La sorpresa nei bagni del Conad
di
18enne_Super_Timida
genere
etero
Caro Diario,
Qualche settimana fa ho compiuto 18 anni e non ho mai avuto un ragazzo.
Mi sento cosí tremendamente insicura e introversa. Il mio fisico é quello che gli uomini grandi chiamano “petite”: sono bassissima, magrolina, capelli biondi fino alle spalle, una seconda di tette e piedini numero 34. Odio essere cosí minuta.
Anche se frequento l’ultimo anno del Liceo, molte persone vedendomi cosí timida e gracilina credono sia anche stupida, ma te lo giuro, non é cosí.
La mamma lavora sempre fino a tardi e i pomeriggi li passo spesso da sola. Ultimamente mi sento pervasa da un istinto animale, una specie di vibrazione che parte dalla mia vergine fichetta, passa per lo stomaco e arriva fino alla testa. Non riesco più a concentrarmi sullo studio, anche se la maturitá é vicina.
Sento di stare per esplodere, e forse non te lo dovrei dire, ma l’unico momento in cui credo di essere appagata e arrapata é quando qualche uomo mi mette in imbarazzo. Gli operai sotto casa che sghignazzano mentre gli passo davanti, il vecchio autista dell’autobus che mi fa l’occhiolino, il prof. di matematica che mi mette in ridicolo davanti alla classe.
Sono tutte situazioni che mi fanno pesantemente arrossire, ma la veritá è che a quegli uomini cosí arroganti e bastardi offrirei la mia verginità. Anzi, gli implorerei di prendersela, a modo loro. Non so se se riuscirò mai a dire queste cose ad alta voce, figuriamoci a farle capitare sul serio.
O almeno cosí credevo fino a qualche ora fa.
Questo pomeriggio ho ricevuto un messaggio dalla mamma, che mi chiedeva di poter andare a fare la spesa, mancavano poche cose e i soldi erano al solito posto, nel cesto in cucina. Il Conad non è molto lontano da casa, ci potrei andare anche con l’autobus, ma preferisco camminare con le cuffie e la musica nelle orecchie…
Verso le 18:00, quando ha iniziato a fare buio, esco di casa.
Appena entrata nel supermercato cerco di spegnere la musica dal cellulare e come mio solito, mi sono distratta. Inciampo per terra. Arrossisco per la vergogna, ma fortunatamente non mi ha vista nessuno, tranne un signore molto alto, pelato e con un pizzetto bianco, forse sui sessanti anni, che ridendo mi dice:
“Hey ragazzina, stai attenta, devi guardare dove cammini…”
Mi blocco per 5 secondi, non so cosa rispondergli. Vorrei urlargli contro che che non sono una stupida ragazzina, ma sto zitta.
Mi sento pesantemente osservata da lui.
Mi rialzo velocemente e nascondendomi il viso con i capelli, corro via tra gli scaffali.
D’istinto provo a girarmi indietro, e lui è ancora li, che mi guarda e sogghigna, con le sue enormi mani possenti, che spingono il carrello con veemenza.
Sono ancora un po’ agitata, ma devo concentrarmi sulla lista della spesa. Arrivo al reparto ortofrutta, mi fermo davanti alle zucchine. Devo prenderne tre o quattro, come ha detto mamma. Allungo la mano e ne prendo una per controllarla. E’ più grande delle altre, di un verde molto intenso. Non so perché, ma la forma mi fa sorridere senza volerlo. Guardo subito altrove, sperando di non essere troppo evidente e, di nuovo per colpa del mio essere impacciata, la zucchina cade per terra.
Mi inginocchio per raccoglierla, sento dei passi sempre più vicini.
Alzo leggermente lo sguardo dal pavimento e mi scontro con dei piedi enormi, forse un 45-46, avvolti da un paio di mocassini in pelle nera.
Dall’alto una voce bassa: “Quella mi sa che è un po’ grande per una come te.”
Alzo il mento, come per guardare il cielo.
E’ lo stesso Signore che mi ha vista cadere all’ingresso, sempre piú arrogante e bullo. Questa volta prendo coraggio e gli rispondo a tono: “non la devo mangiare da sola, ma con la mamma”.
