Quella panchina, ogni giorno

di
genere
gay

La prima volta che Leonardo vide Matteo, stava seduto sulla solita panchina nel cortile dell’università. Aveva le cuffie nelle orecchie, un libro di letteratura inglese aperto sulle ginocchia, ma gli occhi erano altrove. Matteo, era in ritardo per lezione, correva con lo zaino che saltava sulle spalle e una risma di fogli tenuta insieme alla buona. Non lo aveva mai visto prima, ma qualcosa, forse il modo in cui si passava una mano tra i capelli mentre cercava di mettere ordine tra i pensieri, lo colpì. Leonardo tornò lì anche il giorno dopo. E il giorno dopo ancora. Matteo, alla fine, lo notò. «Sempre su quella panchina?» chiese un pomeriggio, fermandosi davanti a lui con un sorriso timido. Leonardo sollevò lo sguardo. «Sto iniziando a pensare che porti fortuna.» Cominciarono così: chiacchiere leggere, poi risate, poi caffè presi di corsa prima delle lezioni. Studiavano in facoltà diverse, ma trovavano il modo di incrociarsi, di cercarsi. Bastava un messaggio: “Cortile tra 10 minuti?” e già correvano l’uno verso l’altro. Con il tempo, le parole diventarono confidenze. Matteo gli parlò del suo sogno di diventare insegnante, Leonardo gli raccontò del padre che non lo capiva e della madre che invece gli lasciava bigliettini motivazionali nella tasca del cappotto. Più parlavano, più si cercavano. Una sera d’inverno, dopo una giornata di pioggia, restarono soli in biblioteca. Fu lì che Leonardo prese il coraggio a due mani. «Posso farti una domanda?», Matteo lo guardò, curioso. «Ti va di uscire con me? Non per un caffè. Per davvero.». Un silenzio. Poi, un sorriso. Di quelli che non si possono trattenere. «Pensavo non l’avresti mai chiesto.» Uscirono insieme. Una pizza al taglio, una passeggiata lunga per evitare di separarsi. E infine, davanti alla porta di casa di Matteo, il primo bacio. Lento, incerto, bellissimo. Salirono in casa, eccitati, non riuscivano a staccarsi, erano rapiti e vogliosi di baci e di sesso. La camera di Matteo era spaziosa con un letto matrimoniale. Si spogliarono e si cercavano con le mani e con la bocca. I loro cazzi si strusciavano e le sensazioni erano meravigliose. Leonardo, iniziò a baciare il corpo peloso di Matteo, seguendo la striscia di peli biondi fino al pube. Leonardo era inebriato dal profumo che la pelle di Matteo emanava, il suo sesso profumava di muschio e aveva una cappella rosa. Lo prese in bocca prima con delicatezza, poi sempre più forte. Provava delle sensazioni che prima non conosceva, Matteo godeva “non fermarti, sto per venire, continua a pompare, ah ah… vengo, cazzo, vengo….”. Anche Leonardo venne contemporaneamente a Matteo. Si abbracciarono e sorridevano beati. L’amore non scoppiò in un lampo. Crebbe piano, tra le pagine di libri condivisi, nei pomeriggi passati a studiare con le gambe intrecciate sul divano, nelle piccole attenzioni quotidiane. Il sesso era quotidiano, quando dovevano preparare gli esami, si allontanavano qualche giorno, altrimenti non avrebbero ottenuti i risultati che si erano prefissi. Ora, ogni volta che passavano davanti a quella panchina, si sedevano di nuovo. Non perché ne avessero bisogno, ma perché lì era iniziato tutto. E ogni tanto, Leonardo scherzava: «Vedi? Portava fortuna davvero.» Matteo rideva e gli prendeva la mano. «O forse, sei stato tu la mia fortuna.»
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scritto il
2025-05-20
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