La ragazza di mio fratello - Il funerale

Scritto da , il 2018-06-07, genere prime esperienze

Chiamai mamma e papà, l'ambulanza...
Fù tutto inutile.
Piansi.

Ricordo ll dolore acuto, da togliere il fiato, come aver perso un braccio, una gamba, un pezzo di cuore...
Forse non mi ero mai reso conto prima di allora di quanto volessi bene a mio fratello.
Mi chiusi in camera singhiozzare il giorno seguente, poi senso di colpa e paranoia scesero in campo...

Era colpa mia se Luca era morto.
Sicuramente sarebbe stato ancora vivo se non avessi pensato solo a me...
Se non lo avessi tradito...
Se Alessandra...

Era anche colpa sua, ovviamente.
Avrei voluto urlarlo a mondo, ma sapevo di essere legato a doppio filo a quella stronza.
La mia coscenza desiderava solo togliersi quel peso, ma sapevo che così facendo avrei dato il colpo di grazia ai mie genitori, già provati dalla scomprarsa di Luca.
Un figlio morto per colpa dell'altro: bella roba!
Se poi avessero saputo tutti i dettagli...

Venne il giornò del funerale.
C'erano tutti ricordo.
Gli zii, i cugini, la band, i compagni del liceo e dell'università... mezza città, raccolta per quel ragazzo di ventuno anni, pieno di amici e di vita, stroncato dall'alcool e dalle pasticche.
E già, pasticche...
Questo particolare Alessandra se lo era tenuto per se.
Ma faceva poi qualche differenza?

C'era anche lei, naturalmente, in chiesa. In prima fila.
Mi ricordo che portava lo stesso cappottino scuro di quella fatidica sera, i capelli raccolti.
Osservarla stringersi ai mie, piangere, battersi il petto... ricevere le condoglianze perfino!
Fù uno strazio.

Dopo la tumulazione ci trasferimmo a casa nostra.
Un breve rinfresco era stato preparato proprio nel rustico.
Ricordo la mamma seduta su una sedia, in un angolo, piangere a dirotto.
C'era pure lei ovviamente, la stronza senza vergona.
Camicetta viola, una gonna lunga, ed un cardigan neri.
Aveva l'aria affranta, gli occhi gonfi per il pianto e delle leggere occhiaie.
Non aveva messo trucco.
Cazzo che attrice!
Se lo tutti li avessero saputo...

Mi ricordo di averla osservata in silenzio parlare con due ragazzi della band di Luca, fin quando che quelli non si furono congedati, di essermi avvicinato alle sue spalle e di aver sibilato "Fai schifo!", e poi di essermi diretto verso le scale.
Ero stufo di quella pantomima, stufo di guardare quel divano vuoto, mia madre piangere.

Ero seduto sul letto, quando lei spinse la porta socchiusa della camera di Luca.
La guardai, gli occhi ancora umidi, così tristi e belli da farmi dubitare per un istante che stesse recitando.
"Manca tanto anche a me Luca, sai?" Disse con un filo di voce.

"Finiscila. Non ti vergoni? Cazzo... se solo gli altri giù sapessero chi sei davvero..."

Osservai la trasformazione con più attenzione quella volta.
Notai il suo sguardo farsi duro, tagliente, la mascella serrarsi.

"Zitto!" Sibilò chiudendosi la porta alle spalle.

"Chi cazzo ti credi di essere per prendere in giro tutti cosi, eh?" L'aggredii scattando in piedi.

"Ma di che parli? Tu sei malato..."

"Vattene, o dico a tutti quello che è successo l'altra sera." La minacciai.

Lei non si scompose.
Mi fisso per un istante, poi mi venne vicino.
Aveva i tacchi più bassi quel giorno.
Ricordo la fatica che feci per non perdere i mie propositi fra le sue labbra e la linea del collo.
La osservai aprire i primi bottoni della sua camicetta, col fiato sospeso.
Mi spinse contro l'armadio.

Un attimo dopo mi aveva già sbottonato i pantaloni, mi segava, tenendomi fermo con suo stesso corpo.
Il seno, caldo e profumato, schiacciato contro il mio petto, morbido.
La sua bocca, grande e sensuale, era a pocchi centimetri me, avrei potuto baciarla, se avessi voluto...
Me ne sentivo attirato come da una forza invisibile, sentivo il mio cazzo tendersi dolorosamente, gonfiarsi nella sua mano quasi fino a scoppiare.

Avrei tanto desiderato voler scappare, allungai un braccio oltre i suoi fianchi invece, afferrandone una natica piena a mano aperta, con rabbia, mordendone la carne con le dita.
Un sorrisetto compiaciuto le si disegnò sul viso.
Strinsi più forte allora, quasi a farle male.
Lei strinse me...

Lasciai.
Sollevai la stoffa della gonna morbida, insinuando sotto la mano.
Ricordo le calze, il calore della pelle, la cucitura delle mutandine nel solco del sedere.
Lei mi lasciò fare.
La tenni stretta a me mentre mi segava, quasi a darmi l'illusione che fossi io a tenerla li.
Il nostro respiro si mischiava, ci fissavamo.
C'era disprezzo, derisione nei suoi occhi, non portrò mai scordarlo.

Mi colse di sorpresa quando, proprio un'attimo prima esploderle in mano, sgusciò dalle mie braccia andando giù sulle ginocchia.
Ricordo perfettamente la merviglia a verla piegarsi in avanti, guidare il mio cazzo nella suo bocca, quelle labbra rosse e carnose chiudersi intorno alla cappella.
Mi ricordo di essere venuto all'istante a quella vista, e poi di aver continuato sborrare nella sua bocca fin quasi a sentirmi mancare, mentre con la mano lei continuava a segarmi l'asta.

Ricordo Alessandra non fare una piega nell'inghiottire tutto.
La ricordo addiruttra succhiare: con naturalezza, con aria intenta, quasi fosse un calippo e non la mia cappella quello nella sua bocca.

Mi ricordo di averla lasciata fare pervaso da un misto di stupore fanciullesco e impotenza, che per nulla al mondo avrei voluto che lei notasse.
La ricordo alzarsi, aggiustarsi la gonna e la camicetta senza guardarmi e senza parlare, poi uscire dalla stanza, richiudere la porta alle sue spalle.

Io rimasi lì, per diversi minuti credo.
Quando mi riscossi per prima cosa mi tirai su i pantaloni, me li ricordo ancora: eleganti, color grigio scuro, sono sicuro di averli messi solo quella volta...
Davanti allo specchio, mentre mi allacciavo la cintura, notai i mie occhi, le guance umide.
Le asciugai col dorso della mano, poi uscii dalla stanza ed scesi ad abbracciare mia madre...

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