La professoressa

Scritto da , il 2011-02-15, genere prime esperienze

Il giorno che trovò il primo biglietto, Lidia si era svegliata come al solito, aveva preparato il caffè come al solito, e solo dopo un po’, mentre si stava truccando, aveva realizzato che quel giorno compiva cinquant’anni.
Aveva l’eye-liner in mano e stava avvicinandolo al viso quando il pensiero si era improvvisamente affacciato alla mente.
Cinquant’anni, mezzo secolo, e lei lo stava affrontando come un giorno come gli altri. Sono vecchia: era per metà una constatazione, per metà una domanda. Si guardò allo specchio. I capelli erano ancora neri, folti, ondulati, bastava qualche ora dal parrucchiere per nascondere i pochi fili grigi. Le zampe di galline intorno agli occhi, qualche ruga agli angoli della bocca, e sotto il mento la pelle un po’ allentata e il collo che aveva perso elasticità. Ma gli occhi erano ancora grandi e scuri, niente palpebre pesanti o borse sotto gli occhi. Le labbra piene. Le guance toniche.
Lidia fece un passo indietro e lo specchio le rimandò la figura intera. Era alta, un metro e settantacinque, il seno era ancora pieno, non che superasse la prova-matita, ma non era ancora flaccido, e le mammelle grandi e polpose. La pancetta che non andava più via nonostante la dieta, qualche smagliatura, ma neanche troppe o troppo vistose, e la cellulite che, per sua fortuna si concentrava nella piega tra le natiche e le cosce, lasciandole sedere e gambe ancora ragionevolmente sodi.

Il fatto era che i suoi cinquant’anni se li sentiva più dentro che nell’aspetto fisico, lunghi com’erano in una vita diventata banale troppo presto, accanto a un marito che quel giorno aveva dimenticato anche di farle i soliti auguri distratti, un figlio ventenne che studiava fuori e che, forse, questa sera, si sarebbe ricordato.
Lidia finì di prepararsi come al solito, indossò la sua classica combinazione tailleur giacca-pantaloni, e come ogni mattina uscì di casa per andare a scuola, al liceo dove da più di dieci anni insegnava italiano e latino.
Alle otto del mattino aveva già concluso che quel giorno non sarebbe stato diverso dagli altri. Suo marito non sarebbe uscito dalla routine abitudinaria che era calata fra loro e non le avrebbe proposto, facendole una sorpresa, di uscire a cena e poi, magari, andare a ballare. E tanto meno sarebbe tornato a casa con la voglia di fare sesso, cosa che, da quando il figlio era andato via e, soli com’erano, avrebbero potuto essere più liberi ed intimi, capitava invece con stanca frequenza.
Fu appena entrata nella sua terza liceo che lo trovò: un foglio di carta ripiegato in due, tra le pagine del registro, con un messaggio anonimo composto con lettere ritagliate e incollate. Ma non erano minacce piuttosto pareva una poesia. Una poesia .. d’amore?
Solo a metà mattinata ebbe la possibilità di riprendere in mano il foglio, che aveva fatto subito sparire, e leggerlo con attenzione. Erano proprio parole d’amore, combinate fra loro a mo’ di versi: “la vostra beltà mi offusca – creatura stupenda, gioia del mio cuore – che specchiandosi nel vostro sguardo – si allarga e si empie d’amore.”
Questa era una cosa davvero sorprendente! Lidia era sconcertata. Che fosse diretto a lei, non aveva dubbi: era stato lasciato apposta perché lei che era la prima insegnante a entrare in classe lo trovasse. Ma era uno scherzo? Lo stile puerile lo lasciava pensare. Ma chi si era preso la briga di tanto? Lidia pensò per un momento ad uno scherzo dei suoi alunni, che sapessero del suo compleanno e… no, era fuori discussione che qualcuno potesse immaginare il suo stato d’animo di quel giorno, Lidia era donna molto discreta che non faceva confidenze neanche alle amiche. E poi l’avessero architettato i suoi alunni sarebbe uscito fuori qualcosa di più volgare, li conosceva.
Aver passato tutto il giorno a pensarci su non la portò a niente. Conservò il foglio ma decise di archiviare l’episodio. Uno scherzo stupido. Quella sera prima di addormentarsi, nel letto ci pensò e sorrise. Quanto meno era servito a rendere il giorno del suo cinquantesimo compleanno un po’ diverso da tutti gli altri.
Alcuni giorni dopo ne trovò un altro. Stavolta un testo più lungo, più curato. Erano frasi romantiche scopiazzate, luoghi comuni sentimentali messi insieme con la pretesa di farne una poesia.
Una rosa rossa, nascosta nel cassetto della cattedra dove lei a fine lezione riponeva il registro, la settimana dopo, la convinse che non si trattava di uno scherzo. Sempre una follia restava, ma a questo punto Lidia non era più certa che lo sconosciuto ammiratore volesse ridere alle sue spalle. Ma allora? Qual era il suo scopo?
Nelle due settimane successive ne arrivarono altri due. Lidia ci si ruppe la testa. Il modo in cui lo sconosciuto glieli faceva trovare, dimostrando di conoscere i suoi gesti e le sue abitudini, la portò a escludere i colleghi. Non restavano che i suoi alunni. Lo stile dei messaggi continuava ad essere un misto ingenuo tra Prevert e i poeti che si studiano a scuola e anche questa osservazione la convinse che l’ammiratore misterioso doveva essere uno dei ragazzi. Ma chi?
A Lidia una cosa del genere non era mai accaduta prima. Insegnava da 18 anni: nei primi tempi, due volte aveva notato che dei suoi alunni avevano sviluppato un debole per lei. Ma nessuno le aveva mai scritto biglietti anonimi e anzi lei se ne era resa conto abbastanza chiaramente, dal modo in cui la guardavano a lezione e da come, impacciati cercavano scuse per parlarle da soli alla fine: lei non li aveva incoraggiati e la cosa era finita lì. Di infatuazioni tra alunni e insegnanti aveva sempre sentito parlare ed esistevano certo. Ma chi si era preso una cotta per una stagionata professoressa come lei?
