Ombre di desiderio

di
genere
corna

Eravamo sposati da oltre quindici anni, io e Laura, entrambi vicini ai cinquanta: io quarantotto, con qualche ciocca grigia che mi dava un’aria vissuta, il fisico ancora scolpito dalle corse quotidiane; lei, quarantasei, una donna minuta ma perfetta, alta appena un metro e sessanta, con un corpo ben proporzionato che toglieva il fiato. Aveva tette piccole ma sode, capezzoli sempre turgidi che spuntavano sotto i vestiti aderenti, e un culo tondo e alto che sembrava scolpito, un invito costante a toccarlo. La sua pelle chiara era liscia come seta, i capelli biondi corti e mossi le incorniciavano il viso delicato, con occhi azzurri che brillavano di malizia e labbra sottili ma sensuali, sempre dipinte di rosso. La nostra vita sessuale era ancora viva, ma la routine ci stava soffocando, così decidemmo di provare qualcosa di estremo: un gioco trasgressivo in un locale notturno. Entrare separati, io a guardare da lontano mentre lei attirava un altro uomo. “Facciamo qualcosa di sporco, amore,” le dissi, e lei mi strizzò l’occhio, il suo sorriso che mi fece indurire il cazzo all’istante.
Arrivammo al locale, un posto elegante con luci soffuse e una musica che pulsava come un battito cardiaco. Laura entrò per prima, avvolta in un abitino nero aderente che le fasciava le curve, corto abbastanza da mostrare le cosce sode e le calze autoreggenti che le slanciavano le gambe. I tacchi alti la rendevano ancora più sexy, il culo che ondeggiava a ogni passo. Io aspettai qualche minuto, poi mi sistemai in fondo alla sala, al bancone, con un whiskey doppio per calmare il cuore che mi martellava nel petto. La vedevo chiaramente: seduta su uno sgabello, le gambe accavallate. Il mio cazzo si gonfiò nei pantaloni, un misto di gelosia e desiderio che mi faceva tremare le mani.
Dopo una ventina di minuti, mentre sorseggiava un cocktail con aria disinvolta, arrivò lui: un tipo sulla quarantina, un po’ più giovane di noi, ma con un’eleganza matura. Alto, spalle larghe, capelli scuri e un completo blu scuro che gli dava un’aria da uomo di potere. Occhi verdi penetranti, mascella definita, un sorriso che trasudava sicurezza. Si avvicinò a Laura, appoggiandosi al bancone, e le disse qualcosa che non sentii, ma dal modo in cui lei inclinò la testa e sorrise, capii che era un’offerta di drink. Lei annuì, ridendo piano, e iniziarono a chiacchierare. Non potevo sentire le loro parole, ma vedevo i loro corpi parlare: lui che le sfiorava il braccio, lei che gli posava una mano sulla coscia, ridendo a qualcosa che le aveva detto, le labbra che si muovevano sensuali. Io sentivo la gelosia bruciarmi lo stomaco, ma il cazzo mi pulsava contro la zip, eccitato da quella danza di seduzione.
Il telefono vibrò: “È sexy, vero? Mi sta raccontando qualcosa, non so bene cosa. Tu che fai lì dietro?” Scrissi subito: “Sto morendo dal desiderio di vederti all’opera. Fammi vedere quanto sei troia.” Lei lesse e mi lanciò un’occhiata complice, poi si avvicinò ancora di più a lui, la mano che ora gli accarezzava la gamba con più audacia. Dopo due drink, l’atmosfera si fece rovente: lui si chinò verso di lei, sussurrandole qualcosa all’orecchio, e lei arrossì, mordendosi il labbro inferiore. Non sentii cosa disse, ma il modo in cui lei annuì, con un sorriso malizioso, mi fece colare pre-sborra nei boxer. Si alzarono, lui con una mano possessiva sul suo culo perfetto, e uscirono dal locale. Io pagai in fretta e li seguii, il cuore che mi esplodeva nel petto, eccitato ma anche spaventato. Cazzo, cosa avrebbero fatto? E se fosse andato troppo in là? Il mio cazzo era duro come roccia, ma l’ansia mi stringeva la gola: era il nostro gioco, ma vedere la mia Laura con un altro mi faceva sentire vulnerabile e arrapato allo stesso tempo.
Nel parcheggio buio, illuminato solo da qualche lampione fioco, si diressero verso un angolo isolato, tra le auto. Laura mi cercò con lo sguardo, un lampo di complicità che mi fece quasi venire nei pantaloni, poi si voltò verso di lui. Lo spinse contro il muro, baciandolo con una foga che non le vedevo da anni, le loro lingue intrecciate in un bacio bagnato e profondo. Io mi nascosi dietro un’auto, a pochi metri, il respiro corto, osservando ogni dettaglio: le mani di lui che le palpavano il culo, sollevandole appena l’abito e mostrando le mutandine fradice. Lei gemette, un suono che mi colpì dritto al cazzo, facendomi colare altra pre-sborra. Poi, con dita sicure, gli slacciò la cintura, abbassò la zip e tirò fuori il suo cazzo: era esagerato, lungo e spesso, con una cappella enorme e lucida, pulsante di desiderio. Laura lo afferrò con la mano piccola ma decisa, segandolo piano, su e giù, torcendo il polso per farlo gemere. Non sentii cosa disse, ma dalle sue labbra lessi un “cazzo” e immaginai fosse un commento su quanto fosse grosso, la voce roca di desiderio mentre accelerava, il pollice che sfregava la cappella gocciolante.
Lui ansimava, le mani sui suoi fianchi, e dopo un po’ decise di prendere il controllo: la girò di scatto, spingendola contro il muro freddo. Le sollevò l’abito, esponendo quel culo perfetto, e le abbassò le mutandine, rivelando la sua figa bagnata e rosa, che luccicava sotto la luce fioca. Da dove ero nascosto, vedevo solo la schiena di lui che la copriva, il suo corpo che premeva contro di lei, i fianchi che spingevano piano in un movimento ritmico. Cazzo, lo immaginai subito: la sua cappella grossa che sfregava contro l’ingresso della sua figa, o forse la stava proprio scopando, il suo cazzo durissimo che la penetrava lenta e profonda. Il cuore mi scoppiava nel petto, un mix di gelosia, paura e arousal così intenso che mi tremavano le gambe e quasi venni nei pantaloni solo a pensarlo. Non potevo vedere bene, l’angolazione mi nascondeva i dettagli, ma il modo in cui lei inarcava la schiena, spingendo il culo contro di lui, mi faceva pensare al peggio – o al meglio, a seconda di come la vedevo. L’idea che la stesse scopando lì, davanti a me, mi terrorizzava e mi eccitava da morire, il cazzo che pulsava dolorosamente nei pantaloni. Ma poi Laura si defilò con un movimento fluido, ridendo piano, girandosi di nuovo verso di lui e riprendendo a segarlo con foga. Non sentii cosa disse, ma dal labiale colsi un “piano” e immaginai fosse un invito a rallentare, la mano che pompava veloce, l’altra che gli strizzava le palle gonfie. Lui gemette, frustrato ma eccitato, e lei lo portò al limite: schizzi densi di sborra calda le inondarono le dita, colando sul polso e gocciolando a terra, bianchi e appiccicosi. Lei lo spremette fino all’ultima goccia, poi si pulì con un fazzoletto, gli diede un bacio veloce e lo salutò con un sorriso.

