Il peccato scarlatto
di
Theinvisibleman
genere
feticismo
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Capitolo 1
Il Peccato Scarlatto
Durante il pranzo di Natale, Luca e zia Gaia intraprendono un gioco di seduzione sotto il tavolo, culminando in un'esposizione scandalosa che lascia la famiglia attonita.
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Il profumo del lenticchie bollite e del panpepato si era sparso per la sala da pranzo, ma per Luca l’unico aroma che contava era quello della pelle di zia Gaia, tersa e calda sotto il rosso fuoco dei suoi collant. Era Natale, tutti stavano intorno alla tavola imbandita: i suoi genitori, i nonni, gli zii, i cuginetti con le cravattine di raso. Lui, diciannove anni e l’ansia di chi sa già di voler peccare, aveva scelto di sedersi di fronte a lei senza pensarci due volte. Gaia aveva cinquant’anni portati benissimo, gambe affusolate e seno pieno che ondeggiava ogni volta che respirava; e indossava quei collant rossi, lucidi come vernice appena stesa, così aderenti che la piega del tendine dietro il ginocchio si disegnava perfetta, un dettaglio che faceva tremare le dita di Luca attorno alla forchetta.
Non appena la zia ebbe incrociato il suo sguardo, un lampo di compiacimento le accese la pupilla. «Tutto bene, caro?» chiese piano, facendo finta di aggiustarsi la tovagliolo sulle cosce. Lui annuì, ma il sangue gli era già corso verso l’inguine, e il tessuto della tuta da ginnastica cominciò a stiracchiarsi morbidamente. Gaia non perse l’occasione: con lentezza teatrale distese le gambe sotto il tavolo, sollevò appena il pietto e, passandosi il tallone sul bordo della sottotazza, sfiorò la caviglia di Luca. Quel contatto elettrico lo fece sobbalzare; il nonno, accanto a lui, lo guardò con aria interrogativa. «È nulla, ho preso un colpo di freddo» mentì, mentre Gaia nascondeva il sorriso dietro il calice di prosecco.
Il pranzo procedette con i soliti discorsi: acquisti natalizi, previsioni del tempo, la ricetta delle lasagne di zia Clara. Ma sotto la tovaglia di lino bianco si stava consumando un gioco molto più peccaminoso. Gaia aveva tolto la scarpa destra, calza ancora avvolta nel nylon scarlatto, e con movimenti impercettibili l’aveva fatta scivolare dentro alla gamba larga della tuta di Luca. Il ragazzo si irrigidì: il piede di zia era caldissimo, la punta delle dita premeva contro il suo polpaccio, saliva, scivolava come una serpe in calore. Quando il nylon si fermò sul suo cazzo già teso, Luca dovette mordicchiarsi il bordo del bicchiere per non gemere. Il piede premeva, si ritirava, affondava di nuovo: il tatto della seta sintetica trasmetteva la morbidezza delle dita di Gaia e al tempo stesso l’elasticità opprimente del tessuto. Era un piacere che sconficcava la mente, un mix di colpa e desiderio che lo faceva sudare il palmo delle mani.
«Luca, assaggia il vino» propose la madre, versandogliene un goccio. Lui alzò il bicchiere con mano tremula, mentre il piede di Gaia si blindava ormai contro l’arcata infuocata del suo uccello. Il tallone premeva il glande, la pianta massaggiava il fusto attraverso la tuta e il boxer: un ritmo lento, ipnotico, che catturava il respiro e lo scioglieva come burro sulle labbra. Nessuno poteva vedere, ma la cosa rendeva tutto ancora più eccitante: accanto c’era il nonnino che straparlava di arance spedite dalla Sicilia, davanti la zia Mariella che distribuiva torta, e lì, nel mezzo, lui stava per esplodere sotto il tavolo come un adolescente alle prime armi. E invece Gaia non aveva alcuna intenzione di fermarsi.
Con una finta risata si voltò verso il marito di zia Clara, domandandogli se era mai stato a Cortina, e contemporaneamente accelerò la pressione. Il piede saliva e scendiva lungo l’asta di Luca, piegava le dita a cuspide e poi le distendeva, accarezzando con il dorso dell’alluce il bordo del cappello. Il ragazzo sentì le palle contrarsi, il piacere salire in volute mosse di fuoco, e una goccia di pre-cum già inumidire l’indumento. «Non adesso» si pregò, ma il corpo lo tradiva. Con l’altra mano Gaia colse l’ennesimo spumante, fece scorrere il pollice sul bordo del calice: un gesto innocente, che però a Luca parve una promessa di sperma. Le dita dei piedi si strinsero attorno al suo cazzo come se il nylon fosse una seconda pelle, la suola si fece più rigida e il ritmo divenne un palpito costante, quasi un tempo di musica techno sommessa.
