Carcere Sperimentele CS-1
di
Rosanna
genere
sadomaso
CS-1 – Relazione finale della direttrice.
Milano, 18 ottobre 2126.
Mi chiamo Maria Caterina Ruggero, ho 42 anni ed una laurea in giurisprudenza; sono stata
selezionata nell’ottobre 2116, per dirigere il CS-1, primo carcere sperimentale per soggetti
maschili, colpevoli di reati di natura sessuale (stupri, molestie, pedofilia, ecc.).
Il mio incarico decennale è giunto a scadenza, scrivo quindi queste memorie a beneficio di chi mi
sostituirà; io avrò il compito di avviare il CS-2.
La struttura nacque nel 2114, ma richiese circa due anni per essere studiata e organizzata.
Con una capienza di 100 posti in celle singole, attrezzate ed isolate acusticamente, era prevista
la presenza di 10 guardie carcerarie, più una direttrice e una vice-direttrice.
Si introduceva un nuovo modello di detenzione, reso possibile da due ricercatrici italiane, che nel
2111 inventarono un microchip chiamato “CF”, dai loro cognomi (Carboni e Franceschetti).
Si trattava di un’ingegnera elettronica e di una neurologa, che generando un segnale impulsivo ben
calibrato, erano riuscite a bloccare i centri nervosi responsabili dell’orgasmo maschile.
Il circuito viene impiantato alla base del cranio, in corrispondenza del midollo spinale, con un
piccolo intervento della durata di mezz’ora, poi si autoalimenta con il calore del corpo umano.
La Corte Penale, che in questi casi è tutta femminile, stabilisce la durata della detenzione, che
può andare da 6 mesi a 8 anni, più eventuali prolungamenti punitivi fino a tre mesi per volta,
decisi dalla direttrice del carcere, sulla base di eventuali gesti di negligenza, insubordinazione
o ribellione durante la detenzione.
Tutti i condannati sono caratterizzati da un incontrollabile desiderio sessuale, principale motivo
per cui hanno commesso i loro reati. Il microchip non riduce tale desiderio, impedisce solo il
raggiungimento dell’orgasmo.
In realtà, l’eccitazione sessuale del maschio tende ad aumentare progressivamente, proprio perché
non ha modo di scaricarla.
La struttura è nata sull’idea della “sanzione riparatrice”, secondo cui il condannato non deve più
espiare la pena con un semplice periodo di prigionia, ma ripagando la società dai danni prodotti
con le sue azioni, in quello che potremmo definire “un risarcimento”.
Nel nostro caso è proprio la condizione del prigioniero, con le sue inclinazioni sessuali così
accentuate, a fornire un efficacissimo metodo di pena.
Ci sono infatti moltissime donne sessualmente insoddisfatte, perché considerate poco attraenti...
diciamo pure brutte, secondo gli attuali canoni di estetica femminile: a causa dell’età,
dell’obesità, della cellulite, delle rughe, ecc. ecc., hanno grosse difficoltà nel trovare un uomo
con cui fare sesso; anche quando lo trovano, sono costrette ad impegnarsi con vari giochini
erotici; per loro non è sufficiente spogliarsi, per suscitare in lui un interesse erotico.
Quasi sempre, trovano sollievo rifugiandosi nella masturbazione; anche loro sono di carne ed ossa
ed hanno le stesse esigenze di tutti.
Il CS-1 si rivolge principalmente a queste donne sfortunate, che iscrivendosi a registro come A.V.
(Ausiliarie Volontarie) possono avere libero accesso alla struttura, con decine di uomini
completamente sottomessi e con i cazzi costantemente durissimi, sempre a loro disposizione per
qualunque attività... ricreativa, diciamo così.
Ci sono alcune norme igieniche da rispettare, ma richiedono pochi minuti.
Prima di entrare, ogni ausiliaria deve sedersi sul robo-bidet, un macchinario automatico a
controllo digitale, che pulisce e depila accuratamente le parti intime, in un trattamento cosmetico
completo
della durata massima di 6 minuti.
Il risultato è eccellente su entrambi gli orifizi, sulle zone pubiche e su quelle inguinali; i
prodotti adottati, grazie alle più recenti tecnologie chimiche, ammorbidiscono la pelle e le danno
una piacevole lucentezza. Le fighe sembrano quasi di porcellana, diventando desiderabili per
qualsiasi uomo... e chissà?... forse anche per alcune donne.
Il trattamento, oltre che rapido, è piacevole e stimolante, ma soprattutto gratuito.
Una depilazione cosmetica completa, in un centro estetico privato, sarebbe piuttosto costosa; da
noi, il robo-bidet spalma una lozione ad efficacia crescente: i bulbi piliferi vengono
progressivamente inibiti, tanto che dopo 4-5 applicazioni l’effetto diventa definitivo.
Un trattamento analogo viene eseguito anche sui prigionieri; inoltre, questi sono sottoposti ad un
particolare regime alimentare: ingeriscono solo liquidi, arricchiti con sostanze proteiche e
caloriche, opportunamente calibrate secondo le necessità di ogni soggetto.
In questo modo, il maschio è tenuto sempre in piena forma, con un fisico asciutto senza pancia o
altri accumuli di grasso; ma soprattutto, gli è impedito di defecare, mantenendo l’intestino sempre
libero e pulito, per eventuali attività erotiche decise dall’ausiliaria.
Anche l’attività fisica non manca; la muscolatura del soggetto viene fortemente sollecitata,
restando in tensione parecchie ore al giorno, per motivi che vedremo più avanti.
Il regolamento consente di iscrivere fino a 1000 ausiliarie, 10 per ogni detenuto; pensavamo che il
numero fosse alto, invece il limite venne raggiunto in pochi giorni dall’apertura delle iscrizioni.
Nei primi tempi, i detenuti erano più che sufficienti per tutte le ausiliarie. Con una
disponibilità di 10 ore al giorno per ogni soggetto, poi portate a 12, il programma giornaliero
offriva spazi liberi anche per noi del personale, che sul lavoro potevamo anche divertirci un po’.
Le volontarie, in quel primo periodo, si limitavano a cavalcare i cazzi in una normalissima
attività penetrativa; al massimo aggiungevano qualche carezza o sbaciucchiamento, per aumentarne
ulteriormente l’eccitazione, ma era difficile che si fermassero nella cella per più di mezz’ora,
comprese le operazioni finali di pulizia del maschio, a beneficio del turno successivo.
Le cose cambiarono presto, nel giro di poche settimane...
L’evoluzione era stata prevista, anche se ci aspettavamo tempi più lunghi. Ogni cella è infatti
dotata di varie attrezzature, allo scopo di liberare gli istinti latenti della volontaria,
consentendole di esprimere anche desideri particolari, perversi ed inconfessabili.
Dopo aver ottenuto un’attività sessuale regolare ed appagante, nelle modalità tradizionali, molte
delle ausiliarie cominciarono a desiderare sempre di più, orientandosi verso differenti forme di
dominazione, sottomissione e sadismo.
Farò alcuni esempi, in cui descriverò anche gli attrezzi disponibili; ma prima vi parlo del
“dissuasore”, l’arma in dotazione alle guardie per garantire il controllo assoluto sui maschi,
nonché la loto completa ubbidienza.
