La legge del più forte

Scritto da , il 2015-03-16, genere etero

Premetto che mi ha sempre allettato l'idea di mettere online una delle mie fantasie, così ho colto l'occasione e mi sono finalmente decisa di condividerla coi miei prossimi, primi lettori. Tutto ciò riportato qui di seguito sarà PURA FINZIONE: luoghi e personaggi sono fittizi. Buona lettura.

Mi sveglio alle dieci di sera realizzando che il mio scarno ed ennesimo programma quotidiano è andato a puttane a causa della mia nullafacenza. Non me ne meraviglio: non ho impostato alcun tipo di sveglia prima d'addormentarmi, né imposto ad una delle mie coinquiline di svegliarmi ad un orario decente. Senza minimamente pensare di uscire dal letto, caccio una mano sotto al cuscino alla ricerca del telefono, e, quando lo trovo, scorro col dito sulla lunga lista di notifiche arretrare. < Davvero > biascico da sola spezzando il silenzio religioso nella mia stanza < non me ne frega un cazzo. > E' così che reagisco alla lettura di ogni singolo messaggio in arrivo, che visualizzo più per abitudine che per reale interesse. L'unico forse in grado di catturare la mia attenzione è il contenuto preciso d'un messaggio preso, ed il mittente risponde al nome di Marco.

Conosco Marco da poco più di due anni, ma nell'affermare di conoscerlo è ben evidente la mia insicurezza al riguardo. Ci siamo incontrati per caso una sera in autunno. Io che fumavo fuori da un locale, lui che ne era appena uscito col naso bagnato di sangue adrenalinico. Balzando fuori dall'uscio del locale, ha allungato il dorso della mano sotto al suo naso sporco, e ridendo l'ha pulito.

