Roberta
di
Jj
genere
sentimentali
Ero fuggito dall’Italia, spinto dal desiderio di una vita diversa. Londra era la meta scelta, la terra promessa dove tentare la fortuna. Ma, come spesso accade con i sogni, la realtà si rivelò diversa dalle aspettative.
Avevo un buon lavoro, che mi dava anche qualche soddisfazione, eppure sentivo che mancava qualcosa. Londra non conosceva tregua, nemmeno nel cuore della notte. Le luci artificiali pulsavano instancabili e un sordo brusio di traffico ricordava la solitudine febbrile della città. Trovare una fidanzata sembrava un’impresa impossibile, così come stringere una vera amicizia. Gli orari di lavoro erano estenuanti, la competizione spietata.
Poi, una sera, conobbi Roberta. Anche lei italiana, anche lei a Londra in cerca di fortuna e di una vita migliore. La vidi per la prima volta dopo il lavoro: la stanchezza della giornata non scalfiva la sua bellezza, illuminata dalle luci fioche del locale. Bellissima, con i suoi capelli biondi che formavano morbidi boccoli e un fisico che non passava inosservato. Scambiammo qualche parola, poi – come accadeva spesso nella notte londinese – anche lei fu risucchiata dal vortice della città. Di lei mi rimase impressa soprattutto la grazia dei suoi movimenti, ma fu qualcosa di più profondo a colpirmi. Fin dal primo istante, provai un'attrazione totale per Roberta, una sorta di adorazione spontanea che andava oltre l'aspetto fisico. C'era una luce nei suoi occhi castani, un'energia solare che mi ammaliò all'istante.
I giorni si susseguirono monotoni, ma il ricordo di Roberta non mi abbandonava. Ogni sera frequentavo i locali con i colleghi, con la tacita speranza di rivederla, nel buio fumoso di quegli angoli di Londra che sembravano non dormire mai. Le serate con i colleghi si svolgevano spesso in locali affollati e rumorosi, lussuosi ma anonimi, impregnati di un forte odore di whisky e di un calore soffocante.
E poi, una notte, riapparve, quasi fosse un’illusione che la stanchezza e il buio mi giocassero. Il locale dove ritrovai Roberta quella notte aveva un'atmosfera completamente diversa. Era uno speakeasy nascosto, bellissimo nel suo stile proibizionismo, con luci soffuse e musica jazz che creava un'intimità avvolgente.
Parlammo di nuovo. Avevo mentalmente provato mille approcci, mille frasi da dirle. Ma fu tutto inutile. Fui colto dall’imbarazzo e dalla confusione, sotto le luci soffuse del locale. E, ancora una volta, Roberta svanì, dissolvendosi nel buio e in una nuvola di fumo. Ricordo soprattutto i silenzi carichi di significato durante le nostre conversazioni. Spesso mi guardava a lungo, quasi scrutandomi l'anima, con un'intensità che mi metteva un po' a disagio ma che al tempo stesso mi faceva sentire visto davvero.
Non mi diedi per vinto. Continuai a cercarla, con una determinazione silenziosa, nelle notti anonime di Londra.
Finché, una notte, la trovai seduta da sola al bancone di un bar. La luce calda del bancone creava un'isola intima nella penombra del locale. Mi avvicinai e mi sedetti accanto a lei. Iniziammo a bere insieme e la conversazione fu sorprendentemente lunga e fluida, come se ci conoscessimo da sempre. Parlammo dei nostri sogni infranti a Londra, della solitudine che a volte ci stringeva la gola, soprattutto nelle lunghe notti invernali. I nostri sguardi si incrociarono, un silenzio denso di una strana intesa, illuminato dal riflesso ambrato dei nostri drink. In quell'atmosfera ovattata, le nostre fragilità sembravano amplificarsi, e quella notte inaspettatamente ci ritrovò.
Fu in quel momento che mi rivelò di essere una escort. La sua voce ruppe il silenzio della notte con una sincerità disarmante. Per me, in quel preciso istante, la sua confessione fu quasi irrilevante. Ero talmente preso dalla sua presenza, dal modo in cui parlava e sorrideva, che la sua professione non scalfì minimamente l'ammirazione che provavo per lei.