Il microchip CF dispone di alcune funzioni accessorie, comandate da segnali infrarossi, per
produrre alcuni effetti molto utili nella gestione dei prigionieri.
Tra queste, ad esempio, c’è la disattivazione del circuito a conclusione della pena.
Questa funzione evita di ricorrere di nuovo alla chirurgia, sia per rimuovere il chip, sia per
ripristinarlo su ordinanza del Tribunale, in caso di recidiva.
Durante la detenzione, invece, la funzione più importante è la “scossa paralizzante”: un segnale
impulsivo dolorifico, da usare in caso di ribellione, insubordinazione o mancanza di rispetto;
blocca tutti i muscoli del maschio se mantenuto per più di tre secondi.
L’effetto paralizzante dura circa 2 minuti, il prigioniero resta a terra, cosciente ma
immobilizzato, pertanto incapace di ulteriori gesti di negligenza.
Il comando viene da un congegno, montato sul dito della guardia (o dell’ausiliaria) che abbiamo
simpaticamente denominato “Anello del Potere” ispirandoci ai romanzi di Tolkien.
Eventuali abusi erano vietati dal regolamento; l’anello deve avere una funzione punitiva da usare
soltanto in casi eccezionali.
Cominciamo con la descrizione della “poltrona”, l’elemento principale dell’arredamento.
Ogni cella è dotata di una struttura regolabile, simile ad una sedia ginecologica, dove il maschio
deve collocarsi su ordine dell’ausiliaria.
La schiena poggia su una panca piuttosto stretta, che termina poco sopra il bacino, con due ceppi
sul retro in cui bloccare i polsi; i polpacci si collocano su due supporti orientabili, con dei
blocchi anche per le caviglie. Niente deve ostacolare l’accesso alle parti intime, tutto il peso
grava sulla parte alta della schiena, oppure sulle gambe dal ginocchio in giù.
Ovviamente, i prigionieri sono sempre nudi, tranne una gabbietta di castità che impedisce loro di
masturbarsi. Sarebbe comunque inutile, ma fa parte del protocollo di recupero per motivi
psicologici: è ampiamente dimostrato che la gabbietta accentua la sudditanza del maschio, nei
confronti delle sue aguzzine.
Può essere rimossa solo dalle ausiliarie e dalle guardie; poi richiede un apposito spray
refrigerante, per essere ricollocata in sede: è il modo più semplice per ammosciare quei cazzi che
sembrano d’acciaio, almeno per quel mezzo minuto necessario all’operazione.
Tutta la poltrona è completamente regolabile: altezza, inclinazione, divaricazione, angolazione del
ginocchio e del femore... Agendo sui comandi, si può passare dalla posizione verticale, in piedi,
fino a quella completamente supina con le ginocchia sul petto.
Ogni posizione è funzionale al tipo di attività sessuale scelta dall’ausiliaria, per quella
sessione.
Molte volontarie, quasi tutte, esigono pratiche di sesso orale dal detenuto; la depilazione lo
rende molto piacevole per la donna, grazie alla maggiore sensibilità della pelle nuda.
Inoltre, risulta molto eccitante per anche per l’uomo: si può immaginare l’effetto di una figa
depilata direttamente in faccia, su un maschio sessualmente molto attivo, ma che non ha orgasmi da
parecchi mesi... o addirittura da diversi anni.
Quasi sempre, prima di un cunnilingus, c’è una lunga sessione di masturbazione delprigoniero, che
viene mantenuto eccitato alla follia per tempi piuttosto lunghi; spesso si usa anche la bocca,
approfittando della sua impossibilità di eiaculare.
L’ausiliaria Marcella P., una sessantenne piuttosto esuberante, apprezza moltissimo sentire tra le
labbra quei cazzi durissimi che sembravano scoppiare; è capace di succhiare per un’ora e anche più,
quasi senza interruzione; per tutto il tempo, la sua eccitazione cresce costantemente, nel
percepire gli incontrollabili spasmi e contorcimenti che sadicamente provoca nel maschio.
Quando non riesce più a trattenersi, per il desiderio diventato incontenibile, sale sulla faccia
del detenuto ed approfitta della sua lingua, esplodendo in pochi secondi con un orgasmo
potentissimo.
A parte questo caso estremo, tutte le donne, prima o poi, cedono alla tentazione di usare la bocca,
tanto sono attratte da quei membri così eretti. Ma anche con la semplice masturbazione, lo scopo è
sempre lo stesso: mantenere il maschio in uno stato di eccitazione estrema, a volte anche per
un’intera giornata, con i vari turni che si susseguono.
L’ ormai decennale esperienza mi ha portata ad una conclusione prevedibile: la sensazione di
dominazione assoluta, sul proprio schiavo sottomesso, sviluppa nella donna varie forme di sadismo,
sempre più pronunciate.
Quello descritto è il primo passo: lo stato di desiderio estremo del soggetto, il suo respiro
affannoso, le sue spasmodiche contrazioni muscolari, i continui gemiti di supplica... tutto questo
genera nella donna una crescente eccitazione sessuale, per l’intera durata della sessione.
Infine, tale forma di tortura ha un vantaggioso effetto collaterale: immaginate un maschio, già
eccitato dall’astinenza permanente, che viene portato a quei livelli e tenuto in quello stato per
ore. Quando si trova davanti una figa depilata, non si limita certo a qualche bacetto o qualche
leccatina superficiale; durante il cunnilingus, trasmette alla donna sensazioni difficili da
descrivere a parole. Durante gli orgasmi, le grida di piacere delle volontarie si sentono dai
corridoi, nonostante l’isolamento acustico.
Per attenuare i versi rumorosi dei maschi, invece, talvolta è necessario il nastro adesivo...
Non sono neanche in grado di parlare, riescono solo a gemere e mugolare (anche in modo fastidioso).
In questi casi il bavaglio viene rimosso solo alla fine, per consentire il cunnilingus.
A proposito, c’è un dettaglio che stavo dimenticando: visto che il prigioniero perde ogni capacità
di controllo, sulle proprie azioni, c’è la necessità di proteggere le fighe da eventuali morsi,
magari del tutto involontari, da parte di un maschio eccitato al limite della follia.
Pertanto, su ognuno di loro viene impiantato uno spessore di gomma, su molari e premolari, per
impedirgli di serrare la mandibola. Viene rimosso solo a fine pena.
In alcune ausiliarie, nel corso del tempo, si sviluppano perversioni estreme, che prima non
sapevano nemmeno di avere; tuttavia, ci sono alcuni limiti imposti dal regolamento.
Il primo era dettato da esigenze igieniche, perché il maschio resta “tuo” solo per la durata del
turno, poi passerà ad un’altra, così come è passato a te da quella precedente.
Pertanto, vengono sempre respinte le numerose richieste di urinare nella bocca del detenuto,
approfittando di un cunnilingus. La risposta è sempre la stessa: “Tu lo accetteresti, un maschio
che ha ricevuto una pisciata in bocca, pochi minuti fa?”
Le più crudeli si scontrano con un'altra normativa: a fine pena, il detenuto deve uscire nelle
stesse condizioni in cui era entrato, senza aggiunta di cicatrici, fratture, scottature, o altri
segni permanenti di lesioni subite in carcere.
