetto alla prima. Permette di appoggiare una fanciulla sul basso ventre prima di legarle i piedi. La terza barra è più alta, circa all'altezza della testa di un uomo, ed è spostata in avanti abbastanza perché una alta la tocchi con le mani dopo che i piedi sono stati legati. Permette di legare la vittima per i polsi e per i capelli o per il collo, in modo che il viso rimanga ben visibile.
Così la femmina tiene le natiche all'infuori con le cosce divaricate, per una comoda ispezione dell'ano e della vulva. La posizione inclinata consente di valutare la snellezza delle cosce e della vita, e di tastare comodamente la morbidezza e la consistenza delle mammelle. La testa è tenuta sollevata per i capelli per esaminare i lineamenti, la bocca e la lingua. La prigioniera è silenziata con un collare a strozzo, stretto abbastanza da permetterle appena un rantolo: questo evita di doverla imbavagliare. Un cartello appeso alla barra superiore riporta usualmente i dati significativi: nome da schiava, età, altezza, altezza misurata al bacino, circonferenza seno-vita-fianchi, colore, eventuale verginità anale e vaginale, numero di proprietari precedenti, eventuali malattie o difetti. L'altezza misurata al bacino è un parametro importante nelle corsiere, perché le coppie vanno formate da ragazze con le gambe della medesima lunghezza.
Sono normalmente a disposizione dei corti flagelli di cuoio, con corregge larghe e leggere. Servono per testare la vivacità e la docilità delle sottomesse, che non sono legate all'altezza del sedere e possono quindi agitarlo liberamente. Si chiede all'utilizzatore di non danneggiare la ragazza, poiché di solito è destinata alla vendita. Se questa riceve un'offerta che soddisfa il venditore, la cessione viene firmata al momento e la schiava viene slegata e condotta via. Quelle invendute vengono condotte all'asta che si tiene nei pressi.
«Sono rimasta appesa per tutta la mattina, senza una goccia d'acqua. Avevamo un discreto pubblico. Persone apparentemente normali, come puoi incontrarle passeggiando in centro. Persone come mio padre, o i miei zii. C'erano anche donne. Ho dovuto pisciare davanti a tutti. Mi hanno toccato la faccia, infilato le dita in bocca, nella vagina, nell'ano, mi hanno strizzato ovunque potessero strizzarmi, mi hanno morso i capezzoli e il culo, mi hanno frustata per la prima volta in vita mia. Una donna di mezz'età si è messa di fianco e mi ha colpito dolorosamente sotto le ascelle, poi è sparita e ho sentito il morso della frusta sulla vulva. Quando cercavo di girarmi per coprirmi l'inguine, mi arrivavano dei colpi fortissimi sul sedere e sulle cosce, così sono rimasta ferma e ho lasciato che mi colpisse fra le gambe.»
«Ma sono stata fortunata. Essendo alta, potevo sostenermi alla barra superiore con tutte le dita delle mani. La ragazza legata alla mia destra invece era bassina, arrivava appena a sfiorare la barra e sosteneva il peso solo con le cinghie ai polsi. Ha cominciato quasi subito a lamentarsi e urlare per il dolore continuo alle mani, così un uomo le ha stretto ancora di più il collare. Quando mi hanno staccata per portarmi via, lei era ancora lì a torcersi.»
«In confronto, la vita nelle scuderie non era così male. Ero sempre nuda, con le braccia dietro la schiena, attaccata ad una cinghia per farmi correre in tondo, attaccata ad un carretto per addestrarmi alle gare, frustata per addestramento, per punizione o per semplice divertimento dei trainer. Ho servito sessualmente volentieri chiunque mi volesse, perché così desiderava il padrone e perché di solito non mi frustavano scopando. Questa è la realtà. In questi anni, non so quanti uomini, e donne, si sono serviti di me. Perciò non essere ipocrita, padrone. Mi hai comprata ad un'asta e lavori in una scuderia. Non puoi trattarmi come la tua innamorata, perché sono una schiava. Non ho scelta. Non ho diritti. Porto un marchio dentro, impresso col sangue e col fuoco, col dolore e la rassegnazione, un marchio che brucia più di qualsiasi frustata che ho ricevuto. Perciò la tua ipocrisia mi offende, padrone. Scopami, se ti va. Rifiutami, se non ti va. Ma non essere ipocrita…»
Si mette a piangere in silenzio. Cerco di abbracciarla, ma mi respinge. A questo punto, Adele deve essersi destata. Mi avvicino a lei «Sei sveglia?» Lei esita, poi risponde: «Sì, ma posso restare ancora a letto, se vuoi, padrone.» Evidentemente, non vuole essere coinvolta. «Non preoccuparti, Irina si calmerà da sola.» La prendo in braccio, la deposito nella carrozzina, la porto in bagno, la metto sul water, la lavo sopra e sotto, la porto in cucina. Dò degli antalgici a lei e ad Irina, che, come previsto, si è calmata da sola. Scaldo le brioches al microonde, preparo del tè, apro una confezione di latte UHT e una di fiocchi d'avena integrali che conservo per le emergenze, tagliuzzo della frutta un po' troppo matura e preparo del porridge freddo per tutti (odio il porridge caldo). Una normale colazione, direi. Non gradisco uova, bacon o salsiccia, al mattino.
