La tavernetta - parte 2 di 2

di
genere
fisting

Due giorni dopo, mentre stavo per preparami la cena, sentii suonare il campanello. Guardai fuori dalla finestra della cucina e riconobbi, nella luce fioca, la ragazza dai capelli neri.
«Buonasera signor Bianchi, sono Laura, un’amica di Giulia. Non credo ci conosciamo, o sbaglio?»
«No… no, non sbagli. Ti ho solo intravista sabato scorso mentre entravi dal cancello, con Giulia e Simona», le dissi, un po’ troppo frettolosamente. «Giulia non è a casa», aggiunsi. Mi sentivo tremendamente a disagio, non vedevo l’ora di liberarmi di lei.
«Sì, lo so, è ad un concerto».
«Tu non ci sei andata?»
«Ma no, sarà pieno di punkabbestia fatti di crack, che schifo», disse, accompagnando la frase con un gesto della mano, come a scacciare una mosca.
Stetti in silenzio, in attesa di capire cosa volesse da me.
Lei si guardò attorno, poi esclamò: «Beh, ha intenzione di tenermi fuori al freddo ancora per un po’?»
Allargai le braccia, in segno di resa, e le aprii il cancello.
«Sali pure», le dissi.
«No, per favore, mi apra di sotto».
Chiusi la finestra e scesi le scale, entrai in tavernetta e la feci entrare dalla porta esterna.
«Dunque?» le chiesi, in tono un po’ spazientito, appena fu dentro.
«Sabato, quando sono stata qui, ho perso un orecchino». Così dicendo, afferrandolo fra pollice ed indice, mi mostrò il lobo sinistro.
«Ah, mi dispiace tu sia dovuta venire fin qui, bastava dirlo a Giulia e te l’avrebbe portato lei alla prima occasione…»
«Vede, signor Bianchi, non è così semplice». Lo sguardo si era fatto serio, quasi afflitto. «Me li ha regalati il mio ragazzo».
«Va bene, ma non capisco…»
«Domani glieli devo restituire», mi interruppe. «Lo voglio lasciare, e devo ridarglieli, è l’unica cosa che ancora ci lega. Così cancellerò ogni traccia, ogni ricordo di lui. Va fatto domani, non posso aspettare. Lei mi capisce, vero signor Bianchi? So che anche lei è separato…»
«Va bene, in tal caso…» mi rassegnai, l’imbarazzo crescente. «Sai dove li hai persi?»
«Penso in camera», rispose. Mentre parlava mi aveva guardato negli occhi in maniera strana. Io, d’altro canto, avrei dovuto avere la prontezza di spirito di chiederle come mai fosse andata in camera, anche se ovviamente lo sapevo benissimo.
Intanto si era avviata verso il fondo del salone, dove si apriva la porta della stanza da letto. La seguii, anche se cominciavo ad essere un po’ inquieto per quello che mi si stava preparando.
Laura si lanciò sul letto, nell’esatta identica posizione in cui l’avevo sorpresa il sabato precedente.
«Mi sono buttata sul letto così, ha presente, no? Forse l’orecchino mi è volato via in quel momento. Secondo lei dove è potuto andare a finire?»
«Non saprei», riuscii solo a dire, la gola secca. Il terreno su cui mi stavo muovendo si faceva sempre più scivoloso, dovevo a tutti i costi fare in modo che trovasse l’orecchino e se ne andasse. «Forse sotto al comodino?» balbettai.
«Giusto, dev’essere proprio così, lei è un uomo molto intelligente».
Indeciso se ci fosse o meno dell’ironia nella sua frase, estrassi il telefono, accesi la torcia e, dopo aver girato intorno al letto, mi inginocchiai per illuminare il pavimento sotto al comodino. Nel frattempo, Laura si era sporta dal letto e si era venuta a trovare, col viso, a pochi centimetri dal mio collo. Sentivo il suo fiato profumato di chewing-gum farmi rizzare la sottile peluria alla base del cranio. E non era l’unica parte di me che si stava rizzando…
«Qui non c’è niente», dissi, rialzandomi. Mi scossi la polvere dai pantaloni e proseguii. «Mi spiace, l’avrai perso da qualche altra parte. Ti suggerisco di controllare di nuovo a casa tua, spesso gli oggetti si nascondono nei posti più impensabili. Oppure sono talmente in vista, da risultare invisibili».
