Agente Lucy - 3

di
genere
dominazione

È uno di quei momenti che decidono la tua vita.
Sono sul molo, legata praticamente nuda in un completino bdsm stile principessa manga catturata dagli orchi. Manco a dirlo sono uno schianto di figa.
Sullo yacht, in cima alla passerella c'è Luìs Enrique Vargas in persona, felice come un imperatore romano al colosseo. È il puttaniere milionario che m'ha adescata per darmi in pasto al suo amico Daniel Uribe di professione re della droga.
Di fianco ho la mia sadoaguzzina prada vestita con due gorilla nero armani.
In testa ho i bip di conferma dei ragazzi del centro, il Colonnello che mi ordina di procedere.
Insomma sono messa maluccio, sembra già tutto deciso. Ma c'è il pubblico, una ventina di marinai, facchini, meccanici ed anche un paio di ufficiali portuali che si godono la scena a bocca aperta. Posso ancora salutare tutti e andare verso loro, voglio vedere come possono costringermi ad imbarcarmi.
Ma io sono quella delle scelte sbagliate.
Salgo la passerella.
Il mio culetto fa esplodere un'ovazione meglio che a ciaodarwin!
Adoro i latini.

Vargas è più grasso che in fotografia.
Bermuda tripla xl, camicia havaiana aperta sul panzone che tende un ombelico dove ci puoi mettere una palla da tennis, doccia con tre flaconi di Valentino Uomo per abbattere i gabbiani in volo sul porto, rolex di tre chili su polso peloso, catena d'oro per valorizzare le tette cascanti ancor più villose, cosce flaccide, espressione da stregatto di centocinquanta chili ed occhiali a specchio: ci credo che debba pagare così tanto per avere una puttana.
La Sadolesbica mi consegna a lui cedendogli il guinzaglio.
Vargas è meno formale, mi saluta con bacetti alla guancia e grattatine alla fighetta e, quando tenta d'abbracciarmi per toccarmi il culetto, mi respinge col panzone. S'accontenta dei seni e mi bacia con lingua in bocca anestetizzata a mentini.
Io miagolo da brava micetta al mio irruento micione. È il mio lavoro.
Alle mie spalle ritirano la passerella e sotto di me i potenti motori spingono i trenta metri del barcone.
“... Non ti sei offesa, vero? Devi capire, mi spiace per tutte queste cazzate dei controlli, ma qui siamo costretti, non si sta mai abbastanza attenti e per me la sicurezza è tutto.” Mi ribacia felice. “Ma ora sei a bordo, basta con le paranoie! Qui siamo liberi.”
In effetti mi libera. Mi slaccia reggipetto e perizoma toccheggiando, ma si dimentica di slegarmi le mani e levarmi cinturone e cinturini di ecopelle.
M'accompagna in un favoloso salotto a cielo aperto: avorio, teak ed ottoni lucidi. “Che ne dici di rilassarci un poco?” Si lascia cadere seduto sul divano ed allarga le gambe. Io mi c'innamoro all'istante: è un divano favoloso, dalla linea perfetta, così bello ed elegante che vorrei rubarlo. Sarebbe perfetto nella mia sala.
La lesbofigona ci osserva.
In ginocchio incuneata fra le cosce che sono due maiali e con le mani ammanettate dietro la schiena non è facile tirarglielo fuori di bocca, ma Vargas non ha alcuna fretta ed accende la tv. Alla fine, grufolando sotto il panzone duro, riesco ad afferrare coi denti il cursore della zip ed aprirla. Sono già sudata marcia. Ancora qualche acrobazia di lingua e tiro fuori un cazzotto dignitoso, ma che ha fatto il suo tempo.
Non sono così puttana da fingere meraviglia, lo spompino e basta.
E ci ripenso: questo divano stonerebbe con gli altri mobili, me li farebbe sfigurare. Sarei poi costretta a rifare tutto l'arredamento.

