Una storia vera - Cap 5

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CAPITOLO 5 – CERCANDO LA NORMALITA’

Che sciocca. Me ne stavo andando da quel BAR diretta a casa, stordita tanto che avevo in mente di riprendere l’autobus e poi la metropolitana. Arrivata alla biglietteria, andando a dire alla cassiera la destinazione per cui volevo il biglietto dell’autobus, mi sono resa conto che la fermata della metropolitana che mi sarebbe servita al momento era sicuramente inagibile. Dovevo arrivare in autobus fino in città e di li a casa:

“un biglietto di solo andata per Linfor”

Sull’autobus, con un viaggio di quasi un’ora davanti, riesco ad apprezzare la morbidezza del sedile, il caldo dell’ambiente. E’ stata una nottata dura, sono sfinita. Intorno a me poca compagnia, cazzo, è lunedì ed è tardi. Sono in ritardo al lavoro e non ho neanche avvertito. Prendo il cellulare e mando un messaggio in ufficio:

“scusate, non sto affatto bene, non sono riuscita ad avvertire prima, probabilmente solo un’influenza intestinale ma non ce la faccio a venire. Spero che per domani sarà tutto passato. Mi spiace”

Mi assopisco, cullata dalla strada, sogno, era abbastanza ovvio che sarebbe successo. Nel dormiveglia come un flashback fatto di immagini miste alla fantasia, miste a ciò che mi aveva raccontato Askal. Mi vedo in una stanza enorme, vedo la luna, piena, nel cielo, gigantesca. Sono li, c’è anche Askal e insieme stiamo facendo non capisco cosa ma avverto uno sforzo profondo, disperato.
Uno di quei sogni che quando ti svegli ti sembra di ricordare tutto come fosse realtà ma che poi non riesci a mettere a fuoco.
Scendo dall’autobus, le 11.00, per fortuna casa è vicina alla stazione, pochi minuti a piedi e finalmente il portone.
Salgo le scale condominiali e con un sospiro di sollievo infilo la chiave nella serratura per aprire la porta di casa, la varco, chiudo, chiudo bene a chiave, dopo l’avventura vissuta ho bisogno di un posto sicuro, di sentirmi al sicuro per cancellare quello che vorrei non ricordare, che storia assurda, Askal, non posso fare a meno di sentire una stretta allo stomaco ripensando a lui.
Un salto in bagno, mi scappa da morire, non faccio pipì da una vita, da ieri sera. Seduta sul water, incantata, guardo il liquido paglierino infrangersi sul bordo del sanitario per cadere come una cascatella. Non riesco proprio a concentrarmi, la mente si ribella e torna sempre a quella strana avventura mentre io vorrei proprio il contrario.
Acqua calda nella doccia, bollente, a me piace così, deve fumare.
La lascio scorrere sul corpo, il primo contatto è quasi doloroso, a un pelo dallo scottare, mi fa venire i brividi.
Sui capezzoli fa proprio male, li la pelle è più sensibile e il calore fa più effetto. Bagno abbondantemente i capelli, si allungano verso le natiche, lisci, pesanti. L’acqua mi ricopre il viso, il calore lo arrossa un po’, vorrei lavare via tutto. Prendo la spugna, docciaschiuma e inizio ad insaponarmi bene. E’ piacevole cospargere la schiuma sulla pelle con quell’oggetto ruvido. Mi infilo bene in ogni anfratto, la sensazione di quello che mi è successo mi pervade ancora, nel bene, le mani di Askal; nel male, quel maledetto accolito e il suo coso enorme.
Brrrr…. Un brivido di disgusto mentre premo più forte sulla pelle che è stata a contatto con quella creatura.
Lavo i capelli in modo spasmodico più e più volte, come se non potessi cancellare la sensazione di quelle tozze, giganti, dita che ci erano affondate. Non riesco a fare a meno di rivivere più e più volte quello che era accaduto, tutto quello che era accaduto da quando ero uscita dal quel locale per disperati.
Alla fine, andando a lavare il sesso mi rendo conto di essere bagna, non di acqua, umori, i miei umori, ho la fica piena, no, cazzo no, non va proprio bene eppure è come se sentissi ancora le mani di lui infilarcisi dentro, era stato così intenso. L’acqua che mi scorre sulla faccia, sulle labbra, come la sua saliva mentre mi masturbava:

“No, no, no, basta, non va bene, è tutto da dimenticare, forza, Susanne. Non è mai successo”

Esco, accappatoio e ciabatte, mi asciugo per bene e asciugo la doccia.
E’ ora di mangiare qualcosa e poi una bella dormita cancellerà tutto.
Vado verso la cucina ma noto una luce soffusa venire dal salotto. Strano. Mi avvicino, fa caldo, più del normale. Mi affaccio nella stanza in penombra, il camino è acceso, come è possibile, manco da casa dalla sera prima, anche se me lo fossi dimenticata accesso ormai il fuoco avrebbe dovuto essersi estinto.
Accendo la luce:

“bentornata Susanne, mi sono permesso di mettermi comodo, sa, la attendo da ore ormai”

Seduto nella poltrona un uomo mai visto. Alto almeno un metro e ottanta, magro, spalle potenti. In dosso un lungo cappotto nero, tipo quello degli accoliti. Il viso curato, pulito, capelli corti, un dito circa, brizzolati. Sorride gentile ma cosa ci fa in casa mia?
L’istinto sarebbe quello di fuggire ma la porta è chiusa bene a chiave, ci impiegherei troppo ad aprirla, se il suo scopo è prendermi farebbe di certo in tempo quindi meglio non dargli le spalle:

“chi cazzo sei e che cazzo ci fai in casa mia?”

“Susanne, potrebbe evitare il turpiloquio? Le assicuro che non serve. Le rispondo subito, sono il Maggiore Gihren Zabi, della guardia cittadina di Linfor. Sono in casa sua perché mi è stato ordinato di fare chiarezza su quanto successo al capolinea della stazione metropolitana SUD e sulla morte dell’accolito Tierstatistik”

Cazzo, no, se è qui in casa mia vuol dire che sa che sono coinvolta ma quanto? La mente cerca di correre veloce mentre inizio a sudare freddo nell’accappatoio. Mentire è un processo complicato, richiede tempo, ragionamento. Dire la verità sarebbe semplice ma la verità è assurda. Mi sento impalata dai freddi occhi di ghiaccio del maggiore che mi scruta in attesa della mia risposta. Cerco di prendere tempo:

“questa è casa mia, non può entrare e fare come vuole, se ne vada subito”

Volevo sembrare ferma, spaventarlo ma non mi sembrava spaventato:

“Susanne, mi ripeto, non mi piace ripetermi ma capisco che in una situazione come questa possa essere comprensibile. Sono il Maggiore Gihren Zabi, della guardia cittadina di Linfor. Con il diritto legale datomi dal mio grado sono qui in casa sua perché mi è stato ordinato di fare chiarezza su quanto successo al capolinea della stazione metropolitana SUD e sulla morte dell’accolito Tierstatistik. Per svolgere il mio compito mi accingo ad interrogarla come persona informata dei fatti in quanto identificata da testimoni e telecamere mentre prendeva, in compagnia di noto ricercato, l’ultimo treno diretto alla suddetta stazione subito prima degli accadimenti su cui urge fare chiarezza. Lo svolgimento dell’interrogatorio sarà atto a carpire quanto a sua conoscenza e per ottenere tale scopo sono autorizzato ad utilizzare ogni metodo eventualmente necessario e le assicuro che sono molto scrupoloso nel mio lavoro”

