La prima volta con mio padre (parte 1.1)

di
genere
incesti

Mi chiamo Isabella, ho diciotto anni e vivo in un mondo che sembra andare a due velocità diverse. C'è la velocità esterna, quella della mia vita di tutti i giorni: la scuola che sta per finire, gli amici, i progetti per il futuro. E poi c'è la mia velocità interna, quella dei miei pensieri, dei miei desideri, che ultimamente sta accelerando in modo vertiginoso, portandomi in territori che non avrei mai pensato di esplorare.

​Fisicamente, rientro in certi canoni. Sono alta, più della media, con una figura snella e nervosa, di quelle che sembrano fatte per la corsa. I miei capelli sono la mia firma: lunghissimi, lisci come la seta e di un nero così scuro che alla luce del sole hanno riflessi blu. Li porto quasi sempre legati in una coda di cavallo alta e stretta, una specie di armatura che mi tira indietro i lineamenti e mi fa sentire più severa, più in controllo. I miei occhi, invece, sono il tradimento di questa facciata: sono verdi, di una tonalità quasi innaturale, come il muschio dopo la pioggia, e non sono mai riuscita a insegnare loro a mentire. Raccontano tutto, soprattutto quando vorrei nasconderlo. E poi c'è il mio corpo, un groviglio di contraddizioni: un seno piccolo, quasi androgino, e un culo a mandolino, sodo e sporgente, che attira attenzioni non richieste ma di cui, in segreto, sono incredibilmente fiera.

​Sono una ragazza che guarda i porno. Molto volentieri. Non è una confessione, è un dato di fatto. Per me sono sempre stati una finestra su un mondo, una specie di manuale di istruzioni per un desiderio che sentivo crescere dentro di me ma che non sapeva dove andare. E forse è colpa, o merito, di quelle ore passate a fissare uno schermo, se ultimamente qualcosa in me è cambiato.

​Mi sono stufata. Sono stufa dei ragazzetti della mia età. Dei loro approcci goffi, delle loro mani incerte, della loro fretta di arrivare a un traguardo che interessa solo a loro. Sono stufa della loro immaturità, del loro non sapere cosa vogliono dalla vita, figuriamoci da una donna. Le mie fantasie hanno iniziato a prendere una piega diversa. Ho cominciato a desiderare un uomo maturo. Un uomo con qualche anno in più, con le prime tracce di grigio tra i capelli e le rughe d'espressione ai lati degli occhi. Un uomo che sa cosa vuole, che ha fiducia in sé stesso. Un uomo che sa come toccare una donna, come prenderla, come darle piacere senza fretta, con una competenza che i miei coetanei possono solo sognare.

​Il problema è che uomini così, nel mio mondo, non esistono. La mia cerchia di persone è un piccolo stagno. E in questo stagno, c'è solo una persona che corrisponde, anche lontanamente, a quell'identikit. Mio padre.

​Non scenderò nei dettagli, ma vi dico solo che è un bell'uomo. Ha superato i quarant'anni da un pezzo, ma li porta con una disinvoltura che molti ventenni invidierebbero. È alto, ha le spalle larghe, e quei capelli neri che ho ereditato da lui stanno iniziando a imbiancarsi sulle tempie, un dettaglio che, fino a poco tempo fa, trovavo solo rassicurante. Abito con lui da quando ero una bambina. Mia madre se n'è andata, si è separata da lui e ha iniziato una nuova vita, lasciandomi alle sue cure. È stato sia padre che madre, il mio eroe, il mio porto sicuro. È sempre stato, semplicemente, "papà".

​Ma questa nuova voglia che mi divora, questa fame di un uomo maturo, ha iniziato a proiettare un'ombra strana sulla sua figura. Ho iniziato a notare cose che prima ignoravo. Il modo in cui i muscoli della sua schiena si tendono quando si allaccia le scarpe. Il suono profondo della sua voce quando ride al telefono. Le sue mani, grandi e competenti, che sanno aggiustare qualsiasi cosa in casa.