Ad esempio, la cella è dotata di fruste di diversi formati, ma sono tutte in teflon. Si tratta di
un materiale liscio e scorrevole, che non lacera la pelle e lascia solo arrossamenti temporanei.
Tuttavia, il suo peso specifico è doppio rispetto al cuoio, pertanto l’impatto è molto efficace.
Le volontarie non impiegarono molto ad accorgersi di tale caratteristica, ora la sfruttano spesso
in modo spietato... risparmiando la bomboletta di refrigerante. Mi spiego meglio...
A fine sessione, bisogna trovare il modo di ammosciare il maschio, per poter ricollocare in sede la
gabbietta di castità. C’è lo spray, d’accordo, ma non è l’unico metodo.
La frusta ha un effetto del tutto simile, nel fermare l’erezione, ma è decisamente più...
“divertente”. Alcuni detenuti, quelli da più tempo in astinenza, erano difficilissimi da
ammosciare; con il refrigerante, ci voleva quasi l’intera bomboletta. Anche la frusta richiedeva
tempi lunghi, con il conseguente affaticamento del braccio.
Le volontarie, anche in questi casi difficili, hanno trovato una soluzione.
Con il maschio supino, aprono al massimo la divaricazione delle gambe; poi, usando la frusta da 18
(la più pesante) colpiscono ripetutamente sulle palle. Ovviamente, il prigioniero va imbavagliato
con doppio giro di nastro, perché le grida sarebbero disumane ed insopportabili; ma con questa
piccola incombenza in più, l’effetto è rapidissimo: bastano 5-6 colpi perché il cazzo si afflosci
completamente.
Alcune volontarie, un po’ maldestre, non fanno in tempo a riposizionare la gabbia, prima che parta
una nuova erezione; pertanto continuano a colpire fino a 20-25 volte, in modo da portare il maschio
fino allo svenimento.
Ho sempre avuto il sospetto che lo facciano apposta, a sembrare così imbranate con la gabbietta...
Passo ora ad uno strumento particolare: il dilatatore.
Va usato solo nel periodo iniziale della detenzione, installato e controllato solo dalle guardie,
anche se le volontarie contribuiscono alla sua efficacia. Ma partiamo dall’inizio...
Secondo le psicologhe del carcere, l’umiliazione è una parte fondamentale della pena, per ottenere
un recupero completo del detenuto.
A loro dire, il sesso anale subìto da una donna è particolarmente efficace, in questo percorso
formativo; le volontarie vengono quindi incentivate a sodomizzare il maschio, con una buona
frequenza e periodi di almeno 5 minuti, con l’offerta di premi di vario genere...
...anche se molte non ne avrebbero alcun bisogno.
Non si tratta di un semplice giochino erotico; il maschio deve sentirsi violentato e completamente
posseduto, con lo sfintere tirato al limite della sopportazione.
Per questo motivo, tutte le celle sono dotate di un dildo indossabile, fatto di alluminio e
rivestito di teflon, con le consuete cinghie per allacciarlo.
A prima vista, le dimensioni possono sembrare esagerate; appaiono addirittura impossibili per un
culo normale: 30 cm di lunghezza per 11 di diametro (durante il progetto, prendemmo a riferimento
una bottiglia di Coca-Cola da 2 litri).
È impensabile che si possa usare al primo colpo, magari su un culo vergine, senza produrre una
lacerazione con conseguente cicatrice permanente.
Si rende quindi necessaria una preparazione preventiva, che richiede un po’ di tempo.
Superata la prima settimana, il detenuto ha ormai smesso di defecare, in virtù dell’alimentazione
esclusivamente liquida. Dopo un ultimo clistere preparatorio, il suo orifizio viene penetrato da un
piccolo congegno elettro-meccanico, ricoperto da una membrana elastica simile ad un profilattico.
Il diametro di partenza è di 25 mm, facilmente inseribile con un po’ di lubrificante.
Dentro ci sono dei listelli metallici ad espansione, comandati da un motore elettrico, che si
allontanano gradualmente tra loro allargando la membrana... e tutto ciò che la circonda.
Il dilatatore è dotato di sensori di pressione, che rilevano la trazione dello sfintere per tenerlo
sempre al limite, fermando il motore un attimo prima di arrivare alla lacerazione.
Il meccanismo non può andare all’indietro, va sempre avanti o al massimo si ferma dov’è. Pertanto,
raggiunto un certo diametro l’orifizio resta così, fino a quando non viene rilevato un nuovo
rilassamento, anche piccolo, del tono muscolare. I sensori si accorgono immediatamente che si può
spingere un po’ di più, quindi azionano il motore e riescono a guadagnare ancora qualche decimo;
sì... solo all’inizio si procede a millimetri, ma dopo i 6-7 cm si va avanti a decimi.
Alcuni soggetti, che definiamo simpaticamente “culi-stretti”, impiegano oltre due settimane per
arrivare al limite dei 13 cm, la massima apertura dello strumento. Ci sono infatti 2 cm di margine,
rispetto al dildo-bottiglia che verrà usato in seguito; questo consentirà anche sodomizzazioni
violente, consigliate dalle nostre esperte per la loro efficacia psicologica.
Inoltre, molte nostre volontarie apprezzano il fisting; e non tutte hanno la manina di Biancaneve.
C’è stato un caso, accaduto una sola volta, in cui ci sono voluti 23 giorni per arrivare al valore
finale, stabilito dal regolamento. Mai visto un culo così stretto.
Con il dilatatore perennemente infilato, 24 ore al giorno e 7 giorni su 7, il soggetto ha impiegato
un’intera settimana per completare l’ultimo centimetro, da 12 a 13.
Con lui, le ausiliarie ebbero parecchio da fare.
Già... non ve l’ho ancora detto, ma in quella fase iniziale, nei detenuti vengono indotte continue
contrazioni muscolari, per accelerare i tempi di dilatazione. Si alternano vari metodi, per evitare
che il maschio sia colpito da crampi.
Le volontarie si propongono spontaneamente, per questo incarico; si forma una lista in cui le
candidate danno disponibilità fino a tre turni al giorno e fino a 4 ore per volta, arrivando ad un
massimo di 12 ore complessive. Le altre 12 vengono concesse al maschio come riposo: 8 per la notte,
più due pause diurne di due ore ciascuna, esattamente come accadrà in seguito, nei successivi anni
di normale detenzione sovraeccitata.
La differenza, in questa prima fase, è che il dilatatore resta comunque al suo posto, sempre
operativo, anche durante le pause; il trattamento deve essere continuo, ininterrotto, altrimenti
perderebbe di efficacia allungando i tempi. Il dolore costante rende difficile dormire, ma la
stanchezza è positiva perché riduce il tono muscolare ed accelera la dilatazione.
Visto che il maschio resta immobilizzato sulla poltrona, nella stessa posizione per tutto il
periodo, anche per lui è preferibile fare in fretta.
Come ho già anticipato, ci sono diverse tecniche per indurre contrazioni muscolari.
