Quel frutto proibito

Scritto da , il 2016-09-12, genere dominazione

Vestiva sempre di nero. Scarpe nere, capelli neri tagliati corti, guanti a rete neri. Perfino il trucco era sui toni del nero. Indossava collane con teschi, o anelli con animali di fantasia che si attorcigliavano striscianti attorno alle sue esili dita. Era giovane ma non avrei saputo dire quanto. C'era qualcosa nel suo stile che creava una dissonanza percepibile da chiunque, ma non credo che a chiunque facesse l'effetto che faceva a me.
A vedersi sembrava una tosta, una di quelle che al primo appuntamento nemmeno ti guarda e se dici una parola sbagliata ti pianta un anfibio nel torace. Quando invece avevo modo di parlare le sue parole erano sempre gentili, i suoi modi sommessi e la voce lieve e il suo sorriso timido addolcivano il suo apparire così stoica.
Si capiva che fosse una maschera, probabilmente una difesa estrema da un modo che non le piaceva nemmeno troppo.
Cercavo sempre un contatto, un saluto veloce una parola, a volte provavo a farla sorridere facendo qualche battuta veloce e quando timidamente mi sorrideva divertita coprendosi il viso con la mano con cui portava il ciuffo di capelli dietro l'orecchio, avevo puntualmente una stretta allo stomaco.
Sapevo che era giovane si vedeva, ma si vedeva maggiormente che era molto più giovane di me. Quando le riuscivo a stare a meno di un metro era come se percepissi le sue reali dimensioni. Il suo vestire cupo era nonostante tutto femminile, ma il confronto ravvicinato con me la faceva apparire ai miei occhi come una ragazzina. Si una ragazzina con un profumo meraviglioso.
Sapeva di frutta e di aria fresca. Sapeva di pioggia d'estate e pelle bagnata dal sudore.
Credo che più di qualche volta si sia chiesta cosa non andasse in me, quando improvvisamente mentre scambiavamo poche battute me ne andavo fingendo di essere indaffarato in altre cose, e smorzando la conversazione frettolosamente.
Non c'era niente che non andava, tranne la stretta alla gola che mi provocava quel profumo.
Quando ripensavo a lei e all'effetto che mi faceva mi sentivo una persona sbagliata, attratto da un esserino così innocente e così giovane. Quando invece ero al suo cospetto e sentivo tutti i miei sensi pacificati dal suo essere non potevo non pensare che quello potesse essere solamente qualcosa di buono. Già lo pensavo.