La sua confessione non mi sconvolse. Forse perché, a Londra, in un certo senso, eravamo tutti un po’ escort. Eravamo lì per guadagnare il più possibile, nel minor tempo possibile. Tutte le ragazze, a modo loro, “costavano”: se non chiedevano denaro, desideravano regali, cene, vestiti. Ma io non dissi nulla. Lei, semplicemente, mi lasciò il suo numero di telefono, un piccolo pezzo di carta scambiato nel cuore della notte.
Continuammo a sentirci tramite messaggi, ma non ci incontrammo più di persona. Alcune sere trascorrevamo ore a scambiarci parole virtuali, illuminati solo dagli schermi dei nostri telefoni, nel silenzio delle nostre rispettive solitudini notturne. Mi piaceva questa forma di contatto. Poi arrivò il Natale, e la malinconia si fece sentire con prepotenza, amplificata. Anche lei, come me, aveva scelto di rimanere a Londra, lontana dagli affetti, in quella notte speciale che per molti era sinonimo di famiglia. Più ci scrivevamo, più cresceva in me il desiderio di rivederla, di condividere con lei quella notte altrimenti solitaria.
Parlavamo della vigilia, della solitudine che il giorno di festa acutizzava, rendendo la notte ancora più lunga. Le proposi di passare la sera da me, per non rimanere soli con i nostri pensieri. La sua risposta fu diretta: «A gratis non vengo.»
Trascorsi un giorno intero a riflettere, mentre la notte si avvicinava inesorabile. Mi tormentava un dubbio: era meglio il ricordo di un amore perduto o la possibilità di un amore trovato, seppur in queste circostanze, così particolari? Ero goffo, ingenuo, e mi ponevo domande degne di una canzone malinconica: cosa cercavo veramente, un nuovo inizio o la conferma di una perdita. Intorno a me vedevo solo persone che continuavano a desiderare qualcosa. Avevano trovato ciò che cercavano? Avevano perso qualcosa di importante? Non lo sapevo. Io, ancora legato al mio primo amore, mi sentivo un ingenuo,nella mia mente, mi immaginavo Roberta su una spiaggia deserta che mi diceva: «Puoi accarezzarmi le gambe,» un'immagine vivida che mi incantava.
Ecco, forse, cos’era l’amore per me in quel momento: Roberta, un bagliore in una giovinezza fallita. Stando con lei, avrei trovato o perso qualcosa di me? Non avevo la risposta, Il mio appartamento era piccolo, situato a un piano alto di un moderno palazzo di vetro. La vista sulla città illuminata era notevole, soprattutto di notte, ma l'arredamento era semplice e funzionale, senza particolari tocchi personali ma pensavo a Roberta cercandola da quella finestra, e chidendomi dove fosse e dove sarebbe andata.
Sentivo di non avere scelta. Dovevo provare a trovare qualcosa. E così la invitai a casa mia per la vigilia, accettando le sue condizioni.
Quando Roberta arrivò, scuotendo le gocce dal cappotto, la luce fioca del mio appartamento creò un'intimità inattesa, si tolse i tacchi per stare comoda e vedere i suoi piedi velati toccare il pavimento fu perfezione e mi innamorai. Parlammo a lungo, le nostre voci basse, quasi un sussurro che si fondeva con il ritmo della pioggia. Le feci il regalo, un piccolo cuore d'argento. Il suo sorriso, quando lo scartò in silenzio, ruppe ogni mia paura e forse pure le sue, illuminando per un istante il mio piccolo spazio. In quel silenzio ovattato, tra un bicchiere di vino e un timido contatto, un legame fragile iniziava a stringersi, come un fiore che timidamente sboccia nel gelo. Notavo la sua sottile ricerca di attenzioni, un desiderio di contatto fisico che traspariva a volte da un sospiro, da un modo di appoggiarsi leggermente al mio braccio. Anche il suo sguardo rivelava un bisogno di essere vista e apprezzata, quasi viziata da un'attenzione sincera. Guardammo 'Una poltrona per due' abbracciati sul divano, il silenzio rotto solo dalle sirene soffocate e dal battito della pioggia sui vetri.