Su questi nuovi prigionieri, l’astinenza sessuale è iniziata da poco. Durante il processo, prima di
impiantare il microchip, gli imputati indossano già la gabbietta di castità, ma i tempi della
nostra Giustizia sono piuttosto rapidi. Quando il condannato arriva da noi, la sua mancanza di
orgasmi è arrivata solo a 30-35 giorni, 40 al massimo.
Sono senz’altro molto eccitati, ma non come un detenuto che sta già in astinenza da due o tre anni;
la masturbazione ha senza dubbio un certo effetto, ma data la minore efficacia, viene integrata con
altre tecniche, secondo i limiti imposti dal regolamento.
La prima di queste è il solletico prolungato.
Applicato solo sui soggetti che ne sono sensibili, viene tenuto sotto controllo da appositi
sensori, sul cuore e sul cervello. Alcune volontarie sarebbero capaci di continuare per ore, senza
interruzione, spinte da un sadismo spietato sviluppato nel corso dell’attività; questo potrebbe
produrre conseguenze drammatiche: possibile arresto cardiaco, coma irreversibile, lesioni al
cervello...
I sensori impediscono che ciò avvenga, attivando un allarme acustico quando il maschio arriva al
limite delle sue capacità di resistenza. Di solito ci vogliono 30-40 minuti.
La volontaria viene quindi obbligata a concedere un’interruzione di almeno dieci minuti, per
ripristinare la corretta respirazione del soggetto.
Alcune si dedicano alla masturbazione, nei tempi di attesa. Tengono il maschio molto eccitato per
circa 15-20 minuti, poi ripartono con il solletico fino al segnale successivo.
Ci sono anche altri modi per ingannare il tempo, quando suona il segnale. Le stesse tecniche che
vengono adottate sugli altri detenuti, quelli che non soffrono il solletico.
Lo scopo è sempre lo stesso: indurre contrazioni muscolari, per accelerare i tempi di dilatazione.
Le ausiliarie più violente usano la frusta, che in questo caso è della misura più piccola: quella
da 8. Anche se usata sulle palle (quasi sempre) non causa mai lo svenimento del maschio; questo è
molto importante, perché un soggetto svenuto smette di contrarre i muscoli, mentre quello è proprio
lo scopo principale di questa fase.
Nonostante la misura da 8 conceda l’uso prolungato, nessuna ausiliaria è mai riuscita a continuare
per più di un’ora, perché inevitabilmente il braccio si stanca e c’è bisogno di una pausa.
In questi casi di affaticamento, si procede con un altro metodo: l’elettrostimolazione.
La membrana del dilatatore è fatta di una speciale gomma conduttiva, che consente il passaggio di
corrente dai listelli interni, previo collegamento alla presa a muro. Per l’occasione, è stata
ripristinata la vecchia tensione a 125 V, ormai dimenticata dalla metà del ‘900.
Usando la 230, i sensori cardiaci avrebbero interrotto l’erogazione dopo pochissimi secondi; le
contrazioni muscolari sarebbero state di minima durata, con scarso effetto sulla dilatazione anale.
Con un valore più basso, invece, la stimolazione si prolunga ben oltre il minuto, prima che il
sistema stacchi (per 15 secondi); inoltre, applicando il polo negativo sui genitali del maschio,
l’effetto era localizzato proprio dove serviva, sui fasci muscolari intorno al colon.
Anche in questo caso, non mancano episodi di particolare crudeltà.
Parecchie ausiliarie applicano il terminale su un sondino metallico cromato, che poi viene infilato
nell’uretra; lo fanno per puro divertimento, una gratuita esibizione di cattiveria, allo scopo di
aumentare la sofferenza del prigioniero, ma nessuno può impedirlo perché il Regolamento non lo
vieta; inoltre, l’obiettivo finale della dilatazione viene comunque conseguito.
Alla fine della fase preparatoria, il detenuto veniva mantenuto alla massima espansione, per un
periodo pari al 20% del tempo impiegato ad arrivarci.
Questo evitava che lo sfintere ricominciasse subito a contrarsi, appena rimosso il dilatatore.
Il caso più comune, ad esempio, era di 72 ore di stabilizzazione, dopo 15 giorni di espansione.
Infine, l’ultimo giorno era dedicato al... collaudo, chiamiamolo così.
Come dicevo all’inizio, il registro delle iscrizioni si riempì abbastanza presto.
Le candidate al ruolo di A.V. erano moltissime, già dopo un paio di settimane dall’apertura della
struttura; inoltre, con il passare dei mesi, la loro permanenza in cella si prolungava sempre più.
Questo ci costrinse ad introdurre alcune modifiche al protocollo.
Innanzitutto, la disponibilità dei maschi venne estesa da 10 a 12 ore al giorno, ma ovviamente non
era sufficiente. Così venne introdotto un limite di tempo: due ore per ogni ausiliaria.
Per risparmiare minuti preziosi, si decise che la gabbietta di castità fosse riposizionata solo
prima delle 3 pause (alle 12, alle 18 e a mezzanotte), non più ad ogni cambio turno.
Ma la vera svolta arrivò solo al terzo anno, quando vennero concessi i turni a doppia sessione.
Furono alcune ausiliarie ad avere l’idea, formulando la richiesta di entrare nella cella in coppia,
per poi dividersi il prigioniero con attività sessuali ad effetto combinato.
Ad esempio, mentre una impegnava il maschio nel cunnilingus, l’altra lo masturbava; oppure, una lo
sodomizzava con il dildo-bottiglia, mentre l’altra lo solleticava senza tregua.
Oggi siamo arrivate ad organizzare delle competizioni.
L’ultima è la mia preferita: con il maschio eccitato al limite, un’ausiliaria infligge 5 colpi
sulle palle, con la frusta da 18; poi si misura il tempo necessario all’altra, per ripristinare il
precedente livello di erezione. Durante le due ore del turno, i ruoli si alternano ed alla fine si
sommano i tempi, per stabilire chi è la vincitrice.
Un’altra gara interessante consiste nel masturbare il maschio per cercare di mantenerlo eccitato,
mentre l’altra lo frusta sul petto e la pancia, con lo scopo di farlo ammosciare; dopo un tempo
limite di 5 minuti, un apposito strumento misura l’erezione e stabilisce chi ha vinto.
Per le più tradizionaliste, c’è la semplice gara di velocità: le due ausiliarie salgono sul maschio
con entrambe le fighe, una sulla bocca e l’altra sul cazzo; vince quella che gode prima, ma il
giorno dopo si scambiano le posizioni.
Le gare sono in costante evoluzione, perché sono proprio le ausiliarie a proporle, con la loro
creatività sviluppata in anni di esperienza.
L’ausiliaria Michela S. ha mostrato abilità eccezionali in quasi tutti i giochi, anzi, credo sia
quella che ne ha proposti di più; possiede un vero talento naturale, che l’ha resa una vera
fuoriclasse.
Per questo motivo, le è stato proposto il ruolo di nuova direttrice, con una facoltà che io non ho
mai avuto: 4 ore al giorno da passare con un prigioniero a sua scelta, da sola o in coppia.
Sarà proprio lei a sostituirmi, a partire dalla prossima settimana. Nel frattempo, anch’io
comincerò finalmente a divertirmi un po’...
Nell’accettare l’incarico di avviare il CS-2, ho preteso ed ottenuto lo stesso privilegio.
