La Colf

di
genere
etero

La Colf
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Nota dell'autore: Questa è un'opera di fantasia, qualsiasi somiglianza con nomi, persone, fatti o situazioni della vita reale è puramente casuale.
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Aprile 2015
Trovai strano che mia sorella Laura m'invitasse a cena.
Non che ci fossero attriti tra noi, semplicemente non sopportavo suo marito.
L'ultima volta che ero stato a casa loro, che poi era l'appartamento di Milano dove avevo abitato i primi diciotto anni della mia vita, era stato sei mesi prima, in occasione dei funerali della madre di Mario, mio cognato.
Le nostre famiglie erano vicine di casa, loro al secondo, noi al quarto piano di una palazzina signorile in zona Porta Venezia.
Io ero però, dal punto di vista dei bambini, di un'altra generazione dato che Mario e Laura avevano rispettivamente undici e nove anni più di me.
Perciò non avevo mai giocato assieme a loro nel cortile e Mario mi aveva sempre snobbato.
Quando poi, verso la metà del liceo, Laura si fece una ragazza avvenente, cominciarono a filare assieme, ciò causò in me un'inconsapevole gelosia.
Tanto Mario, come Laura, si laurearono in diritto ed andarono a lavorare assieme al padre di Mario, che aveva un ben avviato studio legale in centro.
Venni su in un periodo che, praticamente, non vi erano altri bambino della mia età nella palazzina, per cui giocavo sempre da solo.
Crescendo il mio carattere divenne timido ed introspettivo, il che mi attirò molto bullying a scuola.
Ero molto attaccato a mia madre Valerie, che presto mi passò il morbo per la lettura.
Valerie era francese, accanita lettrice di romanzi e saggi sia in francese che in italiano.
Per contro, mio padre Giosué Zurlan era un ingegnere che aveva una fornita biblioteca di testi tecnici, la maggioranza in inglese.
Io, che leggevo tutto che mi capitava sottomano, presto cominciai a dominare sia il francese che l'inglese.
Frequentai il liceo scientifico, più che altro per l'influenza di papà.
Dopo la maturità ero indeciso se inscrivermi in matematica od in lettere, e finì per optare per quest'ultima.
Poco prima che io completassi diciotto anni, nel maggio di 2007, mio padre andò in pensione e ne approfittò per cominciare a fare del turismo con mia madre.
Fu in un uggioso giorno di novembre dello stesso anno, che io ricevetti, mentre mi trovavo all'università, la notizia che papà e mamma erano periti in un incidente stradale.
Un TIR aveva sfondato il guardrail e aveva scontrato frontalmente la BMW in cui viaggiavano i miei genitori, uccidendoli all'instante.
Il colpo per me fu terribile.
Mia sorella, che aveva ereditato da papà il carattere pratico, organizzò il funerale e si occupò di tutte le formalità.
I miei genitori non avevano fatto testamento, in ogni caso Laura mi propose una spartizione dell'eredità che mi trovò d'accordo.
I beni immobili erano solo due: l'appartamento di Milano e una casa sul lago di Como, vicino a Menaggio.
Io adoravo la casa sul lago.
Era piccola: un posto macchina e una cucina con tinello al piano superiore, due stanze e un bagno nel piano inferiore, ma il bello era una piccola darsena privata sul lago, dove tenevamo una barca a vela da quattro metri, su cui io e papà avevamo passato tante ore felici.
Laura mi propose di rimanere con la casa su lago mentre lei sarebbe rimasta con l'appartamento di Milano.
In quell'epoca lei e Mario avevano già marcato le nozze per il maggio successivo e stavano cercando casa in zona.
Mi propose che potevo rimanere nella mia cameretta il tempo che fosse stato necessario, per i miei studi ed, eventualmente, future attività lavorative.
A me toccavano tutti i libri di papà e mamma, e la Fiat spider del 1977 e la Moto Morini Tresette del 1960 che papà aveva comprato all'epoca nuove, e che manteneva con cura maniacale.
I risparmi dei genitori, che non erano pochi, tenendo conto della liquidazione da dirigente che papà aveva recentemente riscosso, sarebbe stata divisa ugualmente tra di noi.
