Il fuoco e la cenere
di
KIN S
genere
tradimenti
Il campeggio a Capalbio era diventato una tradizione estiva per Elena e sua figlia Chiara. Ogni anno, tenda, zaini, fornelletto, e la promessa di qualche settimana senza telefoni, scuola, o lavoro. Quest’anno però, qualcosa era cambiato. Chiara aveva portato con sé un’amica. Clara. Appena diciottenne, lunghi capelli color nocciola, pelle chiara che si arrossava appena sotto il sole toscano, e quegli occhi—azzurri, immobili come un lago in un pomeriggio senza vento.
Andrea, il padre di Chiara, era venuto solo per il fine settimana. Un modo per riattaccare con la figlia, diceva. In realtà, il silenzio e la distanza tra loro erano diventati troppo densi. Forse voleva solo sentirsi ancora parte della sua vita.
Ma quando vide Clara la prima volta, scendere dal telo da mare con un pareo trasparente appeso ai fianchi, le gambe bagnate e sabbiose, il cuore gli colpì il petto come un tamburo mal calibrato. Non era solo bellezza, era una specie di incanto. Clara non parlava troppo, rideva piano, e quando gli lanciava uno sguardo di traverso mentre si metteva il burro cacao, sembrava consapevole. Di tutto.
La sera del secondo giorno, Chiara era andata in paese con alcuni ragazzi conosciuti lì. Clara aveva mal di testa, disse, e preferiva restare. Andrea si offrì di accendere il fuoco e cucinare qualcosa. Rimasero soli.
Seduti davanti al fuoco, il vino rosso versato nei bicchieri di plastica, le parole iniziarono a fluire leggere, piene di cose fuori posto: libri, viaggi, malinconie. Clara parlava con una maturità che disarmava. Aveva quella calma insolente di chi sa che può spingerti oltre il limite solo con un sorriso lento. Indossava un top nero senza spalline che le lasciava scoperti i fianchi, e Andrea faceva di tutto per non guardare. Ma i suoi occhi cadevano lì, sempre lì.
«A volte mi sento più vecchia di quello che sono», disse lei, abbassando lo sguardo sul bicchiere.
«E io mi sento più giovane, forse troppo, visto che sto qui a bere con l’amica di mia figlia e mi scopro a pensare cose che non dovrei.»
Clara lo guardò dritto. Non rispose subito. Poi si alzò, camminò verso di lui, lo sguardo basso, e si sedette accanto. Le ginocchia si toccarono.
«Non sembra che tu voglia fermarti.»
Andrea sentì il sangue rimbombargli nelle tempie. Nessuna risata, nessun gioco: solo una frase che tagliava ogni possibile negazione. Lui alzò il braccio per allontanarsi un poco, ma lei lo afferrò per il polso e lo tenne fermo.
«Clara…»
«Dimmi che non ti piaccio», sussurrò. «Dimmelo, e torno nella tenda.»
Lui non disse nulla. Non poteva. La guardava solo, la fronte accigliata, le mascelle tese. Le dita di lei si mossero sulle sue, sfiorando, premendo, e poi salendo lungo l’avambraccio. Il respiro gli si fece corto.
«Non possiamo...»
Lei posò la mano sul suo petto, ferma, e lui lo sentì: il cuore che batteva come impazzito.
«Perché no?»
«Hai diciotto anni. Sei l’amica di mia figlia.»
«E allora? Non sono una bambina. E lo sai.»
Andrea la baciò. O fu lei a baciare lui. Non ricordava più. Solo che le labbra si trovarono, piene, lente, e poi affamate. Clara gli si arrampicò addosso, le mani dentro la camicia, le dita che esploravano la pelle come se cercassero un segreto nascosto.
«Mmh... Andrea...» mormorò lei contro il suo collo, succhiandogli piano la pelle mentre lo cavalcava a secco sopra i pantaloni, il bacino che si muoveva in lente ondulazioni.
Lui non ce la faceva più. La prese per i fianchi, la stese sulla coperta a pochi passi dal fuoco, la bocca che scendeva sul suo petto, leccando tra le coppe del top, spostandolo con le dita tremanti, scoprendo quei seni piccoli e sodi, i capezzoli già tesi, rosati, perfetti.
«Ahh... sì...» sibilò Clara, con la testa buttata indietro.
Andrea la leccava, baciava, mentre lei si contorceva sotto di lui, le gambe che gli cingevano i fianchi. Gli sbottonò i pantaloni in fretta, tirò fuori il cazzo duro, pulsante, e lo sfregò contro la sua mutandina bagnata.
«Fammi tua...» ansimò lei, gli occhi socchiusi, le mani a stringergli i capelli.
«Clara... Cristo...»