Quando la serata volgeva al termine, sentii il bisogno di ringraziarla per essere venuta, per aver condiviso con me quella notte altrimenti vuota. Esitai un istante, pensando al motivo per cui si trovava lì. Ma i suoi occhi, quando incrociarono i miei nella penombra, non avevano la freddezza che mi aspettavo. C'era una dolcezza, una vulnerabilità che mi spiazzò. In quel momento, capii che quella notte stava prendendo una piega inaspettata, allontanandosi dall’epilogo che temevo fosse. Forse fu il mio atteggiamento non spavaldo, la gentilezza e la carineria che le dimostrai fin dal primo momento, a farla percepire diversa la mia attenzione rispetto a quella degli altri uomini che cercavano solo squallido sesso. Intuii che la mia sincerità e il mio desiderio di conoscerla davvero avevano creato una breccia nella sua corazza. Credo che sia stato proprio questo a spingerla, alla fine, a scegliere di passare il Natale insieme a me, cercando qualcosa di più di un semplice “cliente” in quella notte speciale.
«Vuoi andare in camera a divertirti?»
Le risposi con calma, senza la minima esitazione, in quel momento dove il mondo era tutto in quella stanza:
«Stai tranquilla. Io voglio solo conoscerti, parlarti, farti passare una serata serena. Solo quello che vuoi tu.»
Lei rise di gusto, come se le avessi detto qualcosa di incredibile.
«Lo pensi davvero?»
«Sì,» le dissi, con sincerità . «Non mi importa fare sesso. Mi importa che tu stia bene.»
Mi guardò negli occhi, scrutandomi nell'oscurità.
«Quante volte mi hai immaginata?»
«Tutti i giorni,» confessai, nel silenzio.
Fece un sorriso appena accennato, nella penombra.
«E davvero non vuoi fare nulla?»
Scossi la testa, con sincerità disarmante.
«No, Roberta. Se mai succederà, voglio che tu sia felice. E che sia esattamente come vuoi tu,» dissi, con la sincerità più totale e candida a rischio di passare per scemo.
Lei mi scrutò con un sorriso malizioso che le increspava gli angoli degli occhi, mentre un dito danzava tra le ciocche ribelli dei suoi capelli biondi, illuminate dalla luce soffusa. La sua voce, un sussurro intrigante che ruppe il silenzio: “Davvero desideri così tanto accontentare ogni mio capriccio, farmi stare bene in ogni modo possibile?”. Il mio cuore accelerò il battito alla sua domanda, nel buio, e la risposta fluì dalle mie labbra senza esitazione: “Sì, Roberta, non c’è nulla che io desideri più” e lei : “Allora," sussurrò, la voce un filo di seta vibrante di malizia, "sei davvero disposto a tutto pur di farmi godere? A obbedire a ogni mio più piccolo desiderio?" "Roberta... più di ogni altra cosa," risposi, nel silenzio complice.
Con un movimento sinuoso, si alzò, la sua silhouette illuminata dal riverbero caldo delle luci che filtrava dalla finestra. Le sue mani scivolarono lungo i fianchi, raggiungendo l'orlo delle sue mutandine di pizzo rosse che si intravedevano. Le sfilò lentamente, offrendomele come un trofeo umido del suo desiderio. Le presi, il tessuto caldo e intriso del suo profumo inebriante, nell'oscurità. I suoi occhi, ora fessure scure di puro sesso , si fissarono nei miei, illuminati solo dal debole chiarore notturno. "Ottima scelta, bravo," ansimò, la voce roca nel silenzio. "Ora inginocchiati e leccami ".
Senza esitare, crollai sulle ginocchia . Lei sorrise, un lampo predatore nei suoi occhi, mentre si liberava anche del leggero vestito, lasciandolo scivolare a terra come un petalo caduto. Il suo corpo nudo era lì, offerto alla mia adorazione . Mi avvicinai, la lingua già umida per l'attesa, nel buio illuminato solo dai nostri respiri. "Così... da bravo," gemette lei, le mani che si aggrappavano ai miei capelli. "Leccami... fammi sentire quanto mi desideri".
Iniziai a leccare, la mia lingua che tracciava volute umide sulla sua pelle morbida e calda nella notte. Ogni mio tocco provocava in lei un sussulto, un gemito soffocato nel silenzio. "Ancora... più forte," ansimò, le sue gambe che si divaricarono leggermente, invitandomi più a fondo. Continuai, il sapore salato e muschiato di lei che mi ubriacava, finché il suo corpo non fu scosso da spasmi violenti. Le sue unghie si conficcarono nella mia nuca mentre un grido strozzato le sfuggiva dalle labbra, il suo orgasmo un ruggito nella quiete e un lungo sospiro.