Mi rialzo e sbatto la nuca con qualcosa di grosso e duro, il suo pacco. Realizzo quanto quel signore sia veramente altissimo rispetto a me.
Lui scoppia a ridere con il suo vocione da uomo maturo e mi inebria del suo odore di sudore misto a sigaretta.
Sento caldo, il viso bollente.
Lo guardo comunque con aria di sfida e corro verso la cassa.
Stranamente la cassa è libera. Saluto sottovoce il commesso e metto gli articoli nel rullo.
Il bip dei codici a barre mi riporta alla realtà: cazzo, ho dimenticato i soldi nel cesto in cucina.
Ho troppa paura e vergona per dire al commesso di fermarsi e annullare il conto, voglio fuggire via.
Penso subito a una soluzione e chiedo a quel commesso scorbutico di aspettare due minuti, perchè ho dimenticato qualcosa.
Corro verso il reparto ortofrutta; il signore pelato è sempre lí e, in quell’istante, lui può essere la mia unica salvezza.
Mi avvicino piano, e con voce flebile: “Scusi signore, non voglio disturbarLa, ho dimenticato i soldi a casa, e il commesso mi sta aspettando. Mi potrebbe prestare 10 euro? La prego…”
Senza muovere un muscolo della faccia, la sua risposta è stata diretta: "ci penso io, andiamo in cassa."
Arriviamo in cassa ed é lui stesso ad esordire con il commesso:
“Mi scusi per l’attesa. Faccia pure un unico conto…”
Sono mortificata. Quell’uomo che tanto mi pareva un bullo, mi ha aiutata, senza se e senza ma. E ripeto a me stessa, ancora una volta, di non giudicare mai un libro dalla copertina.
Facciamo la stessa strada fino all’uscita, quella che prendevo sempre.
Ma lui ritorna al suo essere arrogante: "per di qua si fa prima, seguimi ragazzina."
Io mi limito a rispondere “OK”.
Prendiamo l’uscita laterale, finendo in un piccolo corridoio chiuso, dove si accede al bagno dei disabili, ovviamente poco luminato.
Faccio per salutarlo, ringraziandolo infinitamente per il suo aiuto.
Lui non risponde subito, e da strafottente si accende una sigaretta vicino alla porta del bagno. La fiamma dell’accendino genera un riflesso sulla sua fede dorata di matrimonio.
Sento il cuore battere fortissimo e lui fiuta la mia insicurezza e se ne approfitta, dicendo:
“Lo sai che sei proprio un disastro, vero? Una ragazzina che non sa stare al mondo. Cade. Dimentica i soldi. E guarda caso finisce sempre nei guai.”
Sento il cuore in gola. Mi guardo attorno, non c’e nessuno nelle vicinanze.
“Non… non capisco cosa vuole dire.”
“Certo che capisci.” Fa un altro passo verso di me. “Tu ti fidi della gente sbagliata. Come di me, per esempio.”
Mi manca il fiato. “Mi scusi Signore…”
Lui butta la sigaretta a terra e la schiaccia con il tacco del mocassino. Faccio un passo indietro senza rendermene conto.
“Ti ho vista” dice. La sua voce non è più arrogante, è peggio. È calma. Troppo calma. “Quando sei inciampata. Quando sei arrossita. Quando hai fatto cadere quella zucchina. Ti agiti per niente. E le persone che si agitano attirano l’attenzione.”
Deglutisco, la gola completamente asciutta.
“Non… non mi stavo agitando.”
“Certo che sì.” Fa un passo nella mia direzione. Non mi tocca, ma basta la sua ombra per farmi irrigidire.
“E sai qual è la cosa strana?” continua. “Che non sei scappata subito. Potevi farlo. Ma sei rimasta qui.”
Abbasso gli occhi. “Non… non volevo essere maleducata.”
“Non sei rimasta per quello.”
Il mio stomaco si stringe. “Perché… allora?”
Lui si avvicina quel tanto che basta a parlare a bassa voce, quasi un soffio:
“Perché una parte di te vuole capire fino a che punto posso spingermi.”
Sento il cuore, le orecchie, tutto pulsare.
Lui si scosta appena, giusto un passo, come se volesse darmi un secondo per respirare.