Pur continuando ad abitare a Milano, per via dell'università, poco a poco cominciai a concentrare i libri, che non erano pochi, nella casa sul lago.
Trasformai, perciò la stanza, che io e Laura anticamente dividevamo nella casa, in una biblioteca.
Quando, dopo il matrimonio, Mario venne ad abitare nell'appartamento, ora di proprietà di Laura, il clima diventò per me insopportabile.
Quando Laura non era presente, Mario non perdeva l'occasione di sferzarmi con insinuazioni.
Io, che avevo sofferto bullying, a scuola, tutta la mia vita, non avevo la minima intenzione di soffrirne a casa, per cui in meno di un mese mi trasferì a Menaggio.
La reversibilità della pensione di papà mi dava una certa indipendenza economica e utilizzando la Morini, potevo arrivare a città studi in un tempo abbastanza ridotto, per cui il trasferimento non mi causò problemi.
Da quel momento andai a trovare Laura il minimo di volte possibile.
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Arrivato alla palazzina dove abitava mia sorella, parcheggiai la Morini e citofonai.
Laura mi aprì e io salì al quarto piano.
Mario mi stava aspettando.
Ci salutammo freddamente, però civilmente, dopo andai ad abbracciare Laura.
In attesa del pranzo parlammo del più e del meno, poi ci spostammo a tavola.
Fu nel dessert che, finalmente, Laura introdusse l'argomento che mi aveva condotto lì, quella sera:
- Ti ricordi Chika?-
- No, non ho presente.- risposi.
- É una nigeriana. Era la Colf della signora Adele. Forse l'avrai vista al suo funerale.-
- Sì, adesso mi ricordo di una ragazza di colore che se ne stava in disparte. Le è successo qualcosa?-
- Allora... Ha avuto un bambino ed è tornata in Nigeria.-
- Ah!- fu la mia laconica risposta.
- Volevo parlarti di lei...- ecco, ci siamo, pensai.
- Lei tornerà in Italia giovedì, col bambino, anzi una bambina: Clara. La piccola é nata in Italia prima che Chika tornasse in Nigeria.-
- Sì.- dissi, tanto per rispondere qualcosa.
- Per tirarla in breve...- interruppe Mario - Noi non possiamo licenziarla fino al prossimo anno, e non la vogliamo tra i piedi. L'appartamento dei miei genitori, lo stiamo vendendo, e qui tra i piedi, in questo appartamento neanche a parlarne. Soprattutto con un marmocchio.-
- Ma che cosa le è venuto in mente a mamma, e vabbè avere la Colf, le ha sempre avute, ma prendersi una nigeriana e per giunta giovane. Non ci sarebbe voluto molto per capire che quella lì si sarebbe fatta ingravidare dal primo che passava...-
Lo sguardo gelido di Laura, e probabilmente un calcio sotto il tavolo, interruppero lo sproloquio del marito.
- In realtà e stata stuprata un anno fa'.- chiarì Laura.
- Sì, però si è rifiutata di abortire...-
Questa volta il calcio sotto i tavolo dové essere piuttosto forte, poiché Mario s'interruppe istantaneamente.
- Comunque, quello che volevamo chiederti è di ospitare Chika e la bambina fino all'inizio del prossimo anno, quando potremo licenziarla.- disse Laura.
- Ovviamente salario e contributi li paghiamo noi, ti passeremo anche un valore mensile per coprire le sue spese. Pensa positivo: potrai usufruire per tutto il resto dell'anno dei servizi di una Colf.- prosegui lei.
Pensai per un istante di rifiutarmi, poi arrivai all'ovvia conclusione che il mio rifiuto sarebbe servito solo a prolungare la discussione, prima che inevitabilmente io accettassi.
Allora semplicemente dissi:
- Ok.-
Laura m'informò di tutti i dettagli, cosicché, dopo un'oretta, mi trovavo sulla moto nel cammino di ritorno.
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In realtà avevo bisogno di una Colf come di un callo al piede.
La casa era piccola ed io avevo parecchio tempo.
