Un’ esperienza in bacheca

di
genere
confessioni

Sono sopra. Sdraiato su un letto grande e comodo posto in una sorta di soppalco. Giù del soppalco è posizionato un angolo cottura e a lato del frigo, una porta da cui si accede ad un bagno piccolo, comodo e accogliente. La casa però, non è finita. Si sviluppa in lunghezza. Sullo sfondo una porta da cui si accede all’esterno ma prima, prima ancora della porta si gira a destra e c’è ancora casa con altri ambienti da me non abitati, forse da altri. Affacciandomi dal soppalco, quasi mi scanto a vedere e a scrutare oltre il mio orizzonte di paura. Non so chi ci sia. Penso di essere solo. Ho pagato anzitempo per essere solo ma sento rumori. Gente che parla. Persone che si affacciano in direzione dell’angolo cottura che sta sotto il mio soppalco. Qualcuno, indistinguibile nella forma, di tanto in tanto viene anche prendere qualcosa dal mio frigo. Ammesso che quel frigo sia solo mio. Mi sveglio agitato e sudato. È un sogno ricorrente purtroppo. Sono solo, ho tanto spazio ma c’è dell’altra gente che non conosco e di cui diffido. Fanno paura, infatti. Decido di uscire. Lei l’avevo contattata la sera precedente ma non ero riuscito ad andarci. Oggi è una bella mattinata di sole e ho bisogno di rilassarmi.
Il tepore mattutino di una fresca e soleggiata giornata di sole, scuote i miei sensi. Li inebria. Per cui decido di procedere. Ne prendo una. Gialla. Così magari rimango duro anche per i giorni seguenti. Nella memoria del telefono ho conservato il suo numero. La chiamo e mi dice che sarà libera alle 12. Non ci siamo mai visti ma le foto promettono bene. Quando arrivo all’indirizzo, le scrivo su whatsapp. Mi risponde di andare nella strada parallela a quella in cui mi trovo. È un classico. Al telefono non danno mai l’indirizzo esatto. Numero 5. Quando arrivo devo richiamare. Mi risponde, dicendomi che ha appena aperto il portone. Primo piano. Entro in una palazzina in via di ristrutturazione, nel farlo debbo stare attento ai calcinacci presenti. Mi auguro di trovare di meglio una volta all’interno. Chiudo il portoncino alle mie spalle ed inizio a salire i pochi gradini che mi portano da quella voce calda e suadente che presto si tramuterà in carne da assaporare. Pochi, ruvidi scalini mi separano, infatti. dall’idea del piacere che alberga nella mia mente e non solo.. Appena giunto ad un pianerottolo, percepisco dei rumorini venire dall’interno di uno dei due appartamenti presenti. Ma soltanto la porta di uno dei due inizia ad aprirsi creando un piccolo varco. Riesco ad intravedere solo una lieve fessura di buio ma è tale spiraglio nero che mi invita ad entrare. Una volta all’interno , lei si staglia davanti a me. Alta coi tacchi e lingerie bianca. La sua pelle vellutata e abbronzata inebria di profumo tutto l’ambiente. I capelli castano scuro, lisci alle spalle e grandi occhi neri. Una seconda di seno coppa C e bei fianchi da dondolare sotto l’effetto di un cazzo duro. Un po’ di rossetto sulla bocca, non troppo carnosa ma abbastanza porca da richiamare la mia. Ci salutiamo, mi avvicino, con le mie mani grandi e con ditta affusolate, le cingo la vita e di sobbalzo, senza che lei opponga resistenza alcuna, le infilo la lingua in bocca. È strano baciare così una puttana ma lei me lo permette. Non so perché. Probabilmente, alchimia. Mi stacco e le chiedo quanto. Mi risponde che provvederò alla fine. L’ambiente è unico. Soggiorno con angolo cottura chiuso da due ante di armadio di colore bianco. Un lettone matrimoniale accanto ad una finestra decorata da veneziane chiuse per ristoro dei presenti. Una poltrona in pelle di colore rosso, sulla quale pian piano vanno a stagliarsi i miei jeans e la mia camicia. Lei viene a letto, inclinando il