Non vedo l’ora di iniziare.
Milano, 18 ottobre 2126.
Mi chiamo Maria Caterina Ruggero, ho 42 anni ed una laurea in giurisprudenza; sono stata
selezionata nell’ottobre 2116, per dirigere il CS-1, primo carcere sperimentale per soggetti
maschili, colpevoli di reati di natura sessuale (stupri, molestie, pedofilia, ecc.).
Il mio incarico decennale è giunto a scadenza, scrivo quindi queste memorie a beneficio di chi mi
sostituirà; io avrò il compito di avviare il CS-2.
La struttura nacque nel 2114, ma richiese circa due anni per essere studiata e organizzata.
Con una capienza di 100 posti in celle singole, attrezzate ed isolate acusticamente, era prevista
la presenza di 10 guardie carcerarie, più una direttrice e una vice-direttrice.
Si introduceva un nuovo modello di detenzione, reso possibile da due ricercatrici italiane, che nel
2111 inventarono un microchip chiamato “CF”, dai loro cognomi (Carboni e Franceschetti).
Si trattava di un’ingegnera elettronica e di una neurologa, che generando un segnale impulsivo ben
calibrato, erano riuscite a bloccare i centri nervosi responsabili dell’orgasmo maschile.
Il circuito viene impiantato alla base del cranio, in corrispondenza del midollo spinale, con un
piccolo intervento della durata di mezz’ora, poi si autoalimenta con il calore del corpo umano.
La Corte Penale, che in questi casi è tutta femminile, stabilisce la durata della detenzione, che
può andare da 6 mesi a 8 anni, più eventuali prolungamenti punitivi fino a tre mesi per volta,
decisi dalla direttrice del carcere, sulla base di eventuali gesti di negligenza, insubordinazione
o ribellione durante la detenzione.
Tutti i condannati sono caratterizzati da un incontrollabile desiderio sessuale, principale motivo
per cui hanno commesso i loro reati. Il microchip non riduce tale desiderio, impedisce solo il
raggiungimento dell’orgasmo.
In realtà, l’eccitazione sessuale del maschio tende ad aumentare progressivamente, proprio perché
non ha modo di scaricarla.
La struttura è nata sull’idea della “sanzione riparatrice”, secondo cui il condannato non deve più
espiare la pena con un semplice periodo di prigionia, ma ripagando la società dai danni prodotti
con le sue azioni, in quello che potremmo definire “un risarcimento”.
Nel nostro caso è proprio la condizione del prigioniero, con le sue inclinazioni sessuali così
accentuate, a fornire un efficacissimo metodo di pena.
Ci sono infatti moltissime donne sessualmente insoddisfatte, perché considerate poco attraenti...
diciamo pure brutte, secondo gli attuali canoni di estetica femminile: a causa dell’età,
dell’obesità, della cellulite, delle rughe, ecc. ecc., hanno grosse difficoltà nel trovare un uomo
con cui fare sesso; anche quando lo trovano, sono costrette ad impegnarsi con vari giochini
erotici; per loro non è sufficiente spogliarsi, per suscitare in lui un interesse erotico.
Quasi sempre, trovano sollievo rifugiandosi nella masturbazione; anche loro sono di carne ed ossa
ed hanno le stesse esigenze di tutti.
Il CS-1 si rivolge principalmente a queste donne sfortunate, che iscrivendosi a registro come A.V.
(Ausiliarie Volontarie) possono avere libero accesso alla struttura, con decine di uomini
completamente sottomessi e con i cazzi costantemente durissimi, sempre a loro disposizione per
qualunque attività... ricreativa, diciamo così.
Ci sono alcune norme igieniche da rispettare, ma richiedono pochi minuti.
Prima di entrare, ogni ausiliaria deve sedersi sul robo-bidet, un macchinario automatico a
controllo digitale, che pulisce e depila accuratamente le parti intime, in un trattamento cosmetico
completo
della durata massima di 6 minuti.
Il risultato è eccellente su entrambi gli orifizi, sulle zone pubiche e su quelle inguinali; i
prodotti adottati, grazie alle più recenti tecnologie chimiche, ammorbidiscono la pelle e le danno
una piacevole lucentezza. Le fighe sembrano quasi di porcellana, diventando desiderabili per
qualsiasi uomo... e chissà?... forse anche per alcune donne.
Il trattamento, oltre che rapido, è piacevole e stimolante, ma soprattutto gratuito.
Una depilazione cosmetica completa, in un centro estetico privato, sarebbe piuttosto costosa; da
noi, il robo-bidet spalma una lozione ad efficacia crescente: i bulbi piliferi vengono
progressivamente inibiti, tanto che dopo 4-5 applicazioni l’effetto diventa definitivo.
Un trattamento analogo viene eseguito anche sui prigionieri; inoltre, questi sono sottoposti ad un
particolare regime alimentare: ingeriscono solo liquidi, arricchiti con sostanze proteiche e
caloriche, opportunamente calibrate secondo le necessità di ogni soggetto.
In questo modo, il maschio è tenuto sempre in piena forma, con un fisico asciutto senza pancia o
altri accumuli di grasso; ma soprattutto, gli è impedito di defecare, mantenendo l’intestino sempre
libero e pulito, per eventuali attività erotiche decise dall’ausiliaria.
Anche l’attività fisica non manca; la muscolatura del soggetto viene fortemente sollecitata,
restando in tensione parecchie ore al giorno, per motivi che vedremo più avanti.
Il regolamento consente di iscrivere fino a 1000 ausiliarie, 10 per ogni detenuto; pensavamo che il
numero fosse alto, invece il limite venne raggiunto in pochi giorni dall’apertura delle iscrizioni.
Nei primi tempi, i detenuti erano più che sufficienti per tutte le ausiliarie. Con una
disponibilità di 10 ore al giorno per ogni soggetto, poi portate a 12, il programma giornaliero
offriva spazi liberi anche per noi del personale, che sul lavoro potevamo anche divertirci un po’.
Le volontarie, in quel primo periodo, si limitavano a cavalcare i cazzi in una normalissima
attività penetrativa; al massimo aggiungevano qualche carezza o sbaciucchiamento, per aumentarne
ulteriormente l’eccitazione, ma era difficile che si fermassero nella cella per più di mezz’ora,
comprese le operazioni finali di pulizia del maschio, a beneficio del turno successivo.
Le cose cambiarono presto, nel giro di poche settimane...
L’evoluzione era stata prevista, anche se ci aspettavamo tempi più lunghi. Ogni cella è infatti
dotata di varie attrezzature, allo scopo di liberare gli istinti latenti della volontaria,
consentendole di esprimere anche desideri particolari, perversi ed inconfessabili.
Dopo aver ottenuto un’attività sessuale regolare ed appagante, nelle modalità tradizionali, molte
delle ausiliarie cominciarono a desiderare sempre di più, orientandosi verso differenti forme di
dominazione, sottomissione e sadismo.
Farò alcuni esempi, in cui descriverò anche gli attrezzi disponibili; ma prima vi parlo del
“dissuasore”, l’arma in dotazione alle guardie per garantire il controllo assoluto sui maschi,
nonché la loto completa ubbidienza.