Le due ragazze rimangono a guardare la propria brioche, il tè fumante e la ciotola di porridge con la frutta. Forse non vogliono i mirtilli rossi e l'uva passa che ho aggiunto? «Non vi piacciono? Potete toglierli e metterli nella mia ciotola.» Mi riferisco ai mirtilli. Ad alcuni piace fare colazione con frutta secca oltre ai cereali, quindi mi alzo, prendo la scatola con i semi di girasole, noci e mandorle sgusciati, e la metto in tavola. «Servitevi pure. Io li mangio come spuntino a metà mattina e, se ho fame, per merenda, ma forse li preferite a colazione.»
Irina silenziosamente lascia scorrere goccioloni di lacrime lungo la guancia. Un po' di moccio le cola dal naso, ma non se ne cura. Per nulla affascinante, opino. «Hey, se vuoi pane e marmellata, basta dirlo. Non serve piangere!» cerco di sdrammatizzare. Non penso sia una questione di mirtilli o di marmellata.
Per tutta risposta, Adele si mette a singhiozzare. Piccoli singhiozzi, da bambina. Contrastano decisamente con l'aspetto adulto della ragazza. Poi i singhiozzi diventano un pianto sommesso. Porca miseria, le mie prodezze culinarie non sono MAI state accolte così male! Pensavo di farle felici, dopo anni di pappone da schiavi, invece ho sbagliato tutto. Forse dovevo preparare un frullato di porridge, brioche, semi di girasole, pane e marmellata e farglielo mangiare in ciotole da cani inginocchiate sul pavimento. Magari con qualche frustata sul culo come condimento. Mmm. L'idea mi affascina e mi eccita. Il mio migliore amico, accasciato dallo sfogo di Irina, prende vita. In effetti, le due ragazze, vestite solo di una t-shirt oversize, sono uno spettacolo. Peccato che piangano entrambe. E comunque, non ho ciotole da cani. Dovrò visitare il sito delle aste al più presto.
Non riesco a mangiare, con quella 'via dolorosa' di fronte a me. Devo fare qualcosa. Il tè si sta freddando troppo. A mali estremi, estremi rimedi! Prendo dal freezer due coni gelato al cioccolato. Chi resiste al cioccolato? Forse Gandhi. Li metto davanti al naso delle piagnucolose: «Mangiateli alla svelta, altrimenti si sciolgono e sporcate la cucina che ho appena pulito.» Sembra che non sappiano cosa sia un cono gelato. Per la verità, non sono un patito dei gelati, li ho comprati per le emergenze e perché erano in offerta. Okay, al gelato posso resistere, ma alle superofferte no!
Finalmente, Adele prende il cono. Ma anziché scartarlo, lo tiene fra le mani giunte, davanti a sé. E ci piange sopra. Letteralmente. Lo bagna con le lacrime. Irina continua a piangere contemplando il tavolo. Aspetto trenta secondi d'orologio, poi considero fallito il tentativo. Rimetto i gelati nel freezer. Le ragazze cominciano a darmi sui nervi. Ora capisco quelli che le tengono legate, imbavagliate e le nutrono col sondino!