«Noto con piacere che ha letto Edgar Allan Poe. Ce la vedo, sa, nella parte di Auguste Dupin ne “La lettera rubata”? Un uomo affascinante, intelligente, che indaga per passione e senso di giustizia».
«Io non…»
«Lei possiede un iPad, signor Bianchi?»
«Ma che c’entra?» Quel repentino cambio di registro mi aveva spiazzato.
«Risponda, per favore».
«No… cioè sì, ma l’ho prestato a Giulia. Lo usa per la scuola».
«Lo schermo dell’iPad fa leggermente da specchio. Appena un po’. Sabato scorso ero esattamente in questa posizione, sdraiata sul letto. Ho visto nel riflesso il viso di un uomo con i capelli grigi. Non l’ho riconosciuta, ma quanti uomini dai capelli grigi ci saranno mai in questa casa?»
«Sale e pepe, non grigi», dissi goffamente, preso completamente alla sprovvista. Avrei dovuto controbattere che era lei in torto, che era lei che si era messa a guardare un porno in casa mia, all’insaputa di mia figlia, che la stava ospitando. Le avrei dovuto dire che io avevo diritto di essere lì, lei no. Ma non mi uscì nulla di tutto ciò. Il mio silenzio era un’autodenuncia, era un’implicita ammissione del fatto che mi sentivo colpevole.
«Cosa vuoi?» riuscii solo a dire, con un filo di voce.
«Tranquillo, non c’è niente di male… Un uomo solo, ancora nel vigore degli anni, vede una bella ragazza, giovane, disinibita, e si intrattiene a godere dello spettacolo. Chissà quante seghe si sarà fatto pensando a me, vero? Non ho intenzione di dire nulla a Giulia, ma…»
«Ma?» chiesi, un groppo in gola.
«Lo sa perché ho lasciato il mio ragazzo?»
«Come potrei?» E questo cosa diavolo c’entrava, mi dissi.
«Non mi fa godere. Pensa solo a sé, poi quando ha finito corre dagli amici o a guardare il calcio. Sa che segue praticamente tutti i campionati del mondo?»
Allargai le braccia, francamente non avrei saputo cosa dire. Ma io cosa ci potevo fare? Un sospetto cominciai ad averlo, me lo diceva il sapore misto dolce-amaro che sentivo in bocca.
La giovane continuò: «Lei ha mai sentito parlare di spugna perineale e di Area A?»
La guardai basito. Ma di che cazzo stava parlando? Cominciavo ad essere un po’ preoccupato: mi ero tirato in casa una matta? E mia figlia che la frequentava? Intanto lei aveva continuato nella sua dissertazione.
«Non la voglio annoiare, abbiamo di meglio da fare. Sono due zone del corpo femminile fortemente legate all’orgasmo anale. Purtroppo, clitoride e vagina mi fanno eccitare, ma non riesco a raggiungere il piacere completo. L’unico orgasmo che ho mai provato è quello anale».
«Ma il tuo fidanzato non te lo mette nel…» mi era scappato. Non volevo darle corda, ma era stato più forte di me.
«Nel culo, dice? Non sia timido… A tutti gli uomini piace, il mio non fa eccezione. Ma per farmi raggiungere l’orgasmo ci vuole tempo e pazienza, e lui non ce li ha mai. Mi svuota la sua sborra nell’intestino e chi si è visto si è visto».
«Ok», cercai di riprendere il controllo della situazione. «L’orecchino non c’è, io sarei un po’ stanco…»
«Lo scorso 8 agosto sono stata ad una conferenza, alla Bicocca», aveva proseguito, come se niente fosse. «L’8 agosto è la giornata mondiale dell’orgasmo femminile, lo sapeva?»
Come potevo saperlo, pensai.
Laura continuò, imperterrita: «Ho conosciuto una ragazza, una come me. Col mio stesso problema, intendo. Sa cosa mi ha detto?»
