Follia

Scritto da , il 2016-08-31, genere etero

“Mia madre stava urlando in cucina, sventolandomi la pagella di fine anno in faccia: “Io ti avevo avvisato a gennaio! Adesso ti scordi il viaggio a Santorini, tu passerai l’estate a recuperare! E non provare ad uscire da questa stanza!”
Sbattei la porta della cucina, quella del corridoio e quella della mia stanza nel vano tentativo di sfuggire alla ramanzina di mia madre per l’insufficienza rimediata in lettere e la conseguente bocciatura di fine anno. Mi buttai sul letto, imprecando contro tutto e tutti e rivolgendo la maggior parte degli insulti a quella dannata zitella che si era divertita a mettermi in difficoltà per tutto l’anno, regalandomi alla fine questa bella sorpresa.
Mentre a cena mi beccavo gli improperi di mio padre, giurai a me stesso che mi sarei preso la mia rivincita, rassegnato a passare l’estate tra le grinfie di un vecchio amico di mio padre, inflessibile docente di lettere classiche all’università. Passavo le giornate chino sui libri, con il caldo che rendeva l’aria irrespirabile e interminabili versioni di latino che mi friggevano il cervello; nei pochi momenti liberi mi arrovellavo per elaborare una vendetta a i danni della prof degna di questo nome. Ma, come spesso accade, i piani vanno a monte e ci si deve arrangiare e non necessariamente si ottiene un brutto risultato…
Era una sera di metà agosto, l’intero quartiere era senza illuminazione pubblica da due giorni a causa di un guasto e mi stavo godendo il poco venticello che rifrescava l’aria al tramonto; chinai gli occhi verso la strada e rimasi di sasso: la professoressa stava passando sul marciapiede di fronte, a passo sostenuto per non rimanere in strada più del necessario. Afferrai le chiavi di casa e mi fiondai giù dalle scale, rallentando solo quando svoltai l’angolo e iniziai a seguirla, pregando che non mi scoprisse. Faceva già buio quando la vidi armeggiare con un mazzo di chiavi davanti a un cancelletto, che richiuse accuratamente dietro di se, per poi dirigersi all’ingresso di una piccola villetta unifamiliare; senza nemmeno pensarci scavalcai il muretto di recinzione e mi nascosi sotto una finestra che si era aperta pochi istanti prima.
Mi sollevai a spiare dentro la stanza, trattenendo il fiato e sperando che il rumore di acqua corrente nel bagno coprisse il mio ingresso. La vidi uscire dal bagno scalza, ma ancora vestita; si mosse lungo il corridoio usando solo la luce che usciva dal bagno; questo giocava a mio favore, mentre restavo nascosto fra la parete e l’armadio della camera da letto. E fu a quel punto che il piano si delineò nella mia mente; la vidi uscire di nuovo dal bagno, scivolai veloce contro la porta della camera e attesi… attesi, trattenendo il respiro… secondi che parevano ore… il rumore secco dei piedi nudi sul pavimento sempre più vicino…
Quando vidi passare la sua ombra saltai fuori dal nascondiglio, la sollevai di peso tappandole la bocca con la mano e la lanciai sul letto, rifilandole un man rovescio appena tentò di voltarsi. “Prova a fiatare e ti ammazzo, vacca!” le ringhiai nell’orecchio mentre le stringevo la faccia con forza. La spinsi contro il materasso e le saltai sull’addome, immobilizzandola; fece resistenza e le mollai un altro ceffone. Fu sufficiente a farla desistere; le strappai la camicetta e la feci voltare supina per occuparmi del reggiseno e strapparle le mutande da sotto la gonna.
Avevo già il cazzo puntato sulla sua fica quando ebbi un’altra illuminazione: le afferrai i capelli e la costrinsi in ginocchio. “Apri la bocca.” ordinai. Mi rispose con un singhiozzo, che ignorai ringhiando: “Apri la bocca, cagna!” Le sollevai la faccia, stringendole le guance per aprirle la bocca e infilarci il cazzo; lo affondai fino alla gola in unico soddisfacente colpo, prima di bloccarle la testa e cominciare a muovere il bacino velocemente e con violenza. Ad ogni colpo sentivo il glande che le sfregava sul palato, i respiri sempre più soffocati dal pianto e dalla mia erezione crescente; quando sentii l’orgasmo arrivare le bloccai la testa contro il mio ventre e le sborrai direttamente in gola, sentendo il piacere crescere ai suoi tentativi di tirarsi indietro e liberare la faccia. La lasciai andare e cadde sulle mani, tossendo e sputando la sborra che non aveva ingoiato.
Forse avrei dovuto fermarmi a quel punto; ma mentre la osservavo ansimare in cerca di ossigeno, mi resi conto che sotto quegli orribili tailleur e completi da zitella anni ’60 si nascondeva un corpo niente male: la vista delle tette enormi mi rimandò in tiro in men che non si dica. Le presi un braccio e la sollevai, mandandola sul letto; la mia spinta fu troppo forte e lei non oppose resistenza, cosi fini al centro del letto a due piazze. Mi tolsi i pantaloni e la raggiunsi; la feci mettere a pecora e le allargai le chiappe, deciso a infilarmi nella sua fica, ma anche stavolta cambiai idea: mi sputai sulle dita, le spalmai la saliva sul buco del culo e entrai con un solo violento colpo di reni.
Si irrigidì e urlò dal dolore, strizzandomi l’asta con i muscoli del retto, ma ormai ero dentro; le afferrai le tette con entrambe le mani, stupendomi del fatto che non riuscissi a contenerle, e la sollevai per costringerla a quattro zampe. Anche stavolta non andai per il sottile, scopandola con colpi secchi e violenti a cui seguivano gemiti di dolore soffocati e spasmi dello sfintere che accrescevano il mio orgasmo. Con dispiacere, le venni in culo e mi preparai a scoparle la fica.
Poggiai il glande sulle labbra e iniziai a spingere, ma incontrai resistenza. Ancora una volta rimasi fulminato: la vecchia zitella era vergine! Eccitato ancora di più dalla prospettiva me la presi comoda: entravo e uscivo da lei lentamente, strizzandole i capezzoli e leccandole la pelle sensibile dietro l’orecchio. Capii che stavo ottenendo il risultato voluto quando sentii il cazzo bagnarsi degli umori della sua fica; continuai a pompare per quelle che mi parvero ore, e alla fine le venni dentro.
Mi alzai, mi rivestii e uscii dalla finestra da cui ero entrato per tornarmene a casa, lasciandola stesa sul letto a piangere in silenzio…”
“Appuntato, stampi la deposizione e la faccia firmare al ragazzo, poi chiami il GIP.”
“Comandi maresciallo!”

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