Sono io ad aver paura, una fottuta paura che mi fa l’effetto che la paura fa a tutti. Scappa per sopravvivere.
OK, ci vuole un piano, di riuscire a vestirmi non se ne parla proprio, dovrei mettere KO quell’uomo per avere il tempo di infilarmi qualcosa addosso. Devo scappare in accappatoio e ciabatte. Poche le situazioni in cui potrei trovare intelligente uscire così vestita ma quella che sto vivendo è una di quelle.
Mi serve un diversivo, qualcosa che mi faccia guadagnare almeno cinque secondi per aprire la porta chiusa a doppia mandata e per fuggire fuori. Un diversivo che mi faccia guadagnare più tempo possibile per sparire dal raggio di azione della guardia. Posso farcela, in fondo è solo un uomo.
Mi guardo attorno, cerco qualcosa che possa venire in mio aiuto, fra me e lui c’è il camino acceso. Sul mobile al mio fianco il vaso dei fiori colmo d’acqua. Io ho fatto un solo passo nella sala, alle mie spalle la porta, cazzo, mi pare che la chiave per chiuderla sia nella parte esterna ma non sono sicura. Se mi sbaglio sono fottuta.
Devo provare, prendere il vaso, lanciarlo nel camino, l’urto dovrebbe far alzare una coltre di cenere fra noi, l’acqua sui tizzoni ardenti dovrebbe vaporizzarsi andando a rinforzare quella coltre che dovrebbe schermarmi. Mi dovrebbe far guadagnare abbastanza tempo da indietreggiare e chiudere a chiave la porta con Zabi dentro. Le due cose assieme dovrebbero darmi abbastanza tempo per fuggire e sparire.
Sono pronta, scatto…

No, non mi muovo, non riesco a muovere un solo muscolo, perché? Lo guardo, stupita, dovevo sembrargli veramente stupida, lui sorride:

“Signorina, credo che si sia appena accorta di non potersi muovere, non si preoccupi, è tutto normale. Come dovrebbe ben sapere le guardie non sono in grado di usare la magia ma hanno il diritto di utilizzare oggetti magici.
Una delle branche principali della magia è quella illusoria con cui si riescono a manipolare le menti. Nel mio caso specifico io, grazie al mio anello, sono in grado di frappormi fra la mente e il corpo delle persone. Non posso manipolare o leggere i suoi pensieri, è un peccato, potremmo risolvere la situazione attuale in pochi minuti. Posso però prendere il controllo del suo corpo. Lei può pensare e/o decidere di fare un’azione ma la sua decisione cadrà nel nulla. Al momento sono io a decidere se e cosa farà il suo corpo. Al momento le ho lasciato solo la possibilità di decidere cosa fare con la bocca in modo che possa parlarmi, parlarmi sinceramente.
Le do una dimostrazione, ora ordinerò al suo corpo di spogliarsi qui di fronte a me”

“ma col cazzo che lo faccio”

Mentre dicevo questa frase ci fu il rumore del mio accappatoio che cadeva a terra. Ero li, inerme, nuda con solo le ciabatte, in piedi come un manichino di fronte a quell’uomo impassibile e non cercavo neanche di coprirmi con le braccia. Totalmente esposta.

“bene, dovrei averla convinta. Ora, come dicevo, non posso leggere i suoi pensieri quindi le sarei grato se mi potesse dire tutto quello che sa sull’incidente della stazione della metropolitana di sua spontanea volontà”

Non vedevo grandi opzioni davanti a me in quel momento. Costretta a riflettere sull’ineluttabilità della situazione la consapevolezza che vi fosse poco da fare arrivò chiara e poi, in fondo, io consa avevo fatto di male? Beh, avevo partecipato allo scontro con l’Accolito ma cavolo, quel coso voleva stuprarmi a morte. Tutta la storia di Askal? Non so se sia il caso di raccontarla, potrei usare una versione light, vera ma alleggerita.
Ho incontrato un ragazzo che non conoscevo, sono andato a casa sua per una sveltina, fare la figura della troia non è un problema al momento e poi siamo in luna piena, siamo tutte troie; sono arrivate le guardie e lui le ha stese, come? Non so, mi aveva nascosta sotto una coperta, avevo paura, ero rimasta li impietrita. Mi ha costretta, ecco si, mi ha costretta a seguirlo, fuggire con lui in metropolitana, avevo tanta paura, ero terrorizzata da quel ragazzo di cui, mi vergogno un po’ ma non so neanche il nome.
Alla stazione? Non so cosa sia successa. Quando si sono aperte le porte è accaduto tutto in un attimo, qualcosa che non ho visto chiaramente mi ha afferrata, mi ha lanciata contro il muro, guarda, guarda ho i lividi. Sono svenuta e quando mi sono ripresa ero li a terra, nella stazione semi crollata, sola. Un mucchio di macerie in un lato, non le ho guardate, sono fuggita, avevo la possibilità di fuggire e l’ho fatto. Ho vagato per un po’ mentre aspettavo di schiarirmi le idee, ero frastornata, non sapevo neanche dove fossi e poi, fatto il punto della situazione sono tornata a casa, sono venuta qui.
Ecco, era una buona storia no? Si, gli racconterò questo e vedrai che se ne andrà perché in fondo io sono innocente, non ho fatto nulla.