sua docile e prorompente corpo verso il mio. Riprendo a baciarla, dolcemente prima, da maiale con lingua poi. L’alito è buono, anche il mio lo è. Prima di venire ho fatto gli sciacqui con il Listerine. Si toglie tutto anche lei, mutandine e reggiseno. Le bacio il collo, e le lecco i turgidi capezzoli che come clitoridi appuntiti picchiettano i miei denti, stimolando sempre più le mie papille gustative.Tolgo anche i miei slip neri di marca Intimissimi, ormai belli e rigonfi nella parte centrale, e li butto sul pavimento. Il mio membro da me denominato Gustavo è già bello duro. La sera prima mi ero rasato tutta la zona pubica per cui ora risultava, all’apparenza ancora più maestoso. Ho un bel cazzone me lo hanno sempre detto le donne e, gli amici del calcio sotto la doccia. Non è enorme come certi uccelli sformati ma è bello, dritto, molto grosso alla base con una cappella che vorrei più grossa perché so che alle donne piace la cappella bella gonfia e grande di diametro. La mia, vista dall’alto è, paragonata al resto dell’asta, in particolare alla base molto grossa, come vedere una capocchia di spillo. Tuttavia, adoro dare il mio cazzo in bocca e vederlo sparire a ritmo esaltante nella bocca della donna. Mi piace quello che fa. Ad intervalli regolari, interrompe di succhiare e lecca tutta l’asta anche le palle. Ci sputa sopra e ingloba alternando, le palle, prima la destra poi la sinistra, o viceversa. Siamo in una posizione strana. Io col mio ginocchio sinistro sul materasso e l’altra gamba, la destra, fuori dal letto che si estende dritta fino al pavimento. Lei in ginocchio con il suo braccio destro che ogni tanto, all’altezza del gomito batte sul materasso e scivola sul bordo della rete metallica che sostiene quel quadrato di piacere e trasgressione. La prendo sui fianchi e la butto sul letto. Lei supina con gambe larghe aperte, dinanzi a me una voragine di carne con filetti spiegazzati una sopra all’altro, simili alla forma di una farfalla e degni del miglior origami. Ci metto la lingua. Sento un sapore che mi piace. Ricorda la fragola e anche questo può essere tipico quando sei fortunato. Non so cosa utilizzino le puttane ma sicuramente hanno qualche segreto per far impazzire il senso del gusto altrui. Affondo tutta la lingua all’interno della fessura vaginale con colpetti ritmici, inebriandomi di tutto quel nettare che in pochi istanti disseta i miei sensi, stimolando più fame. Siamo un tutt’uno, io e lei. La fica. Ad un certo punto lei mi chiede di mettere il gommino sopra il mio Gustavo ed incappucciarlo tutto. Lo faccio io, aiutato però dalle sue sapienti mani. Il palmo delle sue mani e quelle dita che si diramano da esso sono così sottili e sinuose che mi eccitano ancora di più, durante la manovra di vestizione del mio coso. Ci sa proprio fare. È la tipica donna che te lo fa diventare duro soltanto quando con la sua mano, generalmente quella destra ti accarezza il pacco ponendo la sua pelle vellutata a contatto con il tuo jeans ad altezza della cerniera. Questo avviene seduti, su un divano ma ancora più spesso in auto. Precede sempre un pompino. Torniamo a noi. Dopo essere stato incappucciato, si è di nuovo sdraiata supina a gambe aperte, io mi son messo sopra e lei con la sua mano destra lo ha preso per accompagnarlo all’interno della sua fica. Era bella bagnata e sono entrato in un attimo. Ho un bel cazzo grosso alla base, come dicevo all’inizio ma non le ho fatto male perché era ben lubrificata e poi, di suo, ben dilatata anatomicamente. Appena dentro, mi sono abbassato col mio corpo ancora di più andando a toccare col mio petto i suoi seni, così facendo il mio membro è scivolato ancora di più all’interno della caverna del piacere, provocando in lei un leggero