Siamo già in alto mare quando eiacula uno sputo di sborra contro il palato.
Abbiamo fatto conoscenza, ora può mostrarmi il suo barcone. Si rialza con agilità inaspettata, si rinfodera il cazzotto sotto il panzone e mi fa fare il giro turistico: la piscinetta, la plancia, le sale, la palestra, le cabine e la nostra camera con le lenzuola di seta nera. Ho un brivido. Tre giorni qui?!
Ma Vargas è un porcogentile, mi sorprende con la sue premure: mi slega addirittura per lasciarmi andare in bagno ed aspetta pazientemente dietro la porta. Ci faccio anche la doccia, non voglio più uscire, io mi faccio tre giorni di crociera chiusa in bagno! Due bip brevi all'orecchio mi richiamano all'ordine. Devo uccidere Uribe.
Esco.
Rieccolo. Un bacio bavoso e mi riaggancia i polsi dietro la schiena. “Ti spiace se ti tengo legata? È una mia fissa, mi eccitano troppo le canette legate.”
No problem, hai pagato. E poi fai bene, potrei spararmi in testa.

Sul ponte vuole che prenda il sole mentre lavora al pc e al telefono. Temo che Vargas voglia far colpo su di me atteggiandosi a milionario indaffarato con la sua troia che si gode il sole: spara cifre a sei zeri e mi fa sentire com'è duro con i suoi sottoposti. Che abbia disfunzioni erettili?
Ma con me è premuroso, l'ho detto, e non c'è rischio che mi rimangano i segni del cinturone e delle manette: ogni tanto si ricorda di me e viene a cospargermi di crema solare. Lo fa scrupolosamente, insistendo fra le pieghe e nelle cavità. Non nego il piacere, si fa la manicure tutti i giorni e ha le dita a salsicciotto che mi gratificano mentre sono intontita dal sole.
Poi si rialza in piedi per osservare il lavoro fatto. “Sei la più figa mai salita su questa barca.”
Spero che la lesbostronza non abbia sentito.
Mi rannicchio in ginocchio all'ombra del pachiderma e lo ringrazio mungendogli di bocca il cazzo semimoscio.
“Stanotte! Ora devo lavorare. Stanotte ti faccio godere.”
E torna al Pc.
Lo imploro appena un pochino come deve fare una puttanella desiderosa d'accoppiarsi con un pachiderma profumato valentino.
Vargas non è stupido, sa che non deve esagerare coi viagra.

Siamo ormeggiati al largo dell'Isla Grande, nell'arcipelago del Rosario. La cenetta è sotto le stelle a base d'aragosta e cameriere filippino in guanti bianchi. Mangiamo poltroncina contro poltroncina, Vargas m'imbocca, mi slinguazza e mi fa sorseggiare lo champagne che odio mentre mi racconta tutta la sua vita.
Al dessert siamo ancora al primo suo primo milione, la luna stessa non ne può più e si getta nell'oceano. Io credo d'aver un sorriso da paresi facciale.
I ragazzi del Centro bippano ogni tanto per tenermi sveglia.
Finalmente ci alziamo e ci spostiamo sul mio favoloso divano da ventimila dollari. Lo sbirciavo continuamente mentre fingevo d'ascoltare Vargas. È troppo bello, la perfezione fatta cuscino. Ci fuggirei insieme. Sì, mi ci vedo: saluto il pachiderma e scappo via col divano.
Mi slimona mentre gli racconto la mia vita. Vuole sapere tutto di me: il primo pompino, la prima volta, il primo in culo, la prima orgetta, la prima marchetta, il primo negro, il primo gruppo, la prima volta in spiaggia, al cesso, a scuola, in auto, in chiesa ed al supermercato, il primo video, il primo cane... m'accorgo solo ora d'aver fatto un sacco di prime cose. Vargas si eccita, m'interrompe soltanto per farsi dare una succhiata urgente e torna a domandarmi. Si sta innamorando di me.
Io m'allungo, mi struscio, mi rannicchio e faccio le fusa, innamorata persa di questo divano. Ci lesbicherei sopra con un bel twink gay, come l'inglesino di tre settimane fa, purtroppo ho solo un ippopotamo che non si vergogna d'essere nudo.
Sono una professionista, non mi lascio distrarre dal divano e m'impalo seduta sui coglioni del porco di turno, il mio pancino incavato contro il panzone ingombrante.
Ora vuole sapere i miei numeri, è un businessman: quanti pompini alla festa del liceo, quanti eravamo in camera, quanti giorni di scopata al mare col mio fidanzatino, quanti centimetri il suo cazzo, quanto prendevo per il culo quando ero una nessuna a caccia di fama, e quanti anni di galera si sarebbero presi i miei clienti... Vargas m'ascolta segandosi: chiude le sue manone sui miei fianchi e mi muove su e giù per segarsi, senza alcuno sforzo, come se fossi una figa di gomma. Quando secondo lui sono stata troppo troia mi torce il capezzolo, ma subito mi premia con due dita grassottelle nel bucetto.
Godo, non lo nego, ed allora racconto e le mie porcate peggiori per farmi mordere il capezzolo ed artigliare all'ano. Lo eccitano le storie forti, m'invento d'essere stata stuprata foga e culo per una notte intera dal mio ragazzo con tre suoi amici. Mi parte un maledetto orgasmo che è la pallida copia dei miei terremoti, ma che inorgoglisce al massimo il cinghiale sovrappeso. Non sa che lui non c'entra, mi è successo davvero, a Tulsa col campione di football del campus.
Credo sia venuto anche lui, ansima come con leone marino sudato. No problem, non preoccuparti micione, tra nove mesi non busserò alla tua porta con un cinghialotto in braccio.
Ma Vargas fissa spaventato dietro di me. Giro la testa.
È arrivata la sadolesbica.

