L'infermiera. III Parte
di
Sir Wilfred
genere
etero
Le stagioni trascorsero.
Finì l'inverno, trascorsero la primavera e l'estate, la lunghissima, tetra, torrida estate del 1985, e, finalmente, giunse l'autunno.
Durante quella stagione, la mia prediletta, mi relegai in una pressoché completa clausura: Diritto Processuale Civile è stato, da sempre, una bruttissima bestia.
Grazie al Cielo, un giorno della prima settimana di dicembre, superai l'esame.
Uscii dalla sala con il cervello completamente nel pallone.
Il livello della mia stanchezza mentale, era tale che, giunto a casa, mi concessi o, per meglio scrivere, mi imposi, a cuor leggerissimo, un intero mese del più totale ozio.
"Ex hox, et ergo, propter hoc", fissai pel successivo sette gennaio, la data di inizio della preparazione dell'esame di Procedura Penale: altro maledettissimo animale!
Fu un giorno della settimana successiva al superamento dell'esame, che decisi di recarmi in un certo cinematografo, ove proiettavano un film che, da lunga pezza, desideravo vedere.
N. B. NON si trattava di una sala "a luce rossa".
Sacrificando il mio sacrosanto pisolino pomeridiano, riuscii ad arrivare in tempo per l'inizio del primo spettacolo.
Finita la proiezione, uscii dal locale; le prime ombre della sera stavano calando, e con esse una una lievissima nebbia.
Mi affrettai, dunque, verso una vicina stazione della "Linea B" della Metropolitana.
Ero quasi giunto alla meta, quando mi imbattei nella Signora Floriana.
Indossava un cappottino blu notte, col colletto chiuso ed i polsi, guarniti di velluto: molto "Mary Poppins", tanto per essere icastici.
Merita di essere sottolineato come, la sala cinematografica in argomento, pur non sorgendo ad un tiro di sasso dal nosocomio ove ero stato ricoverato durante la primavera precedente, si fosse trovata, in linea d'aria, ad una distanza tutt'altro che siderale dallo stesso.
Per la verità, io e la Signora Floriana non stemmo molto a scambiarci convenevoli: mi invitò, quasi subito, a salire nel suo appartamento, ubicato nelle immediate vicinanze.
Entrati che fummo, fui condotto in un saloncino, ove venni fatto accomodare e mi fu offerto da bere.
Accettai un bicchiere di aranciata; mentre ero intento a dissetarmi, la donna mi lasciò solo, dicendo che andava a mettersi "in libertà".
Trascorse un intervallo di una lunghezza che mi sembrò inusuale, poi, quando fece ritorno nel saloncino, rimasi, letteralmente a bocca aperta.
La Signora Floriana era tornata indossando un completo culottine, reggiseno e reggicalze nero, con calze velate, anch'esse nere, e sandaletti con tacchi a spillo.
Si era una inoltre truccata: in modo sobrio, ma decisamente elegante.
- Corbezzoli! - Esclamai.
- Ti piaccio?
Mormorò la donna accennando una risatina.
- Beh...non ti offendere, ma la tua somiglianza con una "signorina" delle "case allegre" degli Anni Trenta è, puramente e semplicemente, perfetta.
Sorrise, accompagnando il sorriso con una breve risata, quasi si fosse sentita lusingata dalle mie parole; poi, mi tese la destra e disse:
- Dai, andiamo - e mi condusse in camera da letto.
Entrati che fummo, chiuse la porta.
Mi denudai velocemente per collocarmi alle sue spalle.
Le poggiai entrambe le mani sulle spalle, per produrmi, senza por tempo in mezzo in un succhiotto da manuale.
- Finalmente soli, senza possibilità che ci vengano a rompere...le "uova" nel paniere - mormorai a mia volta.
Mentre pronunziavo queste parole, la Signora Floriana aveva messo la sua destra sul mio scettro, in piena, dolorosa erezione.
- Mmmmh! Lo sai che mi mancavi?... - bisbigliò la donna.
- Non ti nascondo che anche tu...
A queste parole la voltai ed iniziammo a baciarci; un bacio alla francese, lungo e profondo, durante il quale le nostre due lingue, quasi, ebbero ad intrecciarsi l'un l'altra.
Dopo averle sfilato le culottine ed il reggiseno, finimmo sul letto.
Subito, iniziai ad accarezzare il suo corpo, magro, alto, adolescenziale, dai non troppo grandi seni, ancora ben eretti, nonostante due gravidanze, e dai glutei sodi; nel mentre, le avevo sfilato anche il reggicalze e le calze.
Avevo ripreso a baciarla, quando introdussi l'indice ed il medio, della mia mano destra, nella sua intimità più segreta.
La Signora Floriana gradi', tanto che, staccate le sue labbra dalle mie, prima dette in un gran sospiro, per poi mormorare:
- Mi fai morire...