Non poteva negare però che una parte di lei aveva accolto con piacere e divertimento la novità. Ormai non pensava più allo scherzo. Chiunque fosse, si era preso una sbandata, una cosa certamente platonica, ma almeno non era l’indifferenza di suo marito, che nemmeno da fidanzati le aveva mai scritto biglietti appassionati.
In Lidia questa storia aveva già cominciato a provocare sottili cambiamenti di cui a stento lei stessa si rendeva conto. Aveva preso a prepararsi e truccarsi con più cura. Controllava maniacalmente i capelli grigi e aveva aumentato a una volta la settimana la frequenza degli appuntamenti dal parrucchiere. E soprattutto aveva ripreso a indossare le gonne, cui abbinava sempre più spesso quei collant scuri e velati che andavano tanto di moda.
Aveva cominciato a guardare con occhi diversi i maschi della sua classe, chiedendosi, ogni volta che ne aveva uno davanti, se potesse essere lui l’autore delle lettere misteriose, scrutandone gli sguardi e ascoltandone i discorsi in cerca di qualcosa che lo tradisse. Poteva essere Marco P., il rampollo della ricca famiglia di notai? Non sembrava il tipo, con tutte le ragazze che gli giravano intorno, da perder la testa per una tardona. O Giulio S., che secondo Lidia era il più carino della classe? A Lidia, che essendo alta aveva sempre preferito gli uomini ben piantati, non sarebbe affatto dispiaciuto che l’ammiratore segreto fosse Carlo F., l’atleta. O Giorgio B., dalle belle mani affusolate?
Si vergognava di questi pensieri e li scacciava appena uscita da scuola. Ma ogni mattina, entrando in classe non faceva che domandarsi se avrebbe trovato un nuovo biglietto, magari più esplicito, che contenesse una traccia. Non si chiedeva, in tal caso, come avrebbe reagito: giocava con la situazione che aveva introdotto nella sua vita un diversivo che non le spiaceva.
Aveva preso l’abitudine, quando spiegava o interrogava, di andare su e giù per l’aula, osservando le reazioni che provocava. Con sorpreso piacere notò che intercettava più sguardi di quanto avesse immaginato. Se ne sentì gratificata. Sapeva di essere una discreta insegnante, stimata dagli alunni. Ma forse non sono ancora del tutto da buttare neanche come donna, si trovò diverse volte a dire a sé stessa.
Una mattina, nel suo andirivieni tra i banchi, notò che a terra, sotto un banco vuoto in ultima fila – vuoto in quel momento perché chi vi sedeva era andato al bagno – c’era una rivista. La raccolse sovrappensiero ma nel prenderla maldestramente, la rivista si aprì a una pagina. La pagina era stata ritagliata! Da lì erano state prese le lettere incollate sui messaggi che le arrivavano! L’aveva scoperto!
Rimase un istante chinata con la rivista in mano, poi decise di lasciarla dov’era. Si rialzò con il cuore che le batteva e si voltò verso la classe. Intenti a seguire l’interrogato di turno, nessuno aveva notato il suo gesto. Nessuno avrebbe rivelato a Piero T. che la sua identità non era più un mistero!
Piero. Tra i sospettati, il ragazzo non era mai entrato. Ovvio: Piero era uno di quelli che si faceva meno notare. Di poche parole, andava d’accordo con i compagni ma non sembrava particolarmente legato a nessuno dei gruppi che si erano formati nel tempo. Non andava male, ma neanche eccelleva. Lidia non riusciva a ricordare negli anni episodi degni di nota, capaci di rivelare qualcosa della sua personalità, che lo vedessero coinvolto. E di certo non era neanche il più adone dei suoi allievi, si disse Lidia. Peraltro anche lei era una professoressa di mezza età. Logico che una come lei fosse entrata nei sogni di un adolescente, probabilmente senza ragazza, piuttosto che in quelli di uno che queste difficoltà non aveva.
Appagata di aver dato finalmente un volto all’ammiratore, e un po’ delusa che non si trattasse di uno di quelli che aveva sperato, Lidia si apprestava ad archiviare il caso, quando – dopo diversi giorni di silenzio – Piero si fece vivo con una rosa e un nuovo messaggio. Evidentemente del tutto ignaro di essere stato individuato, stavolta si sbilanciava addirittura a invocare la possibilità “di baciare la terra sfiorata dal vostro passo, bere l’acqua lasciata dalle vostre labbra alla fontana, respirare l’aria che vi circonda” e via di questo passo. L’ingenua solennità di quelle affermazioni intenerirono Lidia. Più tardi, mentre in auto tornava a casa, si rigirava la rosa tra le mani, sentendone il profumo e si disse che voleva saperne di più su quel Piero, per capire come quella pazza idea gli fosse venuta in mente.
Si avvicinava la fine del trimestre e la solita incombenza di predisporre il programma svolto – che di solito gli insegnanti affidavano agli alunni più zelanti – le offrì il pretesto. Chiese chi fosse disposto e, approfittando della generale mancanza d’entusiasmo, affidò d’autorità il compito a Piero.
Questo le avrebbe permesso di parlargli a quattrocchi, senza destare i sospetti né degli altri né di lui stesso. Piero dal canto suo prese con serietà l’impegno e diverse volte, alla fine della lezione, si avvicinò alla cattedra per chieder chiarimenti su cosa dovesse inserire. In tali occasioni Lidia notò lo sguardo intenso del ragazzo, che aveva un paio di belli e profondi occhi scuri, e il leggero impaccio che rivelava nel parlarle. Perfino la mano, reggendo un libro, mostrava un leggero tremito. Non sarò io a emozionarlo così – si disse Lidia – dev’essere molto timido. Ma non poteva certo sbagliarsi su cosa gli passasse nella testa quando, un giorno, chinatosi sulla cattedra accanto a lei per farle leggere un appunto, colse il suo sguardo che indugiava nella scollatura di lei, dove, complice una camicetta con un bottone slacciato in più, si vedeva bene la linea dei seni. Non molto platonico, come sguardo. riconobbe Lidia.
