Incubo erotico a Rancoon City
          
            
              di
Ben Bertolucci
            
            
              genere
fantascienza
            
          
        
        
          Incubo erotico a Raccoon City – Capitolo 1: Il palco
Sotto la luce cremisi, Emma Scott, agente del Dipartimento di Polizia di Raccoon City, aveva smesso la divisa. Indossava un costume. Ormai era diventata un’abitudine, da troppo tempo. Emma era diventata Selene. Il corpo appena celato sotto un vestito da scolaretta, dozzinale nella fattura, scadente nel taglio, esposto oltre il limite della decenza. Non lo indossava per scelta, ma su precisa indicazione di chi gestiva l’operazione e non solo quella, visto che lo stesso uomo ormai gestiva anche la sua vita.
Quel costume, come tutti gli altri appesi nel suo camerino, era pensato per accendere le fantasie degli uomini. Diventava movimento insieme al suo corpo, un codice di seduzione da decifrare, esca che danzava sul filo del pericolo e provocazione. Ogni gesto era calibrato. Ogni curva, ogni dettaglio del suo corpo, esposto con la precisione di un bisturi.
Da bambina aveva ballato per qualche anno, poi aveva abbandonato la danza, con grande rammarico di sua madre che già la immaginava sui palchi più prestigiosi. Aveva scelto l’atletica, e a dodici anni si era innamorata delle arti marziali. Quelle discipline le avevano dato un corpo armonioso, flessibile, resistente. Bello da guardare, da desiderare.
Quel corpo le aveva garantito vantaggi, ma anche ostacoli. Era difficile farsi prendere sul serio. Molti uomini restavano in superficie, sulla pelle, senza curarsi di ciò che c’era oltre. Non le aveva condizionato solo la vita privata, ma anche quella professionale. Fin dall’accademia, e poi nel dipartimento, pochi colleghi si rapportavano a lei con il rispetto dovuto a un pari.
Ma non era stato un limite. Era diventato uno stimolo. Fare meglio. Dare il massimo.
Massimo che garantiva anche in quel momento, interpretando un ruolo che non le apparteneva. Una messa in scena che la faceva sentire sporca, degradata. Ma necessaria. Per mantenere vivo il suo personaggio.
Il palco vibrava sotto i tacchi. La musica pulsava come un cuore malato.
Il locale The Hive era diventato un rifugio fortificato per i VIP della città. Manager della Umbrella, consiglieri comunali, giudici, ufficiali corrotti. Tutti lì, a fingere che il mondo fuori non stesse marcendo. Alcuni erano rimasti per interesse, altri per vizio, altri ancora perché la città li teneva in ostaggio con promesse troppo grandi per essere abbandonate.
Selene ruotava lenta attorno al palo cromato, annotando mentalmente ogni volto. Il giudice Halberd, cravatta allentata e mani sudate. Il direttore sanitario del Memorial Hospital, sguardo fisso ma assente. La guardava danzare, ma la sua mente era altrove. Negli occhi, Selene leggeva ansia, terrore, difficile da dissimulare. Ad ogni angolo del locale, uomini della sicurezza Umbrella in abiti civili scrutavano la sala. E poi lui, al centro.
Il capo Irons.
Seduto in prima fila, pareva imponente, gambe larghe, sigaro acceso. Accanto a lui, una ragazza in costume da coniglietta che aveva visto tempi migliori, aria stanca, vassoio stretto al petto come scudo. L’uomo la sfiorava in modo indecente, ma gli occhi erano fissi su Emma. Uno sguardo che la spogliava con la stessa indifferenza con cui firmava mandati di perquisizione.
Ogni volta che Selene lo incrociava, sentiva un fremito lungo la schiena. Rabbia. Rancore. Vergogna. E qualcosa di più subdolo. Come se la corruzione, la depravazione di quel posto, di quelle situazioni in cui lui l’aveva posta, stesse accendendo qualcosa. Una parte di lei che aveva ignorato per tutta la vita.
Salire su quel palco non era stata una scelta. Non davvero.
Irons l’aveva convocata nel suo ufficio tre settimane prima dell’inizio dell’operazione. In città già giravano voci sugli orrori che cacciavano nei boschi. La STARS era stata appena sciolta dopo l’incidente alla vecchia villa Spencer e la scomparsa di quasi tutti i membri dei due Team Alfa e Bravo. Il fatto aveva suscitato perplessità , confusione nel dipartimento, e Irons faticava a mantenere l’ordine.