Non che non l'avessi mai visto prima: era uno dei più rinomati latin lovers del paese, di cui senti racconti provenire fuori da ogni bocca femminile, e nell'ultimo periodo ne avevo sentito parlare più male che bene. Io, dal mio canto, non posso dire d'essermi mai lamentata della mia popolarità o del numero di conoscenti avuti: non mi conoscevano tutti, ma solo quelli che volevo, così non mi meravigliai quando Marco mi chiamò per nome: < Adelaide >. Finì l'ultima sillaba con un ghigno eloquente. Senza rispondere finii con calma la mia sigaretta, la gettai a terra una volta sazia, e la calpestai più volte. Feci scorrere gran parte dei miei lunghi capelli castani su una spalla, e poi mi decisi a rispondergli < Ti hanno buttato fuori? > Rise. Poi scrollò le spalle. < A chi vuoi che freghi? Ho avuto la mia dose giornaliera d'alcol e figa, sto a posto. > Era da circa due anni che provavo l'ebrezza di poter bere alcol nei locali senza troppi preamboli, avendo compiuto i fatidici diciotto solo l'anno precedente, ed esser appena entrata nella fascia dei diciannove, mentre lui ad occhio e croce, invece, col suo cattivissimo giubbotto nero, a quel tempo avrà avuto si e no ventun anni. Scrollai le spalle considerandolo poco, visto che quanto appena affermato era per lui la normalità, ed anche un po' per me: le cattive compagnie mi hanno sempre guastata e me l'hanno sempre fatto notare. In altri casi avrei alzato subito i tacchi annoiata, ed invece qualcosa in Marco sapeva come trattenermi lì con lui, per cui rimasi interessata ad osservare le sue mosse, ma senza metterci l'euforia solita di tutte le ragazzine che sapeva far bagnare tirando semplicemente fuori la lingua. Marco prese a squadrarmi con insistenza suscitando qualcosa a metà fra la curiosità pericolosa ed il fastidio d'esser esposta a lui così spudoratamente. Per i primi dieci minuti non successe nulla, poi, stancandosi, tirò fuori tutti gli assi nella sua manica. < Sei sola? Se sei da sola vieni con me. Fumiamo un po' e poi chi lo sa ... > Mantenne il sorriso beffardo da figlio di puttana per tutta la serata, attributo che posso assicurarvi non gli provoca alcun fastidio, e poi acconsentendo mi scortò per le stradine meno raccomandabili della zona. Questo non è il solito racconto erotico, nessuno balzerà fuori da nessun buco per accompagnare Marco in una cavalcata di gruppo contro il mio volere.
Raggiungemmo quella che era presumibilmente casa sua, e mi fece entrare. Era la casa di qualcuno che abita da solo, piena di mobilia ed oggetti vari confezionati per persone sole: divani a un posto, appendiabiti per uno, letto singolo, bagno con un solo spazzolino. Mancava di certo il tocco femminile, il che mi rassicurò molto perché sapevo benissimo quanto potesse e tuttora possa aizzarmi la competizione femminile. Lasciai in giro le mie cose nell'accomodarmi, a partire dal telefono, e a finire con la giacca in pelle.
Finalmente Marco tirò fuori quanto promesso: delle cartine smisurate, il cofanetto con l'erba, i filtri fatti in casa. Dopo pochi minuti mancava solo l'assemblaggio e forse per coinvolgermi, forse per assicurarsi quanto fossi brava a muovere la lingua, mi concesse il piacere di allestire la nostra canna. < Fallo tu se ti va > Quell'improvvisa cortesia mi lusingò e mise in guardia allo stesso tempo, ma acconsentendo cominciai a "montare" la canna, stando ben attenta a leccare vistosamente la parte collosa della cartina, e nel farlo mi assicurai che i miei occhi ricadessero per bene su di lui, nel tipico sguardo languido del pompino. < Ti piace così? > Gli domandai mostrandogli con fierezza il risultato. < Mi piaci così. > Rispose.
10 minuti, e della canna rimasero solo gli effetti benefici. Mi distesi sul divano occupandolo tutto, lui invece mi guardava fisso dall'altro, sorprendentemente più composto di me. < Cosa hai sentito dire su di me? > Mi aspettavo che me lo chiedesse, sarò sincera, probabilmente perché sono una delle poche che non è ancora riuscito a scoparsi; vuoi per un caso, vuoi per l'altro, e il sapore amaro di una chiavata mancata cominciava probabilmente a bruciargli in bocca. < Che sei un coglione totale. Alcolizzato. Che pensi solo a scopare e del resto non te ne fotte niente. > Il suo sorriso aumentava gradualmente sempre di più man mano che gli insulti accrescevano, fin quando non abbassò la testa sogghignando, per cui continuai il mio discorso non finito < Però lo fai bene. > Mi leccai la bocca lentamente e lo vidi alzarsi dalla sua postazione per avvicinarsi a me. < Ti hanno detto questo? Che so scopare? > Sembrava piuttosto fiero ( e come biasimarlo ) e credo che fu questo a spingerlo a