Il microchip CF dispone di alcune funzioni accessorie, comandate da segnali infrarossi, per
produrre alcuni effetti molto utili nella gestione dei prigionieri.
Tra queste, ad esempio, c’è la disattivazione del circuito a conclusione della pena.
Questa funzione evita di ricorrere di nuovo alla chirurgia, sia per rimuovere il chip, sia per
ripristinarlo su ordinanza del Tribunale, in caso di recidiva.
Durante la detenzione, invece, la funzione più importante è la “scossa paralizzante”: un segnale
impulsivo dolorifico, da usare in caso di ribellione, insubordinazione o mancanza di rispetto;
blocca tutti i muscoli del maschio se mantenuto per più di tre secondi.
L’effetto paralizzante dura circa 2 minuti, il prigioniero resta a terra, cosciente ma
immobilizzato, pertanto incapace di ulteriori gesti di negligenza.
Il comando viene da un congegno, montato sul dito della guardia (o dell’ausiliaria) che abbiamo
simpaticamente denominato “Anello del Potere” ispirandoci ai romanzi di Tolkien.
Eventuali abusi erano vietati dal regolamento; l’anello deve avere una funzione punitiva da usare
soltanto in casi eccezionali.
Cominciamo con la descrizione della “poltrona”, l’elemento principale dell’arredamento.
Ogni cella è dotata di una struttura regolabile, simile ad una sedia ginecologica, dove il maschio
deve collocarsi su ordine dell’ausiliaria.
La schiena poggia su una panca piuttosto stretta, che termina poco sopra il bacino, con due ceppi
sul retro in cui bloccare i polsi; i polpacci si collocano su due supporti orientabili, con dei
blocchi anche per le caviglie. Niente deve ostacolare l’accesso alle parti intime, tutto il peso
grava sulla parte alta della schiena, oppure sulle gambe dal ginocchio in giù.
Ovviamente, i prigionieri sono sempre nudi, tranne una gabbietta di castità che impedisce loro di
masturbarsi. Sarebbe comunque inutile, ma fa parte del protocollo di recupero per motivi
psicologici: è ampiamente dimostrato che la gabbietta accentua la sudditanza del maschio, nei
confronti delle sue aguzzine.
Può essere rimossa solo dalle ausiliarie e dalle guardie; poi richiede un apposito spray
refrigerante, per essere ricollocata in sede: è il modo più semplice per ammosciare quei cazzi che
sembrano d’acciaio, almeno per quel mezzo minuto necessario all’operazione.
Tutta la poltrona è completamente regolabile: altezza, inclinazione, divaricazione, angolazione del
ginocchio e del femore... Agendo sui comandi, si può passare dalla posizione verticale, in piedi,
fino a quella completamente supina con le ginocchia sul petto.
Ogni posizione è funzionale al tipo di attività sessuale scelta dall’ausiliaria, per quella
sessione.
Molte volontarie, quasi tutte, esigono pratiche di sesso orale dal detenuto; la depilazione lo
rende molto piacevole per la donna, grazie alla maggiore sensibilità della pelle nuda.
Inoltre, risulta molto eccitante per anche per l’uomo: si può immaginare l’effetto di una figa
depilata direttamente in faccia, su un maschio sessualmente molto attivo, ma che non ha orgasmi da
parecchi mesi... o addirittura da diversi anni.
Quasi sempre, prima di un cunnilingus, c’è una lunga sessione di masturbazione delprigoniero, che
viene mantenuto eccitato alla follia per tempi piuttosto lunghi; spesso si usa anche la bocca,
approfittando della sua impossibilità di eiaculare.
L’ausiliaria Marcella P., una sessantenne piuttosto esuberante, apprezza moltissimo sentire tra le
labbra quei cazzi durissimi che sembravano scoppiare; è capace di succhiare per un’ora e anche più,
quasi senza interruzione; per tutto il tempo, la sua eccitazione cresce costantemente, nel
percepire gli incontrollabili spasmi e contorcimenti che sadicamente provoca nel maschio.
Quando non riesce più a trattenersi, per il desiderio diventato incontenibile, sale sulla faccia
del detenuto ed approfitta della sua lingua, esplodendo in pochi secondi con un orgasmo
potentissimo.
A parte questo caso estremo, tutte le donne, prima o poi, cedono alla tentazione di usare la bocca,
tanto sono attratte da quei membri così eretti. Ma anche con la semplice masturbazione, lo scopo è
sempre lo stesso: mantenere il maschio in uno stato di eccitazione estrema, a volte anche per
un’intera giornata, con i vari turni che si susseguono.
L’ ormai decennale esperienza mi ha portata ad una conclusione prevedibile: la sensazione di
dominazione assoluta, sul proprio schiavo sottomesso, sviluppa nella donna varie forme di sadismo,
sempre più pronunciate.
Quello descritto è il primo passo: lo stato di desiderio estremo del soggetto, il suo respiro
affannoso, le sue spasmodiche contrazioni muscolari, i continui gemiti di supplica... tutto questo
genera nella donna una crescente eccitazione sessuale, per l’intera durata della sessione.
Infine, tale forma di tortura ha un vantaggioso effetto collaterale: immaginate un maschio, già
eccitato dall’astinenza permanente, che viene portato a quei livelli e tenuto in quello stato per
ore. Quando si trova davanti una figa depilata, non si limita certo a qualche bacetto o qualche
leccatina superficiale; durante il cunnilingus, trasmette alla donna sensazioni difficili da
descrivere a parole. Durante gli orgasmi, le grida di piacere delle volontarie si sentono dai
corridoi, nonostante l’isolamento acustico.
Per attenuare i versi rumorosi dei maschi, invece, talvolta è necessario il nastro adesivo...
Non sono neanche in grado di parlare, riescono solo a gemere e mugolare (anche in modo fastidioso).
In questi casi il bavaglio viene rimosso solo alla fine, per consentire il cunnilingus.
A proposito, c’è un dettaglio che stavo dimenticando: visto che il prigioniero perde ogni capacità
di controllo, sulle proprie azioni, c’è la necessità di proteggere le fighe da eventuali morsi,
magari del tutto involontari, da parte di un maschio eccitato al limite della follia.
Pertanto, su ognuno di loro viene impiantato uno spessore di gomma, su molari e premolari, per
impedirgli di serrare la mandibola. Viene rimosso solo a fine pena.
In alcune ausiliarie, nel corso del tempo, si sviluppano perversioni estreme, che prima non
sapevano nemmeno di avere; tuttavia, ci sono alcuni limiti imposti dal regolamento.
Il primo era dettato da esigenze igieniche, perché il maschio resta “tuo” solo per la durata del
turno, poi passerà ad un’altra, così come è passato a te da quella precedente.
Pertanto, vengono sempre respinte le numerose richieste di urinare nella bocca del detenuto,
approfittando di un cunnilingus. La risposta è sempre la stessa: “Tu lo accetteresti, un maschio
che ha ricevuto una pisciata in bocca, pochi minuti fa?”
Le più crudeli si scontrano con un'altra normativa: a fine pena, il detenuto deve uscire nelle
stesse condizioni in cui era entrato, senza aggiunta di cicatrici, fratture, scottature, o altri
segni permanenti di lesioni subite in carcere.
