Complicità nascoste

di
genere
tradimenti

Mi chiamo Grazia, ho 52 anni, e da qualche anno vivo in una tranquilla palazzina di periferia. Il mio appartamento confina con quello di una famiglia numerosa, almeno per come si vive oggi: marito, moglie, due figli grandi. La figlia, Maria Pia, ha 19 anni — è una ragazza sveglia, curiosa, a tratti impertinente, sempre con quello sguardo un po' interrogativo, come se vedesse più di quanto dicesse. Il marito… lui, invece, è un uomo che ha l'eleganza innata di chi non ha bisogno di fare nulla per farsi notare. Lo chiamerò Pino.

Fin dal mio arrivo, tra me e Pino è nata un'intesa silenziosa. Uno di quegli scambi che non hanno bisogno di parole. Un sorriso prolungato sulle scale. Una porta tenuta aperta un secondo di troppo. Le nostre mani che si sfiorano. Il tutto sotto gli occhi distratti della moglie, sempre di corsa, o forse semplicemente disinteressata.

Maria Pia, invece, nota tutto. E lo capisco. All’inizio evitava il mio sguardo, come se mi giudicasse. Poi ha iniziato a studiarmi. Mi guardava con attenzione, senza parlare. E io non riuscivo a decifrare se fosse fastidio… o curiosità.

Una mattina di primavera, con l’aria già calda nonostante l’ora, la routine della casa accanto sembra cambiata. Esco a buttare la spazzatura e mi accorgo che l’auto non c’è. Nessun rumore, nessuna voce. So che la madre e il fratello sono fuori città per un paio di giorni. Supponevo anche Maria Pia, invece a quanto pare è semplicemente sparita nel quartiere — e dentro casa resta solo lui.

Quando passo davanti alla porta, mi fermo. Una delle tende interne, leggera e bianca, è leggermente scostata dalla finestra aperta. Lì, nella penombra del salotto, c’è Pino. È disteso sul divano. Dorme. La testa inclinata all’indietro, la camicia slacciata all’altezza del collo, un braccio abbandonato sul petto. Il suo respiro è profondo, calmo. Immobile.

Mi blocco. Il cuore accelera.

La porta, come spesso capita in queste case un po’ vecchie, è appena socchiusa. Mi sento chiamata da quel momento, come se l’aria stessa mi spingesse avanti. Apro piano. Nessun rumore. I passi si fanno lenti, come se stessi entrando in un sogno.

Mi avvicino. Posso sentire il suo profumo: dopobarba, pelle calda, qualcosa di silenziosamente maschile.
Mi inginocchio davanti a lui, con movimenti piccoli, lenti. Il mio respiro si fa più corto.
Appoggio una mano sulla sua coscia, ferma, decisa ma rispettosa. Il suo corpo resta immobile. Ma il respiro… cambia.
Leggermente.
Come se, in quel torpore, il suo corpo sapesse. Come se mi stesse concedendo quel momento, senza bisogno di parole.

Sbottono piano i pantaloni. Le dita tremano, ma non si fermano. Quando lo libero, è già teso. Caldo. Vivo.
Eppure lui continua a dormire…
Forse sogna, e in quel sogno io sono esattamente dove mi trovo.

Le mie labbra lo sfiorano, lo accolgono lentamente, come una promessa. Il gusto è intenso, pieno, quasi dolce. Lo prendo sempre più a fondo, con passione trattenuta, con fame elegante. Ogni gesto è silenzioso, ogni respiro controllato. Il cuore mi batte in gola. Lui geme appena. Non apre gli occhi.

Quando il piacere lo travolge, lo sento esplodere dentro di me. Lo accolgo tutto, fino in fondo, senza distogliere lo sguardo. È un momento eterno. Bellissimo.

Mi alzo, le gambe leggermente molli, il viso caldo. Lo sistemo, lo ricopro come se nulla fosse accaduto.
Poi, a testa alta, esco. Richiudo piano la porta, senza far rumore. Sento ancora il mio respiro vibrare nel petto.

Scendendo le scale, mi fermo di colpo.
C’è Maria Pia.

È appoggiata al muro del pianerottolo. Mi guarda. Le braccia conserte, la bocca leggermente piegata in un sorriso.
Ci fissiamo per lunghi secondi. Nessuna parola. Poi, alza il pollice 👍 e un occhiolino
Un cenno. Un segno di approvazione.
E infine, un occhiolino.
Silenziosa, se ne va, aveva visto tutto

Il giorno dopo, trovo un foglietto piegato sotto la mia porta. Bianco. Sono Maria Pia.
Dentro, solo un numero. Il suo.
Io: gli invio un messaggio di scuse
Lei: Finalmente, era ora che ti decidessi, non preccuparti non se ne accorto di niente memmeno lui perché stava dormendo
E una frase scritta con una calligrafia netta, quasi ironica:
“Fammi sapere. Quando inizi. Quando finisci.”
Un messaggio, un gioco. Una complicità silenziosa, inaspettata.

Una volta ricordo che a lui lo presi di colpo mentre stava salendo le scale, lo afferrai e lui si pietrifico, non sapeva cosa fare, lo prendo e me lo bacio, come se non ci fosse un domani, lui inizialmente restio, poi si lascia trasportare, mentre saliamo le scale gli invio un messaggio alla figlia. Io sto con tuo padre.

Lei, avvisami sempre quando finisci
Io: ormai e mio

Mentre stanno arrivando mi manda un messaggio con le codeste parole

Maria Pia: Io e la cornuta stiamo arrivando, fai presto. Io già avevo finito, gli mando un messaggio di un cenno, fatto

Ora l'intesa tra me e lei e più accesa e la teniamo nascosta questa complicità
scritto il
2025-05-03
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