Quando la convocò nel suo studio privato, quello con gli animali imbalsamati, Emma si sentì in pericolo. Iron Aveva chiuso la porta, si era seduto dietro la scrivania, senza offrirle una sedia. Accese un sigaro. La guardò come si guarda un trofeo.
Emma, come ogni volta che si trovava vicino a quell’uomo, provò disagio. Era tra le prime qualificate del suo corso. Aveva superato le prove psicologiche, di tiro, tattiche, con punteggi eccellenti, superando persino quelli di parecchi colleghi maschi. Ma Irons non parlava mai delle sue qualità. Parlava del suo aspetto. Del suo “potenziale”.
Durante quell’incontro le propose un’indagine sotto copertura. La riempì di lusinghe che aumentavano solo il suo disagio. Le disse che sarebbe “emersa” in un contesto come quello. Le propose l’incarico con un sorriso che non lasciava spazio a rifiuti. Una missione per stroncare un giro di prostituzione. Promettendole una promozione a capo del reparto Buon Costume, quando il vicecapo Alleyway si sarebbe congedato.
Considerando l’età dell’uomo e i continui contrasti proprio con il Capo Irons non mancava molto.
Sembrava una buona opportunità. Persino nobile. Ma il tono era sbagliato. Troppo diretto. Troppo personale. il tentativo di lui di sfiorare la mano mentre Emma era impegnata a leggere i dossier sul caso, la inquietò fino a farla ritrarre.
Quando lei tentò di declinare, lui la interruppe e in tutta risposta come se avesse gia deciso per lei. Mise sulla scrivania una borsa da palestra. Dentro, abiti di scena per una spogliarellista. Usati. Consunti. Vissuti.
La invitò a provarli. Disse che erano prove di un precedente caso. Poi, per forzarle la mano, il tono si incupì:
“Se non ti senti pronta, certo, sarebbe un peccato. La tua carriera potrebbe... rallentare. ma posso sempre affidare l’incarico a qualcun’altra. So che Carla, tua sorella, cerca da tempo una possibilità per emergere...”
Emma ebbe un tuffo al cuore. Carla era appena uscita dall’accademia. Non aveva un dipartimento fisso stava ancora muovendo i primi passi tra le fila della polizia di Rancoon City. L’idea di esporla a quel mondo, in quel contesto, lei, idealista, con un profondo senso di giustizia, pudica e per certi versi ancora innocente, innamorato folle del suo William, le fece tremare le vene.
Irons aveva potere. Non solo come capo della polizia. Poteva rovinare la vita a entrambe. L’interesse di quell’uomo viscido non era professionale. Non era reciproco. Non era desiderato. Emma lo sapeva. Sapeva che rifiutare e uscire da quell’ufficio senza assecondare la richiesta significava la fine della sua carriera. O forse qualcosa di peggio.
L’uomo la desiderava. Lo sentiva ogni volta che lui la osservava. E forse, proprio quel desiderio poteva tornare a suo vantaggio. Riluttante trovato il coraggio che le serviva accettò. Si disfò la divisa restando in biancheria intima. Indossò il primo abito che uscì da quella borsa, un abitino argentato corto in lamè e delle scarpe con i tacchi alti abbinati.
Lui girò introno alla scrivania e introno a lei come uno squalo che fiuta il sangue della sua preda, gradendo ciò che vedeva.
Emma sognava di essere al trove ,mentre si mostrava, Non per lui. Per sé stessa. Per sua sorella. Perché se doveva ballare, lo avrebbe fatto con gli occhi aperti..
Selene continuava a danzare. Il ritmo aumentava. Cercava volti a cui associare un nome. Ogni volto, una foto segnaletica. Ogni sguardo, una prova. Ogni applauso, una condanna.
La città stava crollando. Ma lì dentro si ballava ancora. Si beveva. Si sniffava. Si praticavano atti oltre ogni morale. Come se quelle mura fossero invalicabili. Come se il virus non potesse penetrare il velluto rosso delle tende. Come se la carne esposta sul palco, o tra i tavolini, fosse più reale del sangue che scorreva per le strade. Si chinò lentamente. La luce accarezzò la curva della schiena. Un uomo alzò il bicchiere. Un altro si leccò le labbra. Lei annotò. Sempre. Vivendo un ruolo che, da quando la città era caduta, forse non esisteva più. Ma che lei continuava a interpretare. Per sopravvivere un altro giorno e cercare ,sua sorella scomparsa e con lei, una via di fuga da quell'incubo
        
        Sotto la luce cremisi, Emma Scott, agente del Dipartimento di Polizia di Raccoon City, aveva smesso la divisa. Indossava un costume. Ormai era diventata un’abitudine, da troppo tempo. Emma era diventata Selene. Il corpo appena celato sotto un vestito da scolaretta, dozzinale nella fattura, scadente nel taglio, esposto oltre il limite della decenza. Non lo indossava per scelta, ma su precisa indicazione di chi gestiva l’operazione e non solo quella, visto che lo stesso uomo ormai gestiva anche la sua vita.