Completato il lavoro di Piero, non restava che esaminarlo. Lidia gli chiese di farlo insieme, pregandolo di trattenersi mezzora alla fine della giornata. Se qualcuno avesse chiesto a Lidia che intenzioni aveva e se non temesse che quella vicinanza fosse presa dal ragazzo come incoraggiamento, lei si sarebbe sorpresa e avrebbe negato e, almeno consciamente, non sarebbe stata nemmeno una bugia.
Quanto a Piero, avrebbe dato dieci anni di vita anche solo per pochi minuti in ascensore con la donna che, da tempo, occupava tutti i suoi sogni di adolescente.
Lidia fece sedere Piero accanto a sé dietro la cattedra e cominciò a leggere il programma da lui preparato, facendo ogni tanto qualche domanda e qualche osservazione. Lidia era troppo esperta per non sentire su di sé, senza avere bisogno di alzare lo sguardo dai fogli, gli occhi di Piero, benché quest’ultimo fosse sicuro di non esser notato. A un certo punto, dal piano, una matita rotolò sotto la cattedra. Piero fu lesto a chinarsi per raccoglierla.
Lidia quel giorno aveva indossato una gonna attillata al ginocchio e un paio di collant color visone. Quando Piero si rialzò le sue gote erano leggermente arrossate. Lidia sussultò: quell’effetto era provocato dalle sue gambe! Si tirò un po’ giù la gonna con gesto pudico e si rimise a leggere, cercando di ignorare le pulsazioni del cuore che inaspettatamente avevano accelerato.
La matita cadde altre due volte in quella mezz’ora. La seconda volta Lidia ebbe il sospetto che il gesto maldestro con cui Piero l’aveva fatta scivolare di nuovo a terra non fosse affatto casuale. Ma la terza volta fu lei, e deliberatamente, a farsela sfuggire dalle dita e poi a urtarla come per caso con il piede in modo da farla rotolare in fondo allo spazio sottostante la cattedra. Mentre Piero doveva addirittura accovacciarsi per recuperarla, Lidia accavallò le gambe, con lentezza, lasciando che la gonna risalisse bene fino a mezza coscia. E che Piero avesse il modo di vedere quel che lei gli mostrava. Il tremito della mano con cui lui le porse la matita, le confermò il successo della sua manovra.
Lidia era quasi in trance mentre tornava a casa. Si vergognava del gesto, che le era venuto istintivo dopo aver visto l’interesse che Piero rivolgeva alle sue gambe. Ma non riusciva a non essere elettrizzata dall’idea che, dopo tanti anni, un uomo l’avesse nuovamente guardata in mezzo alle gambe!
Quella sera era eccitata e cercò di svegliare i sensi del marito, strusciandosi nel letto accanto a lui e chiedendogli qualche coccola. Ma lui rispose che aveva avuto una giornata pesante e, finito di leggere il giornale, aveva spento la luce e si era voltato su un fianco. Al buio, lei aveva fatto scivolare la mano tra le cosce e aveva cominciato ad accarezzarsi da sola. Il che non era una novità, rappresentando ormai da tempo l’unico surrogato di sessualità che poteva consentirsi. Ma nuovo era, stavolta, il pensiero che, sentendosi vicina a godere, rivolse a Piero e ai suoi movimenti sotto la cattedra.
Il giorno dopo Lidia era ancora turbata dagli avvenimenti del giorno prima. Si disse che era il caso di tenere il ragazzo a distanza, ma nell’intervallo Piero, avendo notato che lei aveva una pila ingombrante di libri da riportare nella biblioteca della scuola si offrì di aiutarla e lei non trovò una scusa plausibile per dirgli no.
Si ritrovarono in ascensore e Lidia guardò per la prima volta con occhi veramente diversi il suo giovane allievo. Non era poi così male, pensò fra se. Oltre lo sguardo profondo, aveva una bella bocca con labbra carnose ma non volgari. Spalle e braccia si rivelavano ben costruite, soprattutto adesso che la tensione nel reggere i libri gonfiava i muscoli sotto la camicia, semmai lo fregava l’altezza visto che Piero non era alto, anzi lei lo sovrastava di una buona spanna. Lidia lo precedette nel corridoio verso la biblioteca, con la vivida impressione che lo sguardo di lui le accarezzasse il sedere. La stanza adibita a biblioteca scolastica era vuota. I due stavano in silenzio, senza sapere che dire. Piero, con i libri sulle braccia, sembrava imbambolato. Lidia ebbe un flash di sé stessa che si inginocchiava davanti a lui e, approfittando delle sue mani impegnate, gli sbottonava i pantaloni e si metteva a succhiargli l’uccello. La fantasia fu interrotta dalla intempestiva domanda del giovane: “dove debbo metterli?”. “Posali dove ti pare” fu l’ordine brusco dato in risposta, mentre Lidia, letteralmente impaurita, scappava via.
Dopo questa debolezza, Lidia decise di evitare qualsiasi seguito ai due episodi. Prese a trattare piuttosto freddamente Piero, arrivando ad appioppargli, con eccessiva severità, un brutto voto in un’interrogazione. In realtà non si rendeva conto che questo atteggiamento rivelava quanto poco indifferente le fosse la situazione. Quanto a Piero, pur ignaro che la professoressa avesse scoperto i suoi sentimenti, interpretò il comportamento di Lidia come disprezzo e indifferenza e perciò cadde in uno stato depresso che lo spinse a comporre altre due languide poesie. Lidia le trovò e ne fu infastidita. Avrebbe voluto che smettesse. Ma a turbarla era soprattutto il fatto che ormai, mentre si accarezzava, non riusciva a non pensare a Piero, e non si era mai masturbata così spesso come negli ultimi tempi.
Lidia aveva pensato che non le sarebbe stato difficile controllare la situazione e farla morire quando se ne fosse stancata. Adesso ne era meno certa, benché trovasse ridicolo che una donna sposata, a cinquant’anni compiuti, non riuscisse a rimettere al suo posto un ragazzino infatuato. Sentendo sempre più difficile combattere contro le emozioni che la vicenda le procurava, andò a chiedere consiglio alla sua amica Elvira. Lei e Elvira erano coetanee ed erano state compagne d’università. L’amicizia era durata negli anni, sebbene si vedessero di rado: vite troppo diverse, troppo movimentata quella di Elvira, donna volitiva e spregiudicata, due divorzi e numerose storie di sesso.