Ero molto metodico e riservavo, tradizionalmente, la mattinata del martedì per le pulizie di casa, e questo era sufficiente per il risultato che volevo ottenere.
Passavo buona parte del tempo a casa, dove svolgevo il mio lavoro, che consisteva nella scrittura di romanzi, ed eventualmente qualche traduzione dal francese e inglese.
Scrivevo, difatti, romanzi di spionaggio, stile Gérard de Villiers, ambientati negli anni della guerra fredda.
Scrivevo questi romanzi in francese, poi li traducevo in italiano ed inglese, ed avevo un pubblico fedele che attendeva l'uscita bimestrale, per comprarli in rete.
Ciò mi forniva un'entrata modesta, ma sufficiente per mantenere il mio parco stile di vita.
Non bevevo, non fumavo, non andavo a donne, i miei svaghi erano la lettura, il jogging e la vela.
Per la lettura avevo a disposizione l'estesa biblioteca, in italiano, francese ed inglese, ereditata dai miei genitori; per il jogging, l'unica spesa era l'iscrizione a qualche corsa non competitiva durante l'anno; per la vela avevo la darsena e la barchetta sempre a disposizione.
Per il resto facevo una vita da eremita, facilitata dal mio carattere introverso.
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L'indomani si fermò davanti a casa un furgone che trasportava le cose della Chika.
Rimasi in dubbio su dove mettere la culla.
La casa aveva solo due stanze, una era la stanza da letto, che era stata dei miei genitori, dove io dormivo attualmente, l'altra era la stanza che Laura ed io occupavamo quando venivamo per le ferie.
All'epoca vi era un letto a castello, di cui io me n'ero disfatto quando ero venuto ad abitare qui.
Avevo adibito la stanza a biblioteca, ed avevo sostituito l'antico letto, per il letto a scomparsa che avevo nella mia stanzetta a Milano.
Decisi di andare a dormire nella biblioteca, che era anche il mio posto di lavoro e di lasciare la stanza da letto per Chika e bambina, per cui misi lì la culla.
Installai poi, il seggiolone nel sedile anteriore della spider, che ovviamente non aveva airbag.
Conclusi i preparativi, passai la notte nella mia nuova stanza.
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L'indomani andai alla Malpensa a prendere Chika e figlia.
La riconobbi subito quando uscì dalla dogana, con la bambina in braccio.
Mi avvicinai e chiesi:
- Signorina Chika?-
Lei ebbe un soprassalto e mi squadrò qualche secondo prima di riconoscermi.
- Lei è il fratello della signora Laura?-
- Esattamente! Mi chiamo Luigi. Piacere.- risposi, facendo un leggero inchino con la testa, dato che lei aveva le mani occupate.
- Prego, venga con me.- le dissi, prendendole di mano il carrello dei bagagli e spingendolo verso l'uscita.
Arrivati alla macchina sistemammo alla meglio i bagagli e partimmo verso Menaggio.
Trascorremmo in silenzio il viaggio, con la bambina si era subito addormentata sul seggiolone.
In ogni caso non ero molto abituato a parlare.
A volte trascorreva un'intera settimana senza che aprissi bocca, ed era il martedì pomeriggio, quando andavo al supermercato a fare la spesa, che sentivo la mia voce dire: "Buon giorno" alla cassiera.
Quando arrivammo a casa, la feci accomodare nella stanza, attesi che allattasse la bambina, dopodiché Chika ed io ci sedemmo in cucina, mentre Clara dormiva beatamente nel passeggino vicino a noi.
Cominciai a descriverle il lavoro che doveva svolgere e, francamente, mi sembrava di essere Phileas Fogg che instruiva Passepartout.
Mi resi conto di quanto metodica fosse la mia vita.
Sveglia alle 6:00, dalle 6:10 alle 7:00 jogging, dalle 7:00 alle 7:30 bagno, poi colazione e lavoro fino alle 12:00.
Pranzo e di nuovo lavoro dalle 14:00 alle 18:00, relax fino alle 19:00, cena alle 19:30, lavare i piatti della giornata, pausa di relax e a nanna alle 22:00.
Uniche eccezioni, il martedì per le pulizie di casa e bucato di mattina e le spese il pomeriggio, e qualche pomeriggio di primavera o estate per uscire in barca.