Quel costume, come tutti gli altri appesi nel suo camerino, era pensato per accendere le fantasie degli uomini. Diventava movimento insieme al suo corpo, un codice di seduzione da decifrare, esca che danzava sul filo del pericolo e provocazione. Ogni gesto era calibrato. Ogni curva, ogni dettaglio del suo corpo, esposto con la precisione di un bisturi.
Da bambina aveva ballato per qualche anno, poi aveva abbandonato la danza, con grande rammarico di sua madre che già la immaginava sui palchi più prestigiosi. Aveva scelto l’atletica, e a dodici anni si era innamorata delle arti marziali. Quelle discipline le avevano dato un corpo armonioso, flessibile, resistente. Bello da guardare, da desiderare.
Quel corpo le aveva garantito vantaggi, ma anche ostacoli. Era difficile farsi prendere sul serio. Molti uomini restavano in superficie, sulla pelle, senza curarsi di ciò che c’era oltre. Non le aveva condizionato solo la vita privata, ma anche quella professionale. Fin dall’accademia, e poi nel dipartimento, pochi colleghi si rapportavano a lei con il rispetto dovuto a un pari.
Ma non era stato un limite. Era diventato uno stimolo. Fare meglio. Dare il massimo.
Massimo che garantiva anche in quel momento, interpretando un ruolo che non le apparteneva. Una messa in scena che la faceva sentire sporca, degradata. Ma necessaria. Per mantenere vivo il suo personaggio.
Il palco vibrava sotto i tacchi. La musica pulsava come un cuore malato.
Il locale The Hive era diventato un rifugio fortificato per i VIP della città. Manager della Umbrella, consiglieri comunali, giudici, ufficiali corrotti. Tutti lì, a fingere che il mondo fuori non stesse marcendo. Alcuni erano rimasti per interesse, altri per vizio, altri ancora perché la città li teneva in ostaggio con promesse troppo grandi per essere abbandonate.
Selene ruotava lenta attorno al palo cromato, annotando mentalmente ogni volto. Il giudice Halberd, cravatta allentata e mani sudate. Il direttore sanitario del Memorial Hospital, sguardo fisso ma assente. La guardava danzare, ma la sua mente era altrove. Negli occhi, Selene leggeva ansia, terrore, difficile da dissimulare. Ad ogni angolo del locale, uomini della sicurezza Umbrella in abiti civili scrutavano la sala. E poi lui, al centro.
Il capo Irons.
Seduto in prima fila, pareva imponente, gambe larghe, sigaro acceso. Accanto a lui, una ragazza in costume da coniglietta che aveva visto tempi migliori, aria stanca, vassoio stretto al petto come scudo. L’uomo la sfiorava in modo indecente, ma gli occhi erano fissi su Emma. Uno sguardo che la spogliava con la stessa indifferenza con cui firmava mandati di perquisizione.
Ogni volta che Selene lo incrociava, sentiva un fremito lungo la schiena. Rabbia. Rancore. Vergogna. E qualcosa di più subdolo. Come se la corruzione, la depravazione di quel posto, di quelle situazioni in cui lui l’aveva posta, stesse accendendo qualcosa. Una parte di lei che aveva ignorato per tutta la vita.
Salire su quel palco non era stata una scelta. Non davvero.
Irons l’aveva convocata nel suo ufficio tre settimane prima dell’inizio dell’operazione. In città già giravano voci sugli orrori che cacciavano nei boschi. La STARS era stata appena sciolta dopo l’incidente alla vecchia villa Spencer e la scomparsa di quasi tutti i membri dei due Team Alfa e Bravo. Il fatto aveva suscitato perplessità , confusione nel dipartimento, e Irons faticava a mantenere l’ordine.