“Ti faccio una domanda semplice e voglio che rispondi senza mentire.”
Il tempo si ferma per un istante.
“Vuoi scappare via… oppure vuoi vedere cosa succede se resti?”
Io abbasso lo sguardo, non rispondo.
“Vieni con me e non fiatare, cazzo,” mi dice.
Lo seguo, ormai non ho altra scelta. Non voglio avere nessun’altra scelta.
Entriamo dentro il bagno dei disabili, con dei neon accecanti. Mi pare un sogno. Lui che chiude a chiave la porta dietro di me, da un calcio alla tavoletta del WC facendola abbassare, ci si diede sopra, si slega la cravatta, si sbottona i primi due bottoni della camicia, si accarezza il pizzetto bianco.
“Che fai li impalata? Inginocchiati, stupida cagnetta, vediamo se almeno a succhiare cazzi vali qualcosa”.
La mia mente é paralizzata, il mio corpo no e obbedisce agli ordini di quel bastardo.
Sono inginocchiata per terra, sulla pipí di qualcuno. Lui mi lega la cravatta attorno al collo, come un guinzaglio, e tira forte. Mi strattona la testa e vado a sbattere contro il suo pacco enorme.
Lo sento pulsare da sotto i suoi pantaloni, “quella bestia vuole uscire dalla sua tana, e io la devo liberare” penso.
Lui mi fissa dritto negli occhi, mi deride e mi umilia con il solo pensiero.
Smetto di pensare, devo agire per la prima volta nella mia vita.
Con le mie piccole mani cerco di sbottonargli i pantaloni, ha dei boxer grigi un po’ umidi, sento un forte odore di cazzo maturo, misto a del piscio.
Muoio dal bisogno di limonare con il cazzone di quel signore, non so cosa mi sta succedendo, sento di aver vissuto tutta la mia vita solo per questo istante.
Gli abbasso i boxer e un cazzone turgido di 22 cm mi schiaffeggia la guancia destra. Sento alcune goccioline di presperma sulla mia guancia.
Lo afferro con entrambi le mani, lo annuso, respiro il suo odore, lo sputo, e inizio finalmente a succhiare quella cappella grossissima. Sono estasiata.
In sottofondo la sua voce da uomo arrogante:
“Bene bene, eri affamata eh? Brutta troia?”
Annuisco, senza levarmi di bocca quel meraviglioso cazzone peloso. Lo sputo più che posso, cerco di ficcarmelo da sola in gola, ma non riesco, mi viene da tossire. I conati.
Tengo il cazzone dritto con la mano destra, ma scivola. Con la sinistra accarezzo quello scroto enorme dalla pelle elastica. Lecco le palle giganti, ma voglio dare il meglio di me stessa, almeno per una volta. Cerco di ficcarmi in bocca entrambe le palle, ma sono troppo grandi. Succhio una palla per volta, mentre cerco di segarlo, con tutta la saliva che dal cazzone mi cola in faccia.
“Dai cazzo, datti da fare stupida cagna” mi dice lui, prendendosi il cazzone in mano e ficcandomelo in forza a gola, tenendomi la bocca spalancata con due dita.
“Dimmi che ti piace, dai, ammettilo cazzo.”
Annuisco, ma non è abbastanza. Adesso sento il cazzone giu fino alle tonsille, é grossissimo, e’ buonissimo…cerco di parlare con quel mostro in gola, ma non si capisce quello che dico e lui ride, ride ancora.
Sono bagnatissima, soprattutto mentalmente, voglio essere usata da quel signore pelato.
Lui ha fretta, vuole solo usarmi e gettarmi via. Lo accetto e lo supplico di farlo, ma non capisce ciò che dico.
Si alza in piedi, mi trascina con la cravatta al guinzaglio al centro del bagno, mi prende dalle orecchie, facendo leva, e si masturba con la mia testa.
Sento che i suoi muscoli si stanno contorcendo, rimango con la bocca spalancata, non voglio farlo arrabbiare.
Sento che bestemmia.
Continua a insultarmi, chiudo gli occhi e finalmente la sento.
La sua enorme sborrata dentro la mia gola, gustosa, cremosa, caldissima. Il mio premio per essere stata obbediente.