Le preparai un programma di lavoro che combaciava con la mia routine, da lunedì a venerdì dalle 7:00 alle 15:00.
Lasciai però ben chiaro che la bambina aveva priorità su tutto, per cui, in qualunque momento, poteva interrompere le attività per accudirla o allattarla.
Anche Chika mi parve che avesse una personalità timida ed introversa, molto simile alla mia.
Entrammo molto presto in un ménage soddisfacente per entrambi.
Io continuavo ad alzarmi la stessa ora ed uscire a fare jogging.
Quando tornavo lei si era già alzata e fatto il bagno e, quando io uscivo dal bagno mi trovavo la colazione pronta, che consumavo assieme a Chika.
A mezzogiorno lei preparava il pranzo ed io, la sera preparavo la cena.
L'unica cosa che faceva uscire dalla routine era Clara.
Come tutti i bambini, voleva sempre attenzione e, da subito, cominciai ad interagire con lei.
La mettevo sul marsupio e facevamo delle belle passeggiate, mentre Chika puliva la mia stanza, e quando eravamo assieme in casa spesso giocavamo.
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Una bella mattina di fine aprile, quando Chika era in procinto di appartarsi con Clara nella sua stanza, per allattarla, le suggerì di andare sul balcone, che era molto più gradevole.
Il balcone della biblioteca, difatti, si trovava sul lago e la vista era bellissima.
Lei accettò e d'allora, tempo permettendo, divenne il luogo ufficiale per l'allattamento.
Io, ovviamente, rimanevo dentro la biblioteca, per non disturbare.
Una settimana dopo Chika mi disse che non c'era niente di male se anch'io rimanessi sul balcone.
Cominciò così un nostro rito.
Quando Clara manifestava la voglia di poppare, interrompevamo qualsiasi attività ed andavamo sul balcone.
Io e Chika cominciammo a conversare parecchio in queste occasioni, sembrava che quel luogo magico cancellasse il carattere introverso di entrambi.
Era per tutti noi un momento estremamente piacevole, anche per Clara che, se io fossi per qualche ragione uscito di casa, attendeva il mio rientro per reclamare il seno della mamma.
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A giugno decisi di tirare fuori la barca.
Dopo le prime uscite in solitario, proposi a Chika di venire con me.
Comprai un giubbotto salvagente per Clara cominciammo a veleggiare tutti e tre assieme.
Nel frattempo Clara aveva conciato a gattonare per la casa, ed io avevo dovuto correre ai ripari, per la nuova mobilità che aveva acquisito, proteggendo soprattutto le scale a chiocciola che portavano ai vari piani.
Essendo sempre assieme, era ormai assodato per tutti del paese che eravamo una famiglia, complice il fatto che Chika, da quando era gravida, usava una fede all'anulare sinistro per mascherare il fatto di essere una ragazza madre.
Passarono i mesi estivi, tra uscite in barca e gite nelle montagne circostanti con lo spider con la capotta aperta.
Già ad ottobre Clara cominciò a camminare ed a novembre a pronunciare le fatidiche prime parole: "mamma" e "papà".
Esser chiamato di papà fu per me una commozione tale che corsi sul balcone perché non volevo che Chika mi vedesse piangere.
Poco dopo mi raggiunse Chika con la bambina in braccio.
- Ecco qua dove è fuggito papà!- disse sorridente Chika, che si avvicinò e, con un dito, mi asciugò delicatamente una lacrima che scorreva sulla mia gota.
Questo contatto mi perturbò non poco.
Visto che eravamo sul balcone, Clara reclamò subito il seno della mamma.
Ci spostammo in biblioteca a causa del freddo e Chika cominciò ad allattare la bambina.
Scese tra noi in inusuale silenzio, tanto che Clara smise di ciucciare il latte per capire cosa stesse succedendo.
Capì che Clara era infastidita dal nostro silenzio e cominciai a parlare del più e del meno.
Presto la nostra conversazione prese corpo e Clara si addormentò, felice, tra le braccia della mamma.
Quella notte mi rigirai nel lettino, ripensando a quella tenera carezza di Chika.
