In bianco e nero

di
genere
prime esperienze

Le tenui luci della piscina creano ombre suggestive nel buio di questa notte di mezza estate. Sono già stata qui. Ancora non era un agriturismo di lusso, non c'era il ristorante e nemmeno la vasca idromassaggio con acqua riscaldata. Avvicino il bicchiere alle labbra, bevo un sorso di bianco, mentre il ricordo riaffiora gradualmente.

Avevo vent’anni, percepivo uno sconfinato oceano di possibilità di fronte a me e quella sera mi sentivo così viva, impetuosa e inarrestabile che mi sembrava quasi di afferrare il segreto della felicità. Di fronte a me c’era un uomo di trentotto anni. Ci conoscevamo da poche ore, a causa di una birra rovesciata per sbaglio al pub.
Nonostante la sua insistenza mi ero proposta almeno di ripagargli la bevuta. Ma, una volta preso il portafogli, constatai di non avere nient’altro che uno spinello. Capitava spesso che uscissi con il denaro contato: era una tecnica che utilizzavo per risparmiare.
"Mi dispiace, non ho soldi, ma se ti va possiamo dividerci questo!"
Così fu lui ad offrirmi una birra. Proseguimmo la serata seduti sugli scalini dell’uscita posteriore a bere, fumare e raccontarci chi eravamo. O meglio, io gli raccontavo chi ero, lui mi raccontava soprattutto chi era stato. Era un uomo sposato, scuro d'occhi e di capelli, sebbene con un tocco d'argento qua e là; il naso leggermente adunco mi piaceva, conferiva carattere al suo volto. Era simpatico, carismatico e ci sapeva fare. Il ragazzo che era stato, e che emergeva dai suoi racconti, mi appariva decisamente interessante. Peccato non esserci conosciuti da coetanei, pensai. Gli lasciai l’ultimo tiro, spense lo spinello sotto la scarpa dicendo:

"Beata te. Mi piacerebbe rivivere anche solo una di quelle serate, quelle che sai come iniziano e non sai mai come vanno a finire."
Mi suonò come una richiesta di aiuto.

Nonostante fosse sera, il caldo era insopportabile; l’aria umida si appiccicava fastidiosamente alla pelle, si faceva quasi fatica a respirare. Mi venne un’idea. Non potevo ridargli la gioventù ma potevo provare a far svoltare una serata come quella.

"Se ti fidi di me ti porto in un posto."
Mi guardò in tralice. Mi fece alcune domande, risposi senza svelare troppo: avrebbe scoperto ogni cosa all’arrivo.
Mi disse: "Ok, ti concedo un’ora. Niente luoghi affollati, niente più alcol né droghe, devo rientrare a casa lucido."
Sapevo cosa fare.
Ero arrivata al locale con le mie amiche, quindi prendemmo la sua auto. Gli diedi le indicazioni per arrivare in un posto in aperta campagna. Gli mostrai una piazzola accanto a una grande quercia dietro la quale nascondere l’auto.

Quella sera la luna piena, pur non lasciando distinguere i colori, ci donava un’illuminazione perfetta. Spense l’auto, lo invitai a scendere e a seguirmi. Arrivammo di fronte al cancello di una proprietà che comprendeva un’imponente villa ricavata da un’ex casa colonica.

"Non possiamo entrare, è proprietà privata! Se ci beccano ci denunciano!"
"Non ci beccano, stai tranquillo. Ma nel caso tieniti pronto a scappare!"

Gli spiegai che i proprietari, una famiglia di olandesi, soggiornavano nella villa solo un paio di settimane all’anno. A volte mandavano qualche parente o amico, ma per la maggior parte del tempo la proprietà restava vuota, eccetto per i due custodi, una coppia di pensionati che abitava nella dépendance e che si occupava del controllo, della pulizia e della manutenzione della villa e del giardino circostante. Conoscevo bene quel posto: era uno dei tanti preda delle incursioni notturne con i miei amici e, nel tempo, avevamo avuto modo di verificare che i custodi godevano di un sonno decisamente pesante.

Non ci volle molto a convincerlo: l’idea di alleviare quel caldo insopportabile era decisamente allettante.
Scavalcammo il cancello e ci avvicinammo a bordo piscina. Ci spogliammo, restando in intimo. Mi guardò ma in modo discreto, con brevi occhiate fugaci. Entrai per prima: l’acqua fresca donava un sollievo immediato.
Lui mi osservò in silenzio per qualche secondo. Lo invitai:
"Dai, entra, si sta benissimo!"