Corse verso di me, gli occhi accesi di lussuria, e mi trascinò in macchina. Guidai a casa come un pazzo, il cazzo che mi faceva male da quanto era duro. Appena entrati, la sbattei contro il muro, strappandole l’abito e le mutandine inzuppate. “Cazzo, Laura, ti ha scopata lì contro il muro? Ho visto come spingeva,” ringhiai, affondando tre dita nella sua figa fradicia, sentendola pulsare e stringermi, i succhi che colavano sulle mie dita. Lei gemette, annuendo con un sorriso porco, afferrandomi il cazzo e segandolo con forza. “Quasi, amore, mi ha infilato solo la grossa cappella, cazzo, era fantastico, volevo che andasse avanti, stavo cedendo, ma ho preferito desistere” disse, la voce roca, gli occhi che brillavano di lussuria. La girai, spingendola contro il muro come aveva fatto lui, e affondai il mio cazzo nella sua figa scivolosa, scopandola con colpi violenti, il culo che sbatteva contro di me, sodo e perfetto. “Ti è piaciuto segare quel cazzo enorme? Sentire la sborra calda sulle mani?” le chiesi, pizzicandole i capezzoli duri e palpandole le tette, i suoi gemiti che mi mandavano in estasi. “Cazzo sì, era così grosso, venoso, mi ha bagnata da morire, ma volevo solo il tuo cazzo, amore… riempimi la figa, dai,” ansimò, inarcando la schiena per prendermi più a fondo. La scopavo con rabbia, sentendo le sue pareti stringermi come una morsa, il calore della sua figa che mi faceva impazzire. “Ti è piaciuto sentire la sua grossa cappella? Ti piaceva sentirti aperta così?” le ringhiai, spingendo più forte, il cazzo che scivolava dentro di lei, i nostri corpi che sbattevano in un ritmo animalesco. “Cazzo, sì, amore, mi stava aprendo in due solo con quella cappella enorme, era così dura, mi faceva impazzire,” gemette, le unghie che mi graffiavano la schiena. “Vorresti che fosse qui adesso, a spalancarti la figa con quel cazzo?” le chiesi, la gelosia che mi bruciava ma l’eccitazione che mi mandava fuori di testa, il cazzo che pulsava dentro di lei. “mi ha lasciato il suo numero” ansimò, la voce spezzata dal piacere, la figa che si contraeva attorno al mio cazzo. Quelle parole mi fecero esplodere: non resistetti più, il pensiero di lei con quel numero in tasca, la sua figa aperta da quella cappella, mi mandò oltre il limite. Le allagai la figa di sborra calda, un’ondata potente che mi fece tremare, riempiendola fino a farla colare lungo le sue cosce.
scritto il
2025-09-11
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