Un pomeriggio d'estate mentre rientravo a casa me la vidi sfrecciare di fronte ed entrare nel portone del mio palazzo. Mi tenne il portoncino aperto e gentilmente attese che mi affrettassi ad entrare. Era affannata probabilmente da una corsa. Le chiesi che ci facesse li e mi spiegò velocemente che una compagna di classe della nuova scuola abitava in quel palazzo. Le sorrisi e non seppi fare altro, avevo già percepito il suo profumo e la gola mi si chiuse come al solito.
Salendo in ascensore ricambiai la gentilezza della porta e la feci entrare per prima.
Abitavo al quinto piano, la sua amica al sesto. Prememmo i tasti una dopo l'altro e aspettammo che si chiudesse puntuale la porta dell'ascensore.
Avrei voluto parlare, magari farle una battuta o chiederle di più della sua amica, sicuramente la conoscevo. Avrei voluto. L'unica cosa che riuscii a fare fu aprire la bocca ma neanche un suono ne uscì. La guardai e in un secondo i miei sensi furono pieni di lei. Il suo odore mi aveva già stordito ma li dentro sembrava amplificato e non mi dava pace. Sentivo il suo respirare affannoso, sembrava un gemito. Forse lo era, forse sospirò qualcosa riguardo al caldo, o alla fatica. Ma non capii. La guardai dalla testa ai piedi. Guardavo la sua pelle umida, i suoi capelli che spostava dal collo per cercare refrigerio. Guardavo il suo petto che ondeggiava ritmico ad inseguire la poca aria che poteva immagazzinare. Guardavo le su labbra umide. Parlava forse o pregava, magari cantava. Non seppi mai quanto tempo restai travolto da quelle emozioni ma ricordo solo che l'ultima cosa che guardai dal mio angolo di ascensore fu proprio la sua bocca.
Quella bocca che si avvicinava sempre di più mentre avanzavo verso di lei. Quella bocca che prima mi chiese spiegazioni poi mi insultò, poi mi implorò mentre le mie mani si erano avventate sul suo esile e giovanissimo corpo e lo stavano esplorando con famelico desiderio.
L'ascensore si aprì al mio piano. Ero certo di non essere in me, e al contempo di essere pieno nei miei sensi, completo nei miei istinti. Con la stessa naturalezza con cui si raccoglie la borsa della spesa presi lei per i capelli morbidi e la trascinai scalciante verso la porta di casa. Mentre aprivo la porta ed entravo nel mio appartamento non ero più focalizzato sulla sua bocca ma sul suo splendido collo, scoperto dai capelli che ancora stringevo tra le dita. Era davanti a me, chiusi la porta di casa alle mie spalle e lasciai cadere le chiavi. La mano che non stringeva i capelli scivolò sotto la sua maglia correndo veloce sulla pelle sudata e bollente. Sembrò un viaggio meraviglioso e interminabile. Le mie dita corsero dalle sue anche al suo ombelico, poi su carezzando dolcemente il suo ventre scavalcando con delicatezza i suoi senti sodi e rotondi per avvinghiarsi poi attorno al suo esile collo. Strinsi forte che quasi le tolsi il fiato e servì per farle desistere la sua feroce lotta che non aveva avuto tregua dal primo momento che l'avevo toccata.
Si sentì in trappola e si irrigidì. Ogni muscolo del suo corpo era teso e la gola faticava ad immagazzinare aria. Abbracciato in quel modo brutale a lei la mia mente si riaccese e potei vedere chiaramente la differenza tra le nostre corporature. La mano sul suo collo sembrava enorme, pochi centimetri separavano le dita opposte che stringevano la sua gola. Il braccio sotto la maglia la tirava come se ci fosse un altra persona al suo posto e le sue mani che afferravano il mio polso nel vano tentativo di spostarlo sembravano innocui bracciali che scivolavano sulla mia pelle dura.
Affondai i denti nella carne della sua schiena e per la prima volta sentii il suo sapore. Avrei voluto mangiare quella prelibatezza per sempre, inebriarmi del suo profumo era niente paragonato al gusto della sua pelle.
Iniziai a baciarla con foga, a leccare e mordere il suo costato. I vestiti che mi separavano da lei venivano tolti o strappati con violenza. Morsi la pelle, morsi la carne. Morsi la sua schiena tutta, fino alla cintura dei suoi pantaloni. Lasciai la mano dal suo collo. Sentivo che non sarebbe scappata ne avrebbe provato a ribellarsi. Aveva percepito anche lei la differenza delle nostre corporature e capii in quel momento la paura che provava.
La girai con forza e ammirai quel terribile spettacolo di paura e dolore che avevo creato. Le guance rigate dalle lacrime che copiose scendevano sai suoi occhi, la bocca fradicia singhiozzava tremava provava a sibilare qualche parola interrotta da un respiro affannoso e irregolare. Il suo collo si tendeva seguendo ritmicamente il ritmo del suo piano. Così faceva il suo petto che si contraeva e rilassava a tempo con il suo respiro. Un seno piccolo ma pieno e semicoperto dalle braccia fungeva da capolinea alle lunghe linee umide delle sue lacrime.
Rimase così con le braccia sul seno a coprire pudicamente quello che le stavo rubando di dosso mentre sbottonavo i suoi pantaloni lentamente. Quando furono calati i suoi occhi erano piantati a terra colmi di vergogna. Era compressa su se stessa provando a coprirsi come poteva ma ferma immobile in piedi di fronte a me.
Con due dita disegnai il contorno dei suoi slip. Portava mutandine nere bordate di pizzo. Guardavo la mia mano enorme scivolare a pochi centimetri dal sesso di quella ragazza terrorizzata e mi sentivo potente. Mi fermai al termine della sua spina dorsale. Afferrai il lembo delle sue mutande e tirai dolcemente verso il basso per toglierle.
Ebbe uno scatto improvviso e mi colpì la mano, urlando di smetterla per poi piangere nuovamente.
Non mi scomposi. Avevo capito perfettamente che ormai avevo pieno potere su di lei, ma soprattutto avevo capito che anche lei lo sapeva. Ma dovevo gestire la cosa.
Mi tolsi la cintura dei pantaloni e le legai stretti i polsi dietro la schiena. Mi spogliai lentamente mentre lei in piedi immobile continuava a singhiozzare sommessamente. Quando fui nudo andai di fronte a lei e le alzai la testa con una mano. Nel vedermi fu come se avesse finalmente realizzato cosa volevo da lei e scoppiò in lacrime urlando e pregandomi di smetterla. Non la ascoltai.
La presi in braccio e la portai in camera. Quando la sua schiena toccò il materasso si rannicchiò ma ormai non piangeva più. Presi un altra cintura e le legai altrettanto strette le caviglie.
Non mi guardava in faccia ma cercava con lo sguardo una via di fuga. Ignorai quel gesto tanto non poteva scappare legata in quel modo con i vestiti strappati e senza che io avessi possibilità di riprenderla.
Aprii un po' la finestra per fare entrare un po di luce e la brezza che nel frattempo si era alzata.
La spinsi in centro al letto e la coprii con il mio corpo. Le mordevo le gambe e non un gemito, le mordevo le braccia e ancora nessun gemito. Mi alzai per guardarla in viso e il suo sguardo era duro, gli occhi rossi e la bocca serrata di rabbia. Ancora una volta non feci caso alla sua reazione.
La girai su un fianco e le morsi la morbida carne del suo sedere. Presi con due mani il lembo di slip che abbracciava la sua coscia e con poca forza lo strappai. Poi anche l'altro finché non rimase finalmente completamente nuda.
Da qualche minuto ormai non ragionavo più, seguivo solo meccanicamente quello che il mio corpo voleva. Ma ora la guardai. Cercai di ricordare gli scherzi, le risa i momenti in cui mi attanagliava lo stomaco un suo sguardo o il suo odore. Ecco l'odore.
Come un cane la annusai da capo a piedi, sfiorando con le labbra la pelle morbida. Il suo profumo era delizioso. Ma ancora più delizioso era il suo sapore. Il gusto acido e umido della sua vagina era qualcosa di inaspettato. Le mie mani sulle sue cosce le spingevano in alto scoprendo alla mia vista la sua vagina e il suo ano. Poca peluria li ricopriva ed erano di un color rosa fragola. Mangiavo a grossi bocconi quel frutto prelibato. Le mie labbra circondavano i suoi genitali con cerchi più ampi possibile. A stento respiravo immerso in quel banchetto.