Non mi meravigliai di trovare il suo sfintere ancora ben stretto: del resto era rimasta vedova da poco più di un anno e, francamente, nonostante i nostri "incontri ravvicinati ospedalieri", non sembrava proprio avere l'"habitus" della "Vedova Allegra".
Scesi a baciarle il collo, per poi proseguire sui suoi seni.
Fui colpito da un particolare: l'insieme aureole capezzoli, di un incarnato più acceso del resto della sua pelle, mi richiamava alla mente due fresche e saporite fragoline di bosco.
Continuai a scendere, sempre più giù, passando sul suo morbido ventre fino al suo giardino intimo ed al suo clitoride.
L'esistenza, nel corpo della Signora Floriana, di rilevanti vestigia della sua ormai remota adolescenza, mi venne confermata dal sapore del suo "miele di donna".
Prolungai il "cunnilingus" per diversi minuti, sino a quando le dissi:
- Dai facciamo il "sessantanove".
Docilmente, prese il mio scettro in bocca, ed iniziò a "lavorarlo", con una "professionalità" che, benché a me già nota, continuava a risultarmi del tutto incompatibile con la professione d'infermiera.
A ciò debbo aggiungere che "adorava" il mio sesso con una freschezza, ed una spontaneità, che mi erano state, sino ad allora, praticamente ignote, dati i miei ben tristi anni, tanto adolescenziali che giovanili.
Dopo diversi minuti, mi staccai da lei e mi rizzai in piedi sul pavimento.
La donna scese dal letto, si sedette sui talloni e riprese l'interrotta "fellatio".
Quando mi accorsi che stavo per esplodere, le posi entrambe le mani sulle tempie per farle accelerare il ritmo.
Trascorsero, al massimo, due minuti, ed un fiume di seme si riversò nella sua gola, che lo ricevette con un'avidità, oggettivamente inimmaginabile, per chiunque avesse avuto una conoscenza non "intima" della donna.
-Ti prego, ora prendimi - l'udii mormorare subito dopo.
Scesi dal letto e rimasi, in piedi, sul pavimento; la donna, invece, aveva raggiunto, con le sue natiche il bordo del letto e portato le gambe in alto.
Rapida, strinse nella destra il mio scettro, ancora in erezione, e lo introdusse in sé.
Trovai la sua natura ben calda, e lubrificata a dovere.
Dopo due profondi sospiri, iniziai a muovermi.
Nonostante mi fosse stato ben noto, che la Signora Floriana avesse avuto, all'epoca, un'età pressoché doppia della mia, ogni secondo che passava rafforzava potentemente, in me, l'impressione, oggettivamente errata quanto si vuole ma, di contro, per i miei sensi, di una realtà assolutamente tangibile, di stare intrattenendo un rapporto sessuale con una ragazza tutt'al più di quindici anni.
Il suo corpo, la sua pelle, la sua voce, persino il suo fresco odore, contribuivano a costituire come un benefico sortilegio, che mi riportava indietro di quasi dieci anni.
Ecco: mi sembrava di possedere una mia compagna di scuola; di star ricevendo "la grande prova", "la prova suprema", da quella "fidanzatina" del ginnasio, che gli uomini e gli eventi, gli uni più degli altri, avevano fatto si che non fosse mai esistita.
Nel frattempo, le mie mani passavano dal suo seno ai suoi fianchi.
Continuai a penetrarla per una decina di minuti; fu lei ad assumere, spontaneamente, la posizione "a la levrette" per mormorare, subito dopo:
- Dai, prendimi ancora...
Non me feci dire due volte. Iniziai a cavalcarla, dapprima lentamente, per poi accelerare per gradi fino a quando, raggiunta la "massima velocità", non attaccai il clitoride.
La Signora Floriana esplose dapprima in un lunghissimo sospiro, cui fece seguito una lunga teoria di gridolini più o meno prolungati.
Diversamente dalle volte precedenti, le sue secrezioni abbondavano, per cui andai a forzare il suo orifizio anale che, benché stretto, cedette tranquillamente.
- Aaaagh! mi sento aperta come una bestia al macello - disse la donna, per poi aggiungere:
- Non ti fermare, non ti fermare, voglio essere tutta tua...sfondami, sfondami come una puttana da casino...si, si, stasera voglio essere la tua puttana...
Non me lo feci dire due volte, e continuai il martellamento "a più non posso".
Quando sentii salire nuovamente lo sperma, uscii dal suo corpo, mentre la Signora Floriana, ancora una volta, spontaneamente scese dal letto per andarsi a sedere sui talloni.
Immediatamente, la sua bocca amorosa tornò a a fagocitare il mio scettro.
Trascorsero pochi minuti ed esplosi di nuovo.
Nonostante il breve tempo trascorso dalla precedente emissione, il mio sperma uscì copiosissimo dal mio corpo per riversarsi nella sua gola.