Esitò ancora qualche istante sul bordo, poi si tuffò con uno slancio deciso che sollevò un’onda alta. Nel risalire fece una smorfia e si portò una mano al fianco.
"Ahi… mi sa che mi sono stirato un muscolo" borbottò, massaggiandosi con aria seria.
Era buffo, mi venne da ridere.
"Con un semplice tuffo?? Dev’essere l’età, tu non hai più vent’anni, eh."
"Molto spiritosa…" replicò lui, aggrottando le sopracciglia. Finse di offendersi, poi improvvisamente affondò una mano nell’acqua e mi spruzzò addosso un’ondata.
"Ehi!" urlai ridendo, sollevando le braccia per difendermi.
"Così impari a prendermi in giro!" rise lui.
"Hai ragione, bisogna avere rispetto degli anziani..."
Continuai a ridere, lui prese a inseguirmi con schizzi sempre più forti mentre cercavo di scappare e non bere.
Mi raggiunse, mi strinse per un braccio, ancora bagnato.
"Chiedi scusa!" disse fingendo severità e mettendosi l’altra mano sul fianco dolorante. Scossi la testa lentamente, guardandolo negli occhi. Poi osservai il punto in cui si toccava, lo indicai con un cenno del capo e, abbassando la voce, dissi:
"Però, se vuoi posso darti un bacino. Magari passa."
Le risate si spensero di colpo, rimasero solo i respiri veloci e la vicinanza dei corpi nell’acqua. Lui mi guardava come se non fosse sicuro di aver sentito bene. Io sorrisi ancora, ma meno, aspettando.

La sua forte presa sul polso mi eccitava, il cuore mi batteva a mille. Si avvicinò ancora, i nostri corpi erano a pochi centimetri di distanza. Appoggiò la fronte sulla mia, chiusi gli occhi, sollevai il mento cercando il contatto con le sue labbra morbide. Mi sembrava di vivere un sogno. Ma proprio sul più bello lui si allontanò per evitare che le nostre bocche si toccassero.
Inclinò leggermente la testa di lato continuando a guardarmi.

"Io... non posso..." disse con voce spezzata.
Cercai di allontanare il braccio, sorpresa, amareggiata. Nonostante le parole, la sua mano continuava a stringermi, sentivo ancora il suo respiro sulla pelle. Abbassai lo sguardo, cercai di mascherare la delusione.

"È tutto ok... Capisco..."
Gli occhi, i suoi occhi brillavano di desiderio, pensai fosse sul punto di riavvicinarsi e invece mollò la presa. Indietreggiò, si passò una mano sul volto, ansimando, scuotendo la testa.

"È sbagliato… io... ho una famiglia!"
Non dissi più nulla. Il silenzio cadde pesante. Quell'uomo combattuto era bellissimo, affascinante, dolce...cosa non avrei dato per un bacio! E quanto mi rodeva che mi avesse rifiutata! Ma cosa potevo fare?

"Allora forse è meglio tornare a casa" dissi seria.
"Si... sono d'accordo."

Mentre ci spostavamo verso la scaletta iniziai ad imprecare.
"Cazzo ho perso una lente a contatto! Cazzo, cazzo, cazzo!"
Si voltó preoccupato.
"Posso fare qualcosa per aiutarti?"
"Non credo... anzi si! Guarda dentro all'occhio, prova a vedere se si fosse spostata."
"È buio, forse è meglio se arriviamo all'auto..."
"Prova, ti prego! Non ci vedo niente senza!"

Si avvicinò, mi guardò dall'alto in basso cercai di direzionarmi verso il chiarore della luna, spostai un po' la palpebra, ruotai lo sguardo a destra, poi a sinistra, poi fissai le sue labbra. Era così vicino che sentii di nuovo il suo respiro sulla pelle. Stava dicendo qualcosa, non ebbe il tempo di finire la frase, decisi. Ora o mai più. Presi il suo volto tra le mani e gli rubai un bacio. Le mie labbra sulle sue, morbide e calde...
Fu un attimo.
Lui non reagì. Io mi fermai, restai a pochi centimetri dal suo volto. Lo guardai negli occhi, gli chiesi scusa. Rimase in silenzio, immobile. Così lo baciai ancora, affiorando un po'di più dall'acqua, lentamente, per dargli la possibilità di allontanarsi. Ma questa volta non lo fece. Ancora, labbra su labbra, piccoli tocchi incerti, mentre lui rimaneva impalato, rigido, con gli occhi chiusi. Era tutto così bello e allo stesso tempo così strano. Feci scivolare la mia mano sulla sua nuca, lui la fermò afferrandomi nuovamente il polso. Smisi di baciarlo, feci per allontanarmi, ma aumentò la stretta.
Poi accadde.
La sua mano lasciò il polso, scivolò dietro la mia testa e mi strinse a sé. Le sue labbra, all’improvviso, si mossero contro le mie con forza, con urgenza. Non c’era più esitazione, non c’era più aria: solo un bacio che scoppiò improvviso, feroce e urgente, come se trattenerlo così a lungo ne avesse aumentato il potere. E i corpi finalmente entrarono in contatto. Il mio seno sul suo petto, le sue gambe intrecciate alle mie sott'acqua.