Quando le onde del piacere si placarono, i suoi occhi si aprirono, fissandomi con un'intensità bruciante dall’alto . "Ora," comandò, la voce ancora tremante , "voglio sentirti leccare il culo. Fallo bene." Un'eccitazione selvaggia mi invase nella. Mi chinai, la mia lingua che esplorava le pieghe calde e umide del suo ano e sulle sue natiche. Lei gemeva, la schiena inarcata, le mani appoggiate al muro. "Dimmi... quante volte hai pensato di farmi questo?" ansimò, la sua voce rotta dal piacere nella notte.
Poi, con uno scatto, si girò, prendendomi per mano "Vieni con me. Volammo in camera da letto,si sedette sul bordo del letto, le autoreggenti che le stringevano le cosce tornite e il reggiseno di pizzo che a stento conteneva i suoi seni, illuminati dal debole chiarore della lampada del comodino. Accavallò le gambe, offrendomi una visione proibita e meravigliosa. "Adesso," sussurrò, un sorriso diabolico che le illuminava il volto nell'oscurità, "voglio che mi lecchi i piedi. Ogni singolo centimetro."
Mi inginocchiai immediatamente, il suo corpo una calamita e il suo sorriso la mia gioia. Iniziai a baciare e leccare i suoi piedi velati e perfetti rendendomi conto che ero l’uomo più fortunato del mondo. Poi, lentamente, sfilai le calze, rivelando la pelle liscia e calda nel buio. Continuai la mia adorazione la mia lingua che si insinuava tra le dita e sul piede perfetto era il massimo, la mia bocca che risaliva lungo le sue caviglie, i polpacci, mentre lei si abbandonava al piacere, la sua risata un suono eccitato e godeva.
Dopo un tempo che sembrò eterno, mi tirò sul letto. Si mise a cavalcioni su di me, il suo sesso caldo e umido che premeva contro il mio viso. "Leccami voglio venire!," ansimò, le mani che mi guidavano. La mia lingua obbedì, assaporando la sua dolcezza, la sua umidità. I suoi gemiti si fecero sempre più forti , finché un altro orgasmo la scosse, il suo corpo che si contraeva contro il mio, il suo grido di piacere che riempiva la stanza e la mia faccia era invasa del suo piacere buonissimo .
Quando il suo respiro tornò regolare, si sollevò, guardandomi con un'espressione intensa. "Ora tocca a te, vedo che ti piace." Ci baciammo con foga. Poi si girò, appoggiando le mani sulla finestra con le gambe divaricate, il suo culo perfetto offerto al mio desiderio . La penetrai da dietro, la mia erezione che scivolava nella sua umidità calda e stretta. Iniziai lentamente, assaporando la sua reazione, poi aumentai il ritmo, colpi profondi e decisi e un suono meraviglioso. Lei urlava, le mani che si aggrappavano al bordo della finestea, il suo corpo che si muoveva al mio stesso ritmo. Un altro orgasmo la scosse, le sue grida, terminarono, con le gambe che tremavano forte visibilmente e si stese sul letto
Mi, sdraiai accanto a lei. Roberta si girò, appoggiando la schiena nuda alla testiera del letto. La luce soffusa della notte la avvolgeva, esaltando le sue forme. Iniziai a ringraziarla per la serata, per la sua compagnia, riempiendola di complimenti sinceri sulla sua bellezza e sulla sua persona. Lei sorrideva, a volte arrossendo leggermente, e le mie parole la facevano ridere dolcemente, un suono intimo che riempiva la quiete migliore di ogni musica.
Dopo un po', mentre il sonno iniziava a farsi sentire, mi guardò con un sorriso sereno. "Dormiamo," sussurrò, "che domani è Natale."
Ci addormentammo insieme in quel letto, vicini. Prima di chiudere gli occhi, mi chiese di farle qualche coccola, di stringerla tra le mie braccia. La strinsi delicatamente, sentendo il suo corpo caldo contro il mio nel buio. E prima di abbandonarci al sonno, ci scambiammo un bacio tenero, il bacio della buonanotte, sigillando in quel semplice gesto la magia di quella notte inaspettata.