Il racconto di Lidia la deliziò. “Splendido – fu il commento – e qual è il problema?” “Il problema – rispose Lidia impaziente – è che a cinquant’anni ricevo letterine d’amore da un ragazzetto con troppi grilli per la testa e io, anziché farlo smettere, ho finito quasi con l’incoraggiarlo.” “Non mi pare che tu finora l’abbia incoraggiato. Anzi lo hai fatto troppo poco. Cosa aspetti a portartelo a letto?”
Lidia conosceva Elvira ma ebbe lo stesso un moto di stizza e fece per prendere la borsetta e andar via. “Sei la solita…” “Aspetta, cosa fai? Perché, che ci sarebbe di male? Tuo marito ti ignora, al giovanotto piaci, ci sono tutte le premesse perché tu ti faccia un’amante. Sarebbe ora!”
“Ma è più giovane di mio figlio!” “E allora? Più giovani sono, meglio è. Magari è anche vergine …” “Probabile, direi. Se avesse una ragazza non perderebbe tempo a scrivere poesie alla professoressa di italiano…” “Meraviglioso! Sarai tu a iniziarlo al sesso. Seducilo e lui farà tutto quello che tu vorrai. Potrai trasformarlo in un autentico giocattolo sessuale…” “Sei matta come un cavallo! Figurati, l’amante a cinquant’anni. Dovevo pensarci prima, semmai.” “Lasciati dire che è proprio alla nostra età che bisogna lasciar perdere gli uomini e prendersi i giovani. Guarda che io da qualche settimana ho un amante, un ragazzo di diciannove anni. Fa il fattorino al supermercato qui sotto. Non fa mai cilecca e fa tutto quel che gli chiedo. Anzi, potremmo anche scambiarceli …”
Mentre tornava a casa a piedi, Lidia ripensò ai discorsi dell’amica. Le parole “giocattolo sessuale” tornavano e tornavano in mezzo ai suoi pensieri. Fermatasi a un certo punto davanti alla vetrina di un negozio di lingerie, entrò e, obbedendo a un impulso di cui non avrebbe saputo dire l’origine, comprò un reggicalze e alcune paia di calze abbinate. Poi si diresse verso casa con la voce di Elvira ancora nelle orecchie.
L’indomani, Lidia preparandosi per andare a scuola mise il reggicalze. S’infilò poi le calze e sopra indossò una gonna blu con uno spacco davanti e una camicetta chiara, ai piedi un paio di scarpe con il tacco alto, che aveva comprato e messo una sola volta per una serata importante. Si disse che nell’aver scelto quella mise non c’era nessuna ragione particolare. Era ormai primavera e i collant facevano sentir caldo. Forse svegliandosi aveva dimenticato, o non voleva ammettere con sé stessa di ricordare, cosa aveva sognato quella notte: Piero che si masturbava davanti a lei, nuda in reggicalze.
Quel giorno c’era uno di quei finti scioperi che gli studenti alle prime giornate di sole organizzano per saltare la scuola. Perciò quando Lidia entrò nella classe in cui avrebbe dovuto tenere l’ultima lezione della giornata, rimase molto sorpresa di trovarci Piero, che quel giorno aveva sfidato gli sfottò feroci e qualche minaccia dei compagni pur di non perdere l’occasione di essere solo con la professoressa.
Lidia se lo trovò così, seduto all’ultimo banco, che la salutava incerto. Superato il primo stupore gli chiese come mai fosse entrato da solo e, dalle impacciate risposte che ne ebbe, non le fu difficile avere conferma di quel che aveva subito intuito: era lei la causa dell’improvviso rispetto per i doveri scolastici.
“Vabbè – disse – visto che ci sei, inventiamoci qualcosa per passare il tempo. E avvicinati. Non posso certo gridare per farmi sentire da te.”
Irritata dai pensieri che le turbinavano in mente e dai battiti del cuore incomprensibilmente aumentati, Lidia scelse una versione di latino e gliela assegnò. Ferito dalla durezza che sentiva nel tono di voce della sua professoressa Piero si mise a lavorare in silenzio. Lidia lo guardava tenere gli occhi bassi sul vocabolario e si era già pentita di averlo maltrattato.
A un certo punto si alzò e fatto il giro della cattedra avanzò verso di lui. “Mi annoio alla cattedra. Almeno vedo cosa stai facendo.” E nel dire queste parole si sedette sul piano del banco a cui stava seduto Piero. “Ti do fastidio?” Piero fece cenno di no con la testa e spostò di qualche centimetro libri e quaderno per farle posto. Cosa avrebbe potuto dirle del resto? Il suo cuore si era messo a picchiare all’impazzata. La professoressa di cui s’era invaghito era lì accanto a lui, seduta come in trono sul suo banco, le ginocchia all’altezza dei suoi occhi, le gambe di lei pericolosamente vicine alla sua mano sinistra, le scarpe dai tacchi che a Piero parvero smisurati poggiate sul sedile accanto alla sua coscia. Il ragazzo si sforzò di concentrarsi sul compito. Ma gli fu impossibile, soprattutto quando, dopo pochi minuti, Lidia accavallò la gamba destra. Nel silenzio dell’aula il rumore del nylon prodotto dalle gambe che strusciavano l’una contro l’altra colpì le orecchie di Piero come una frustata. Timoroso di essere scoperto, sollevò appena lo sguardo. Il movimento di Lidia aveva fatto sollevare l’orlo della gonna, lo spacco mostrava la coscia inguainata di nylon nero fino al punto di congiunzione delle due gambe. Piero si sentì mancare: quello che aveva occhieggiato sotto la cattedra era nulla in confronto a questo.
Lidia poteva seguire lo sguardo di Piero che andava dal vocabolario alle sue gambe e poi di nuovo sul libro nel disperato e patetico tentativo di non farsi scoprire a sbirciare. Il suo buffo imbarazzo fece sorridere Lidia. Si stava facendo adocchiare da un giovane uomo le belle gambe di cinquantenne e lei, godendo del sottile piacere che la situazione le provocava, si sentiva nuovamente giovane e seducente.