Ad esempio, la cella è dotata di fruste di diversi formati, ma sono tutte in teflon. Si tratta di
un materiale liscio e scorrevole, che non lacera la pelle e lascia solo arrossamenti temporanei.
Tuttavia, il suo peso specifico è doppio rispetto al cuoio, pertanto l’impatto è molto efficace.
Le volontarie non impiegarono molto ad accorgersi di tale caratteristica, ora la sfruttano spesso
in modo spietato... risparmiando la bomboletta di refrigerante. Mi spiego meglio...
A fine sessione, bisogna trovare il modo di ammosciare il maschio, per poter ricollocare in sede la
gabbietta di castità. C’è lo spray, d’accordo, ma non è l’unico metodo.
La frusta ha un effetto del tutto simile, nel fermare l’erezione, ma è decisamente più...
“divertente”. Alcuni detenuti, quelli da più tempo in astinenza, erano difficilissimi da
ammosciare; con il refrigerante, ci voleva quasi l’intera bomboletta. Anche la frusta richiedeva
tempi lunghi, con il conseguente affaticamento del braccio.
Le volontarie, anche in questi casi difficili, hanno trovato una soluzione.
Con il maschio supino, aprono al massimo la divaricazione delle gambe; poi, usando la frusta da 18
(la più pesante) colpiscono ripetutamente sulle palle. Ovviamente, il prigioniero va imbavagliato
con doppio giro di nastro, perché le grida sarebbero disumane ed insopportabili; ma con questa
piccola incombenza in più, l’effetto è rapidissimo: bastano 5-6 colpi perché il cazzo si afflosci
completamente.
Alcune volontarie, un po’ maldestre, non fanno in tempo a riposizionare la gabbia, prima che parta
una nuova erezione; pertanto continuano a colpire fino a 20-25 volte, in modo da portare il maschio
fino allo svenimento.
Ho sempre avuto il sospetto che lo facciano apposta, a sembrare così imbranate con la gabbietta...
Passo ora ad uno strumento particolare: il dilatatore.
Va usato solo nel periodo iniziale della detenzione, installato e controllato solo dalle guardie,
anche se le volontarie contribuiscono alla sua efficacia. Ma partiamo dall’inizio...
Secondo le psicologhe del carcere, l’umiliazione è una parte fondamentale della pena, per ottenere
un recupero completo del detenuto.
A loro dire, il sesso anale subìto da una donna è particolarmente efficace, in questo percorso
formativo; le volontarie vengono quindi incentivate a sodomizzare il maschio, con una buona
frequenza e periodi di almeno 5 minuti, con l’offerta di premi di vario genere...
...anche se molte non ne avrebbero alcun bisogno.
Non si tratta di un semplice giochino erotico; il maschio deve sentirsi violentato e completamente
posseduto, con lo sfintere tirato al limite della sopportazione.
Per questo motivo, tutte le celle sono dotate di un dildo indossabile, fatto di alluminio e
rivestito di teflon, con le consuete cinghie per allacciarlo.
A prima vista, le dimensioni possono sembrare esagerate; appaiono addirittura impossibili per un
culo normale: 30 cm di lunghezza per 11 di diametro (durante il progetto, prendemmo a riferimento
una bottiglia di Coca-Cola da 2 litri).
È impensabile che si possa usare al primo colpo, magari su un culo vergine, senza produrre una
lacerazione con conseguente cicatrice permanente.
Si rende quindi necessaria una preparazione preventiva, che richiede un po’ di tempo.
Superata la prima settimana, il detenuto ha ormai smesso di defecare, in virtù dell’alimentazione
esclusivamente liquida. Dopo un ultimo clistere preparatorio, il suo orifizio viene penetrato da un
piccolo congegno elettro-meccanico, ricoperto da una membrana elastica simile ad un profilattico.
Il diametro di partenza è di 25 mm, facilmente inseribile con un po’ di lubrificante.
Dentro ci sono dei listelli metallici ad espansione, comandati da un motore elettrico, che si
allontanano gradualmente tra loro allargando la membrana... e tutto ciò che la circonda.
Il dilatatore è dotato di sensori di pressione, che rilevano la trazione dello sfintere per tenerlo
sempre al limite, fermando il motore un attimo prima di arrivare alla lacerazione.
Il meccanismo non può andare all’indietro, va sempre avanti o al massimo si ferma dov’è. Pertanto,
raggiunto un certo diametro l’orifizio resta così, fino a quando non viene rilevato un nuovo
rilassamento, anche piccolo, del tono muscolare. I sensori si accorgono immediatamente che si può
spingere un po’ di più, quindi azionano il motore e riescono a guadagnare ancora qualche decimo;
sì... solo all’inizio si procede a millimetri, ma dopo i 6-7 cm si va avanti a decimi.
Alcuni soggetti, che definiamo simpaticamente “culi-stretti”, impiegano oltre due settimane per
arrivare al limite dei 13 cm, la massima apertura dello strumento. Ci sono infatti 2 cm di margine,
rispetto al dildo-bottiglia che verrà usato in seguito; questo consentirà anche sodomizzazioni
violente, consigliate dalle nostre esperte per la loro efficacia psicologica.
Inoltre, molte nostre volontarie apprezzano il fisting; e non tutte hanno la manina di Biancaneve.
C’è stato un caso, accaduto una sola volta, in cui ci sono voluti 23 giorni per arrivare al valore
finale, stabilito dal regolamento. Mai visto un culo così stretto.
Con il dilatatore perennemente infilato, 24 ore al giorno e 7 giorni su 7, il soggetto ha impiegato
un’intera settimana per completare l’ultimo centimetro, da 12 a 13.
Con lui, le ausiliarie ebbero parecchio da fare.
Già... non ve l’ho ancora detto, ma in quella fase iniziale, nei detenuti vengono indotte continue
contrazioni muscolari, per accelerare i tempi di dilatazione. Si alternano vari metodi, per evitare
che il maschio sia colpito da crampi.
Le volontarie si propongono spontaneamente, per questo incarico; si forma una lista in cui le
candidate danno disponibilità fino a tre turni al giorno e fino a 4 ore per volta, arrivando ad un
massimo di 12 ore complessive. Le altre 12 vengono concesse al maschio come riposo: 8 per la notte,
più due pause diurne di due ore ciascuna, esattamente come accadrà in seguito, nei successivi anni
di normale detenzione sovraeccitata.
La differenza, in questa prima fase, è che il dilatatore resta comunque al suo posto, sempre
operativo, anche durante le pause; il trattamento deve essere continuo, ininterrotto, altrimenti
perderebbe di efficacia allungando i tempi. Il dolore costante rende difficile dormire, ma la
stanchezza è positiva perché riduce il tono muscolare ed accelera la dilatazione.
Visto che il maschio resta immobilizzato sulla poltrona, nella stessa posizione per tutto il
periodo, anche per lui è preferibile fare in fretta.
Come ho già anticipato, ci sono diverse tecniche per indurre contrazioni muscolari.
Su questi nuovi prigionieri, l’astinenza sessuale è iniziata da poco. Durante il processo, prima di
impiantare il microchip, gli imputati indossano già la gabbietta di castità, ma i tempi della
nostra Giustizia sono piuttosto rapidi. Quando il condannato arriva da noi, la sua mancanza di
orgasmi è arrivata solo a 30-35 giorni, 40 al massimo.