Avevo un buon lavoro, che mi dava anche qualche soddisfazione, eppure sentivo che mancava qualcosa. Londra non conosceva tregua, nemmeno nel cuore della notte. Le luci artificiali pulsavano instancabili e un sordo brusio di traffico ricordava la solitudine febbrile della città. Trovare una fidanzata sembrava un’impresa impossibile, così come stringere una vera amicizia. Gli orari di lavoro erano estenuanti, la competizione spietata.
Poi, una sera, conobbi Roberta. Anche lei italiana, anche lei a Londra in cerca di fortuna e di una vita migliore. La vidi per la prima volta dopo il lavoro: la stanchezza della giornata non scalfiva la sua bellezza, illuminata dalle luci fioche del locale. Bellissima, con i suoi capelli biondi che formavano morbidi boccoli e un fisico che non passava inosservato. Scambiammo qualche parola, poi – come accadeva spesso nella notte londinese – anche lei fu risucchiata dal vortice della città. Di lei mi rimase impressa soprattutto la grazia dei suoi movimenti, ma fu qualcosa di più profondo a colpirmi. Fin dal primo istante, provai un'attrazione totale per Roberta, una sorta di adorazione spontanea che andava oltre l'aspetto fisico. C'era una luce nei suoi occhi castani, un'energia solare che mi ammaliò all'istante.
I giorni si susseguirono monotoni, ma il ricordo di Roberta non mi abbandonava. Ogni sera frequentavo i locali con i colleghi, con la tacita speranza di rivederla, nel buio fumoso di quegli angoli di Londra che sembravano non dormire mai. Le serate con i colleghi si svolgevano spesso in locali affollati e rumorosi, lussuosi ma anonimi, impregnati di un forte odore di whisky e di un calore soffocante.
E poi, una notte, riapparve, quasi fosse un’illusione che la stanchezza e il buio mi giocassero. Il locale dove ritrovai Roberta quella notte aveva un'atmosfera completamente diversa. Era uno speakeasy nascosto, bellissimo nel suo stile proibizionismo, con luci soffuse e musica jazz che creava un'intimità avvolgente.
Parlammo di nuovo. Avevo mentalmente provato mille approcci, mille frasi da dirle. Ma fu tutto inutile. Fui colto dall’imbarazzo e dalla confusione, sotto le luci soffuse del locale. E, ancora una volta, Roberta svanì, dissolvendosi nel buio e in una nuvola di fumo. Ricordo soprattutto i silenzi carichi di significato durante le nostre conversazioni. Spesso mi guardava a lungo, quasi scrutandomi l'anima, con un'intensità che mi metteva un po' a disagio ma che al tempo stesso mi faceva sentire visto davvero.
Non mi diedi per vinto. Continuai a cercarla, con una determinazione silenziosa, nelle notti anonime di Londra.
Finché, una notte, la trovai seduta da sola al bancone di un bar. La luce calda del bancone creava un'isola intima nella penombra del locale. Mi avvicinai e mi sedetti accanto a lei. Iniziammo a bere insieme e la conversazione fu sorprendentemente lunga e fluida, come se ci conoscessimo da sempre. Parlammo dei nostri sogni infranti a Londra, della solitudine che a volte ci stringeva la gola, soprattutto nelle lunghe notti invernali. I nostri sguardi si incrociarono, un silenzio denso di una strana intesa, illuminato dal riflesso ambrato dei nostri drink. In quell'atmosfera ovattata, le nostre fragilità sembravano amplificarsi, e quella notte inaspettatamente ci ritrovò.
Fu in quel momento che mi rivelò di essere una escort. La sua voce ruppe il silenzio della notte con una sincerità disarmante. Per me, in quel preciso istante, la sua confessione fu quasi irrilevante. Ero talmente preso dalla sua presenza, dal modo in cui parlava e sorrideva, che la sua professione non scalfì minimamente l'ammirazione che provavo per lei.