Il gioco esibizionista che aveva iniziato stava funzionando così bene che decise di spingerlo ancora più in là. Incrociò le gambe ben in alto, poi, divertendosi all’idea che Piero stesse combattendo invano contro la tentazione di guardare, passò la mano sulla gamba, come a spianare invisibili pieghe, facendo crepitare il nylon che l’avvolgeva. Piero girò di scatto la testa, suo malgrado, per poi rituffarsi nella versione. Era paonazzo, il respiro affannoso. Lidia si chiese quanto finora avesse visto e se si fosse accorto che portava il reggicalze. Con un sorriso malizioso disincrociò le gambe per poi allungare la sinistra fino a poggiare il piede sul banco dietro. La gamba di Lidia era adesso a contatto con la spalla di Piero, che con la mano tremante cercava di tracciare sul quaderno incomprensibili geroglifici. Ma Lidia fece di più: la spostò di pochi millimetri poggiando il polpaccio sull’omero, la gamba calzata di nylon sfiorò la guancia di Piero che la ritrasse come se si fosse scottato.
Lidia ritenne che il gioco a questo punto dovesse finire. Scese dal banco e tornò verso la cattedra dicendo a Piero che il tempo era finito e che le portasse da vedere quel che aveva scritto. Piero uscì dal banco dopo che lei si era già seduta, invano tentando di nascondere agli occhi di Lidia la bozza sul davanti dei pantaloni. Porse il quaderno a Lidia e rimase imbarazzato in piedi a fianco della cattedra, cercando di tenere le mani incrociate davanti al grembo. A Lidia nulla era sfuggito, nemmeno le promettenti dimensioni del pacco. Le tornarono in mente le parole di Elvira su quanto fossero dotati i giovani. “Questa versione fa pena. E’ piena di errori. Dovrai impegnarti di più se vuoi prendere la maturità quest’anno.”
Il suono della campana salvò Piero dalla più imbarazzante delle situazioni. Uscirono insieme da scuola e Lidia gli offrì un passaggio in auto, che il ragazzo accettò. In macchina tra i due scese il silenzio, interrotto solo da qualche banalità. Piero, convinto adesso che intenta a guardare la strada la professoressa non si accorgesse di lui, ne approfittò per sbirciarle le ginocchia e in parte le cosce, che Lidia, entrando in macchina, aveva deliberatamente scoperto.
Lidia dal canto suo era consapevole del comportamento da puttana che aveva tenuto e non voleva, non poteva tornare indietro. Le parole “giocattolo sessuale” le tornavano in mente, come un mantra. “Ecco, svolti lì. Io abito in quella strada.” Se lui non l’avesse avvertita chissà dove se lo sarebbe portato. Una volta fermi Lidia si voltò verso Piero e gli poggiò una mano sulla coscia. Le piacque il suo sobbalzo a quel tocco. Ma che le era successo? Tanti dubbi e tormenti fino al giorno prima e, adesso, gli sarebbe saltata addosso lì in macchina se non ci fossero stati testimoni. “Piero, non vorrei distoglierti dallo studio, visto che ne hai bisogno. Ma ho bisogno di una mano nel selezionare i libri di testo del prossimo anno. Sei stato così bravo con il programma. Mi aiuteresti?” “Sì, professoressa. Volentieri.” “Bene. Ma dovresti venire a casa mia perché sono troppi per portarli a scuola. Se per te non ci sono problemi, farei dopodomani alle cinque. Ti scrivo l’indirizzo?”
Due giorni, e due notti insonni, dopo, Piero si presentò puntuale all’appuntamento. Appena pochi giorni prima l’idea di andare a trovare a casa la professoressa che lui adorava, magari con la prospettiva che il marito non ci fosse e che fossero rimasti soli, gli avrebbe fatto toccare il cielo con un dito. Adesso, però, era molto confuso. Piero era troppo ingenuo e inesperto per sospettare che lo show avvenuto in classe potesse essere una deliberata provocazione. Ma era messo in crisi dall’alternarsi di momenti in cui la professoressa lo trattava scontrosamente e altri in cui si mostrava così disinvolta con lui da permettergli di rubare le occhiate golose che le aveva lanciato quel giorno. Si era anche chiesto se lei avesse sospetti su di lui come autore dei messaggi: se così fosse stato non avrebbe retto alla vergogna, essendo quello ai suoi occhi un atto ben più grave delle solitarie masturbazioni che le dedicava. Ma si sentiva sicuro delle precauzioni che aveva preso.
Qualunque idea si fosse fatto di quell’incontro, non era però preparato all’aspetto con cui lei gli si presentò davanti quando aprì la porta. Lidia aveva raccolto i capelli in una sorta di banana dietro la testa, un’acconciatura che le snelliva il viso truccatissimo e le scopriva il collo e la nuca. Portava una blusa di tessuto leggero stampato a fiori, senza maniche e con una profonda scollatura, che le fasciava il busto. Aveva poi indossato la gonna più corta e più stretta che possedesse, che le lasciava scoperte parecchi centimetri sopra il ginocchio le gambe inguainate in velatissime calze scure. Un paio di scarpe a sandalo con tacchi lunghi e a spillo che accentuavano la differenza d’altezza con Piero completavano il suo abbigliamento.
Lidia lo ringraziò in modo formale di esser venuto e lo guidò in salone dove i due presero posto sul divano, davanti al quale su un tavolinetto basso c’erano i volumi su cui avrebbero dovuto lavorare.
Passò così più di un’ora, un’ora di tortura per Piero. Per quanti sforzi sovrumani facesse, in quella posizione, seduti vicino, tutti e due leggermente piegati in avanti a sfogliare i libri, i suoi occhi non riuscivano a stare lontani dalle gambe di Lidia, che la gonna stretta risalendo nel sedersi aveva scoperto ancor di più, o dai suoi seni, di cui la scollatura mostrava vistosamente l’attaccatura e la blusa sottolineava la forma al punto tale che a un certo punto a Piero parve di cogliere perfino la forma del capezzolo sotto il tessuto. L’alternativa di guardarla in viso non era migliore: il trucco sottolineava il suo fascino e l’intensità dei suoi occhi che, quando lo guardavano, scombussolavano il ragazzo. Piero friggeva, e malediceva la debolezza dei suoi sensi. Che la professoressa lo provocasse volutamente non lo sfiorava nemmeno il sospetto, anzi era terrorizzato dal timore di mancarle di rispetto, tanto più che come aveva capito in casa erano soli.