Quando la convocò nel suo studio privato, quello con gli animali imbalsamati, Emma si sentì in pericolo. Iron Aveva chiuso la porta, si era seduto dietro la scrivania, senza offrirle una sedia. Accese un sigaro. La guardò come si guarda un trofeo.
Emma, come ogni volta che si trovava vicino a quell’uomo, provò disagio. Era tra le prime qualificate del suo corso. Aveva superato le prove psicologiche, di tiro, tattiche, con punteggi eccellenti, superando persino quelli di parecchi colleghi maschi. Ma Irons non parlava mai delle sue qualità. Parlava del suo aspetto. Del suo “potenziale”.
Durante quell’incontro le propose un’indagine sotto copertura. La riempì di lusinghe che aumentavano solo il suo disagio. Le disse che sarebbe “emersa” in un contesto come quello. Le propose l’incarico con un sorriso che non lasciava spazio a rifiuti. Una missione per stroncare un giro di prostituzione. Promettendole una promozione a capo del reparto Buon Costume, quando il vicecapo Alleyway si sarebbe congedato.
Considerando l’età dell’uomo e i continui contrasti proprio con il Capo Irons non mancava molto.
Sembrava una buona opportunità. Persino nobile. Ma il tono era sbagliato. Troppo diretto. Troppo personale. il tentativo di lui di sfiorare la mano mentre Emma era impegnata a leggere i dossier sul caso, la inquietò fino a farla ritrarre.
Quando lei tentò di declinare, lui la interruppe e in tutta risposta come se avesse gia deciso per lei. Mise sulla scrivania una borsa da palestra. Dentro, abiti di scena per una spogliarellista. Usati. Consunti. Vissuti.
La invitò a provarli. Disse che erano prove di un precedente caso. Poi, per forzarle la mano, il tono si incupì:
“Se non ti senti pronta, certo, sarebbe un peccato. La tua carriera potrebbe... rallentare. ma posso sempre affidare l’incarico a qualcun’altra. So che Carla, tua sorella, cerca da tempo una possibilità per emergere...”
Emma ebbe un tuffo al cuore. Carla era appena uscita dall’accademia. Non aveva un dipartimento fisso stava ancora muovendo i primi passi tra le fila della polizia di Rancoon City. L’idea di esporla a quel mondo, in quel contesto, lei, idealista, con un profondo senso di giustizia, pudica e per certi versi ancora innocente, innamorato folle del suo William, le fece tremare le vene.
Irons aveva potere. Non solo come capo della polizia. Poteva rovinare la vita a entrambe. L’interesse di quell’uomo viscido non era professionale. Non era reciproco. Non era desiderato. Emma lo sapeva. Sapeva che rifiutare e uscire da quell’ufficio senza assecondare la richiesta significava la fine della sua carriera. O forse qualcosa di peggio.
L’uomo la desiderava. Lo sentiva ogni volta che lui la osservava. E forse, proprio quel desiderio poteva tornare a suo vantaggio. Riluttante trovato il coraggio che le serviva accettò. Si disfò la divisa restando in biancheria intima. Indossò il primo abito che uscì da quella borsa, un abitino argentato corto in lamè e delle scarpe con i tacchi alti abbinati.
Lui girò introno alla scrivania e introno a lei come uno squalo che fiuta il sangue della sua preda, gradendo ciò che vedeva.
Emma sognava di essere al trove ,mentre si mostrava, Non per lui. Per sé stessa. Per sua sorella. Perché se doveva ballare, lo avrebbe fatto con gli occhi aperti..
Selene continuava a danzare. Il ritmo aumentava. Cercava volti a cui associare un nome. Ogni volto, una foto segnaletica. Ogni sguardo, una prova. Ogni applauso, una condanna.
La città stava crollando. Ma lì dentro si ballava ancora. Si beveva. Si sniffava. Si praticavano atti oltre ogni morale. Come se quelle mura fossero invalicabili. Come se il virus non potesse penetrare il velluto rosso delle tende. Come se la carne esposta sul palco, o tra i tavolini, fosse più reale del sangue che scorreva per le strade. Si chinò lentamente. La luce accarezzò la curva della schiena. Un uomo alzò il bicchiere. Un altro si leccò le labbra. Lei annotò. Sempre. Vivendo un ruolo che, da quando la città era caduta, forse non esisteva più. Ma che lei continuava a interpretare. Per sopravvivere un altro giorno e cercare ,sua sorella scomparsa e con lei, una via di fuga da quell'incubo
            
            
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