La bambina cattiva

di
genere
sadomaso

Avevo tre anni quando mamma si sposò con Gianni, un cinquantenne rozzo e ignorante con una grande casa isolata in periferia,sopra il suo magazzino. Mamma non era bella ma era sulla trentina e per lui ancora appetibile; io, bambina Senza padre, facevo parte del pacchetto o forse, ero proprio il "pacchetto". Ero sottilissima, con i capelli biondi e gli occhi verdi chiarissimi, tutti dicevano che ero una bambolina. Gianni e mamma ebbero altri tre figli, tutti e tre maschi, uno dietro l'altro, uno più brutto dell'altro. Da quanto mi hanno raccontato, lui iniziò a picchiarmi già da subito: il primo ricordo è che non poterono mandarmi all'asilo perché i segni erano troppo vistosi e non giustificabili con l'ennesima caduta, era l"estate dei miei tre anni, quasi quattro. Col passare degli anni, imparai a vergognarmi dei segni e ad essere molto attenta che nessuno li vedesse. Una volta, avevo sette anni, durante la mia supervisione, mio fratello Sergio cadde e sbattè la fronte su una trave giù in magazzino, sanguinando. Alle 19:00, Gianni mi portò giù e mi legò le braccia al lampadario,mi alzò e divaricò le gambe, più simili a una bimba di 4 anni che a una di sette e mi frustò con il salice l'interno cosce e la vulva. Svenni più volte, risvegliata sempre dal cucchiaio di legno, quello grosso, sui piedi. Il giorno dopo, mi frustò le piante dei piedi col bambù e poi iniziò a pizzicare la vulva martoriata il giorno precedente e terminò la sessione con un morso sulle grandi labbra che grondavano sangue. Il terzo giorno venne giù mamma, che più di ogni altra cosa, teneva di dover di nuovo vivere di stenti Senza una casa e voleva tenersi Gianni ben stretto. "E faglielo, va bene, gli disse dopo avermi guardata senza batter ciglio". "Faglielo cosa"? Pensai. E mentre pensavo, il suo grosso membro mi squarciava la vulva Senza misericordia. Da quel giorno in poi, mi penetrava regolarmente, senza curarsi di mettermi un po' di crema o anche solo dell'acqua e se per un periodo le botte diminuirono, al raggiungimento della pubertà divennero terribili. Gli era stato regalato un nervo di bue che teneva nel lavandino giù in magazzino dentro l'acqua salata e mi faceva sanguinare le cosce continuamente. Avevo diciotto anni e mezzo quando, dopo una sessione in magazzino di settimane, dove mi bucò la vulva con una spilla in modo più energico del solito e mi colpì con la fibbia della cintura vicino a un occhio, scappai. Cambiai regione e iniziai a lavorare prima in un bar poi a fare le stagioni nelle pensioni: d'estate sulla riviera romagnola, d'inverno in Trentino. Ebbi qualche flirt ma non provavo mai quelle sensazioni forti che provavo durante le sessioni con Gianni. Ciononostante, riprovai di nuovo, andando anche da una sessuologa che mi faceva fare esercizi di rilassamento. Arrivò il COVID e persi il lavoro e con esso, l'alloggio. Tramite facebook, trovai un signore che offriva vitto e alloggio in cambio di 4 ore di aiuto in campagna. "Non preoccuparti, sono lavori leggeri", mi disse. Quando arrivai, al posto dell'elegante B&B trovai un casolare in mezzo al nulla. "Non ti preoccupare, che ora arriviamo in paese" mi diceva durante il tragitto dalla fermata del pullman dove era venuto a prendermi. In realtà, la frazione abitata più vicina, era a quaranta kilometri. Mi ritrovai a lavorare come una schiava in cambio di un vitto insufficiente e di un letto fatto con le coperte messe per terra. "C'è il mio, se vuoi", mi diceva sempre, "se ti immaginavo così schizzinosa, non ti avrei fatto venire". Una sera, mentre entravo nella rimessa con una bacinella colma d'uva, inciampai e feci cadere tutta l'uva rossa e sopra precipitai io. Lui mi venne vicino, tremavo. Mi sciolse i lunghi capelli biondi, che tenevo sempre legati e tenendoli come un fascio di sterpaglie, mi trascinò vicino al vecchio lavatoio, dove mi diceva sempre, aveva preso talmente tante frustate da suo padre e suo nonno, da non poterle nemmeno contare. Io non parlavo mai del mio passato. Lui però aveva capito da alcuni segni lasciatimi da Gianni che aveva intravisto una volta che il vestito era stato bagnato dalla pioggia. Al lavatoio mi legò le braccia a un palo e le caviglie, divaricate a due ganci. Spogliandoli, vide gli altri segni.
"Lo sapevo che eri una bambina cattiva, l'ho capito subito dalla tua bocca linguacciuta", mi disse e mi frustò con un nervo molto più lungo di quello di Gianni, con molti più nodi. Quando mi prese la vulva per farmi male, ero completamente bagnata. E piena di vergogna. E di rabbia insieme. Mi tirò fortissimo le labbra, poi mi penetrò con un dito accorgendosi che ero profonda e si innervosì come non mai, dandomi della troietta. Mi slegò e penetrò fino alla base dell'asta, tirandomi i capezzoli e schiaffeggiando mi con tutta la forza che aveva. Il giorno dopo tentativi di scappare ma mi riprese. Al terzo tentativo di fuga, la mattina dopo trovai in casa una coppia di vecchi suoi amici. "Cerchiamo una domestica, non importa se da domare". Lui mi fece spogliare e loro esaminarono i miei segni, che sarebbe più corretto chiamare ferite. Lei ispezionò, con le dita nodose, la vulva, e il marito la incoraggiò a testarmi, così mi mise dentro due dita a secco, con le unghie lunghe e dure da vecchia, ferendomi e facendomi urlare. Finirono di accordarsi e mi portarono a casa loro. Lui era impotente ma gli piaceva guardare, lei una vecchia lesbica dominatrice. Per punirmi, usava rami di salice e due tubi di gomma: uno molto sottile e uno più grosso, non c'era però sessione che non culminasse con un mio orgasmo. Sapeva non solo eccitarmi con i colpi ma anche portarmi al piacere attraverso la stimolazione. Usava qualsiasi cosa: le mani, la lingua, l'imbocco del tubo con il quale mi aveva appena martoriato le carni, la sua vulva secca e avizzita, cetrioli acerbi, mandarini ancora verdi.
Imparai a conoscere la mia sessualità e le reazioni del mio corpo e a vivere l'intimità senza più rabbia per quello che mi era stato fatto da bambina. Dai 23 ai 27 anni, mi sono prostituita come slave nei bordelli in Svizzera, mettendo sempre dei limiti ben precisi e il giorno del mio ventottesimo compleanno, ho sposato un ingegnere di Lugano che ne aveva 68, un vecchio sadico stanco di turismo sessuale. Conduciamo una vita molto agiata, viaggiamo, ci concediamo frequenti cene nei ristoranti stellati, posso fare shopping a Montecarlo con la sua visa Platinum. Ho studiato il francese e il tedesco e ora parlo entrambi fluentemente. Soffro sempre i primi venti colpi di frusta, soprattutto il gatto a nove code, il suo preferito. Ma dopo mi tocca bene e il dolore si scioglie e trionfa in orgasmi incredibili. A volte perde al casinò e Sempre, chi vince, gli dice che, al posto dei soldi, può dare in uso me. Per una notte, una settimana o un mese, a seconda della perdita da ripagare. Ma questa è un'altra storia.
Francesca
scritto il
2025-11-16
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