Non ce la facevo più, era l’ennesima domanda retorica, sbottai: «No, non lo so e non credo nemmeno di volerlo sapere. Non mi interessa. Zero. Ora, se non ti dispiace…»
«Oh, sì che le deve interessare, invece», aveva proseguito imperturbabile. «Devi sceglierti un uomo maturo, sono più pazienti e meno egoisti. Questo mi ha detto».
Fino a quel momento avevo sperato di sbagliarmi, che non stesse succedendo davvero. Ero ovviamente attratto da quella ragazza, era bellissima e desiderabile. Ma era altrettanto pericolosa… una piccola serpe velenosa. E in quel momento non volevo casini, non ne avevo bisogno.
«Senti, non so cosa ti sei messa in testa, ma io…»
«Zitto, stronzo», mi disse, e, afferratomi per il braccio, mi tirò sul letto.
«No, porca troia, è il letto di Giulia…»
Alzò gli occhi verso l’alto, spazientita. Poi si alzò e corse via. Sentii che apriva la porta interna e correva su per le scale.
«E che cazzo!», esclamai, mentre la inseguivo.
Quando arrivai nella mia camera era già lì, in piedi davanti al letto. Indossava solo gli slip, il resto era stato cacciato alla rinfusa sul pavimento.
Era bellissima. Il seno non era abbondante, ma era pieno, i capezzoli spiccavano turgidi su piccole areole rosa. Il ventre snello curvava verso la leggera peluria in mezzo alle gambe, che si intravedeva spuntare dagli slip a vita bassissima.
«Questi li ho lasciati per te», disse, infilandosi il pollice sotto all’elastico e abbassandolo di qualche millimetro. «Credo che vorrai togliermeli tu».
Ero rimasto imbambolato sulla soglia, come in trance. Ebbi solo un breve istante in cui avrei potuto fermarmi e tirarmi indietro, ma lo lasciai trascorrere senza muovermi. Poi mi avvicinai, le misi una mano sui fianchi, e la baciai. Lei non perse tempo, tirò fuori la lingua dalla bocca e me la spinse fra le labbra, a cercare la mia.
Intanto le avevo passato le mani sui seni. Mentre i capezzoli duri come chiodi mi sfregavano i palmi, la sentii rabbrividire. Il movimento della lingua si fece più frenetico e mi si strinse contro, incollandosi al mio petto.
Con le mani scesi fino agli slip, infilai un dito sotto all’elastico e percorsi tutto il perimetro della stoffa, sfiorando i peli morbidi del pube. Poi, con un gesto deciso, glieli abbassai. Con una rotazione della gamba li fece scendere fino alle caviglie, poi li scalciò via con un gesto elegante.
Mi allontanai un istante per guardarla di nuovo, per bearmi della sua bellezza. Lei ne approfittò per sbottonarmi la camicia e i pantaloni. Mi spogliai anch’io e, quando mi fui tolto anche i boxer, mi afferrò il cazzo e mi tirò verso il letto.
La penetrai immediatamente e cominciai a muovermici dentro. Sapevo che non era quello che voleva, ma avevo deciso di iniziare così. Lei non perse tempo a farmi capire dove volesse che mi concentrassi. Mi prese la destra e se la portò sotto al sedere.
Decisi di assecondarla. Mi infilai il dito in bocca e, quando fu sufficientemente umettato, lo accostai al suo buco del culo. Infilai la punta senza difficoltà e, appena iniziai a spingere, il dito venne quasi immediatamente risucchiato per intero nella cavità, fino alla nocca.
Laura cambiò leggermente posizione, inarcando la schiena e facendo in modo che il buco del culo fosse più in alto, più in vista e quindi più facile da penetrare.
Capii il messaggio. Estrassi il cazzo dalla figa e glielo puntai sull’entrata posteriore. Era ben lubrificato dagli umori vaginali, ma fui comunque sorpreso di come entrasse facilmente. L’anello attorno allo sfintere si era immediatamente adattato all’intrusione, segno che doveva essere parecchio allenata a quella pratica. Aumentai il ritmo, stando solo attento a fermarmi prima di venire, per lasciare il tempo anche a lei di arrivare all’orgasmo. Laura aveva chiuso gli occhi, il ritmo del respiro sempre più alto e la fronte leggermente corrucciata, come fosse concentrata alla ricerca del piacere.