Sono senz’altro molto eccitati, ma non come un detenuto che sta già in astinenza da due o tre anni;
la masturbazione ha senza dubbio un certo effetto, ma data la minore efficacia, viene integrata con
altre tecniche, secondo i limiti imposti dal regolamento.
La prima di queste è il solletico prolungato.
Applicato solo sui soggetti che ne sono sensibili, viene tenuto sotto controllo da appositi
sensori, sul cuore e sul cervello. Alcune volontarie sarebbero capaci di continuare per ore, senza
interruzione, spinte da un sadismo spietato sviluppato nel corso dell’attività; questo potrebbe
produrre conseguenze drammatiche: possibile arresto cardiaco, coma irreversibile, lesioni al
cervello...
I sensori impediscono che ciò avvenga, attivando un allarme acustico quando il maschio arriva al
limite delle sue capacità di resistenza. Di solito ci vogliono 30-40 minuti.
La volontaria viene quindi obbligata a concedere un’interruzione di almeno dieci minuti, per
ripristinare la corretta respirazione del soggetto.
Alcune si dedicano alla masturbazione, nei tempi di attesa. Tengono il maschio molto eccitato per
circa 15-20 minuti, poi ripartono con il solletico fino al segnale successivo.
Ci sono anche altri modi per ingannare il tempo, quando suona il segnale. Le stesse tecniche che
vengono adottate sugli altri detenuti, quelli che non soffrono il solletico.
Lo scopo è sempre lo stesso: indurre contrazioni muscolari, per accelerare i tempi di dilatazione.
Le ausiliarie più violente usano la frusta, che in questo caso è della misura più piccola: quella
da 8. Anche se usata sulle palle (quasi sempre) non causa mai lo svenimento del maschio; questo è
molto importante, perché un soggetto svenuto smette di contrarre i muscoli, mentre quello è proprio
lo scopo principale di questa fase.
Nonostante la misura da 8 conceda l’uso prolungato, nessuna ausiliaria è mai riuscita a continuare
per più di un’ora, perché inevitabilmente il braccio si stanca e c’è bisogno di una pausa.
In questi casi di affaticamento, si procede con un altro metodo: l’elettrostimolazione.
La membrana del dilatatore è fatta di una speciale gomma conduttiva, che consente il passaggio di
corrente dai listelli interni, previo collegamento alla presa a muro. Per l’occasione, è stata
ripristinata la vecchia tensione a 125 V, ormai dimenticata dalla metà del ‘900.
Usando la 230, i sensori cardiaci avrebbero interrotto l’erogazione dopo pochissimi secondi; le
contrazioni muscolari sarebbero state di minima durata, con scarso effetto sulla dilatazione anale.
Con un valore più basso, invece, la stimolazione si prolunga ben oltre il minuto, prima che il
sistema stacchi (per 15 secondi); inoltre, applicando il polo negativo sui genitali del maschio,
l’effetto era localizzato proprio dove serviva, sui fasci muscolari intorno al colon.
Anche in questo caso, non mancano episodi di particolare crudeltà.
Parecchie ausiliarie applicano il terminale su un sondino metallico cromato, che poi viene infilato
nell’uretra; lo fanno per puro divertimento, una gratuita esibizione di cattiveria, allo scopo di
aumentare la sofferenza del prigioniero, ma nessuno può impedirlo perché il Regolamento non lo
vieta; inoltre, l’obiettivo finale della dilatazione viene comunque conseguito.
Alla fine della fase preparatoria, il detenuto veniva mantenuto alla massima espansione, per un
periodo pari al 20% del tempo impiegato ad arrivarci.
Questo evitava che lo sfintere ricominciasse subito a contrarsi, appena rimosso il dilatatore.
Il caso più comune, ad esempio, era di 72 ore di stabilizzazione, dopo 15 giorni di espansione.
Infine, l’ultimo giorno era dedicato al... collaudo, chiamiamolo così.
Come dicevo all’inizio, il registro delle iscrizioni si riempì abbastanza presto.
Le candidate al ruolo di A.V. erano moltissime, già dopo un paio di settimane dall’apertura della
struttura; inoltre, con il passare dei mesi, la loro permanenza in cella si prolungava sempre più.
Questo ci costrinse ad introdurre alcune modifiche al protocollo.
Innanzitutto, la disponibilità dei maschi venne estesa da 10 a 12 ore al giorno, ma ovviamente non
era sufficiente. Così venne introdotto un limite di tempo: due ore per ogni ausiliaria.
Per risparmiare minuti preziosi, si decise che la gabbietta di castità fosse riposizionata solo
prima delle 3 pause (alle 12, alle 18 e a mezzanotte), non più ad ogni cambio turno.
Ma la vera svolta arrivò solo al terzo anno, quando vennero concessi i turni a doppia sessione.
Furono alcune ausiliarie ad avere l’idea, formulando la richiesta di entrare nella cella in coppia,
per poi dividersi il prigioniero con attività sessuali ad effetto combinato.
Ad esempio, mentre una impegnava il maschio nel cunnilingus, l’altra lo masturbava; oppure, una lo
sodomizzava con il dildo-bottiglia, mentre l’altra lo solleticava senza tregua.
Oggi siamo arrivate ad organizzare delle competizioni.
L’ultima è la mia preferita: con il maschio eccitato al limite, un’ausiliaria infligge 5 colpi
sulle palle, con la frusta da 18; poi si misura il tempo necessario all’altra, per ripristinare il
precedente livello di erezione. Durante le due ore del turno, i ruoli si alternano ed alla fine si
sommano i tempi, per stabilire chi è la vincitrice.
Un’altra gara interessante consiste nel masturbare il maschio per cercare di mantenerlo eccitato,
mentre l’altra lo frusta sul petto e la pancia, con lo scopo di farlo ammosciare; dopo un tempo
limite di 5 minuti, un apposito strumento misura l’erezione e stabilisce chi ha vinto.
Per le più tradizionaliste, c’è la semplice gara di velocità: le due ausiliarie salgono sul maschio
con entrambe le fighe, una sulla bocca e l’altra sul cazzo; vince quella che gode prima, ma il
giorno dopo si scambiano le posizioni.
Le gare sono in costante evoluzione, perché sono proprio le ausiliarie a proporle, con la loro
creatività sviluppata in anni di esperienza.
L’ausiliaria Michela S. ha mostrato abilità eccezionali in quasi tutti i giochi, anzi, credo sia
quella che ne ha proposti di più; possiede un vero talento naturale, che l’ha resa una vera
fuoriclasse.
Per questo motivo, le è stato proposto il ruolo di nuova direttrice, con una facoltà che io non ho
mai avuto: 4 ore al giorno da passare con un prigioniero a sua scelta, da sola o in coppia.
Sarà proprio lei a sostituirmi, a partire dalla prossima settimana. Nel frattempo, anch’io
comincerò finalmente a divertirmi un po’...
Nell’accettare l’incarico di avviare il CS-2, ho preteso ed ottenuto lo stesso privilegio.
Non vedo l’ora di iniziare.
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Commenti dei lettori al racconto erotico