Vista da seduta sembra alta due metri. S'è messa in libertà: reggiseno rosso gonfio come uno spinnaker all'America's Cup e hotpants dipinti direttamente sulla figa che usa per rompere le noci. Gli addominali mi sconvolgono, quella se li è fatta facendo piegamenti con Vargas in spalla, e non voglio sapere come s'è fatta i muscoli delle cosce, potrebbero soffocare un'anaconda.
Col braccio teso punta una Glock17 con silenziatore. Dietro di lei tre uomini, immobili e pericolosi.
“Vargas! Davvero credevi che non t'avremmo scoperto?”
Opporcaputtana!, sono finita nel bel mezzo di una lite familiare.
La punta della pistola mi ordina di levarmi. Mi sfilo a fatica, sempre per queste maledette manette! Vargas m'aiuta a rimettermi in piedi. Mi spiace amico, so che hai pagato ma devo andarmene, il culetto sarà per un'altra volta.
Borbotta agitato: “No, no, io non...”
Un botto, come dello champagne che odio, e s'apre un foro sulla fronte del milionario.
Nooo, sul mio divano no!

- - - -

Okay, hanno appena sparato all'uomo con cui stavo scopando: è richiesta una scena isterica.
Sguardo nel vuoto, tremore delle spalle, paralisi del corpo, bocca spalancata e urlo che non viene. Avessi le mani libere le stringerei alle tempie. Poi mi esce un urlo che terrorizza tutti, anche me.
Indietreggio balbettando, urto contro il tavolino, la poltrona, un palo, contro tutto quel che c'è su questo cazzo di yacht e corro verso prua. Mi si para davanti un'ombra, urto anche contro questa ma m'afferra e mi stringe forte in un abbraccio, sollevandomi di peso. Lo stronzo m'intima un sta' ferma puttanaccia (ma se neanche ci conosciamo?) e mi riporta indietro. È solo un coglione sfigato con le braccia magre ed ossute: crede che per tener bloccata una donna si debba strizzarle la tetta ed artigliarla in fica. Sarebbe uno scherzo liberarmi di lui, ma penso sia meglio continuare la scena isterica: dimeno le gambe ed urlo come una maiala portata al macello. Il coglione perde l'equilibrio.
Il tuffo in acqua non era previsto, poco male, mi risveglia di più. Riemergo facilmente a spinte di gambe, lo yacht è a tre metri, una parete bianca sul mare nero. Siamo ancorati al largo dell'Isla Grande, nell'arcipelago del Rosario, e mi prende una botta di tristezza: Vargas aveva voluto cenare di fronte a questa meraviglia della Natura e m'aveva promesso che me l'avrebbe fatta visitare. Mi spiace Vargas, ci tenevo tanto a vederla.
Il coglione riemerge davanti a me sollevando acqua come uno squalo con in bocca una foca. Mi spavento. E faccio bene, mi s'aggrappa al collo e mi trascina sotto per un paio di metri. Me ne libero e riemergo a fatica. Cazzo, allora è vero che ci sono marinai che non sanno nuotare!
Lo sento aggrapparsi alla cintura, l'unico cazzo di vestito che ho addosso!, e giù di nuovo. Al terzo su e giù ho già bevuto più di un bavarese all'Oktoberfest. Lo colpisco con una ginocchiata alla nuca che mi rompe la rotula. Ma a lui è andata peggio, finalmente allenta la presa. Mi ribalto in acqua e lo stringo al collo con le gambe. Una torsione del busto e glielo spacco, il suo ultimo ricordo è la mia figa.
Sono immersa nel buio più gelido ma mi stanno cercando: delle lame di luce mi indicano l'alto. Spingo con le gambe sempre più deboli. Mi si spegne la vista.