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Con le donne ero sempre stato un disastro.
Non solo ero vergine, ma non avevo mai avuto una morosa in vita mia.
Nel settembre del 2007, ero tornato a Milano, da Menaggio dove ero in villeggiatura coi miei genitori.
Ero rientrato a Milano per inscrivermi all'università e, trovandomi da solo nell'appartamento, decisi di tentare con una prostituta.
Presi un treno per Lugano ed andai ad un indirizzo che avevo accuratamente scelto negli annunci in Internet.
Mi si presentò davanti una ragazza polacca sulla trentina, anche abbastanza carina.
Quando si spogliò potei verificare che il corpo non era male.
Per quanto lei tentasse, masturbandomi anche piuttosto violentemente, il mio membro non si irrigidì il sufficiente per riuscire a mettere un preservativo per farmi un pompino.
Dopo un quarto d'ora di tentativi falliti, rosso per la vergogna, la pagai e me ne andai con le pive nel sacco.
Feci un secondo tentativo, due anni dopo, con le stesse modalità e gli stessi risultati.
Dopo questo secondo insuccesso mi misi l'animo in pace e, davanti alla mia totale incapacità di relazionarmi col gentil sesso, mi accontentai con la masturbazione, un paio di volte alla settimana, con l'ausilio di qualche sito porno di Internet.
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Venne Natale e, dopo tanti anni, montai di nuovo l'albero natalizio.
Quando, la mattina del 25 dicembre ci sedemmo tutti e tre per terra, in cucina, per spacchettare i regali m'invase un senso di pace e felicità che non sentivo da quando ero bambino.
Quella mattina uscimmo a passeggiare nel parco, io e Chika che tenevamo per mano Clara.
Quando la bambina si stancò io la presi in braccio e Chika, con grande naturalezza, prese la mia mano.
Camminammo così per il parco.
Quel contatto tra di noi accelerava il mio cuore.
Era inutile nasconderlo da me stesso: mi ero innamorato di Chika e della "nostra" famiglia.
Venne capodanno e, a mezzanotte, Chika mi diede un bacio.
Fu solo il casto bacio tradizionale di auguri di buon anno, ma il mio cuore saltò dalla gioia.
Non solo era la prima volta che baciavo una ragazza, ma anche avevo il privilegio di baciare la ragazza che amavo.
Per la befana facemmo, solo noi tre, la festa per il primo compleanno di Clara, e smontammo l'albero di Natale.
Ormai, tempo permettendo, le nostre passeggiate nel parco erano diventate abituali, ed erano l'occasione che avevo per tenere la mano della mia amata.
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Il 26 gennaio uscì da solo con Clara a fare una spesa, affinché Chika potesse fare le pulizie della casa con maggiore facilità.
Quando tornai vidi qualcosa di strano in Chika.
Aveva gli occhi rossi di chi aveva pianto e mi evitava.
Dopo pranzo Clara si addormentò ed io approfittai per chiedere a Chika cosa fosse successo.
Chika mi passò una busta aperta di una raccomandata che era arrivata per lei.
Veniva dallo studio legale dove lavorava mia sorella e la missiva era firmata da mio cognato e l'avvisava che, a partire dal primo aprile il rapporto di lavoro di Chika cessava.
Chika scoppio in un pianto dirotto e si rifugiò nelle mie braccia.
Cercai di consolarla, ma mi misi a piangere anch'io.
Alla fine fu Chika che mi consolò.
Quella notte non riuscì a dormire, rigirandomi nel lettino.
L'idea di rimanere senza Chika e Clara m'inorridiva.
Poi mi venne in mente una soluzione semplice.
Erano le quattro del mattino, ma non volevo aspettare oltre per parlarne con Chika.
Uscì nel ballatoio ed andai a bussare adagio alla finestra della stanza che lei divideva con la figlia.
Quando Chika si svegliò aprì la porta è chiese:
- Cosa succede, Luigi?-
- Sposami!-
- Cosa?-
- Sposami Chika, così potrai rimanere qui.-
- Ma...-
- Pensaci e ne riparliamo di mattina.- conclusi io.