La sua confessione non mi sconvolse. Forse perché, a Londra, in un certo senso, eravamo tutti un po’ escort. Eravamo lì per guadagnare il più possibile, nel minor tempo possibile. Tutte le ragazze, a modo loro, “costavano”: se non chiedevano denaro, desideravano regali, cene, vestiti. Ma io non dissi nulla. Lei, semplicemente, mi lasciò il suo numero di telefono, un piccolo pezzo di carta scambiato nel cuore della notte.
Continuammo a sentirci tramite messaggi, ma non ci incontrammo più di persona. Alcune sere trascorrevamo ore a scambiarci parole virtuali, illuminati solo dagli schermi dei nostri telefoni, nel silenzio delle nostre rispettive solitudini notturne. Mi piaceva questa forma di contatto. Poi arrivò il Natale, e la malinconia si fece sentire con prepotenza, amplificata. Anche lei, come me, aveva scelto di rimanere a Londra, lontana dagli affetti, in quella notte speciale che per molti era sinonimo di famiglia. Più ci scrivevamo, più cresceva in me il desiderio di rivederla, di condividere con lei quella notte altrimenti solitaria.
Parlavamo della vigilia, della solitudine che il giorno di festa acutizzava, rendendo la notte ancora più lunga. Le proposi di passare la sera da me, per non rimanere soli con i nostri pensieri. La sua risposta fu diretta: «A gratis non vengo.»
Trascorsi un giorno intero a riflettere, mentre la notte si avvicinava inesorabile. Mi tormentava un dubbio: era meglio il ricordo di un amore perduto o la possibilità di un amore trovato, seppur in queste circostanze, così particolari? Ero goffo, ingenuo, e mi ponevo domande degne di una canzone malinconica: cosa cercavo veramente, un nuovo inizio o la conferma di una perdita. Intorno a me vedevo solo persone che continuavano a desiderare qualcosa. Avevano trovato ciò che cercavano? Avevano perso qualcosa di importante? Non lo sapevo. Io, ancora legato al mio primo amore, mi sentivo un ingenuo,nella mia mente, mi immaginavo Roberta su una spiaggia deserta che mi diceva: «Puoi accarezzarmi le gambe,» un'immagine vivida che mi incantava.
Ecco, forse, cos’era l’amore per me in quel momento: Roberta, un bagliore in una giovinezza fallita. Stando con lei, avrei trovato o perso qualcosa di me? Non avevo la risposta, Il mio appartamento era piccolo, situato a un piano alto di un moderno palazzo di vetro. La vista sulla città illuminata era notevole, soprattutto di notte, ma l'arredamento era semplice e funzionale, senza particolari tocchi personali ma pensavo a Roberta cercandola da quella finestra, e chidendomi dove fosse e dove sarebbe andata.
Sentivo di non avere scelta. Dovevo provare a trovare qualcosa. E così la invitai a casa mia per la vigilia, accettando le sue condizioni.
Quando Roberta arrivò, scuotendo le gocce dal cappotto, la luce fioca del mio appartamento creò un'intimità inattesa, si tolse i tacchi per stare comoda e vedere i suoi piedi velati toccare il pavimento fu perfezione e mi innamorai. Parlammo a lungo, le nostre voci basse, quasi un sussurro che si fondeva con il ritmo della pioggia. Le feci il regalo, un piccolo cuore d'argento. Il suo sorriso, quando lo scartò in silenzio, ruppe ogni mia paura e forse pure le sue, illuminando per un istante il mio piccolo spazio. In quel silenzio ovattato, tra un bicchiere di vino e un timido contatto, un legame fragile iniziava a stringersi, come un fiore che timidamente sboccia nel gelo. Notavo la sua sottile ricerca di attenzioni, un desiderio di contatto fisico che traspariva a volte da un sospiro, da un modo di appoggiarsi leggermente al mio braccio. Anche il suo sguardo rivelava un bisogno di essere vista e apprezzata, quasi viziata da un'attenzione sincera. Guardammo 'Una poltrona per due' abbracciati sul divano, il silenzio rotto solo dalle sirene soffocate e dal battito della pioggia sui vetri.