Lidia, cui nulla era sfuggito dell’imbarazzo del giovane e che ne traeva un segreto e divertito piacere, a un certo punto gli propose una pausa per il caffè. L’interruzione permise a Piero di prendere fiato. Lidia tornò con le tazze e lo sorseggiarono insieme, scambiando qualche battuta. Finito di bere, Lidia non mostrò fretta di tornare al lavoro per cui Piero era venuto, anzi continuò a chiacchierare, spostando la conversazione su vicende e personaggi di scuola. Il relax era però solo di Lidia, perché anzi Piero, senza nemmeno più la scusa dei libri da esaminare, non sapeva più dove mettere gli occhi. Lidia si era comodamente appoggiata allo schienale del divano, con l’orlo della gonna più su ancora di qualche centimetro, le gambe incrociate. le braccia nude sollevate dietro la nuca in un gesto che le spingeva il seno verso l’alto. Piero sedeva teso sul bordo, ancora più nervoso perché gli sembrava che la conversazione stesse scivolando su argomenti fin troppo confidenziali, come quando lei gli chiese se aveva la ragazza, avendone in risposta un “no” a bassa voce. Lui avrebbe tanto desiderato tornare a lavorare sui libri di testo ma la buona educazione impartitagli gli impediva di far altro che rispondere – per lo più a monosillabi – alle domande della professoressa.
“Ma, dimmi un po’, io ti piaccio?” Lidia aveva sganciato questa bomba con aria assolutamente innocente, nel mezzo di una serie di battutine su altri professori. Piero sentì il sangue affluirgli al viso. Lei lo guardò interrogativa, con un leggero sorriso che sembrava d’incoraggiamento.
“Lei è la mia professoressa preferita…”
Lidia scoppiò a ridere. “Non intendevo in quel senso. Volevo dire come donna. Allora, ti piaccio?”
“Ecco… lei … lei è molto bella professoressa, e molto … seducente.” “Seducente, io? Pensi che io sia seducente?” “No-no … cioè … sì…” “Non è la parola giusta da dire a una signora, mio caro. Seducente è come dire … come dire sexy. Stai dicendo alla tua insegnante che la trovi sexy? Sei un impertinente. Cosa trovi sexy? le mie gambe? O il mio seno, visto che non fai che sbirciare?”
Piero avrebbe voluto che una voragine lo inghiottisse. Non aveva idea di come trarsi d’impaccio senza offendere ancora di più la professoressa. Lidia era invece paga di aver tirato in trappola l’adolescente e decise che il gioco finisse lì. Si alzò e presolo per la mano cominciò a tirarselo dietro. “Do-dove andiamo?” balbettò Piero senza avere risposta.
Lidia lo portò in camera da letto, gli disse di sedersi sulla sponda del letto, poi prese dal suo beauty il fascio di messaggi che le aveva mandato e lo tirò sul letto. “Mi sai dare una spiegazione per questi?”
La rivelazione precipitò Piero nel peggiore di tutti gli incubi. Lidia, che lo aveva raggiunto sedendoglisi accanto, vide il viso diventar viola e lacrime sgorgare negli occhi. Si buttò in ginocchio davanti a lei, le abbracciò le gambe e le nascose il volto in grembo, singhiozzando: “Mi perdoni …la prego … mi perdoni …farò tutto quello che lei vorrà per farmi perdonare…”
“Tutto quello che lei vorrà”: quelle parole piacquero a Lidia per quanto somigliavano a quelle che aveva usato Elvira: “fanne il tuo giocattolo sessuale”.
Lidia era eccitata sessualmente, molto eccitata. Aveva cominciato ad eccitarsi mentre sceglieva le cose da indossare e l’eccitazione era cresciuta quando gli aveva aperto la porta e poi mentre vedeva il suo sguardo scivolarle sul corpo. Il fatto che quel ragazzo fosse tanto timido da essere come cera nelle sue mani le stava facendo perdere il controllo. Le lacrime, addirittura, così eccessive, toccarono però il suo lato materno. Gli accarezzò i capelli mentre restava con il viso nascosto nel grembo di lei, finché non cominciò a calmarsi. Poi lo fece alzare e sedere di nuovo accanto a lei. Gli prese il viso con una mano e con l’altra prese ad accarezzarglielo, asciugandogli i lucciconi rimasti. Proprio un bambino!
“Calmati, su. Non è successo niente. Ti ho solo fatto una domanda. Non sono arrabbiata con te. Ma voglio sapere la verità!” “Io-io – rispose Piero, tra una tirata con il naso e un singulto – sono innamorato di lei, professoressa. La prego non si arrabbi, non mi cacci …” “Non ti caccia nessuno. Continua” “Sono due anni che l’amo. Mi batte forte il cuore ogni volta che lei entra in classe. Per questo vado male con lei. Io studio ma quando lei mi interroga non ho più in testa niente che non sia lei. Le ho scritto un sacco di poesie. Poi ho deciso di fargliele avere. Ero sicuro che lei non lo avrebbe mai saputo …”
Stava per riprendere a piagnucolare, ma Lidia, che era compiaciuta di quella confessione, non aveva più voglia di sentirlo frignare. “D’accordo, se è solo questo, non c’è niente da aver paura…” Lei mi perdonerà?” “Sì, ti ho già perdonato, ma sei davvero innamorato di me?” “Sì, professoressa, con tutto il cuore.” “Ma tu sai quanti anni ho io?” Piero la guardò per un attimo. “Qua-quaranta?” “Beata innocenza – scoppiò a ridere Lidia – ne ho cinquanta, tesoro! Cinquanta. Potrei essere tua madre.” Gli accarezzò con il pollice le labbra, pensando: però non lo sono!