rompere le barriere che avevo tenuto fino ad ora, per piegarsi su di me e raggiungere il mio interno coscia coperto dalle calze color carne. Cominciò ad accarezzarmi il quel punto, risalendo e scendendo a ripetizione, e rilassandomi socchiusi involontariamente le gambe godendomi quel massaggio. Cominciai a sospirare, mentre Marco continuava col suo massaggio, stavolta coinvolgendo entrambe le gambe. Rimase sempre fra le due, fino a quando non mi passo le dita della mano sul sesso coperto, provocandomi una scossa lungo la spina dorsale. Accarezzò con delicatezza per diverso tempo, e io da gran zoccola qual mi sentivo, mi decisi a tirare giù le calze; però tenni le mutande. < Alzati e fammi sedere lì. > Non c'era più traccia della cortesia di prima, ma solo severità nel suo tono. A malavoglia feci quanto mi disse alzandomi e lasciandogli il posto, ma riprendendolo nuovamente dopo poco, stavolta sedendomi sulle sue gambe rivolta col viso verso il suo. < Brava Adelaide. > Mi accarezzò di nuovo la coscia per "premiarmi" per essere stata così ubbidiente, poi si leccò la bocca. Feci segno d'avvicinarsi per baciarlo e zittirlo per bene con la lingua. Pressai sulla sua bocca per farla entrare e cominciare un bacio furioso fatto al 99% di lingua che a stento mi faceva respirare, ma in compenso cominciai ad eccitarmi seriamente. Involontariamente, incoraggiata dalle circostanze, allungai una mano verso il mio sesso e cominciai a strusciare sopra la stoffa calda delle mutande, intenzionata a farla inumidire per permettere alle dita di scivolare più velocemente. Lui lo notò, e mi scostò il braccio perché potesse vedere bene e godersi la scenetta. < Continua a toccarti. > Fui sorpresa dal fatto che ciò gli piacesse, e per compiacerlo ancora di più scostai le mutande per dargli visione del mio sesso ora umido a 360° gradi. Passai le dita fra le labbra, bagnandole dei primi umori, e poi le trascinai fin sopra al clitoride, che stuzzicai lentamente e per pochi secondi con movimenti circolari di grande maestria, che sostituì poi con gesti più blandi e verticali. Cominciai immediatamente a mugolare incapace di trattenermi, e a questo punto Marco decise che poteva bastare: mi tolse la mano e la maglia da dosso, scavalcando poi il reggiseno per tirare fuori uno dei seni. Mi illuse leccandomi e ciucciandomi il capezzolo, aumentando il mio livello di umidità fra le cosce, e poi diede fine a questa farsa cacciando i denti e mordendomi il seno. Non sentii dolore, ma solo piacere, motivo per il quale presi a strusciarmi poco delicatamente sulla coscia dei suoi jeans durante tutta la durata della leccata. Quando si fermò, controllò lo stato della stoffa sulle sue cosce, che presentava una striscia più scura laddove avevo strusciato il clitoride. Rise più beffardo di prima, sbottonando i jeans per tirarli giù e mostrarmi i boxer gonfi, da cui era chiaramente definibile il profilo del suo membro. < Sei già duro. > Suggerii con un sorriso di scherno. Lui ghignò di nuovo a questa mia osservazione e passandomi velocemente le dita fra le cosce raccolse degli umori da portarmi alla bocca per farmi assaggiare. Accolsi indice e medio in bocca, succhiando via i miei umori con piacere, e per stuzzicarlo ancora simulai le boccate del pompino con le sue dita. < Così, da brava. > Si leccò la bocca fissando ipnotizzato i miei movimenti di bocca, e poi sfilò le dita, afferrando la mia mano e portandosela sulla sporgenza nei boxer. Non infilai ancora la mano nelle sue mutande, ma la strusciai per un tempo indeterminato lungo tutta la lunghezza esplicita del suo sesso, fin quando il suo respiro non cominciò a diventar affannoso. < Muoviti. > Sentirlo completamente nelle mie mani - anche letteralmente - mi dava un senso di piacere smisurato che incentivava la mia eccitazione; realizzare che in quel momento dipendeva da me mi arrapava non poco. Avvicinai il viso al suo, leccandogli la bocca e chiedendogli: < vuoi che te lo meni, vero? > Annuì debolmente, costringendomi ancora una volta la mano fra le sue gambe. < Poi vuoi che te lo succhi, vero? > Allungai la mano libera verso il suo collo, che accerchiai e strinsi senza metterci troppa forza. Era una cosa che avevo visto spesso nei porno che mi avevano regalato gli orgasmi migliori, quindi perché non cominciare a testarla? Ma di tutta risposta, Marco immobilizzò il mio di collo, forzando con le dita come avevo evitato invece di fare io. < Muoviti. > Ripeté. Ormai le mie mutande contenevano quanto di più fradicio possa esserci in questo mondo, e eccitata al massimo dalla costrizione e dalle sue imposizioni, infilai una mano nelle sue mutande per cacciare il suo