Rimango in ginocchio a fissarlo dal basso, 4 schizzi di sperma matura che mangio di gusto, dritti nel mio stomaco.
Continuo a spompinarlo anche mentre il cazzo si ammoscia, lo devo pulire tutto.
Lui si riallaccia i pantaloni, mi libera dalla cravatta e la getta nel cestino.
Mette mano al portafogli, prende una banconota da 5 euro, me la getta addosso e via, senza dire una parola, lasciandomi da sola, sporca in quel sudicio bagno.
Prima che chiuda la porta, lasciandomi dentro, gli urlo: “Signore, io sono vergine…”, ma neanche mi guarda e sparisce.
Rimango li per terra per almeno 10 minuti, cercando di realizzare che cazzo é appena successo.
Mi alzo, mi guardo allo specchio, sono un disastro, puzzo di sperma e piscio, ma non voglio che quel sogno finisca, sono troppo bagnata.
Dal cestino della spazzatura riprendo la sua cravatta e me la lego in testa, voglio ancora il suo odore.
Mi abbasso i pantaloni e le mutande, mi arrampico sul lavandino enorme di quel bagno, come per farmi il bidet. Faccio scorrere l’acqua tiepida, che dal fondoschiena mi arriva fino alla fichetta fradicia.
Voglio godere ancora, voglio venire cazzo. Mi infilo 3 dita senza neanche leccarle, sono lubrificata al massimo.
Inizio a scoparmi da sola, cacciando fuori la lingua a penzoloni, umiliandomi da sola. La bava cola sino al pavimento, sto impazzendo.
Urlo: “Signoreeeee, la prego torni qui, la imploroooooo, mi usi ancoraaa...”
Si ferma il mondo, tremo, sto venendo.
Scendo da lavandino e ritorno alla mia realtà.
Cerco un fazzolettino, controllo le mie tasche e proprio li, negli angoli nascosti del mio cappottino, trovo i soldi che avevo preso dal cestino in cucina e che in realtà non avevo mai dimenticato.
Caro diario, cosa sono diventata?
A domani.
Qualche settimana fa ho compiuto 18 anni e non ho mai avuto un ragazzo.
Mi sento cosí tremendamente insicura e introversa. Il mio fisico é quello che gli uomini grandi chiamano “petite”: sono bassissima, magrolina, capelli biondi fino alle spalle, una seconda di tette e piedini numero 34. Odio essere cosí minuta.
Anche se frequento l’ultimo anno del Liceo, molte persone vedendomi cosí timida e gracilina credono sia anche stupida, ma te lo giuro, non é cosí.
La mamma lavora sempre fino a tardi e i pomeriggi li passo spesso da sola. Ultimamente mi sento pervasa da un istinto animale, una specie di vibrazione che parte dalla mia vergine fichetta, passa per lo stomaco e arriva fino alla testa. Non riesco più a concentrarmi sullo studio, anche se la maturitá é vicina.
Sento di stare per esplodere, e forse non te lo dovrei dire, ma l’unico momento in cui credo di essere appagata e arrapata é quando qualche uomo mi mette in imbarazzo. Gli operai sotto casa che sghignazzano mentre gli passo davanti, il vecchio autista dell’autobus che mi fa l’occhiolino, il prof. di matematica che mi mette in ridicolo davanti alla classe.
Sono tutte situazioni che mi fanno pesantemente arrossire, ma la veritá è che a quegli uomini cosí arroganti e bastardi offrirei la mia verginità. Anzi, gli implorerei di prendersela, a modo loro. Non so se se riuscirò mai a dire queste cose ad alta voce, figuriamoci a farle capitare sul serio.
O almeno cosí credevo fino a qualche ora fa.
Questo pomeriggio ho ricevuto un messaggio dalla mamma, che mi chiedeva di poter andare a fare la spesa, mancavano poche cose e i soldi erano al solito posto, nel cesto in cucina. Il Conad non è molto lontano da casa, ci potrei andare anche con l’autobus, ma preferisco camminare con le cuffie e la musica nelle orecchie…
Verso le 18:00, quando ha iniziato a fare buio, esco di casa.