---

Mi risveglia un doppio bip fastidioso. Si ripete più volte nelle orecchie che mi fischiano già da sole. Okay, tutto okay, mi stanno dicendo che non sono affogata.
Sono stesa in una pozza d'acqua gelata che probabilmente ho vomitato io stessa. Ho addosso il freddo della morte e questi bastardi non m'hanno nemmeno gettato addosso una coperta. Ai naufraghi si fa così, lo sanno tutti, si vede al cinema.
Comunque l'acqua mi defluisce dal cervello e torno in me. La prima cosa che vedo sono le gambe della sadolesbica: sono alzate verso il cielo nero e stringono il bacino di un mandingo dalle natiche lucide e muscolose.
Attendo pazientemente, non voglio disturbare due animali che copulano ed ho bisogno di riprendermi; quindi a me sta benissimo, la ninfofamelica può anche scoparselo tutta notte sul mio ex-divano (che ormai è da buttare).
Non sono una guardona, ma fisso attentamente per rallegrare i ragazzi davanti al monitor: evviva!, non sono morta e si possono già godere l'inquadratura di un'altra trombata. E, devo ammetterlo, quel mandingo ha tutto il mio rispetto (ci vuole del fegato, non è da tutti infilarlo in quella figa dentata ed offrire la schiena a quelle unghie taglienti come rasoi) e capisco la sua agitazione (deve fecondarla prima che gli stacchi la testa a morsi come una mantide).
Come ogni bella storia, anche questa scopata ha una fine. La sadocagna ulula alla luna che non c'è ed il toro muggisce stremato dando quattro ultime picconate che schianterebbero il bacino ad una giovenca, ma che la figadititanio incassa stringendolo amorevolmente braccia e gambe come una mammina. Povero divano!
Sono sudati come sposini alla loro prima orgia: lo stallone se ne esce fuori con un cazzone da incubo erotico che gronda bave di un metro. È grosso come un estintore e lo fisso attentamente per far cadere in depressione i ragazzi al Centro. Intanto la vaccamaisazia continua a godere meccanicamente con raptus orgasmici sempre più flebili.
Si ricorda di me. Mi fissa nella notte col suo occhio da cacciatrice, nero incorniciato di bianco e con inquietanti venuzze rosse. Allunga la gamba e mi strofina in faccia il piede nudo: lecco la pianta e succhio le dita, dall'alluce al mignolino. Porca troia, sono eccitata.
Si china in avanti, m'afferra per i capelli e mi tira fra le sue cosce. Preferirei il cazzone grondante al mio lato, ma mi tocca la figa alla mia lesbotiranna. Non è male però, mi riprendo, ha il suo perché succhiare sborra dopo l'acqua salata.
La ienanera uggiola di piacere stringendomi la testa e torna ad ululare quando le ringalluzzisco il clito (che invidierebbe il minidotato che mi sono inculato a strap on nel mio video più deprimente). Intanto il mandingo mi riaggancia le mani dietro la schiena e, visto che gli è rimasto duro ed io sono già in posizione, me lo fa risalire in figa. Azz, mi mette incinta all'istante!, mi fa un pancino al terzo mese.
Si blocca, l'ho deluso, non mi sono messa ad urlare aperta in due. Cazzo credeva, 'sto minchione? Allora mi preme coi pollici per saggiarmi l'ano. Oh oh, questo sarebbe un problema.
Ma la sadokaiser lo manda via con gli occhi.
Fa paura una che può bloccare col solo sguardo uno stupratore già in azione: mi conviene compiacerla e ci do dentro con passione femminile fino a farla squirtare. Mi spruzza in viso più del marinaio che non sapeva nuotare.
Poi mi vuole in braccio. Sì, non mi sbagliavo, la sadolesbica è davvero lesbica: si eccita a toccarmi e bacia tenera come al liceo. Io le massaggio le bocce al silicone, intreccio le dita nei capelli crespi e sento il pube caldo contro il mio, ma non devo dimenticarmi dove sono: “Dov'è Vargas?”
“Nel congelatore. Tra due giorni lo ritroveranno nella sua piscina e la mogliettina testimonierà che un sicario è entrato nel parco della sua villa.”
Bastardo, se l'è meritato. Ha tradito anche me, era sposato!
La mia vendicatrice sorride che non mi piace. “Ora basta giocare.”