Mi venne voglia di baciarla, ma mi vergognavo, per cui corsi nella mia stanzetta.
La mattina, quando c'incontrammo in cucina, per la colazione, le chiesi, col cuore trepidante:
- Chika, ci hai pensato?-
- La mia risposta è sì!- disse, con un sorriso radiante.
La felicità fu tanta che la baciai, senza neanche pensarci.
- Scusami.- le dissi.
- Ma figurati.- rispose lei.
- Preparati e prepara Clara, che tra poco andiamo in Comune.-
Andammo in Comune per dare entrata alla documentazione per il matrimonio.
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Ci sposammo il 30 marzo.
La cerimonia, in Comune fu la più semplice possibile, solo noi tre e due testimoni raccattati lì sul posto.
Quel giorno andammo a mangiare in una trattoria, poi arrivati a casa stappammo un Berlucchi per brindare.
Avevamo ancora i bicchieri in mano, quando dalla strada provenne il suono di un clacson.
Guardai fuori e vidi un furgone fermo davanti il cancello del garage.
- Dev'essere arrivato il mio regalo per la sposa.- dissi.
Andammo verso il cancello.
Un ragazzo mi salutò e mi presentò alcuni documenti da firmare, l'altro aprì lo sportellone posteriore del furgone, poi entrambi scaricarono un scooter 50cc, nuovo di zecca.
- Così avrai più autonomia, Chika.-
Contenta Chika si avvicinò e mi schioccò un bacio sulla guancia, ringraziando.
La sera ci ritirammo a dormire nelle nostre rispettive stanze.
Mi ero già addormentato quando sentì bussare alla porta.
Aprì e mi trovai davanti Chika in camicia da notte. Era bianca, lunga e ricamata, io non l'avevo mai vista.
Lo scuro della pelle faceva un incantevole contrasto con il candore della veste, la bellezza della visione mi tolse la parola.
- Ora è la mia volta di dare un regalo al mio amato sposo.- e mi abbracciò con forza.
La parola "amato" mi scosse e riempì di gioia il cuore.
Piangendo dissi:
- Ti amo!- e la baciai.
Sciogliemmo l'abbraccio. Stava piangendo anche lei.
Trovai buffo che, per l'abbraccio, il latte avesse macchiato la tela della camicia da notte, davanti i seni.
Risi per la situazione, indicando col dito le macchie.
Ci mettemmo entrambi a ridere, poi lei si fece seria e si sfilò la camicia da notte. Sotto era nuda.
Eccettuato qualche scorcio dei seni, quando allattava Clara, non solo non l'avevo mai vista nuda, ma neanche poco vestita.
Era bellissima, non solo ai miei occhi d'innamorato ma anche in assoluto.
Il tono della pelle era uniformemente scuro, le curve del suo corpo erano morbide e marcate, i seni sodi e pieni, con grossi capezzoli scuri, il pube era coperto da un villoso pelo riccio.
Si sdraiò sul lettino e mi chiamò presso di sé.
Ci baciammo. La mia lingua cercò la sua e la trovò.
Dopo questo bacio mi disse:
- Amore mio, tieni presente che è la prima volta che mi concedo ad un uomo.-
Anche se non me l'aveva mai detto, l'avevo intuito che l'unica sua esperienza sessuale era stato il trauma dello stupro.
Non dissi niente e le baciai la bocca.
Mi venne voglia di baciarla tutta.
Lasciai per ultimo la vagina.
L'ammirai per qualche instante, poi la riempì di bacetti. Scostai le grandi labbra e cominciai a leccare l'interno, e il clitoride preminente.
Chika mugolava dal piacere e non riusciva a tenere ferme le anche, la sua vagina cominciò a sbrodolare dal piacere.
Ad un certo punto lei mi tirò su, dicendo:
- Amore, per favore, non ce la faccio più. Possiedimi!-
Mi sdraiai su di lei e cominciai a penetrarla.
Nulla ti prepara alle sensazioni che senti dentro il corpo di una donna.
Quasi istintivamente cominciai a muovermi.