Appena entrata nel supermercato cerco di spegnere la musica dal cellulare e come mio solito, mi sono distratta. Inciampo per terra. Arrossisco per la vergogna, ma fortunatamente non mi ha vista nessuno, tranne un signore molto alto, pelato e con un pizzetto bianco, forse sui sessanti anni, che ridendo mi dice:
“Hey ragazzina, stai attenta, devi guardare dove cammini…”
Mi blocco per 5 secondi, non so cosa rispondergli. Vorrei urlargli contro che che non sono una stupida ragazzina, ma sto zitta.
Mi sento pesantemente osservata da lui.
Mi rialzo velocemente e nascondendomi il viso con i capelli, corro via tra gli scaffali.
D’istinto provo a girarmi indietro, e lui è ancora li, che mi guarda e sogghigna, con le sue enormi mani possenti, che spingono il carrello con veemenza.
Sono ancora un po’ agitata, ma devo concentrarmi sulla lista della spesa. Arrivo al reparto ortofrutta, mi fermo davanti alle zucchine. Devo prenderne tre o quattro, come ha detto mamma. Allungo la mano e ne prendo una per controllarla. E’ più grande delle altre, di un verde molto intenso. Non so perché, ma la forma mi fa sorridere senza volerlo. Guardo subito altrove, sperando di non essere troppo evidente e, di nuovo per colpa del mio essere impacciata, la zucchina cade per terra.
Mi inginocchio per raccoglierla, sento dei passi sempre più vicini.
Alzo leggermente lo sguardo dal pavimento e mi scontro con dei piedi enormi, forse un 45-46, avvolti da un paio di mocassini in pelle nera.
Dall’alto una voce bassa: “Quella mi sa che è un po’ grande per una come te.”
Alzo il mento, come per guardare il cielo.
E’ lo stesso Signore che mi ha vista cadere all’ingresso, sempre piú arrogante e bullo. Questa volta prendo coraggio e gli rispondo a tono: “non la devo mangiare da sola, ma con la mamma”.
Mi rialzo e sbatto la nuca con qualcosa di grosso e duro, il suo pacco. Realizzo quanto quel signore sia veramente altissimo rispetto a me.
Lui scoppia a ridere con il suo vocione da uomo maturo e mi inebria del suo odore di sudore misto a sigaretta.
Sento caldo, il viso bollente.
Lo guardo comunque con aria di sfida e corro verso la cassa.
Stranamente la cassa è libera. Saluto sottovoce il commesso e metto gli articoli nel rullo.
Il bip dei codici a barre mi riporta alla realtà: cazzo, ho dimenticato i soldi nel cesto in cucina.
Ho troppa paura e vergona per dire al commesso di fermarsi e annullare il conto, voglio fuggire via.
Penso subito a una soluzione e chiedo a quel commesso scorbutico di aspettare due minuti, perchè ho dimenticato qualcosa.
Corro verso il reparto ortofrutta; il signore pelato è sempre lí e, in quell’istante, lui può essere la mia unica salvezza.
Mi avvicino piano, e con voce flebile: “Scusi signore, non voglio disturbarLa, ho dimenticato i soldi a casa, e il commesso mi sta aspettando. Mi potrebbe prestare 10 euro? La prego…”
Senza muovere un muscolo della faccia, la sua risposta è stata diretta: "ci penso io, andiamo in cassa."
Arriviamo in cassa ed é lui stesso ad esordire con il commesso:
“Mi scusi per l’attesa. Faccia pure un unico conto…”
Sono mortificata. Quell’uomo che tanto mi pareva un bullo, mi ha aiutata, senza se e senza ma. E ripeto a me stessa, ancora una volta, di non giudicare mai un libro dalla copertina.
Facciamo la stessa strada fino all’uscita, quella che prendevo sempre.
Ma lui ritorna al suo essere arrogante: "per di qua si fa prima, seguimi ragazzina."
Io mi limito a rispondere “OK”.
Prendiamo l’uscita laterale, finendo in un piccolo corridoio chiuso, dove si accede al bagno dei disabili, ovviamente poco luminato.
Faccio per salutarlo, ringraziandolo infinitamente per il suo aiuto.