“Le-lei è molto bella.” “Grazie. Da come mi guardi penso proprio che tu sia sincero.” Attese che nuovo rossore affluisse sulle guance di Piero. “Non devi sentirti così in imbarazzo ad essere attratto da una tua insegnante. Se questa insegnante è una bella donna – Nel dire queste parole la mano di Lidia si posò sulla coscia di Piero vicino all’inguine e prese ad accarezzargliela – è normale che un ragazzo come te si prenda una cotta per lei.”
Lidia aveva spostato il suo corpo fino a sfiorare quello di Piero e gli aveva passato il braccio intorno alle spalle. “Guarda che anche le insegnanti osservano i bei ragazzi e a volte sono loro a invaghirsi dei loro alunni.” “Da-davvero?” “Certo, cosa pensi?. Che siamo senza sentimenti?” Lidia prese a dargli dei bacini sul collo, sulle guance, dietro le orecchie. “Ti dispiace se ti bacio così?” N-no” “Anch’io ti trovo carino sai? Molte volte ho detto alle altre colleghe che sei tu secondo me il più figo tra i tuoi compagni.”
Nel dire questo Lidia passò la lingua dentro l’orecchio di Piero. Poi gli prese il viso tra le mani e con una leggera spinta lo fece sdraiare sul letto. Gli fu di sopra con il suo corpo, poggiò le labbra sulle sue e cominciò a leccargliele, finché la lingua non si aprì una strada, poi forzò la chiostra dei denti e finalmente entrata dentro la bocca cominciò a inseguire la lingua di lui per intrecciarsi in un’erotica danza.
Lidia lo baciò con furore, a lungo, i corpi uno sull’altro, il bozzo dei pantaloni che premeva contro la coscia di lei. Quando finalmente si staccò dalla sua bocca, la prima cosa che notò fu che le labbra di Piero erano sporche di rossetto. “Non avevi mai baciato una donna prima, vero?” Il ragazzo fece cenno di no. “E sei ancora vergine di certo” Stavolta il cenno fu affermativo. “Bene, sono o non sono una insegnante?”
Piero fremette a quella promessa. La mano di Lidia andò verso il basso e attraverso i pantaloni cominciò a strusciargli l’uccello che era durissimo. “Secondo me dobbiamo fargli prendere un po’ d’aria.” Lidia si inginocchiò per terra tra le gambe divaricate di Piero. Gli slacciò la cintura, poi i bottoni dei pantaloni e quindi la zip. Glieli abbassò, poi afferrò l’elastico dei boxer e lo tirò giù. Schizzò fuori un bel cazzo, turgido e dritto. Lidia lo avvolse con la mano e cominciò ad accarezzarlo. Una rapida occhiata le permise di vedere il volto di Piero, con gli occhi chiusi e i lineamenti deformati dal piacere. Lidia era da tanto che non aveva fra le mani un bel cazzo irrigidito in suo onore. Lo trovava bellissimo. Un bel cazzo giovane tutto per lei. Poteva farne ciò che voleva. Voleva cominciare con un pompino, perché era tanto che non ne prendeva in bocca uno e poi perché, pensò, se Piero è vergine sarebbe il caso di farlo sfogare un po’ prima per farlo durare di più dopo, quando quel bel tronco di carne le avrebbe riempito la fica.
Scoprì la cappella violacea, abbassò la bocca e cominciò con dei bacini sulla punta del pene, che vibrò e si inarcò in risposta. Lidia cominciò a passare la punta della lingua sulla cappella, come fosse un cono gelato. I gemiti di Piero la rassicurarono sulla sua tecnica. Poi, di scatto, lo ingoiò cominciando a succhiarlo avidamente. I gemiti di Piero aumentarono, aumentarono anche i movimenti del suo bacino con cui cercava di assecondare la bocca di lei. Lidia sentì che lui stava per venire. Non aveva mai lasciato che le eiaculassero in bocca , ma oggi era giorno di prime volte e lei si sentiva porca come mai. Lo sperma di Piero le colpì il palato e il fondo della gola. Lo bevve tutto avidamente, pulì anche i bordi del glande e poi si alzò, guardando con orgoglio al lavoro compiuto.
Piero giaceva sul letto, gli occhi semichiusi, l’uccello adesso un po’ floscio inclinato di lato. Il ragazzo era l’immagine stessa del piacere. Adesso però toccava a lei avere la sua parte. “Ehi, sveglia. Ti è piaciuto?” “Ooh sì, professoressa, è stata la cosa più bella della mia vita.” Lidia pensò per un attimo di dirgli che, visto che lei stava per farselo, poteva anche darle del tu. Ma sentirsi chiamare professoressa da un ragazzo che aveva appena spompinato le dava una gradevole sensazione di potere. Così gli disse invece: “Non mi aiuti a spogliarmi?”
Piero si alzò tremante sulle gambe, i pantaloni e i boxer ancora arrotolati alle caviglie, e si avvicinò incerto. Lidia gli diede le spalle dicendogli di cominciare dalla zip. Sentì le sue mani esitanti che le abbassavano la cerniera, poi si voltò nuovamente invitandolo a sfilarle la blusa. Lui obbedì scoprendole il seno sostenuto da un reggipetto dalle coppe così piccole da non riuscire a contenere i grossi capezzoli. Per non perdere altro tempo sfilò lei stessa il reggiseno denudando le sue grosse tette e facendole ondeggiare sotto il naso di Piero. “TI piacciono? Perché non le tocchi?” Una mano incerta si alzò e prese ad accarezzarle lievemente il seno destro e il capezzolo: Fu Lidia a chiudere gli occhi, adesso. Gli piacevano quelle carezze inesperte, quel modo timoroso di toccarla, così diverso dalla distratta sicurezza cui era abituata. Gli mise una mano dietro la nuca e lo attirò sul suo seno. Piero chiuse le sue labbra intorno al suoi capezzolo e cominciò a succhiarglielo con gentilezza.
Lidia si sentiva la fica grondare. Lo respinse e con voce roca gli disse “La gonna. Non me la togli?” Piero si inginocchiò, lei gli mostrò la zip sul fianco da abbassare e poi assecondò i suoi movimenti per sfilargliela. Quando cadde per terra, Lidia rimase davanti al giovane, in piedi a gambe divaricate, dominandolo nello splendore del suo corpo maturo di cinquant’enne arrapata, vestita solo di un paio di calze nere tenute dal reggicalze di pizzo che le cingeva la vita. Piero si era rialzato e la guardava con il respiro mozzato.
