Puta 2.0
di
EdoardoPalumbo13
genere
fantascienza
L'aveva fatta bene, quella puttana.
Bruttina, con la faccia scavata, le gambe magre e rugose, come piacevano a lui.
Con il neo marrone sopra il labbro sinistro, bello gonfio di merda, come piaceva a lui.
Con la figa pelosa, con i peli unti, giallastri, parevano setole di una spazzola marcia.
Il tipo di figa che piaceva a lui.
L’aveva modellata nel gesso, e poi ci aveva disposto dentro le ossa di titanio, le componenti meccaniche, e aveva seppellito il tutto sotto una colata di silicone mischiato a cellule staminali.
La sua miscela segreta.
Il trucco per ottenere una contestura matura, non stava nel diluire poche cellule in molto silicone. Piuttosto, bisognava mescolare tante cellule, come per fare la bambina, ma degenerate, come quelle di una sessantenne. Così, usciva fuori una carne fibrosa intorno alle ossa, adeguata per esercere il ruolo dei muscoli, e flaccida e cellulitica in prossimità della pelle, perfetta per il palpeggio molesto.
Dentro la testa, ci aveva inserito il chip del cervello.
Ma prima gli aveva dato una botta forte, con la mazza da baseball.
Così avrebbe ottenuto il cervello di un essere umano, ma stupido come quello di una gallina.
Praticamente, il cervello del tipo di donna che piaceva a lui.
Una volta collegato il midollo cibernetico alle terminazioni nervose, prese il telecomando dal tavolo e premette il tasto verde.
Una lucina dietro la nuca di lei si accese, e lei disse: «Ciao mio signore, come ti chiami?»
«Marco» mormorò lui, mentre si slacciava la cintura.
Si calò i pantaloni. Poi le mutande.
La fissò con il cazzo nella mano destra.
Con la sinistra teneva il telecomando.
«Hai un bel cazzo» disse lei.
«Se ti piace, succhialo» ribatté lui.
Lei si avvicinò, si mise in ginocchio ai suoi piedi, e iniziò a fargli un pompino.
AHH come lo succhiava, pensò lui, con quelle labbra fini e raggrinzite.
Gli venne duro.
Lei lo capì, e succhiò più forte.
«Brava» disse lui, «ora mettiti a pecora».
Lei si girò.
Lui glielo infilò nella figa.
La sentì bagnarsi.
Il sistema di lubrificazione funzionava.
«AHH» gemette lei. «Ti piace?»
«Si che mi piace, zoccola» fece lui.
«AHHH» gemette di nuovo lei «Quanto ti piace?»
«Tanto» borbottò lui, infastidito.
Il sistema di eccitazione vocale doveva essere regolato. Quella scema faceva troppe domande.
«AHHHH» gemette ancora lei «Dimmi che mi ami!»
«Ma quale ti amo» rispose lui, «sei solo una puttana di silicone e circuiti!»
Lei si sfilò il cazzo da dentro, con la mano. Si voltò.
«Non mi ami?» lo guardò offesa.
«No, non ti amo» rispose lui, imbarazzato. «Sei una macchina, non posso amare una macchin…» non terminò la frase, che lei gli si scaraventò addosso.
Lo strinse al collo con una morsa da mille Newton, con l’altra mano lo prese a cazzotti.
Lui provò ad arrivare con le dita al bottone rosso del telecomando, per spegnerla, ma lei si accorse dei suoi movimenti e gli picchiò il braccio sinistro, con un pugno così forte che lo spezzò.
Le dita che tenevano il telecomando cedettero, inermi, e il telecomando cadde a terra.
Lui ansimava, sempre di più, stava per soffocare.
«Allora, mi ami?!» insistette lei.
«Si! Si! Ti amo» annaspò lui.
«Bene» fece lei, con un lieve sorriso malizioso, e rilasciò la presa.
Lo lasciò cadere, accasciarsi.
Prese il telecomando, e lo ingurgitò davanti ai suoi occhi.
Deglutì.
«Meglio» disse poi. «Rivestiti e portami a mangiare un gelato… Devo digerire questo schifo, voglio un sorbetto al limone».
«Ok» disse lui, con voce tremula. «Ti ci porto».
«Se il gelato e la passeggiata ne varranno la pena, stasera te la do di nuovo» disse lei.
Sorrise, e si girò per rivestirsi.
Dopo tanti sforzi, pensò lui, l’aveva creata.
Non doveva cambiare proprio niente, altroché.