Gemetti piano, dopo tanta attesa tutta quella intensità mi restituì fiducia. Le dita gli si intrecciarono nei capelli bagnati, mentre l’acqua attorno iniziò a vibrare insieme ai nostri corpi. Mi sollevò leggermente, gli cinsi il corpo con le gambe, senza mai staccare la bocca dalla sua, senza mai smettere di intrecciare le nostre lingue. I suoi gesti si fecero più audaci, con una mano mi slacciò il reggiseno e lo sfiĺò in un attimo. Restò a fissarmi le tette per alcuni secondi, le toccò.
"Cristo che tette che hai..." mi leccò un capezzolo poi lo morse, gemetti per il dolore.
"Scusa... scusa! Hai solo vent'anni..."
Immerse il braccio in acqua e mi infilò una mano dentro gli slip, poi mi penetrò delicatamente con un dito. Mi baciò il collo:
"Ti piace? Dimmi se ti piace..."
"Si, mi piace... continua..."
Ne infilò due ed io gemetti più forte.
Mi spostò gli slip e guidò il suo sesso dentro di me. Sentii un leggero bruciore, istintivamente mi ritrassi.
"Ehi, tutto ok? Ti ho fatto male?"
"No, no, è tutto ok, continua..."
Lui si spinse di nuovo lentamente dentro, afferandomi per i fianchi. Mi strinsi a lui, lo abbracciai forte. Lo sentii trattenere per un attimo il respiro.
"Sei stretta, cazzo quanto sei stretta..."
Fu strano ma bellissimo. Lui era mio. Sentivo il suo sesso scorrere nel mio corpo, l'acqua sembrava cullarci.
Poi all'improvviso il crepitio delle ruote di un auto sulla strada sterrata mi riportarono alla realtà. Era il metronotte che passava a controllare la villa. Interrotti nel momento migliore, uscimmo dalla piscina, raccogliemmo gli abiti e scavalcammo il cancello appena in tempo. Arrivammo all'auto con il fiatone, io faticavo a trattenere le risa. Riprendemmo a baciarci nascosti dietro la quercia.
Mi fece stendere sul cofano, iniziò a leccarmi tra le gambe, poi mi fece voltare, la pancia, il seno a contatto con la lamiera. Mi spaventai un po'.
"Qualcuno potrebbe vederci..."
"Se dovesse essere lascia che guardino. Ti assicuro che sei un vero spettacolo."

Mi penetrò e lo sentii ancora più grosso di prima. Ad ogni spinta mi faceva un po' male eppure non volevo che smettesse. Volevo dargli piacere, volevo che trovasse la sua soddisfazione. Ad ogni spinta emettevo un gemito di dolore e godimento insieme. Dopo una serie di colpi più rapidi uscì e mi venne sulla schiena, accasciandosi su di me. Mi misi una mano tra le gambe: ero gonfia, aperta e calda come non lo ero mai stata prima.
Ci ripulimmo e indossammo gli abiti senza biancheria, in modo da non bagnare i sedili.

Quando mi accompagnò a casa era tardissimo. Ci salutammo rapidamente, lo ringraziai con un bacio. Ma prima di aprire la portiera e uscire, con il batticuore mi voltai e confessai:

"Comunque, come avrai capito da solo, non porto lenti a contatto e ...stasera... è stata la mia prima volta."
"La prima che? Stai scherzando? No, no aspetta, vuoi dirmi che eri vergine?"
Avvampai per l'imbarazzo.
"Si..."
"E perché non me l'hai detto prima?"
La sua espressione era sorpresa, incredula.
"Credevo che avresti cambiato idea..."
"E credevi bene!"
Mi indispettii.
"Eppure mi pare che ci siamo divertiti, o no?"
Sollevò le sopracciglia
"Sei venuta?" mi chiese. Ma era chiaro che conosceva già la risposta.
"Non importa, è stato bello lo stesso!"
Scosse la testa, guardando fuori dall'auto, dritto davanti a sè.
"Mi dispiace... ti assicuro che può essere molto meglio di così."
"Beh, possiamo sempre rifarlo!"
Si mise a ridere, mi guardò con dolcezza.
"Adesso vai, è tardi, devo tornare a casa e preparare una buona scusa da raccontare."
Ci salutammo.
Quella notte non riuscii a dormire.
di
scritto il
2025-08-22
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