Quando la serata volgeva al termine, sentii il bisogno di ringraziarla per essere venuta, per aver condiviso con me quella notte altrimenti vuota. Esitai un istante, pensando al motivo per cui si trovava lì. Ma i suoi occhi, quando incrociarono i miei nella penombra, non avevano la freddezza che mi aspettavo. C'era una dolcezza, una vulnerabilità che mi spiazzò. In quel momento, capii che quella notte stava prendendo una piega inaspettata, allontanandosi dall’epilogo che temevo fosse. Forse fu il mio atteggiamento non spavaldo, la gentilezza e la carineria che le dimostrai fin dal primo momento, a farla percepire diversa la mia attenzione rispetto a quella degli altri uomini che cercavano solo squallido sesso. Intuii che la mia sincerità e il mio desiderio di conoscerla davvero avevano creato una breccia nella sua corazza. Credo che sia stato proprio questo a spingerla, alla fine, a scegliere di passare il Natale insieme a me, cercando qualcosa di più di un semplice “cliente” in quella notte speciale.
«Vuoi andare in camera a divertirti?»
Le risposi con calma, senza la minima esitazione, in quel momento dove il mondo era tutto in quella stanza:
«Stai tranquilla. Io voglio solo conoscerti, parlarti, farti passare una serata serena. Solo quello che vuoi tu.»
Lei rise di gusto, come se le avessi detto qualcosa di incredibile.
«Lo pensi davvero?»
«Sì,» le dissi, con sincerità . «Non mi importa fare sesso. Mi importa che tu stia bene.»
Mi guardò negli occhi, scrutandomi nell'oscurità.
«Quante volte mi hai immaginata?»
«Tutti i giorni,» confessai, nel silenzio.
Fece un sorriso appena accennato, nella penombra.
«E davvero non vuoi fare nulla?»
Scossi la testa, con sincerità disarmante.
«No, Roberta. Se mai succederà, voglio che tu sia felice. E che sia esattamente come vuoi tu,» dissi, con la sincerità più totale e candida a rischio di passare per scemo.
Lei mi scrutò con un sorriso malizioso che le increspava gli angoli degli occhi, mentre un dito danzava tra le ciocche ribelli dei suoi capelli biondi, illuminate dalla luce soffusa. La sua voce, un sussurro intrigante che ruppe il silenzio: “Davvero desideri così tanto accontentare ogni mio capriccio, farmi stare bene in ogni modo possibile?”. Il mio cuore accelerò il battito alla sua domanda, nel buio, e la risposta fluì dalle mie labbra senza esitazione: “Sì, Roberta, non c’è nulla che io desideri più” e lei : “Allora," sussurrò, la voce un filo di seta vibrante di malizia, "sei davvero disposto a tutto pur di farmi godere? A obbedire a ogni mio più piccolo desiderio?" "Roberta... più di ogni altra cosa," risposi, nel silenzio complice.
Con un movimento sinuoso, si alzò, la sua silhouette illuminata dal riverbero caldo delle luci che filtrava dalla finestra. Le sue mani scivolarono lungo i fianchi, raggiungendo l'orlo delle sue mutandine di pizzo rosse che si intravedevano. Le sfilò lentamente, offrendomele come un trofeo umido del suo desiderio. Le presi, il tessuto caldo e intriso del suo profumo inebriante, nell'oscurità. I suoi occhi, ora fessure scure di puro sesso , si fissarono nei miei, illuminati solo dal debole chiarore notturno. "Ottima scelta, bravo," ansimò, la voce roca nel silenzio. "Ora inginocchiati e leccami ".
Senza esitare, crollai sulle ginocchia . Lei sorrise, un lampo predatore nei suoi occhi, mentre si liberava anche del leggero vestito, lasciandolo scivolare a terra come un petalo caduto. Il suo corpo nudo era lì, offerto alla mia adorazione . Mi avvicinai, la lingua già umida per l'attesa, nel buio illuminato solo dai nostri respiri. "Così... da bravo," gemette lei, le mani che si aggrappavano ai miei capelli. "Leccami... fammi sentire quanto mi desideri".
Iniziai a leccare, la mia lingua che tracciava volute umide sulla sua pelle morbida e calda nella notte. Ogni mio tocco provocava in lei un sussulto, un gemito soffocato nel silenzio. "Ancora... più forte," ansimò, le sue gambe che si divaricarono leggermente, invitandomi più a fondo. Continuai, il sapore salato e muschiato di lei che mi ubriacava, finché il suo corpo non fu scosso da spasmi violenti. Le sue unghie si conficcarono nella mia nuca mentre un grido strozzato le sfuggiva dalle labbra, il suo orgasmo un ruggito nella quiete e un lungo sospiro.