Lidia fece un passo avanti e con il piede ancora calzato della scarpa con il tacco bloccò i pantaloni. “Perché non te li levi del tutto?” Piero, mentre lei li teneva fermi, sfilò dai pantaloni arrotolati prima una gamba poi l’altra. Con una lieve spinta Lidia lo mandò nuovamente a sedere sul letto. Poi alzò la gamba e posò il piede sulla sponda, piazzandolo tra le gambe nude di Piero, la punta della scarpa appena sotto i suoi testicoli. La sua figa era adesso spalancata all’altezza degli occhi del giovane, le labbra rosse e dilatate. “Anche le mie gambe mi pare ti piacciono? Accarezzale.” Con una specie di grugnito d’assenso, Piero cominciò a far scorrere le mani lungo il polpaccio, il ginocchio, poi allungò la mano verso la coscia carezzandone l’interno.
Lidia stava godendo ogni attimo dell’adorazione che Piero riservava al suo corpo. Voleva sentirsi dire che era bella, che gli piaceva, che lui impazziva per lei. “Così mi trovi sexy, eh? Non ti vergogni: sono una anziana signora, una donna sposata…” Piero si era chinato a sfiorare con le labbra il ginocchio velato dal nylon. “Lei è stupenda, professoressa. Farò tutto quel che lei mi chiederà” “Sì, adesso è venuto il momento che sia tu a fare qualcosa per me.”
Lidia si era accorta che la posa oscena che aveva assunto e le carezze alle sue gambe avevano fatto tornare in tiro il cazzo del suo bell’alunno. Era ora che la sua figa fosse soddisfatta.
Si abbandonò sul letto dicendogli “Vieni!” e attirandoselo addosso. Per quanto inesperto, Piero l’aveva così grosso e duro e Lidia così umida che il pene di lui trovò da solo la strada. La penetrò rapidamente mentre si scatenava sui suoi capezzoli baciandoli e mordendoli. Lidia sentì emozioni che pensava di aver dimenticato quando il suo cazzo la riempì cominciando a stantuffare contro le pareti della vulva. Quando si staccò dal suo seno pe riprender fiato Lidia lo sentì mormorare “professoressa, oh, professoressa” e l’idea che lei stava iniziando al sesso un suo giovane alunno, un adolescente che fino al giorno prima era abituato a vederla severa e irraggiungibile, spiegare lezioni e dar brutti voti dalla cattedra, questa idea la faceva impazzire di piacere. Era pronta a godere ma purtroppo Piero venne troppo presto, sborrandole dentro un nuovo abbondante getto di sperma caldo. Lidia non sentiva da parecchio un uomo godere dentro di lei in modo così completo. Ma non le bastava. La sua figa voleva di più.
Staccò da sé Piero e lo rovesciò sulla schiena. Poi si mise a cavalcioni sul suo stomaco. Lo sguardo interrogativo di lui, ancora perso tra le nebbie dell’orgasmo, scatenò la sua libidine repressa. Avanzò su di lui strofinando le grandi labbra sulla sua pelle. Quando arrivò a stringerli il viso fra le cosce, si sollevò leggermente sulle sue ginocchia e poi si accovacciò con tutto il suo peso sulla faccia di lui. Le parole “giocattolo sessuale” rimbombavano nella sua mente. “Volevi baciare la terra che calpestavo? Volevi baciare le cose che toccavo? E’ il tuo momento: baciami la figa, fammi sentire che sono la tua professoressa preferita!”
Piero aveva la bocca completamente sotto la fessura, il naso tra i peli, le orecchie tappate dalle cosce che lei stringeva, solo gli occhi erano liberi e con essi vedeva quella donna infoiata troneggiare su di lui. Quando la lingua di Piero toccò timidamente le labbra della figa di Lidia, lei sentì una scarica elettrica su tutto il corpo. “Oh. sì” gemette e dilatò ancor di più l’apertura per permettere al ragazzo sotto di lei di penetrarla meglio. Non sapendo cosa fare, sentendosi soffocare, Piero si mise a lappare furiosamente, infilando la lingua più dentro che potesse. Lidia, dominata dalla voglia, gli afferrò i capelli e cominciò a strofinarsi sul viso di lui, masturbandosi la clitoride contro le labbra della sua bocca. Venne, venne selvaggiamente, riempiendogli di umore la bocca e le narici.
Quando finalmente lo liberò lasciandosi cadere sul letto, lo vide con il viso tutto sporco dei suoi liquidi e un’espressione sconvolta. A Lidia scappò da ridere. Aveva usato quel ragazzo per il suo piacere. Aveva trovato davvero un bel …giocattolo. Raccolse la sua blusa da terra e gliela lanciò perché si pulisse.
Quando più tardi lo accompagnò alla porta lo baciò con passione. “Professoressa, io non so…” “Sssst” “Mi farà tornare qui da lei?” “Certo. Ci sarà bisogno di qualche lezione ma sei un allievo promettente.”
Quando rimase sola Lidia ripensò agli eventi degli ultimi giorni. Tutto era cominciato il giorno del suo cinquantesimo compleanno. Proprio quando si pensava definitivamente consegnata alla mezz’età aveva scoperto quanta lussuria il suo corpo celasse. E quanto una cinquantenne potesse apparire sexy, aggiunse tra sé e sé con un sorriso malizioso. Avrebbe dovuto convocare la madre di Piero. Le avrebbe spiegato che suo figlio era indietro e che se voleva salvare la maturità, di lì alla fine dell’anno, avrebbe avuto bisogno di lezioni private. Lei, dopo essersi fatta un po’ pregare, avrebbe acconsentito a sacrificarsi. Per amore dell’insegnamento. Sorrise. Due volte la settimana, anzi tre. Sarebbero state sufficienti.

Ripensò anche alla sua amica Elvira. Chissà se l’idea di scambiarsi gli amanti era ancora valida….


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