La penetrò con un singolo affondo lento e profondo. Clara spalancò la bocca, un gemito lungo le uscì come un respiro rotto: «Aaaahhhn... sì... sììì...»
Si fermò un attimo, tremando dentro di lei, cercando controllo, ma lei lo prese per il culo e lo spinse avanti.
«Muoviti... voglio sentirti tutto...»
E lui lo fece. Lentamente all’inizio, godendo della sensazione calda e stretta che lo avvolgeva. Poi più forte, più rapido, i corpi che si urtavano nel silenzio del bosco, interrotto solo dal crepitio del fuoco e dal suono dei loro corpi che si univano. Slap, slap, slap.
«Mmmmh... ti sento... così dentro...»
«Stai zitta, ti prego... mi fai impazzire...»
Le mani sulle sue cosce, le labbra contro la sua gola. Clara lo sentiva dappertutto, dentro e fuori, mente e carne fuse in quel momento che era troppo sbagliato, troppo perfetto. Lo baciava, gli graffiava la schiena, si stringeva a lui mentre veniva, un’onda violenta che la fece urlare sommessamente: «Aaaahhh... ANDREA...!»
Lui venne subito dopo, spingendo forte, affondando fino all’ultimo centimetro, rovesciandosi dentro con un ringhio basso e animalesco, i muscoli contratti, la fronte premuta contro la sua.
Rimasero fermi. Sudati. Nudi. Respirando l’uno nell’altro.
Poi venne il gelo. Non nel corpo—nell’anima. Andrea si rialzò in silenzio, si rivestì in fretta, senza guardarla.
«Che succede?» chiese Clara, ancora sdraiata.
Lui non rispose. Le voltò le spalle. Si sentiva sporco. Non per il sesso. Non per lei. Ma per ciò che rappresentava: la sua figlia lontana, la moglie che aveva lasciato, l’uomo che aveva cercato di diventare e che ora guardava da lontano, deluso.
«Andrea, guardami.»
«È stato un errore.»
Clara lo fissava, nuda e orgogliosa nella luce tremolante delle braci. «Un errore che volevi.»
«Questo non cambia nulla. È... è troppo.»
«Codardo», sibilò lei. E si alzò anche lei, infilando la felpa, tornando nella tenda senza voltarsi.
Andrea non dormì. L’alba lo trovò già in piedi, zaino sulle spalle, la macchina avviata. Non lasciò un biglietto. Non salutò. Scomparve nella strada sterrata che portava fuori dal campeggio, l’anima schiacciata sotto il peso di un desiderio troppo umano per essere giustificato, troppo vivo per essere dimenticato.
E non tornò più.
Andrea, il padre di Chiara, era venuto solo per il fine settimana. Un modo per riattaccare con la figlia, diceva. In realtà, il silenzio e la distanza tra loro erano diventati troppo densi. Forse voleva solo sentirsi ancora parte della sua vita.
Ma quando vide Clara la prima volta, scendere dal telo da mare con un pareo trasparente appeso ai fianchi, le gambe bagnate e sabbiose, il cuore gli colpì il petto come un tamburo mal calibrato. Non era solo bellezza, era una specie di incanto. Clara non parlava troppo, rideva piano, e quando gli lanciava uno sguardo di traverso mentre si metteva il burro cacao, sembrava consapevole. Di tutto.
La sera del secondo giorno, Chiara era andata in paese con alcuni ragazzi conosciuti lì. Clara aveva mal di testa, disse, e preferiva restare. Andrea si offrì di accendere il fuoco e cucinare qualcosa. Rimasero soli.
Seduti davanti al fuoco, il vino rosso versato nei bicchieri di plastica, le parole iniziarono a fluire leggere, piene di cose fuori posto: libri, viaggi, malinconie. Clara parlava con una maturità che disarmava. Aveva quella calma insolente di chi sa che può spingerti oltre il limite solo con un sorriso lento. Indossava un top nero senza spalline che le lasciava scoperti i fianchi, e Andrea faceva di tutto per non guardare. Ma i suoi occhi cadevano lì, sempre lì.
«A volte mi sento più vecchia di quello che sono», disse lei, abbassando lo sguardo sul bicchiere.
«E io mi sento più giovane, forse troppo, visto che sto qui a bere con l’amica di mia figlia e mi scopro a pensare cose che non dovrei.»
Clara lo guardò dritto. Non rispose subito. Poi si alzò, camminò verso di lui, lo sguardo basso, e si sedette accanto. Le ginocchia si toccarono.
«Non sembra che tu voglia fermarti.»