gemito di dolore misto a gratitudine. A questo punto l’ho guardata, lei aveva gli occhi semichiusi e la bocca un po’ aperta con la lingua che era lì dinanzi al mio viso, tra i suoi denti, come se fosse affacciata ad un davanzale. Immediatamente, ho infilato la mia lingua in quella dolce fessura formata dalle sue carnose labbra e abbiamo ripreso a limonarci con piacere inondati completamente dalla nostra saliva. Contemporaneamente iniziavo a pompare su e giù. Come uno stantuffo, a ritmi sempre più elevati. Mentre lei aveva le gambe all’altezza delle mie spalle, ho fatto un’altra cosa, da vero porco quale sono sempre stato e sarò per sempre. Con le mie mani ho preso sempre più saldamente le sue natiche, spingendo verso il basso, delicatamente, l’indice della mia mano destra fino a toccare ed ispezionare il suo buchetto. Una volta intercettato l’incavo del piacere più nascosto, facevo scivolare il dito stesso all’interno del suo orifizio anale, ingresso reso facile dalla costante lubrificazione che avveniva per via del liquido vaginale che per gravità scendeva verso le grinziture del suo buco di mandorla. Si, sapeva di mandorle amare ma era piacevole. Sentivo che le piaceva essere montata così. Colpì fortissimi ritmici come un pistone, entravo e usciva dalla sua fica, lingua con lingua e il mio dito bello grosso (faccio l’operaio, monto caldaie) che penetrava sempre più in profondità nel suo culo. Nella vita, faccio l’operaio. Monti caldaie per cui le mie dita sono irrobustite e nerborute a causa di anni di lavoro passati a smontare e rimontare bruciatori o valvole di scarico. Dopo diversi minuti che a me sono parsi un eternità, ci siamo spostati, senza farmi accorgere ho odorato il mio dito, posto precedentemente all’interno del suo culo per valutarne la fragranza. Faccio sempre così. Questo per me è un momento fondamentale perché da qui dipendono gli step successivi. Era già asciutto ma non odorava di nulla. Completamente neutro. Ripeto, sapeva un po’ di mandorle amare ma si sa che tra le grinziture anche del culo più pulito, la mandorla ha il suo regno. Potevo dunque chiedere altro, se a lei ovviamente andava ma prima ancora avevo bisogno di fare una delle cose per me più belle del mondo: farla girare, metterla in posizione pecorina, anche se a lei, scopri dopo nel corso di una piacevole chiacchierata, piaceva dire “a pecorella”. È una posizione regina, sappiamo bene noi maschi ma se la contende, tale posizione, con quella che la donna dotata di un bel culo offre quando si staglia in piedi di spalle appoggiata allo stipite di una porta o leggermente inclinata, con le braccia estese su di un tavolo sul quale posa il palmo delle proprie mani. Sto parlando di questo: le avrei leccato, con tutta la voluttà possibile, il buco del culo. E così feci. La scopai con la lingua per almeno cinque minuti. Lei gemeva di piacere e nel contempo si toccava il clitoride, turgido e bello sveglio. In particolare, i muscoli estrinseci della mia lingua, come il muscolo genioglosso e il muscolo palatoglosso erano allo stremo delle proprie forze e capacità. Terminata questa pratica le chiesi se le andasse quel di più, proibito.. mi rispose sibilando -“si, ma mi raccomando fai piano. Prometti?” - “Prometto”- risposi. Si alzò, e con un cenno di una mano e un sorriso birichino mi fece capire di attendere qualche attimo. Andò verso il suo bagno, al ritorno aveva tra le mani un lubrificante. Ce lo spargemmo sui nostri prossimi protagonisti, il mio Gustavo e il suo buchetto di mandorla. Mi portò di nuovo a letto e mi chiese di entrare, stando sdraiata sul fianco. In tal modo avrebbe sentito meno dolore. Così feci. Mi disse -“Entra piano”. Poi, una volta all’interno con la mia cappella che aveva appena