sesso e scoprire il glande, per cominciare la sega tanto attesa. Gli tirai il cazzo per dieci minuti ininterrotti, alternando colpi di mano lentissimi e strazianti, a colpi veloci. Per tutto il tempo mi intimava a denti stretti di fare di più e più forte, di tirare ancora, fin quando non scostò la mano dal collo alle punte dei miei capelli, per raccoglierle e tirarle verso il basso, obbligandomi a chinare la testa all'indietro. < Scendi da 'sto cazzo di divano e succhiamelo. > Non sono il genere di donna a cui piacciono gli ordini, o meglio: odio compiacere la persona nell'eseguirli. Ringhiando lo mandai affanculo, ma capendo le mie intenzioni contrarie Marco mi strattonò i capelli. Rassegnata smontai e mi accovacciai fra le sue cosce, presi il suo sesso in mano e cominciai a menarlo di nuovo come prima cosa, e poi passai a lavorarmi la cappella. La leccai con maestria, inglobandola periodicamente in bocca per succhiarla, ed in quei momenti spingevo il membro giù fino in gola per farlo entrare il più possibile. Sapevo di star facendo bene ascoltando i suoi ansimi. Scostai leggermente il suo sesso per passare alle palle, a cui riservai lo stesso trattamento del glande; ne succhiai e leccai prima una, poi l'altra. I residui di saliva attorno alla mia bocca e di liquido pre spermatico mi facevano intendere che stavo facendo un bel lavoro e che stavo lubrificando alla grande. Continuai col pompino, lasciando che Marco mi tenesse per i capelli mentre mi incitava a colpi di bacino tenendomi ferma la testa e fottendomi la bocca senza che io potessi protestare, con la mia mano fra le cosce per strusciare il palmo completamente aperto sul clitoride ed accompagnarlo nei gemiti coi miei totalmente soffocati. Quando fu sazio mi fece alzare, si liberò completamente dei pantaloni e delle mutande, e tolse anche le mie. < Vieni qua. > Mi sorrise quasi gentile, probabilmente addolcito dal piacere del pompino, e mi invitò a sedermi ancora su di lui. < Fatti scopare. > Presi posto sulle sue gambe attenta a tenere le mie ben schiuse, ma prima di farlo entrare mi prese i fianchi fra le mani adagiandomi alla base del suo sesso. Intesi perfettamente e quindi cominciai a strusciare il mio sesso bagnato sul suo duro e venoso. Sentire la pelle tesa per l'eccitazione contro le labbra ed il prepuzio del mio sesso mi mandava fuori di testa. Ansimavo vistosamente e gli supplicavo di rispondere ai miei movimenti di bacino coi suoi, e così fece. Continuammo per poco perché volevo essere scopata, e lui voleva scoparmi. Con un solo colpo mi entrò dentro completamente, facilitato dall'abbondante presenza dei miei umori. Commentò con un gemito quanto fossi stretta, ma risolse velocemente il problema aumentando la velocità della scopata e sbattendomi col sesso direttamente sul suo cazzo grazie alla sua salda presa sui miei fianchi, contorcendosi di piacere per l'incontro così inaspettatamente ravvicinato con le pareti vaginali. Cominciai a cavalcarlo così ferocemente che sentivo le sue palle apparire e scomparire contro la mia pelle, e la mia natura poco silenziosa mi portava a tirare brevi urli affaticati dallo sforzo che stavo compiendo. Mi stava piacendo, mi stava piacendo da impazzire. Ingorda come mi aveva fatta diventare portai le dita ancora sul mio clitoride e cominciai a muovercele sopra per caricare un orgasmo spiazzante. Lui guardava estasiato la visione del suo sesso che entrava ed usciva da me sempre più bagnato, e delle mie dita che esasperavano il mio clitoride. Gli ultimi tre colpi prima dell'orgasmo furono i più forti, ma nel venire già al primo ed abbandonarmi ad un orgasmo senza precedenti, Marco mi tenne ferma per cavalcarmi sempre più forte dal basso intenzionato a farmi godere di più, distruggendomi con un orgasmo multiplo. Venne immediatamente dopo di me, stringendomi così forte la schiena da lasciarmi i segni delle sue unghie per giorni, come se ciò avesse potuto contribuire alla sopportazione dell'orgasmo che gli avevo regalato.

Rispondo pigramente al suo messaggio, e poi esco dal letto.

Questo è il mio primissimo racconto, e spero vi sia piaciuto. Essendo, come già ribadito, il primo, gradirei faceste critiche o mi deste dei suggerimenti. La fisionomia di Marco ed Adelaide non è menzionata nel racconto perché nei tanti racconti che ho letto la mia eccitazione si perdeva un sacco nelle descrizioni fisiche, molto spesso perché i protagonisti non avevano un aspetto fisico in grado di eccitarmi, quindi ho dato libero spazio a voi ed alla vostra fantasia per lasciarvi immaginare il vostro Marco e la vostra Adelaide ideali.

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