La prima penetrazione per lei fu molto dolorosa. La lubrificazione della mia saliva era solo esterna e il terrore che provava non aiutava. Sopra di lei, grande e potente avevo esattamente ciò che desideravo. Trasportato dalla frenesia di quel sesso rubato non volli infierire con dolore sul suo giovane corpo.
La penetrai dolcemente per qualche minuto, lasciando che il suo corpo pur rifiutandomi si abituasse alla mia presenza.
Quando ebbi la sensazione di non stare più entrando a forza in quella ragazza la presi in braccio come si coccola chi si sta per addormentare.
Slegai le sue caviglie che ripresero colore e me la misi sopra a gambe divaricate. Entrai in lei guardandola negli occhi, quegli occhi pieni di odio, chiusi e arrabbiati. Aiutai il movimento del mio bacino alzando a abbassando il suo esile e abbandonato corpo sul mio sesso che penetrava sempre più profondo dentro quel caldo e umido abbraccio.
Le baciai il collo e il suo sapore mi trasportò lontano chiudendomi come sempre lo stomaco.
Aumentai il ritmo preso dal piacere. La potevo vedere saltare spinta dal mio bacino e tirata in basso dalle mie mani bramose di lei.
Ora la stringevano forte sul mio petto, il mio bacino spingeva ritmico il mio pene dentro di lei. Non sentivo fatica. Non sentivo niente. Non sentii nemmeno lei quando smise lentamente di resistermi e iniziò a tremare. Prima lievemente, poi sempre più forte.
Ad un tratto il tremore divenne sussulto. Prima uno poi molti altri. La sua bocca era serrata i denti stretti e soffocavano quello che volevo assolutamente sentire. Erano gemiti.
L'orgasmo la colpì con forza e violenza. E più resisteva più il suo corpo si contorceva tra le mie braccia in un piacere selvaggio e naturale. Gemeva e soffriva. Un urlo di piacere seguito da molti no. Rimproverava se stessa e mentre lo faceva gemeva travolta da spasmi di piacere. La guardai combattere con quel orgasmo e non seppi resistere. La alzai di peso, e ancora dentro di lei la girai a pancia sotto. Il mio orgasmo venne mentre il suo era ancora forte. Mentre la dominavo finalmente da dietro, sopra di lei. Piegata in due al mio volere. Era diventata completamente e totalmente mia. Sentii il mio sperma uscire copioso e riversarsi dentro al suo corpo mentre spingevo il mio pene così in profondità che ebbi paura di ferirla.
Mi accasciai al suo fianco sfinito. Il mio piacere era soddisfatto e mentre piano piano l'effetto iniziava a calare la mia mente stava dando forma a quello che avevo fatto. Uno stupro in piena regola. Pensai all'ascensore e a tutto quello che successe dopo. Tremai per qualche secondo. Immerso nei miei pensieri quando la sua voce mi scosse.
Con l'ultimo filo di quella voce rotta dal pianto mi disse una sola parola: “Grazie”

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