Mi ascolta parlare, la bella statuina nuda che non riesce a muovere neanche un muscolo e blatera la sua favoletta. La blatera tutta e tace, speranzosa.
Lui sospira, gli occhi nei miei, non li ha mai tolti, professionale, si fosse distratto un attimo a guardare il mio corpo:

“Susanne, mhhh, io sono molto bravo a capire se qualcuno mente, non è un caso che abbiano mandato me a interrogarla e devo dire che lei non sembra mentire”

Sentirlo dire quella frase era come far tornare l’ossigeno al mio cervello terrorizzato:

“però, nei tanti anni di esperienza che posso vantare ho imparato che ci sono persone che sanno mentire in modo creativo, mentono dicendo la verità, non la verità che gli sto chiedendo io ma una cosa che in realtà è vera. Usano ricordi di altre esperienze per rispondere alle mie domande in modo credibile oppure mi raccontano la verità ma non tutta la verità. Purtroppo, signorina, io non posso correre rischi e quindi devo assicurarmi di aver avuto da lei tutto quello che è giusto che mi dia, per la sicurezza della popolazione, mi capisce?”

“ma no, no, ho detto la verità, non so nulla, non centro nulla cazzo”

“Susanne, sono stato chiaro sulla situazione, non mi costringa ad azzittirla, venga, si sieda su questa sedia, devo spiegarle delle cose che ci serviranno per portare avanti il nostro lavoro”

Il mio corpo in totale autonomia, un passo dopo l’altro fino a farmi accomodare sulla sedia indicata. Lui, con calma, a sedersi di fianco a me.
Lo vedo prendere un contenitore dalla tasca del lungo cappotto, come il contenitore di una crema, lo apre, all’interno una specie di unguento e un ditale di metallo, come una lunga e appuntita unghia che si infila sull’indice destro:

“immagino che lei non sappia cosa sia l’alchimia, non risponda, non risponda, non è un problema per me erudirla.
La magia è una dote naturale che non si può imparare. Sta nella natura degli accoliti possederla. A noi guardie vengono dati degli oggetti caricati che con l’uso si deteriorano, di solito degli anelli.
Questi oggetti si creano con l’alchimia, un’arte che permette di infondere energia magica specifica nella materia.
Non sto a spiegarle di più, quello che lei deve sapere è che con la stessa arte vengono create anche altre cose, altri oggetti. Questo unguento che vede qui davanti ne è un esempio. E’ stato creato da un accolito che ha il potere della manipolazione, in pratica questa sostanza muta l’acqua in una sostanza esplosiva. Lei sa di cosa è fatto il corpo umano?”

Se avessi la possibilità di tremare, piangere, accasciarmi a terra lo starei facendo tanto sono terrorizzata:

“soprattutto di acqua?”

“bravissssima, questo vuol dire che mettendo a contatto questo unguento con la pelle umana si crea una minuscola reazione, l’acqua che entra in contatto è poca ma sufficiente da creare delle microesplosioni che andranno a bruciare e cauterizzare all’istante la pelle lasciando delle cicatrici già complete. Non ci sarà sangue, non ci saranno ferite, ci saranno solo i segni che lascerebbe un’ustione fattasi anni prima e ovviamente ci sarà il dolore di quella ustione. Le faccio vedere, al momento non potrà esprimere le sue sensazioni ma nel proseguo della giornata non si faccia problemi nel farlo, nessuno ci sentirà, mi sono assicurato che questa stanza fosse insonorizzata grazie all’aiuto di un collega”