Restai colpito, un'ennesima volta, dalla ferina avidità con cui le sue fauci inghiottirono il mio liquore.
Fu una sensazione decisamente strana, quella che provai al termine dell'eiaculazione: in un primo momento, un senso di trionfo per aver annientato una femmina di tal fatta.
Immediatamente dopo, subentrò un senso di frustrante sconfitta:
mi resi conto che, in fin dei conti, la vera vincitrice fosse stata proprio lei.
Era stata, infatti, la Signora Floriana, con le sue arti erotiche, a fare di me il suo "oggetto sessuale", sia pure per quel solo pomeriggio.
A stento risalii sul letto per cadere in un vero e proprio, e profondo, sonno.
Quando mi destai, trovai la Signora Floriana accanto a me, ancora nuda.
Mi sorrideva, incredibilmente materna, poi disse:
- Sei stato superiore ad ogni elogio...ma...non vorrei che tu...
- Per carità - risposi - la libertà sessuale è un diritto della personalità... piuttosto, vorrei domandarti una cosa: rapporti lesbici?
Mi gratificò di un sorriso velato di tristezza e mi disse:
- Sono anni che io e la Dottoressa***...siamo intime amiche...
A tutta prima, non realizzai chi fosse mai la Dottoressa ***; poi mi ricordai di un medico di sesso femminile, dai capelli ramati, piuttosto alta, giunonica, in forza al medesimo reparto ove ero stato ricoverato.
- Sai, ho acquistato persino un olisbo doppio: vuoi vederlo?
E, senza aspettare la mia risposta, si alzò dal letto e si diresse verso l'armadio.
Ne aprì un anta e, dopo di ciò, si dedicò, evidentemente, ad aprire uno scomparto segreto.
Stette alcuni minuti in piedi, dandomi le spalle; a tutta prima, non compresi cosa stesse facendo, poi si voltò verso di me.
Aveva introdotto una metà dell'olisbo nella sua vagina, ed ora mi si mostrava in versione, per così dire, "ermafrodita".
Incredibilmente, mi eressi di nuovo e, rizzatomi in piedi, le misi entrambe le mani sui fianchi. Mormorai:
- Ora ti prenderò, mio splendido efebo...
- Mmmh...siii...prendimi, prendimi di nuovo, dai...
A queste parole, la Signora Floriana poggiò entrambe le mani sul cassettone, piegando, nel contempo la schiena in avanti.
Ancora una volta, ancora una volta, veniva ad offrirmi sé stessa.
Notai, sul ripiano, un flacone di latte detergente; lubrificai il mio scettro e, di schianto, la sodomizzai.
Un suono gutturale, esprimente, per intero, il suo doloroso piacere, uscì dalla bocca della donna.
Le ghermii, di nuovo, i fianchi ed iniziai, per la terza volta in quel pomeriggio, a farla mia, martellandola a tutta forza.
Dopo molti anni, mi sono reso conto che, a differenza delle volte precedenti, stavo possedendo la Signora Floriana con tutto il mio disprezzo.
Vedevo in lei quella "donna pubblica", quella "femmina da angiporti" che, oggettivamente, non era, né era mai stata, ma che, la libidine che aveva permeato i nostri rapporti, mi portava ad immaginare che fosse.
Mentre la possedevo, non mancavo di agire con l'olisbo nella sua vagina, strappandole ululati lupeschi.
Fu sul suo volto, su quella zona tra il naso ed il labbro superiore, che scaricai il mio seme manifestando, così, quello che, al momento, era il mio autentico sentimento nei suoi confronti.
Quando ebbi finito, la donna mi sorrise ancora una volta, per poi recarsi in bagno.
Quando torno', mi trovò completamente vestito, pronto ad accomiatarmi.
Fu sulla porta che scambiammo un ultimo bacio; la Signora Floriana mi disse:
- Posso darti il mio numero di telefono?
A queste parole, provai la più imprevedibile, incredibile delle sensazioni.
La donna mi appariva, in quel momento, come somigliantissima a quel maledetto "rettile velenoso" che, durante l'anno precedente mi aveva, crudelmente, sadicamente scavato il cuore. Era più alta, certamente, ma, nel chiedermi il permesso di darmi il suo numero di telefono, aveva assunto il medesimo tono di voce, la medesima espressione facciale del "rettile".
All'epoca, fu solo grazie ad uno studio "matto e disperatissimo" che mi salvai dal "commettere una sciocchezza".
- Meglio di no - risposi; ed uscii.
Quando tornai ad immergermi nella pulsante corrente vitale della metropoli mi sembrò di essere tornato alla vita dopo un periodo di coma o comunque di "non vita".
Mi riempii i polmoni con l'aria fresca di dicembre e, di buon passo, nonostante i dolori articolari di prammatica, mi diressi alla stazione della metropolitana.
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