Lui non risponde subito, e da strafottente si accende una sigaretta vicino alla porta del bagno. La fiamma dell’accendino genera un riflesso sulla sua fede dorata di matrimonio.
Sento il cuore battere fortissimo e lui fiuta la mia insicurezza e se ne approfitta, dicendo:
“Lo sai che sei proprio un disastro, vero? Una ragazzina che non sa stare al mondo. Cade. Dimentica i soldi. E guarda caso finisce sempre nei guai.”
Sento il cuore in gola. Mi guardo attorno, non c’e nessuno nelle vicinanze.
“Non… non capisco cosa vuole dire.”
“Certo che capisci.” Fa un altro passo verso di me. “Tu ti fidi della gente sbagliata. Come di me, per esempio.”
Mi manca il fiato. “Mi scusi Signore…”
Lui butta la sigaretta a terra e la schiaccia con il tacco del mocassino. Faccio un passo indietro senza rendermene conto.
“Ti ho vista” dice. La sua voce non è più arrogante, è peggio. È calma. Troppo calma. “Quando sei inciampata. Quando sei arrossita. Quando hai fatto cadere quella zucchina. Ti agiti per niente. E le persone che si agitano attirano l’attenzione.”
Deglutisco, la gola completamente asciutta.
“Non… non mi stavo agitando.”
“Certo che sì.” Fa un passo nella mia direzione. Non mi tocca, ma basta la sua ombra per farmi irrigidire.
“E sai qual è la cosa strana?” continua. “Che non sei scappata subito. Potevi farlo. Ma sei rimasta qui.”
Abbasso gli occhi. “Non… non volevo essere maleducata.”
“Non sei rimasta per quello.”
Il mio stomaco si stringe. “Perché… allora?”
Lui si avvicina quel tanto che basta a parlare a bassa voce, quasi un soffio:
“Perché una parte di te vuole capire fino a che punto posso spingermi.”
Sento il cuore, le orecchie, tutto pulsare.
Lui si scosta appena, giusto un passo, come se volesse darmi un secondo per respirare.
“Ti faccio una domanda semplice e voglio che rispondi senza mentire.”
Il tempo si ferma per un istante.
“Vuoi scappare via… oppure vuoi vedere cosa succede se resti?”
Io abbasso lo sguardo, non rispondo.
“Vieni con me e non fiatare, cazzo,” mi dice.
Lo seguo, ormai non ho altra scelta. Non voglio avere nessun’altra scelta.
Entriamo dentro il bagno dei disabili, con dei neon accecanti. Mi pare un sogno. Lui che chiude a chiave la porta dietro di me, da un calcio alla tavoletta del WC facendola abbassare, ci si diede sopra, si slega la cravatta, si sbottona i primi due bottoni della camicia, si accarezza il pizzetto bianco.
“Che fai li impalata? Inginocchiati, stupida cagnetta, vediamo se almeno a succhiare cazzi vali qualcosa”.
La mia mente é paralizzata, il mio corpo no e obbedisce agli ordini di quel bastardo.
Sono inginocchiata per terra, sulla pipí di qualcuno. Lui mi lega la cravatta attorno al collo, come un guinzaglio, e tira forte. Mi strattona la testa e vado a sbattere contro il suo pacco enorme.
Lo sento pulsare da sotto i suoi pantaloni, “quella bestia vuole uscire dalla sua tana, e io la devo liberare” penso.
Lui mi fissa dritto negli occhi, mi deride e mi umilia con il solo pensiero.
Smetto di pensare, devo agire per la prima volta nella mia vita.
Con le mie piccole mani cerco di sbottonargli i pantaloni, ha dei boxer grigi un po’ umidi, sento un forte odore di cazzo maturo, misto a del piscio.
Muoio dal bisogno di limonare con il cazzone di quel signore, non so cosa mi sta succedendo, sento di aver vissuto tutta la mia vita solo per questo istante.
Gli abbasso i boxer e un cazzone turgido di 22 cm mi schiaffeggia la guancia destra. Sento alcune goccioline di presperma sulla mia guancia.
Lo afferro con entrambi le mani, lo annuso, respiro il suo odore, lo sputo, e inizio finalmente a succhiare quella cappella grossissima. Sono estasiata.