No, no, ma cosa, cazzo, non posso parlare, mi ha bloccata completamente. Vedo la mia mano mentre va sul tavolo, si stende ampia e immobile. Lui con l’unghia metallica intinta disegna una minuscola Z sulla zona ampia sopra il pollice, circa due secondi di nulla e poi, senza quasi rumore un dolore lancinante e il formarsi di una sottile cicatrice a forma di Z sulla mano.
Vorrei urlare ma non ne ho modo. La fitta profonda mi sale per tutto il braccio fino a scoppiare nel cervello. Diversi minuti in quella situazione prima che divenga sopportabile come fosse un taglio profondo. Diversi minuti mentre lui mi guarda fisso, impassibile negli occhi e io, disperata, costretta a ricambiare lacrimando.
All’improvviso mentre nella mente c’era solo “basta, basta, ti prego basta, è terribile, ti ho detto la verità, giuro, lo giuro” totale sollievo, più nessun dolore:

“sai Susanne, posso darti del tu vero? Il mio potere mi permette di guidare il tuo corpo come voglio, posso decidere anche che cosa provi, posso decidere anche di far sparire il dolore. Potrei decidere di infliggerti un dolore mille volte peggiore senza neanche toccarti ma non lo faccio per un motivo”

Ora è un uomo diverso, non è più di ghiaccio, il suo sguardo ha qualcosa di maligno:

“il mio lavoro non è facile, mille regole a cui sottostare, mille sbandati a cui andrebbe tolta la vita all’istante ma che devo sopportare, supportare addirittura per redimerli. E’ molto raro che ci venga detto che tutto è concesso, tutto è lecito. Io non so cosa tu abbia fatto ma so che mi è stato dato il permesso di adottare qualsiasi mezzo per essere sicuro di sapere tutto.
Come potrei essere sicuro di questo? Non credo ci sia modo, credo che l’unica cosa che posso fare per assicurarmi di essere scrupoloso sia di portarti alla disperazione massima possibile”

Una pausa, nel silenzio:

“ah, giusto, dicevamo, perché non uso il mio anello per infliggerti dolore direttamente, senza l’unguento? Perché sei una donna, una donna bellissima e sono certo che man mano che, durante questa lunga giornata, mi vedermi disegnare, deturpare irrimediabilmente il tuo corpo con miriadi di cicatrici raggiungerai una disperazione a cui non ti potrebbe mai portarle il solo dolore.
Voglio divertirmi Susanne, sono sincero, ho bisogno di sfogarmi, liberarmi dalle catene del mio ruolo”

Si alza, passeggia agitato per la stanza:

“mi sento represso nel dover fare sempre e solo la cosa giusta. Sono controllato di continuo come lo è ogni guardia in modo che il potere non ci dia alla testa e questo, oggi, qui, è come una bolla in cui posso esprimere la mia vera natura, Susanne, la mia sadicità.
Giochiamo Susanne, vieni, alzati, raggiungimi qui sul tappeto, accanto al fuoco, vedrai, ci divertiremo”

Libera dal dolore ma atterrita da quel discorso, è un pazzo, è chiaro, nei suoi occhi, nel suo sorriso, un pazzo sadico che ha perso il controllo proprio come me che sono già arrivata la dove mi è stato ordinato:

“ti faccio vedere una cosa carina, posso farti cose orribili ma anche cose belle. Divarica le gambe abbastanza da far aprire le labbra del tuo sesso e poi eccitati, eccitati come mai in vita tua”

Travolgente, in un attimo, divaricata, sono un fuoco ovunque. Il ventre mi pulsava, il clitoride gonfio, i capezzoli turgidi. In pochi secondi lunghi rivoli di umori sulle cosce:

“ahhh, scusa, dimenticavo, ti restituisco l’uso della bocca”

Ululare è un termine riduttivo per esprimere i miei versi, l’eccitazione è tale da sovrastare ogni pensiero, impazzita me ne sto a bocca spalancata riuscendo solo a sentire l’aria che entra e esce da un corpo talmente eccitato, sensibile che la sola aria ha l’effetto di mille masturbazioni fatte da qualcuno che del masturbare ha fatto uno scopo di vita.
Incredibilmente, accecata, più nessun pensiero, sono totalmente in trance sul filo del più travolgente degli orgasmi senza riuscire a venire:

“di meno Susanne, era solo un esempio e potrei andare be oltre ma ho bisogno della tua attenzione, torniamo ad un livello di eccitazione leggero. Molto leggero”

Come se la temperatura nella stanza si abbassasse di botto, ritrovo la mia mente e con essa il dolore alla mano, cazzo come bruciava quella piccola cicatrice, sottilissima ma così profonda:

“giuro, ho detto tutto, perché non dovrei, non ho fatto nulla, giuro, ti prego”

“si, si ma come ti dicevo ora non è solo una questione di ciò che sai o che non sai, temo che tu sia la vittima perfetta per me, non posso non approfittarne, non cogliere l’occasione, capisci?”

Maledetto bastardo sadico, avevo anche pensato di dirgli tutto, veramente tutto ma a cosa servirebbe? L’unica cosa di cui iniziavo a rendermi conto era che alcune parole di Askal potevano avere senso. Come minimo accoliti e guardie, visto ciò che mi era e mi stava succedendo, non erano una pura espressione di giustizia.
Merda, merda, Gihren Zabi si sta spogliando, ha tolto i pantaloni, l’intimo mostrando un sesso robusto in completa erezione. Si stende a terra, sul tappeto, davanti al camino, il vasetto con l’unguento di fianco alla sua testa, a portata di mano per poter intingere quel maledetto arnese che ha al dito:

“vieni Susanne, siediti sopra di me e infilati li mio sesso nella vagina, completamente, con il piccolo esempio di eccitazione che ti ho fatto prima vedrai che non ti mancherà certo la lubrificazione e riuscirai a farmi scivolare dentro senza problemi, unica cosa fai attenzione all’unguento, se per sbaglio dei liquidi dovessero andare nel vasetto saremmo morti entrambe”

A denti stretti, senza guardarlo negli occhi, accetto che il mio corpo ubbidisca spontaneo, che la mia fica avvolga e ingoi il cazzo di quel viscido figlio di puttana. Ancora più terribile il piacere nel farmi penetrare, non sono eccitata come prima ma ho una gran voglia di cazzo, qualsiasi cazzo. Sono seduta sul suo pube, ginocchia piegate, piedi a terra:

“ben dritta su di me per favore e le mani indietro, sulle mi cosce, ben esposta”

Intinge l’unghia:

“ora vedrò di portarti alla disperazione. E’ un gioco molto delicato che fungerà a me da allenamento. Sarai libera di parlare per esprimere ciò che provi ma ti dico subito che confessarmi qualcosa adesso sarebbe inutile, confesserai, nel caso, dopo, quando sarò sazio. Dicevamo, il nostro allenamento, ora allenterò di un filo il controllo che ho su di te così che tu posso almeno vibrare un po’ per quello che ti farò provare a breve. Nel vibrare il tuo corpo farà divertire anche me visto che ti sono dentro. Lo allenterò solo di un poco.
Per stimolarti mi divertirò a disegnare lunghe cicatrici sul tuo bellissimo corpo, cicatrici indelebili. Lascerò che tu senta tutto il dolore ma programmerò il tuo corpo perché ti invii, assieme ai segnali di dolori, uguali livelli di piacere sessuale, della stessa intensità.
Ho sempre avuto in mente questo trattamento ma non ho mai potuto provarlo su una cavia. Credo che il tuo cervello dovrebbe andare in crash. Se alla fine di questo trattamento mi racconterai la stessa storia credo che ti crederò, forse.
Per me sarà uno sforzo di concentrazione molto intenso, un ottimo allenamento del mio potere, tenere tutto sotto controllo non sarà facile ma ora cominciamo”