​E così, quasi senza accorgermene, è successo. Il desiderio astratto per un "uomo maturo" ha iniziato a trovare un volto, un corpo, un nome. Il suo. Da quel pensiero, da quella crepa nel muro della normalità, è iniziato tutto. Ho cominciato a desiderare mio padre.

Quel pensiero, una volta nato, mise radici profonde e veloci. Non era più una fantasia astratta, era diventato un progetto. Il mio primo obiettivo era semplice e terrificante: dovevo smettere di essere sua figlia e diventare, ai suoi occhi, una donna. E per farlo, decisi di usare l'unica arma che sentivo di possedere: il mio corpo.

​La provocazione iniziò la mattina dopo. Di solito mi presento in cucina con una felpa oversize e i capelli raccolti in un nido informe. Quella mattina, no. Scelsi con cura un completino di pizzo rosa vivo, quasi fluorescente, un pugno di colore contro la mia pelle chiara. Non indossai nient'altro. Entrai in cucina, dove mio padre stava facendo colazione, leggendo le notizie sul tablet.

​Alzò lo sguardo e rimase interdetto per un secondo. Vidi i suoi occhi scorrere veloci sul mio corpo quasi nudo, prima di tornare a fissarmi in viso con un'espressione severa. "Potevi almeno vestirti," disse, la sua voce più roca del solito.

​Mi avvicinai al frigo, ancheggiando appena. "Pa, mi sono appena svegliata," risposi, con la più innocente delle voci. "E poi siamo in famiglia, no?"

​Non replicò. Ma quando si alzò per mettere la tazza nel lavandino, vidi la prova che il mio piano aveva funzionato. Attraverso i suoi pantaloni grigi della tuta, l'impronta della sua erezione era innegabile, una protuberanza netta e tesa. Un'ondata di calore mi invase. Sapere di avergli fatto quell'effetto, di aver incrinato la sua corazza paterna, mi eccitò in un modo che non avrei mai creduto possibile.

​Quella sera era mercoledì, la serata film. Quando arrivai in salotto, lui era già seduto sul divano. Avevo preparato con cura anche questa seconda mossa. Indossavo un paio di leggings grigi, così sottili da sembrare una seconda pelle, senza intimo sotto. Sopra, una maglietta bianca corta, senza reggiseno, che lasciava intravedere il contorno dei miei capezzoli. Ero scalza, le unghie dei piedi dipinte di nero.

​Durante il film, uno di quei polpettoni noiosissimi che piacciono a lui, mi sdraiai, appoggiando la testa sulle sue ginocchia come se fosse il gesto più innocente del mondo. Ma di innocente non c'era nulla. Sotto la mia guancia, attraverso il tessuto dei suoi pantaloni, sentivo pulsare il suo cazzo. Stava diventando sempre più duro, un bastone di calore premuto contro la mia testa. La mia stessa fica rispose all'istante. Misi una mano tra le mie gambe e sentii che il tessuto dei leggings si stava già bagnando.

​Mio padre, malgrado la sua evidente erezione, faceva finta di nulla, gli occhi fissi sullo schermo. Capii che era il momento di agire, di forzare la sua maschera di indifferenza. Lentamente, con la mano che non era tra le mie gambe, iniziai a massaggiargli il cazzo attraverso i pantaloni. Ne seguii la forma, la lunghezza, stringendo appena. E anche lì, nessuna reazione. Solo il suo respiro che si faceva leggermente più pesante.

​Allora decisi di rompere ogni indugio. Con un movimento rapido, gli abbassai la cerniera e l'elastico dei pantaloni, quel tanto che bastava per far uscire il suo cazzo. Era teso e pulsante, più grande di quanto avessi immaginato. Lo presi in mano e cominciai a succhiarlo. Misi la sua cappella dentro la mia bocca e feci ruotare la lingua attorno alla corona, mentre con una mano lo segavo su e giù. L'altra mia mano, che era in mezzo alle mie gambe, scivolò sotto il bordo dei leggings e iniziò a masturbarmi il clitoride.