«Di più», pronunciò a bassa voce, «di più».
Non capivo cosa intendesse, la stavo penetrando fino ai testicoli e l’erezione era decisamente vigorosa. Certo, non mi potevo paragonare ai tizi del film porno. Il film però mi fece venire un’idea. Mi bagnai un dito di saliva e lo feci scorrere lungo il cazzo, fino a penetrarle il culo anche con quello. Un sospiro profondo fu il segnale che le stava piacendo; quindi, provai ad aggiungerne un secondo, e poi un terzo, che entrarono entrambi con relativa facilità.
Mi resi però immediatamente conto che quella manovra aveva sì aumentato il diametro, ma ridotto la corsa, e quindi la profondità: lo spessore della mano impediva che il cazzo entrasse fino in fondo. Questo fu confermato da Laura che si lamentò: «più giù…»
Dovevamo cambiare posizione. Era arrivata anche lei alla medesima conclusione. Mi spinse fuori e si girò. Ora era inginocchiata, la pancia aderente alle cosce e il culo che sporgeva dal bordo del letto. Si era portata le mani sulle natiche e le aveva divaricate, mettendo in mostra il buco che, spalancato, aveva assunto una forma vagamente triangolare. Lo spettacolo mi diede le vertigini: quella piccola bocca in attesa di ingoiarmi diede un nuovo impulso alla mia erezione. Guardai verso il basso e vidi una prima goccia uscire dalla punta del glande. Mi affrettai a penetrarla prima di venire così, senza nessuna stimolazione, come un adolescente alle prime esperienze.
La inforcai con tutta la forza che avevo e iniziai a pomparla, sempre più velocemente, le mani ancorate ai suoi fianchi snelli. Non mi ci volle molto che, con un suono strozzato, eiaculai, riempiendole di sperma il canale rettale. Laura si girò e mi guardò, il viso deluso.
«Non ho finito», le dissi. Non l’avevo mai fatto, ma ci avrei provato.
Lei dovette intuire, perché mi disse: «ho fatto un clistere prima di venire qui».
Mi fermai un attimo. Quindi era tutto calcolato. Ma certo che lo era, una ragazza così non lascia che le cose accadano, le vuole fare accadere lei. In ogni caso ero in ballo, e avrei ballato.
Mi passai il mio stesso sperma, che stava colando fuori, in piccole bolle, dal buco ancora aperto, e me lo passai sulla punta delle dita e sul dorso della mano. Era viscido e filamentoso e, per fortuna, abbondante.
Voleva spessore e profondità? L’avrei accontentata!
Cercai di ricordare la forma che aveva dato la bionda tatuata alla sua mano, le dita unite a formare una sorta di becco d’anatra, e feci altrettanto con la mia. Puntai le dita sull’ingresso dell’ano e spinsi, cercando al contempo di ruotare la mano. Laura cercava di assecondarmi tenendo le natiche divaricate e ruotando il bacino in sincrono, ma in senso opposto, alla mia mano. Era uno spettacolo da perderci la testa!
Mi resi conto ben presto che così non sarei riuscito: la mano era troppo grande e lo sfintere non si stava dilatando a sufficienza. Cambiai strategia: infilai prima un dito, poi due, della mano destra, fino in fondo. Poi feci altrettanto con la sinistra. Ora avevo quattro dita infilate nel culo, e cominciai a tirare, prima dolcemente, poi con più forza. I muscoli dello sfintere iniziavano a cedere, perché il buco nero fra le due coppie di dita si allargava sempre più. Guardai Laura, timoroso di farle male, ma c’era solo godimento nell’espressione del suo viso. Quando riuscii ad inserire il terzo dito di entrambe le mani, mi resi conto che era il momento di tornare al piano originale. Questa volta, anche favorito dallo sperma che continuava a fare da lubrificante, riuscii a progredire. Ebbi difficoltà solo giunto alle nocche, il punto in cui la mia mano raggiungeva il diametro maggiore, ma ero così eccitato da non farmi più scrupoli. Spinsi con tutta la forza che avevo, con l’altro braccio sotto alla sua pancia per tenerla ancorata in posizione e non farla scivolare via. Con uno schiocco secco la mano sprofondò dentro e mi trovai immerso nel suo culo fino al polso. Nel momento in cui la parte più larga della mano aveva superato le difese dei muscoli dello sfintere e violato l’ingresso, Laura aveva spalancato gli occhi e la bocca, in un misto di dolore e sorpresa. Poi però li aveva chiusi e iniziato ad assaporare la sensazione di una penetrazione così profonda.