superato il varco mi chiese di pazientare per qualche secondo. Dopodiché mi diede il permesso di affondare. E così feci. Prendendola di lato e nello stesso tempo limonandoci. Dentro, avanti e indietro, il mio cazzone dilatava quello sfintere sempre più elastico e voglioso. Con la mia lingua le bagnavo la faccia e con la sua fica lei bagnava la mia mano destra che giocava col suo clitoride. Venne! Godette come una scrofa in calore. Io mi fermai più volte. Ero un tipo resistente ma quando prendevo pastiglie, non so bene per quale ragione fisiopatologica, duravo ancora di più. Tuttavia, dicevo, mi fermai più volte perché avevo in mente un altro modo di porre fine a quel piacere e dare sfogo alla mia crema bianca che, impellente sembrava supplicarmi d’essere sviscerata. Separati i due attori protagonisti, svelto mi misi in piedi levandomi nel contempo la sottile propaggine di gomma sintetica che ormai quasi soffocava il mio membro. Le chiesi di mettersi in ginocchio. Eravamo ancora sul lettone. Pericolosamente in bilico ed in equilibrio, su una rete posta a dura prova quel giorno. Le chiesi di leccarmi le palle mentre io con la mia mano sinistra (sono mancino per certe cose), andavo su e giù col mio prepuzio che a piccoli intervalli regolari faceva apparire e scomparire la capocchia del glande. Lei non ci pensò un attimo a succhiarlo, mentre obbediva alla mia richiesta. Ma a tale richiesta ne feci seguire un’altra. Tenendole la testa all’altezza della sua fronte e girandomi io, leggermente di spalle le feci capire che volevo che la sua lingua lavasse il mio buco intriso di sudore di piacere e, per questo, probabilmente, un po’ acidognolo. Obbedì e mi accontentò. Dopo istanti interminabili di sublime appagamento, mi voltai ad un tratto completamente, tenendomi appoggiato alla testata del letto, che era di altezza notevole. Lei mi leccava il culo con voluttà e da sotto infilava la mano per prendere, alla base, la mia asta e farla andare su e giù con modalità sega. Ormai ero alla fine, mi rigirai ponendo il mio cazzo ad altezza dei suoi occhi, glielo ridiedi in bocca e mentre riprese a succhiarmi, infilò, facilmente, avendolo lubrificato poc’anzi, il suo dito medio nel mio buco. Uscì dopo pochi istanti dalla sua bocca e sostenuto dalla mia mano sinistra, le schizzai tutto il viso, la fronte, i capelli, il naso, la bocca, la guancia destra, financo le palpebre che lei riuscì a chiudere opportunamente impedendo al mio liquido spermatico di creare, coi propri batteri, un infezione nella congiuntiva dei suoi bulbi oculari. Durante tale ultima manovra, i miei occhi socchiusi urlavano di piacere ma appena li riaprí vidi questa immagine, una sostanza bianca, densa e cremosa scivolava giù dal suo viso come una sorte di vernice gettata su un quadro appena compiuto.
Ci facemmo la doccia e prima di congedarmi, mi offrí da bere. Quel giorno sarebbe stata libera. Non aveva altri clienti. Mi diede da bere una limonata ghiacciata giusto per rimanere in tema. Posai infine il mio bicchiere su un lavandino e baciandola per l’ultima volta sulle labbra, infilai un raro biglietto, da 500€ sulla tasca posteriore della corta gonna in jeans da lei appena indossata. Mentre andavo via a passo lento da quella palazzina dall’apparenza diroccata, due finestre, del primo piano, venivano spalancate e una musica alta, immediatamente si diffondeva nell’aria. Suonava la canzone dal titolo “Un giudice”. Ed io felice, fischiettavo quel motivetto che per sempre legai a quella mattinata di puro piacere. Rientrai nella mestizia del mio soppalco, pago tuttavia di aver aggiunto, quel giorno, una nuova esperienza alla bacheca della mia memoria.
scritto il
2025-08-13
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