​Cominciai a gemere piano, un suono soffocato dal suo sesso. Sentii mio padre ansimare, un suono gutturale, quasi un lamento. La sua maschera era crollata. La sua mano si posò sulla mia nuca, le dita che si stringevano tra i miei capelli. Non mi stava respingendo, mi stava incoraggiando. Mi fermai con la mano che lo stava segando e, spinta dal suo gesto, presi in bocca più di lui, scendendo oltre la cappella, decisa a prenderlo tutto.

La mia gola si chiuse, incapace di accoglierlo. Cercai di prenderlo tutto in bocca, ma era troppo grosso; arrivai a malapena più sotto della metà. Non potevo immaginare che avesse un cazzone così. La sua spinta involontaria mi fece avere un conato. Mi alzai di scatto, tossendo, con le lacrime agli occhi.

​La sua mano, che poco prima era stretta sulla mia nuca, ora mi accarezzava la schiena con una delicatezza sorprendente. "Scusami, tesoro," disse, la voce profonda e roca. "Sarò più delicato."

​Mi prese in braccio come se fossi una bambina e mi adagiò sul divano, con la pancia in su. Poi, una brutalità inaudita prese il posto della tenerezza. Afferrò il tessuto dei miei leggings all'altezza del pube e lo strappò con un unico, violento strattone. Il suono della stoffa che si lacerava riempì il silenzio. Creò un'apertura selvaggia che esponeva completamente la mia fica e il mio culo.

​Si chinò su di me e cominciò a leccarmi, prima concentrandosi sul clitoride con una precisione che mi fece sussultare. Era bellissimo. Le mie gambe iniziarono a tremare quasi subito. Con una mano, spinsi la sua testa più contro di me, chiedendo di più, mentre con l'altra mi stringevo la tetta dal piacere, il capezzolo duro come una pietra. Poi la sua bocca scese, avvolgendo le mie labbra, la sua lingua che affondava dentro la mia vagina.

​Si alzò di scatto, lasciandomi ansimante. Mi prese per i fianchi e mi fece scendere dal divano, mettendomi sulle ginocchia per terra. Mi spinse a chinarmi in avanti, appoggiando il busto sui cuscini. Si abbassò dietro di me e sentii il suo respiro caldo tra le mie chiappe. Poi la sua lingua. Mi leccò l'ano. Fu una sensazione completamente nuova per me, una scossa elettrica che partì da lì e mi attraversò tutta, facendomi inarcare la schiena.

​"Scusami, non ho il preservativo," sussurrò contro la mia pelle. "Domani ti darò i soldi per la pillola."

​Sentii il suo cazzone, duro e bagnato, premere contro di me. Prima passò la cappella sul mio ano vergine, un cerchio di calore umido che mi fece gemere per l'anticipazione e la perversione di quel gesto. Mi eccitò tantissimo. Poi lo sentii scivolare più in basso e posizionarsi all'ingresso della mia figa.

​Mi penetrò piano. Non ero vergine da tempo e ne ho presi di cazzi nella mia breve esperienza, ma quando il suo entrò in me, mi sentii come se mi stesse sverginando per la seconda volta. Era così grosso, così pieno, che sentii la mia pelle tirare, i miei muscoli allargarsi per fargli spazio. Era anche lungo. Quando arrivò fino in fondo, lo sentii premere con decisione contro la mia cervice. Quella pressione profonda e quasi dolorosa mi mandò in estasi. Un grido mi uscì dalle labbra.