«Luca, stai sudando» osservò il padre, accorgendosi della fronte lucida del ragazzo. Lui si affrettò a sorridere, si passò la mano tra i capelli. «È il camino, fa un caldo...» Il piede di Gaia, nel frattempo, spingeva con forza contro le commessure, torcendogli il piacere in una spirale che saliva dritta alla gola. Non poteva più parlare, non poteva più muoversi: la sedia lo imprigionava, le gambe larghe per dare spazio alla zia lo inchiodavano al delitto. Il suo cazzo era un palo di acciaio avvolto in flanella, e il nylon lo accarezzava con la delicatezza di una segatura che lambisce il legno. Un brivido elettrico gli risalì la spina dorsale, si raccolse nella nuca; Gaia capì, piegò maggiormente le dita, cinse l’attacco del glande e fece andare il piede su e giù in quattro colpi secchi, come se volesse spillargli l’orgasmo con l’urgenza di chi non vede l’ora di berlo.
Il respiro di Luca si ruppe in un rantolo soffocato, ma il clangore dei piatti e la risata di zio Tony coprirono ogni cosa. Le palle esplosero: una, due, tre scariche calde che inondarono il risvolto interno della tuta, riempiendo il cotone di sperma denso e appiccicoso che subito filtrò fino a intridere la calza ancora premuta contro di esso. Gaia sentì l’impulso ritmico sotto la pianta, la vibrazione del cazzo che si contraeva e si svuotava; la sua risata si fece più bassa, più femmina. Continuò a cullare l’organo fino all’ultima goccia, poi ritirò delicatamente il piede, facendo cogliere al ragazzo il suono umido del nylon che si stacca.
Luca si sentì morire: il cuore galoppava, la fronte stillava, il cazzo pulsava ancora nella bolla di calore appena creatasi. Ma non ebbe nemmeno il tempo di riprendere fiato che Gaia, con un gesto teatrale, si alzò in piedi sulle sue pumps. «Scusate, ho versato un po’ di vino sulla calza» disse, e prima ancora che qualcuno potesse protestare sollevò la sottana nera di seta fin sopra il ginocchio, mostrando davanti a tutti la gamba fasciata di rosso lucido, col dorso del piede imbrattato di una chiazza biancastra che colava lentamente verso la caviglia. Il latte era così evidente, così appena riversato, che pareva una goccia di panna su una torta. I parenti restarono in silenzio attonito; il nonno abbassò gli occhiali, zia Mariella trattenne il respiro, il padre di Luca impallidì. Nessuno osava interpretare la scena, ma tutti colsero l’impronta scandalosa di ciò che avevano sotto il naso.
Luca si fece piccolo piccolo sulla sedia, il volto paonazzo, il cazzo ancora rigido e sporco che gli si attaccava alla pelle. Eppure, nell’imbarazzo più totale, sentì un nuovo fremito risalirgli la nuca: l’ebbrezza di essere scoperto, la triumph cupola di piacere che lo colmava. Gaia abbassò finalmente la sottana, si tolse la goccia di sperma con l’indice e, davanti a tutti, lo portò delicatamente alle labbra, scacciandosi quel residuo con la lingua. «Una crema particolare» commentò con voce suadente, «dolce, ma con un retrogusto di trasgressione.» Poi riprese posto, rassicurò la madre che nulla era successo, e ricominciò a conversare come se da un lato al mondo esistessero solo i dolci natalizi.
Per Luca non esisteva più alcun suono, solo il rullare sommesso del sangue nelle orecchie. Aveva appena fatto coming in mondovisione familiare, eppure la voglia che lo stringeva era ancora più grande: voleva risentire la carezza di nylon, voleva affondare il viso tra le cosce di zia Gaia e bere il suo profumo, voleva gridare a squarciagola quanto fosse bello perdersi nella morbidezza di un Tabù. Sotto al tavolo le mani gli tremavano, ma stavolta non per la paura: stavolta era eccitazione pura, il desiderio di scoprire dove lo avrebbe condotto quella donna, quel Natale, quella promessa di desiderio che ancora gli pulsava sulle ginocchia. Gaia lo guardò, socchiuse un occhio e, senza che nessuno potesse vedere, la punta della lingua gli disegnò un cuore nell’aria. «Buon Natale, Luca» mormorò, e quel saluto suonò come un invito alla seconda allegria. Perché il regalo era stato scartato, il nastro era caduto, ma la scatola dei piaceri era appena stata aperta.
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