Spinsi il braccio dentro, seguendo con la punta delle dita la curva del suo intestino. Per poter procedere oltre, avevo chiuso la mano a pugno, provando la sensazione incredibile di essere così tanto in profondità all’interno del corpo di una donna, come non ero mai stato in vita mia.
Quando fui arrivato a metà dell’avambraccio, tirai indietro, fino al polso. E poi ancora avanti, sempre più in profondità. E poi di nuovo e di nuovo. Cominciai a prendere ritmo, tentando di detergere come potevo il sudore che mi entrava fastidioso negli occhi. Laura aveva iniziato a rantolare sommessamente, agitandosi attorno al mio braccio che la stava impugnando come un burattino.
L’orgasmo arrivò repentino, prima con un grido strozzato e poi con un urlo dirompente, tanto che dovetti metterle una mano davanti alla bocca, a mo’ di bavaglio, dal terrore che dalle case vicine, pur distanti decine di metri, potessero sentirla.
«Grazie», mi disse languida, quando il respiro le si fu regolarizzato. «La ragazza della conferenza aveva ragione».

«Senti», le dissi mentre l’accompagnavo alla porta, «è stato incredibile, anche se un po’ estremo, ma non si deve ripetere. Mai più».
Lei guardò verso il basso, un po’ rabbuiata. Ma fece sì con la testa, sembrava avere capito.
«Troverai sicuramente un ragazzo della tua età che penserà più a te che al calcio e agli amici, ne sono sicuro. Sei bellissima, e sveglia. Non hai bisogno di questo vecchio… Me lo giuri?»

Il giorno dopo mi svegliai tardi, chiamai in ufficio e con una scusa informai il mio capo che avrei lavorato da casa. Mi inventai che avevo la cassetta del water che perdeva e che stavo aspettando l’idraulico.
Con Laura era stata un’esperienza straordinaria, e come tale era giusto non darle un seguito. Mi ero fatto giurare che non sarebbe successo di nuovo e la ragazza si era dichiarata d’accordo. Se fosse tornata a studiare a casa nostra l’avrei ignorata. Anzi, sapendolo in anticipo, avrei fatto in maniera di essere via.
A metà pomeriggio mi squillò il telefono, era Giulia.
«Ciao papà, volevo dirti che non torno per cena. Mi fermo da Simona, c’è anche Gaia, te la ricordi? È tornata da New York e si ferma una notte a Milano prima di andare in Calabria dai suoi. Sto a dormire lì, magari beviamo un bicchiere in più e non mi va di guidare di notte un po’ brilla».
«Certo, nessun problema, divertiti», risposi. «E stai attenta, mi raccomando».
«Stai tranquillo… Ciao papà. Anzi no, scusa, che stupida: stavo per scordarmi di Laura, è una mia compagna di università. Tu non la conosci, ma sabato è venuta a studiare da noi».
Il cuore mi si fermò per un istante. «Di-dimmi», riuscii solo a biascicare.
«Niente, mi ha chiamato stamattina: sabato ha perso un orecchino giù in tavernetta, stasera dopo cena passerebbe a cercarlo. Accompagnala giù e cerca di darle una mano, per favore. E non farti trovare addormentato sul divano come al solito, per lei è importante».
Misi giù, con le parole pronunciate da Giulia impresse nel cervello. “Cerca di darle una mano”. Darle una mano. Una mano…

scritto il
2024-02-15
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