​Poi cominciò a muoversi, prima lentamente, poi con un ritmo sempre più veloce e brutale. Mi teneva stretta per i fianchi, il suo bacino che si scontrava col mio sedere con colpi secchi e potenti. Poi, la sua mano destra lasciò il mio fianco e si chiuse sul mio collo, stringendo appena, un gesto di possesso che mi fece sentire ancora più sua. Ogni spinta era un martello che batteva contro la mia cervice. Gemevo e ansimavo sotto il ritmo del suo cazzo, mi sentivo come una troia, usata e riempita dal mio stesso padre.

​La sua mano sinistra, che ancora mi teneva il fianco, si spostò. Sentii il suo pollice, bagnato di lubrificante naturale, premere contro il mio ano e poi scivolare dentro. Emisi un sussulto, sorpresa da quella nuova invasione. La doppia sensazione era travolgente. E poi, dopo un po', la pressione costante sulla cervice cominciò a farmi leggermente male, un dolore sordo che si mescolava al piacere. Come per istinto, il mio piede sinistro cominciò a muoversi. Un piccolo spasmo, un ticchettio nervoso contro il tappeto che non potevo fermare. Anche se avessi voluto, non ci sarei riuscita; si muoveva contro la mia volontà, un telegrafo impazzito che trasmetteva l' sovraccarico del mio corpo.

La combinazione del suo pollice nel mio ano e del suo cazzo che martellava la mia cervice mi stava mandando in un'altra dimensione. Inarcai la schiena ancora di più, spingendo il mio sedere contro il suo bacino, cercando di assorbire ogni centimetro di lui, di fonderci in un unico essere. La mia mano libera, che fino a un attimo prima era stretta in un pugno, andò per istinto tra le mie gambe, cercando il centro del mio piacere. Trovai il mio clitoride, gonfio e incredibilmente sensibile, e cominciai a masturbarlo con un ritmo frenetico che teneva il tempo con le sue spinte.

​Stavo godendo come mai in vita mia, sentivo l'orgasmo salire, un'onda inarrestabile. Stavo arrivando al culmine, ma sentivo anche lui. Sentivo i suoi muscoli tendersi, il ritmo del suo respiro farsi più corto e spezzato. Stava per venire dentro la mia figa. E poi, all'improvviso, si fermò.

​Il movimento cessò di colpo, lasciandomi sospesa sull'orlo del precipizio. Il suo cazzo era tutto dentro di me, una colonna di calore immobile e profonda. Sentii i suoi fianchi contrarsi con forza una, due, tre volte, e percepii l'ondata calda del suo sperma che mi riempiva, una sensazione incredibilmente intima e proibita. Subito dopo, scivolò fuori da me. Rimase in piedi alle mie spalle, il suo corpo che tremava leggermente per lo sforzo.

​Quel vuoto, quella sensazione di essere stata riempita e poi abbandonata, fu la spinta finale. Un secondo dopo che lui uscì, venni anche io. Fu un'esplosione, non un'onda. Il mio corpo si spezzò. Un getto di liquido trasparente eruttò dalla mia fica, bagnando i cuscini del divano, mentre un grido acuto mi uscì dalla gola. Le mie gambe tremavano in modo così violento che non riuscivano più a sorreggermi.

​Era bellissimo, sembrava un sogno ad occhi aperti, un'esperienza così intensa da sembrare quasi finta. Senza più forze, mi lasciai andare, collassando dalle ginocchia e accasciandomi sul pavimento. Rimasi lì, un groviglio di arti tremanti, ansimante, stanca, completamente e meravigliosamente svuotata.

​Sentii la sua ombra sopra di me. Mio padre, dall'alto, mi stava guardando. Il suo respiro si era quasi normalizzato. Vidi il suo petto alzarsi e abbassarsi. Ero sdraiata ai suoi piedi, nuda, bagnata del mio stesso piacere e del suo seme.

​"Sei stata brava, Isa," disse.

​La sua voce era calma, quasi distaccata. Un complimento che suonava come una valutazione. E poi, sentii il suono dei suoi passi che si allontanavano, lasciandomi lì, da sola sul pavimento del salotto.

Segue
scritto il
2025-08-21
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