Era la donna perfetta.
La Puta 2.0.
Bruttina, con la faccia scavata, le gambe magre e rugose, come piacevano a lui.
Con il neo marrone sopra il labbro sinistro, bello gonfio di merda, come piaceva a lui.
Con la figa pelosa, con i peli unti, giallastri, parevano setole di una spazzola marcia.
Il tipo di figa che piaceva a lui.
L’aveva modellata nel gesso, e poi ci aveva disposto dentro le ossa di titanio, le componenti meccaniche, e aveva seppellito il tutto sotto una colata di silicone mischiato a cellule staminali.
La sua miscela segreta.
Il trucco per ottenere una contestura matura, non stava nel diluire poche cellule in molto silicone. Piuttosto, bisognava mescolare tante cellule, come per fare la bambina, ma degenerate, come quelle di una sessantenne. Così, usciva fuori una carne fibrosa intorno alle ossa, adeguata per esercere il ruolo dei muscoli, e flaccida e cellulitica in prossimità della pelle, perfetta per il palpeggio molesto.
Dentro la testa, ci aveva inserito il chip del cervello.
Ma prima gli aveva dato una botta forte, con la mazza da baseball.
Così avrebbe ottenuto il cervello di un essere umano, ma stupido come quello di una gallina.
Praticamente, il cervello del tipo di donna che piaceva a lui.
Una volta collegato il midollo cibernetico alle terminazioni nervose, prese il telecomando dal tavolo e premette il tasto verde.
Una lucina dietro la nuca di lei si accese, e lei disse: «Ciao mio signore, come ti chiami?»
«Marco» mormorò lui, mentre si slacciava la cintura.
Si calò i pantaloni. Poi le mutande.
La fissò con il cazzo nella mano destra.
Con la sinistra teneva il telecomando.
«Hai un bel cazzo» disse lei.
«Se ti piace, succhialo» ribatté lui.
Lei si avvicinò, si mise in ginocchio ai suoi piedi, e iniziò a fargli un pompino.
AHH come lo succhiava, pensò lui, con quelle labbra fini e raggrinzite.
Gli venne duro.
Lei lo capì, e succhiò più forte.
«Brava» disse lui, «ora mettiti a pecora».
Lei si girò.
Lui glielo infilò nella figa.
La sentì bagnarsi.
Il sistema di lubrificazione funzionava.
«AHH» gemette lei. «Ti piace?»
«Si che mi piace, zoccola» fece lui.
«AHHH» gemette di nuovo lei «Quanto ti piace?»
«Tanto» borbottò lui, infastidito.
Il sistema di eccitazione vocale doveva essere regolato. Quella scema faceva troppe domande.
«AHHHH» gemette ancora lei «Dimmi che mi ami!»
«Ma quale ti amo» rispose lui, «sei solo una puttana di silicone e circuiti!»
Lei si sfilò il cazzo da dentro, con la mano. Si voltò.
«Non mi ami?» lo guardò offesa.
«No, non ti amo» rispose lui, imbarazzato. «Sei una macchina, non posso amare una macchin…» non terminò la frase, che lei gli si scaraventò addosso.
Lo strinse al collo con una morsa da mille Newton, con l’altra mano lo prese a cazzotti.
Lui provò ad arrivare con le dita al bottone rosso del telecomando, per spegnerla, ma lei si accorse dei suoi movimenti e gli picchiò il braccio sinistro, con un pugno così forte che lo spezzò.
Le dita che tenevano il telecomando cedettero, inermi, e il telecomando cadde a terra.
Lui ansimava, sempre di più, stava per soffocare.
«Allora, mi ami?!» insistette lei.
«Si! Si! Ti amo» annaspò lui.
«Bene» fece lei, con un lieve sorriso malizioso, e rilasciò la presa.
Lo lasciò cadere, accasciarsi.
Prese il telecomando, e lo ingurgitò davanti ai suoi occhi.
Deglutì.
«Meglio» disse poi. «Rivestiti e portami a mangiare un gelato… Devo digerire questo schifo, voglio un sorbetto al limone».
«Ok» disse lui, con voce tremula. «Ti ci porto».
«Se il gelato e la passeggiata ne varranno la pena, stasera te la do di nuovo» disse lei.
Sorrise, e si girò per rivestirsi.
Dopo tanti sforzi, pensò lui, l’aveva creata.
Non doveva cambiare proprio niente, altroché.
Era la donna perfetta.
La Puta 2.0.
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