Andrea sentì il sangue rimbombargli nelle tempie. Nessuna risata, nessun gioco: solo una frase che tagliava ogni possibile negazione. Lui alzò il braccio per allontanarsi un poco, ma lei lo afferrò per il polso e lo tenne fermo.
«Clara…»
«Dimmi che non ti piaccio», sussurrò. «Dimmelo, e torno nella tenda.»
Lui non disse nulla. Non poteva. La guardava solo, la fronte accigliata, le mascelle tese. Le dita di lei si mossero sulle sue, sfiorando, premendo, e poi salendo lungo l’avambraccio. Il respiro gli si fece corto.
«Non possiamo...»
Lei posò la mano sul suo petto, ferma, e lui lo sentì: il cuore che batteva come impazzito.
«Perché no?»
«Hai diciotto anni. Sei l’amica di mia figlia.»
«E allora? Non sono una bambina. E lo sai.»
Andrea la baciò. O fu lei a baciare lui. Non ricordava più. Solo che le labbra si trovarono, piene, lente, e poi affamate. Clara gli si arrampicò addosso, le mani dentro la camicia, le dita che esploravano la pelle come se cercassero un segreto nascosto.
«Mmh... Andrea...» mormorò lei contro il suo collo, succhiandogli piano la pelle mentre lo cavalcava a secco sopra i pantaloni, il bacino che si muoveva in lente ondulazioni.
Lui non ce la faceva più. La prese per i fianchi, la stese sulla coperta a pochi passi dal fuoco, la bocca che scendeva sul suo petto, leccando tra le coppe del top, spostandolo con le dita tremanti, scoprendo quei seni piccoli e sodi, i capezzoli già tesi, rosati, perfetti.
«Ahh... sì...» sibilò Clara, con la testa buttata indietro.
Andrea la leccava, baciava, mentre lei si contorceva sotto di lui, le gambe che gli cingevano i fianchi. Gli sbottonò i pantaloni in fretta, tirò fuori il cazzo duro, pulsante, e lo sfregò contro la sua mutandina bagnata.
«Fammi tua...» ansimò lei, gli occhi socchiusi, le mani a stringergli i capelli.
«Clara... Cristo...»
La penetrò con un singolo affondo lento e profondo. Clara spalancò la bocca, un gemito lungo le uscì come un respiro rotto: «Aaaahhhn... sì... sììì...»
Si fermò un attimo, tremando dentro di lei, cercando controllo, ma lei lo prese per il culo e lo spinse avanti.
«Muoviti... voglio sentirti tutto...»
E lui lo fece. Lentamente all’inizio, godendo della sensazione calda e stretta che lo avvolgeva. Poi più forte, più rapido, i corpi che si urtavano nel silenzio del bosco, interrotto solo dal crepitio del fuoco e dal suono dei loro corpi che si univano. Slap, slap, slap.
«Mmmmh... ti sento... così dentro...»
«Stai zitta, ti prego... mi fai impazzire...»
Le mani sulle sue cosce, le labbra contro la sua gola. Clara lo sentiva dappertutto, dentro e fuori, mente e carne fuse in quel momento che era troppo sbagliato, troppo perfetto. Lo baciava, gli graffiava la schiena, si stringeva a lui mentre veniva, un’onda violenta che la fece urlare sommessamente: «Aaaahhh... ANDREA...!»
Lui venne subito dopo, spingendo forte, affondando fino all’ultimo centimetro, rovesciandosi dentro con un ringhio basso e animalesco, i muscoli contratti, la fronte premuta contro la sua.
Rimasero fermi. Sudati. Nudi. Respirando l’uno nell’altro.
Poi venne il gelo. Non nel corpo—nell’anima. Andrea si rialzò in silenzio, si rivestì in fretta, senza guardarla.
«Che succede?» chiese Clara, ancora sdraiata.
Lui non rispose. Le voltò le spalle. Si sentiva sporco. Non per il sesso. Non per lei. Ma per ciò che rappresentava: la sua figlia lontana, la moglie che aveva lasciato, l’uomo che aveva cercato di diventare e che ora guardava da lontano, deluso.
«Andrea, guardami.»
«È stato un errore.»
Clara lo fissava, nuda e orgogliosa nella luce tremolante delle braci. «Un errore che volevi.»
«Questo non cambia nulla. È... è troppo.»
«Codardo», sibilò lei. E si alzò anche lei, infilando la felpa, tornando nella tenda senza voltarsi.
Andrea non dormì. L’alba lo trovò già in piedi, zaino sulle spalle, la macchina avviata. Non lasciò un biglietto. Non salutò. Scomparve nella strada sterrata che portava fuori dal campeggio, l’anima schiacciata sotto il peso di un desiderio troppo umano per essere giustificato, troppo vivo per essere dimenticato.
E non tornò più.
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