La punta di metallo sulla coscia sinistra, partendo dal limitare dell’inguine a disegnando una lunga riga fino dietro al ginocchio.
Un paio di secondi e poi tutti li mio corpo a tendersi, il dolore è quello che darebbe un bisturi tagliando in profondità la carne in quella lunghezza. Urlo con gli occhi spalancati mentre mi tendo tutta, si, vibro proprio come vuole lui e vibro anche sul suo cazzo. Mi agito disperata ma al contempo sento come una scossa elettrica che parte dal clitoride e mi pervade lungo la spina dorsale fino ad irradiarsi nel cervello.
Lui non deve fare più nulla, gli basta stare li a godersi me che gli sobbalzo sul cazzo e colo sul suo ventre i miei liquidi copiosi.
Attende con calma che il respiro rientri un po’, ci vogliono lunghi, interminabili minuti. All’inizio il dolore sembra non trovare fine, la lunga cicatrice sembra uno squarcio aperto nella carne. Sudo copiosamente, non riesco a stare ferma ma neanche a muovermi. I muscoli che vorrebbero scattare ma non possono si contraggono e rilasciano spasmodicamente, anche quelli pelvici fanno la stessa cosa massaggiano come un vibratore la robusta verga che ho in corpo, la sento pulsare. Lui ha uno sguardo allucinato, è chiaro il piacere che prova nel vedermi sudare disperata. Con la mano disarmata mi accarezza tutto il corpo madido, annusa il mio sudore, lo assaggia e poi mi palpa oscenamente ovunque.
Dopo almeno 15 minuti, sentendomi vibrare meno, prima che potessi avere riposo dall’attenuarsi di dolore e piacere intinge di nuovo, afferra il tallone della stessa gamba e fa scorrere la punta sotto il piede, più volte.
I piedi sono molto sensibili, io soffro il solletico da matti ma oggi, oggi, è come aver appoggiato la pianta sopra un braciere di lamette ardenti e al contempo è come avere dentro di me un elettro stimolatore che mi manda piacevoli scosse che mi avvolgono completamente.
Urlo come un’ossessa, sbavo, mi dibatto senza poter fuggire, ho le pupille rigirate, la mente non riesce a razionalizzare gli estremi, le dita dei piedi si contraggono spasmodiche, sputo mentre cerco di trovare aria e mi tappa la bocca con la mano:

“attenta Susanne, non puoi sbavare troppo lo sai”

Attende calmo, altri interminabili minuti che mi sembrano anni, la mia bocca spalancata sulla sua mano, inevitabilmente a leccarla e poi, appena vede il mio petto, i miei seni, scendere un po’ di ritmo intinge, disegna e intinge, all’inizio lasciando il tempo alla parte acuta delle sensazioni di placarsi, attendendomi ma poi diviene un pittore pazzo immergendomi in un infinito, spietato, costante mondo di dolore atroce fuso a piacere intollerabile. Vedo scendere la notte dai vetri della finestra quando lunghe righe vengono disegnate sul mio fianco destro, parallele come un pentagramma. Vibro talmente tanto per il dolore su quella parte delicata, sul fianco, sulle costole che lo faccio eiaculare in me. Si tende mentre mi viene dentro. Si aggrappa forte ai miei seni infilzando l’unghia metallica nelle morbide carni, portando quel liquido maledetto dentro il mio seno che irradia dolore come se me lo avesse conficcato direttamente nel cervello. Sento il suo seme pervadermi e scendere fra la mia fica e il suo cazzo ben piantato. Ho un momento di pausa mentre si gode il suo orgasmo, mentre lo sento ammosciarsi dentro di me. Solo un momento e poi mi tira a lui, sdraiata sul suo petto che ancora ansima e inizia a percorre più e più volte la schiena mentre ricomincio a sobbalzare. Continua a percorrere la mia schiena tanto a lungo che lo sento irrigidirsi di nuovo in me, lo sento riempirmi fino in fondo e mi fa rialzare, mi espone di nuovo. Parte da sotto una ascella e percorre tutto il braccio fino all’unghia del dito medio. Sono distrutta, ho appena capito il senso del termine disperazione:

“basta, basta, mi stai massacrando, non ce la faccio più, fermati, farò qualsiasi cosa, dirò qualsiasi cosa”