Ormai ho finito la mia colazione. Sparecchio le stoviglie che ho usato e le lavo nell'acquaio. Le due frignone stanno ancora lì. Per loro fortuna, non ho una frusta, altrimenti forse la userei. Mi prendo un appunto mentale: chiedere al padrone dove compra le sue. Sono davvero di qualità, spero che non costino troppo. Credo che le fruste siano troppo importanti nella vita di un uomo (e di una donna) per lasciare l'acquisto al caso. Spinto dall'esasperazione, opto per un'azione estrema. Sono riluttante. Mi ero ripromesso di trattarle con durezza ma gentilmente. Pugno di ferro in guanto di velluto, come si dice. Contravvenire ai miei principi già al primo giorno mi ripugna, ma quel che è troppo, è troppo. Se lo sono meritato. Io ho fatto il possibile, e così mi auto assolvo per i miei peccati.
Sono sedute abbastanza vicine, posso afferrarle entrambe contemporaneamente. Mi metto silenziosamente alle loro spalle e mi accoscio. Con la mano destra mi dirigo verso l'ascella destra della ragazza a destra, con la sinistra vado verso l'ascella sinistra dell'altra. Non sospettano di nulla. Non sanno che la loro crisi di pianto sta per finire, le fanciulline! Beh, fanciulline non proprio, sono due pezzi di stangone, se fossero più in carne le definirei giunoniche.
Scatto senza esitazione. La vendetta è mia!
Ho le mani nel cavo delle ascelle delle lagnose. Senza indugio, comincio ad accarezzarle. Entrambe fanno uno zompo, e sicuramente si fanno male battendo il piede a terra. Ignoro gli strilli e continuo. Data la mia posizione, riesco a trattenerle in un abbraccio mortale. Irina è la prima a singultare. Cerca invano di liberarsi della mia mano, poi fa dei versi che sembrano quelli di una chioccia. Adele deve avere il piede in fiamme e ulula, si divincola, si agita, cerca di alzarsi sulla gamba sana, ma è inutile. È presa dai singhiozzi, sento il torace contrarsi, alza le ginocchia e sbatte sotto il tavolo, non ce la fa più, ed è la prima a cedere. Emette versi strani e disarticolati, poi una specie di risata convulsa che contagia l'altra. Entrambe strillano e guaiscono, e alla fine ridono. Non riescono a trattenersi. Smettono di cercare di togliere la mia mano dall'ascella. Si contorcono come capitoni presi all'amo. Si appoggiano al tavolo e lo fanno tremare. Irina è la prima a gridare «Pietà!», poi è un coro di «Basta! Padrone! Pietà!» Ma io non ho pietà delle due sgnàcchere. Mi hanno fatto arrabbiare.
Le sento respirare a fatica, e le lascio andare. Si afflosciano continuando a ghignare. «Ora mangiate il cibo che vi ho preparato, o sarà peggio per voi!» intimo alle due, ma Irina ribatte: «Ma padrone, non possiamo! Questo cibo è troppo buono per noi. Noi possiamo mangiare solo cibo da schiavi.» Adele annuisce vigorosamente. Almeno non sono più catatoniche. «Fate un po' quello che volete, ma se il cibo non lo mangiate voi, andrà buttato, e voi rimarrete digiune. Non ho pappone e non intendo comprarne. E credo ci sia la regola di prendere tutto quello che il padrone vi dà, che lo vogliate o no. Regolatevi, non siete stupide. Non del tutto, almeno.»
Esco prima di prenderle a pàcchere. Controllo Clio, che sonnecchia, per fortuna. Svuoto l'urina, controllo il drenaggio. Ha ancora metà flebo. Le cambierò medicazione prima di uscire. Raccolgo coperte e lenzuola, quindi piego le brande e le metto in un angolo. Voglio lavorare un po' e ho bisogno dei miei cassetti e della scrivania. Accendo il PC, faccio delle telefonate. Poi sento dei rumori. La casa è chiusa e sigillata, le due non possono uscire. Ma mi chiedo cosa stiano combinando. Vado in cucina e le vedo. Hanno messo via il latte e il resto, lavato le loro stoviglie e le stanno riponendo nello scolapiatti. Irina ci arriva senza difficoltà, ma, per sapere dove riporre le cose, devono avermi tenuto d'occhio mentre piangevano. A dire il vero, mi sembrava che piangessero sul serio, ma chi piange per una colazione troppo lussuosa? Io no. Comincio ad avere dei dubbi. Donne!
Ora capisco quelli che le tengono legate, imbavagliate e le nutrono col sondino!
[…]
(capitolo 3 del romanzo 'vita e opinioni di un proprietario di schiave' di imminente pubblicazione) (se Amazon me lo accetta…)
1
voti
voti
valutazione
2
2
Commenti dei lettori al racconto erotico