Quando le onde del piacere si placarono, i suoi occhi si aprirono, fissandomi con un'intensità bruciante dall’alto . "Ora," comandò, la voce ancora tremante , "voglio sentirti leccare il culo. Fallo bene." Un'eccitazione selvaggia mi invase nella. Mi chinai, la mia lingua che esplorava le pieghe calde e umide del suo ano e sulle sue natiche. Lei gemeva, la schiena inarcata, le mani appoggiate al muro. "Dimmi... quante volte hai pensato di farmi questo?" ansimò, la sua voce rotta dal piacere nella notte.
Poi, con uno scatto, si girò, prendendomi per mano "Vieni con me. Volammo in camera da letto,si sedette sul bordo del letto, le autoreggenti che le stringevano le cosce tornite e il reggiseno di pizzo che a stento conteneva i suoi seni, illuminati dal debole chiarore della lampada del comodino. Accavallò le gambe, offrendomi una visione proibita e meravigliosa. "Adesso," sussurrò, un sorriso diabolico che le illuminava il volto nell'oscurità, "voglio che mi lecchi i piedi. Ogni singolo centimetro."
Mi inginocchiai immediatamente, il suo corpo una calamita e il suo sorriso la mia gioia. Iniziai a baciare e leccare i suoi piedi velati e perfetti rendendomi conto che ero l’uomo più fortunato del mondo. Poi, lentamente, sfilai le calze, rivelando la pelle liscia e calda nel buio. Continuai la mia adorazione la mia lingua che si insinuava tra le dita e sul piede perfetto era il massimo, la mia bocca che risaliva lungo le sue caviglie, i polpacci, mentre lei si abbandonava al piacere, la sua risata un suono eccitato e godeva.
Dopo un tempo che sembrò eterno, mi tirò sul letto. Si mise a cavalcioni su di me, il suo sesso caldo e umido che premeva contro il mio viso. "Leccami voglio venire!," ansimò, le mani che mi guidavano. La mia lingua obbedì, assaporando la sua dolcezza, la sua umidità. I suoi gemiti si fecero sempre più forti , finché un altro orgasmo la scosse, il suo corpo che si contraeva contro il mio, il suo grido di piacere che riempiva la stanza e la mia faccia era invasa del suo piacere buonissimo .
Quando il suo respiro tornò regolare, si sollevò, guardandomi con un'espressione intensa. "Ora tocca a te, vedo che ti piace." Ci baciammo con foga. Poi si girò, appoggiando le mani sulla finestra con le gambe divaricate, il suo culo perfetto offerto al mio desiderio . La penetrai da dietro, la mia erezione che scivolava nella sua umidità calda e stretta. Iniziai lentamente, assaporando la sua reazione, poi aumentai il ritmo, colpi profondi e decisi e un suono meraviglioso. Lei urlava, le mani che si aggrappavano al bordo della finestea, il suo corpo che si muoveva al mio stesso ritmo. Un altro orgasmo la scosse, le sue grida, terminarono, con le gambe che tremavano forte visibilmente e si stese sul letto
Mi, sdraiai accanto a lei. Roberta si girò, appoggiando la schiena nuda alla testiera del letto. La luce soffusa della notte la avvolgeva, esaltando le sue forme. Iniziai a ringraziarla per la serata, per la sua compagnia, riempiendola di complimenti sinceri sulla sua bellezza e sulla sua persona. Lei sorrideva, a volte arrossendo leggermente, e le mie parole la facevano ridere dolcemente, un suono intimo che riempiva la quiete migliore di ogni musica.
Dopo un po', mentre il sonno iniziava a farsi sentire, mi guardò con un sorriso sereno. "Dormiamo," sussurrò, "che domani è Natale."
Ci addormentammo insieme in quel letto, vicini. Prima di chiudere gli occhi, mi chiese di farle qualche coccola, di stringerla tra le mie braccia. La strinsi delicatamente, sentendo il suo corpo caldo contro il mio nel buio. E prima di abbandonarci al sonno, ci scambiammo un bacio tenero, il bacio della buonanotte, sigillando in quel semplice gesto la magia di quella notte inaspettata.
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