Non era quello che pensavo in fondo, sapevo che qualsiasi cosa avessi detto a lui non sarebbe fregato nulla ma quelle parole uscivano da sole:

“Susanne, abbiamo appena iniziato e stai andando così bene, ti sento vibrare così piacevolmente, mi sto divertendo così tanto, devo concentrarmi molto o eiaculerò ancora dentro te, sarebbe un vero peccato fermarsi ora. Mancano le parti più sensibili di te, i seni morbidi che ho sfiorato appena, i capezzoli rosei e pieni di terminazioni nervose che voglio inspessire, il clitoride che sarà come graffiarti direttamente l’anima e il viso, questo magnifico, dolce viso che alla fine sarà irriconoscibile”

Sento la parola viso e resto gelata:

“no ti prego”

“il viso? O si tesoro, penserai a me ogni volta che ti guarderai allo specchio, vedrai, farò un’opera d’arte, i bambini si metteranno a piangere vedendoti passare per strada non mi credi?”

Piangendo: “ti prego”

Intinge, non posso oppormi, disegna una lunga linea partendo di fianco all’occhio destro, attraversa il lato posteriore della guancia, scende sul collo, passa in mezzo ai seni, spezza a metà l’ombelico, il ventre e si ferma sul clitoride facendo ben attenzione a non toccare il suo pene. Quei due secondi terribili, più della paura del dolore l’angosci per la cicatrice che stava per disegnarsi e poi esplode. Aver raggiunto il clitoride fa raggiungere a quella pratica un’intensità decuplicata in tutti e due i sensi. Mi spezza. Ha ragione lui, il mio cervello va in shock, qualcosa si rompe.
Travolta da infinite lame che mi pervadono ogni cellula del corpo urlo, urlo il mio dolore che si trasforma in nebbia e poi in rabbia indomabile:

“figlio di puttana, non ti perdonerò maiiiiiii”

Urlo con un’intensità che non pensavo potesse appartenermi, non mi frega più di nulla, l’unica cosa che voglio è ribellarmi, un’energia assurda mi pervade, la furia è cieca mentre lui ride compiaciuto:

“che cazzo ridiiiii?”

…e dicendo quella frase sputo, un grosso, corposo bolo di saliva fatto di tutte le sofferenze che ho in corpo. Lui alza la mano, l’istinto di proteggersi ma non sputo a lui, punto e colpisco in pieno il barattolo dell’unguento:

“pezzo di merda, mi hai lasciato la bocca e io la uso per portarti all’inferno con me”

I suoi occhi si sgranano, era tardi per fare qualsiasi cosa e succede quello che speravo, non pensavo sarebbe successo ma succede. Lo stupore, la paura, per quel gioco gli serviva molta concentrazione che si spezza, il controllo su di me si spezza. Sono libera. Solo due secondi, meno. Scatto con tutte le mie forze, salto oltre il tavolino e me lo tiro dietro, lo ribalto mentre cado a terra, lo giro a farmi scudo.
Non ho ancora toccato il pavimento quando esplosione assurda detona. Spara me e il tavolino contro la parete della stanza. L’urto è assurdo, sono stordita. Le orecchi mi fischiano, la vista è offuscata, cerco di alzarmi ma ricado, intorno a me percepisco fuoco e li dolore nel mio corpo è così intenso per le molteplici cicatrici che vorrei solo rannicchiarmi e piangere urlando. Dai Susanne, cazzo, non te lo concedo, in piedi, alzati, ho detto alzati.
Sono in piedi, la vista va miglio, le orecchie fischiano troppo. Traballo camminando, devo uscire dalla sala, muovermi, l’esplosione è stata potente, qualcuno arriverà di sicuro. Con lo sguardo vedo Gihren Zabi, l’esplosione lo ha preso in pieno, completamente ustionato giace contro un muro, gli occhi non hanno più palpebre, si sono fuse. La bocca è spalancata, è morto.
Mi trascino in camera, mi vesto, raccolgo tutto quello che può servirmi e scappo, dalla mia casa, dalla mia vita, scappo.

…CONTINUA. IL RACCONTO TI E' PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN'OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
scritto il
2025-03-06
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