In sottofondo la sua voce da uomo arrogante:
“Bene bene, eri affamata eh? Brutta troia?”
Annuisco, senza levarmi di bocca quel meraviglioso cazzone peloso. Lo sputo più che posso, cerco di ficcarmelo da sola in gola, ma non riesco, mi viene da tossire. I conati.
Tengo il cazzone dritto con la mano destra, ma scivola. Con la sinistra accarezzo quello scroto enorme dalla pelle elastica. Lecco le palle giganti, ma voglio dare il meglio di me stessa, almeno per una volta. Cerco di ficcarmi in bocca entrambe le palle, ma sono troppo grandi. Succhio una palla per volta, mentre cerco di segarlo, con tutta la saliva che dal cazzone mi cola in faccia.
“Dai cazzo, datti da fare stupida cagna” mi dice lui, prendendosi il cazzone in mano e ficcandomelo in forza a gola, tenendomi la bocca spalancata con due dita.
“Dimmi che ti piace, dai, ammettilo cazzo.”
Annuisco, ma non è abbastanza. Adesso sento il cazzone giu fino alle tonsille, é grossissimo, e’ buonissimo…cerco di parlare con quel mostro in gola, ma non si capisce quello che dico e lui ride, ride ancora.
Sono bagnatissima, soprattutto mentalmente, voglio essere usata da quel signore pelato.
Lui ha fretta, vuole solo usarmi e gettarmi via. Lo accetto e lo supplico di farlo, ma non capisce ciò che dico.
Si alza in piedi, mi trascina con la cravatta al guinzaglio al centro del bagno, mi prende dalle orecchie, facendo leva, e si masturba con la mia testa.
Sento che i suoi muscoli si stanno contorcendo, rimango con la bocca spalancata, non voglio farlo arrabbiare.
Sento che bestemmia.
Continua a insultarmi, chiudo gli occhi e finalmente la sento.
La sua enorme sborrata dentro la mia gola, gustosa, cremosa, caldissima. Il mio premio per essere stata obbediente.
Rimango in ginocchio a fissarlo dal basso, 4 schizzi di sperma matura che mangio di gusto, dritti nel mio stomaco.
Continuo a spompinarlo anche mentre il cazzo si ammoscia, lo devo pulire tutto.
Lui si riallaccia i pantaloni, mi libera dalla cravatta e la getta nel cestino.
Mette mano al portafogli, prende una banconota da 5 euro, me la getta addosso e via, senza dire una parola, lasciandomi da sola, sporca in quel sudicio bagno.
Prima che chiuda la porta, lasciandomi dentro, gli urlo: “Signore, io sono vergine…”, ma neanche mi guarda e sparisce.
Rimango li per terra per almeno 10 minuti, cercando di realizzare che cazzo é appena successo.
Mi alzo, mi guardo allo specchio, sono un disastro, puzzo di sperma e piscio, ma non voglio che quel sogno finisca, sono troppo bagnata.
Dal cestino della spazzatura riprendo la sua cravatta e me la lego in testa, voglio ancora il suo odore.
Mi abbasso i pantaloni e le mutande, mi arrampico sul lavandino enorme di quel bagno, come per farmi il bidet. Faccio scorrere l’acqua tiepida, che dal fondoschiena mi arriva fino alla fichetta fradicia.
Voglio godere ancora, voglio venire cazzo. Mi infilo 3 dita senza neanche leccarle, sono lubrificata al massimo.
Inizio a scoparmi da sola, cacciando fuori la lingua a penzoloni, umiliandomi da sola. La bava cola sino al pavimento, sto impazzendo.
Urlo: “Signoreeeee, la prego torni qui, la imploroooooo, mi usi ancoraaa...”
Si ferma il mondo, tremo, sto venendo.
Scendo da lavandino e ritorno alla mia realtà.
Cerco un fazzolettino, controllo le mie tasche e proprio li, negli angoli nascosti del mio cappottino, trovo i soldi che avevo preso dal cestino in cucina e che in realtà non avevo mai dimenticato.
Caro diario, cosa sono diventata?
A domani.
1
3
voti
voti
valutazione
6.5
6.5
Commenti dei lettori al racconto erotico