Il soffitto in palestra è alto due metri e trenta, sufficienti per appendermi per i polsi e per non far battere la testa alla lesbostangona. Qui è tutto bianco e lei è ancora più nera.
“Io non ho visto nulla, fammi andare via, ti prego! Perché? Io cosa c'entro? Mi avete portato voi qui, io non...”
“Zitta, c'è ancora posto nel congelatore. Non ci vuole nulla a trovare un testimone che racconti che in qualche taverna da puttane l'hai data da quello sbagliato. O preferisci rapita da un branco che ti ha dimenticata legata in qualche capanno?”
“Lasciami, ti prego. Ti do tutto quello che ho. Non dirò nulla!”
È alla mie spalle, mi mette una ball gag. La palestra è attrezzata come i set di Mark, il mio regista più stronzo. Non manca nulla, nemmeno quel cazzo di aggeggio elettrico, e agli angoli in alto ci sono due telecamere nascoste.
Provo a farle capire che si sbaglia, che mi deve lasciare, insomma tutto quello che direbbe una sfigata appesa al soffitto, ma come cazzo faccio con questa cazzo di pallina in bocca? Mi dimeno in maniera ridicola.
Mi torce il capezzolo con le sue unghie taglienti. “Non fare storie! Tu non sei più nulla. Ora sei proprietà di Daniel Uribe.”
Finalmente mi tranquillizzo, Daniel Uribe!, non sto perdendo tempo con degenerati qualsiasi.
Le domando con gli occhi chi cazzo sia Uribe, cosa significa, come può farmi questo dopo che abbiamo fatto l'amore sul mio divano.
“Lo conoscerai presto.” Sorride da iena. “Ma prima io devo capire chi sei realmente tu!.” Mi lecca la guancia fino all'occhio. “Devi spiegarmi perché hai accettato così facilmente la proposta di Vargas, uno che t'ha invitata dopo aver visto i tuoi video. Piuttosto rischioso con la tua pubblicità di cagna stuprabile, no? Eppure sei venuta da sola e sul suo yacht, nemmeno in un tranquillo albergo. Strano, non trovi? Nemmeno tu sei così scema... E non dirmi che l'hai fatto per i soldi! Mi offenderei, ne stai guadagnando già a palate e di milionari a cui dare il tuo bel culetto ne trovi anche negli States, non serve venir fin qua.”
Ha detto bel culetto? Cazzo, questa mi ama.
Mi rilecca l'occhio. “E sì, stronzetta, credo proprio che tu abbia qualcosa da confessare.”
Mi ribello e mugolo disperata, sbavagliami e ti dico tutto! Mi blocca la testa con entrambe le mani, cazzo se è bella! Tenta di baciarmi. Con la lingua fa roteare la pallina che ho in bocca. Mischiamo le salive. Le sue mani mi scorrono sui seni e giù fino al pube, le mie sono strette alle catene. Ho un brivido, ho quasi più paura di me che di lei. “Liberami.”, cerco di dire.
“Domani. Domani mi dirai tutto, ora non c'è fretta, prima devi capire che è meglio non raccontarmi palle.” Una scintilla nei suoi occhi mi taglia le gambe. “Non temere, sei fortunata, Uribe non vuole che esageri con te... non ancora.”
Indietreggia d'un passo. Fra le dita ha una spilla da balia.
scritto il
2025-09-22
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