Complice il sentimento che ci univa, prendemmo quasi subito confidenza coi nostri corpi e cominciammo a fare l'amore, come se fossimo amanti da anni e non due persone che, praticamente, stavano perdendo la verginità in quel momento.
L'orgasmo sopraggiunse travolgente ed io riempì di sperma la sua vagina.
Rimanemmo così, abbracciati, a parlare, ridere e baciarsi, per lungo tempo.
Caddero così le ultime barriere che ci dividevano.
Ad un certo punto il mio membro, che era rimasto dentro di lei, riprese vigore, e ricominciai ad amarla.
Andammo avanti così, fino alle prime luci dell'alba, poi andammo in bagno a prendere una doccia assieme.
Il nostro amore era suggellato.
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Epilogo
9 gennaio 2017
Venerdì scorso, secondo compleanno di Clara, gli abbiamo fatto una festicciola ed oggi, siamo su un tappetino nella sua stanzetta a giocare a Lego.
Le è piaciuto tanto quello che le ha portato Babbo Natale, che la Befana ha deciso di portarne un altro secchiello.
- Papà, bagno!-
- Andiamo!- rispondo e l'accompagno.
Le tolgo le mutande pannolone e constato, contento, che sono asciutte.
Metto l'adattatore sul WC e vado sul ballatoio, lasciandola tranquilla in bagno.
Con Chika avevamo deciso di toglierla dai pannolini a primavera, ma probabilmente ci riusciremo prima.
Devo dire che è stato più difficile staccarla dal seno materno nel maggio scorso.
Sento il rumore dello scarico, ciò vuol che si è pulita da sola. Vado ad aiutarla a lavarsi le mani.
Sentiamo il rumore dello scooter che si avvicina.
- Mamma! Mamma!- grida felice Clara, che corre, veloce come un razzo, sulla scala a chiocciola.
Io la seguo più lentamente e quando arrivo, trovo Chika, con nostra figlia in braccio, che non è neanche riuscita a sfilarsi il casco.
- Ciao, amore.- Le dico, aiutandola a togliersi il casco.
Appena libera dal casco, mi dà un bacio di quelli che ti baciano anche l'anima.
Ci sistemiamo in cucina e, mentre io preparo due spaghetti per pranzo, Chika racconta qualche cosa riguardo il suo lavoro odierno.
Chika lavora in varie case, come domestica a ore.
Con questo guadagna anche abbastanza bene, tant'è vero che abbiamo in programma, quest'estate di ripetere il viaggio in Nigeria che abbiamo fatto l'anno scorso.
In quell'occasione siamo rimasti due settimane dai suoi, in una cittadina all'interno di quel gran paese.
La casa dei suoi è modesta, però pulita e decente, e devo dire che mi hanno trattato benissimo, anche se, come logico, la nipotina Clara è stata il centro delle attenzioni.
Ovviamente Chika invia, da quando è arrivata in Italia, denaro ai suoi, per aiutarli nelle loro spese. Perciò per lei è importantissimo avere la propria indipendenza economica.
Tra me e Chika l'intesa è totale.
Dormiamo assieme nel lettone che fu dei miei genitori, e facciamo l'amore tutte le mattine.
Abbiamo deciso che, per lo meno per il momento, non possiamo permetterci un altro figlio, per cui Chika usa il DIU.
Da circa un mese Clara ha lasciato la culla, che c'era ai piedi del lettone, ed adesso la biblioteca è diventata la sua stanza.
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Essere assieme alle persone che amiamo è il principale ingrediente della felicità, poi i miei fedeli lettori mi danno quei pochi soldi, che sono sufficienti per quel minimo di agi che servono per stare bene.
Infine, la mattina quando vado nella biblioteca, per svegliare Clara, e mi affaccio al balcone, rimango senza fiato nell'ammirare la bellezza del lago.
L'unico mio cruccio sono i rapporti con mia sorella.
L'ho vista l'ultima volta nell'aprile di due anni fa.
Ogni tanto ci sentivamo per telefono, poi, dopo che le ho comunicato che le mie nozze con Chika, non ha voluto più neanche parlarmi.
Peccato, ma per lo meno non dovrò più sopportare mio cognato.
Fine

di
scritto il
2020-04-30
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