Sfiorivano le viole

di
genere
prime esperienze

Se soltanto qualche mese prima le avessero svelato il suo presente, non sarebbe stata in grado di riconoscervisi. Si sarebbe guardata allo specchio e vi avrebbe scorto sempre il solito volto, sempre le solite guance pallide. Eppure qualcosa era cambiato, certo non nel suo aspetto o necessariamente nella sua vita, ma forse solo nel suo modo di muoversi, curiosa, nel mondo.
Proprio per questo motivo si trovava seduta su quel divano, in quella casa perfettamente ordinata di un uomo a lei quasi sconosciuto. Un calice di vino bianco in una mano; la tensione e l’aspettativa nell’altra, racchiuse nell’orlo della gonna con cui, da ormai qualche minuto, stava nervosamente giocando.
Si erano conosciuti su un’app di dating, una fonte dalla quale non avrebbe mai pensato di attingere. Non per pudicizia, no, quella non l’aveva mai caratterizzata, ma forse per l’altezzosa convinzione di non aver bisogno di quel tipo di attenzioni, di conferme. Non mi servono, pensava, ed effettivamente non si sbagliava a crederlo: gli uomini la desideravano e lei lo stava scoprendo solo in quel momento.
Il vino aveva formato, sul liscio ventre del calice, un leggero strato di condensa che le bagnava appena le punte delle dita e che la faceva pensare alle conchiglie distese sul bagnasciuga. Anche le dita di lui, strette con leggerezza attorno al bicchiere, dovevano essere bagnate come le sue. Non si era mai resa conto di quanto la gestualità di una persona potesse essere ipnotizzante: erano ore, ormai, che seguiva il moto di quelle mani che, con naturale maestria, avevano cercato in una profonda tasca le chiavi di casa, avevano fatto scattare la serratura, avevano stappato la bottiglia di vino che ora stavano sorseggiando e avevano preparato per lei un’ottima cena.
Non poté scacciare dalla sua mente, ormai completamente libera a causa dell’alcol, il pensiero di quante altre cose avrebbero potuto fare quelle dita disinvolte. All’affiorare di quel pensiero, si ritrovò a inalare bruscamente una boccata d’aria che, anziché calmarla, la fece soltanto dubitare di quanto riuscisse a sembrare rilassata in quel momento. Si chiese se uno spettatore attento, osservandoli come si guarda una scena di un film, sarebbe stato in grado di cogliere il suo desiderio e l’agitazione che quel senso di attesa stava mettendo in lei. Probabilmente no. Forse nemmeno lui, seduto di sbieco sul divano per poterla guardare, era in grado di leggere i suoi pensieri. Eppure si sentiva così esposta, così vulnerabile, come se l’ipotetica scena di quel lento film fosse sottotitolata a caratteri cubitali gialli e la sceneggiatura fosse la letterale trascrizione di ogni suo impulso.
Il suo sguardo si spostò sulla bocca di lui, ora appoggiata al bordo del calice e bagnata da quel liquido dolciastro. Il bicchiere tornò ad abbassarsi. Il pomo d’adamo, lentamente, scivolò lungo la gola illuminata dalla lampada da tavolo. Avrebbe voluto posare le sue labbra, i suoi denti, su quella pelle liscia, e sentiva che quel momento sarebbe presto arrivato. Guardandolo, incastrando per qualche istante le pupille dilatate nelle sue, vide in lui quel bagliore che altre volte aveva scorto nei ragazzi che aveva frequentato: la desiderava, e questo era tutto ciò che contava. Sapevano entrambi quello che sarebbe successo di lì a poco, ma nessuno dei due sembrava riuscire a compiere quel passo, ormai millimetrico, che separava i loro corpi.
Avevano parlato tutta la sera e non vi erano mai stati momenti di imbarazzo, ma per la prima volta dopo ore, la conversazione si era fatta rarefatta. Ogni frase sempre più breve, sempre più sussurrata, per lasciare all’altro la possibilità di oltrepassare quella sottile soglia. Soltanto quando le mani di lui, risalendo piano lungo le sue spalle, si posarono sulla sua nuca, ebbe la certezza che le loro labbra si sarebbero incontrate. Si sporse in avanti così come quando, dopo infiniti minuti passati a guardare la superficie brillante dell’acqua, il corpo, quasi senza volerlo, inizia a prendere la rincorsa per tuffarsi.
Il loro bacio, dapprima delicato e quasi timido, si trasformò presto in vorace. Era la terza volta che si vedevano e passavano ore a parlare e a osservarsi, attenti, nel tentativo di svelare gli altrui misteri. La tensione accumulata si riversò nelle loro bocche, nei movimenti lenti e cadenzati delle loro lingue che si esploravano. In poco tempo lei si ritrovò a cavalcioni sulle sue gambe, con le mani affondate nei corti e morbidi capelli. Ripensò, in modo alquanto confuso, al quel pomo d’adamo e alla sua gola che aveva accolto il vino fresco e secco, e questo le diede la forza di staccarsi dalle sue labbra, ora lucide e ansimanti, soltanto per abbassarsi verso il suo collo e mappare, con una serie di languidi baci, la sua pelle chiara. Sapeva l’effetto che quei baci stavano avendo su di lui, poteva sentire la sua eccitazione crescere fra le sue gambe e premere attraverso i jeans. Una bolla di calore, invadente ma terribilmente accogliente, le risalì dal basso ventre e le fece trattenere un respiro. Le bastava sentire il suo desiderio, la voglia che lui aveva di farla sua, per perdere ogni inibizione. Lo voleva, lo voleva ormai da ore che le erano parse infinite. Lui percepì la sua arrendevolezza e lentamente, quasi a voler chiedere un tacito permesso, lasciò che una delle sue mani vagasse sul suo corpo, sui suoi fianchi sottili, sul suo ventre, fino al suo seno. Non portava il reggiseno, non lo portava mai. Diceva che non le serviva, che la natura non era stata particolarmente generosa con lei e che non avrebbe avuto senso torturarsi con un indumento così profondamente patriarcale. Non era una menzogna, ma nemmeno la completa verità. Si vergognava ad ammettere che, in realtà, provava un certo piacere nel camminare per strada sapendo che, alla prima folata di vento freddo, i suoi capezzoli sarebbero stati completamente visibili attraverso il tessuto sottile delle magliette che sovente indossava. E se qualcuno l’avesse guardata, magari anche con malizia, non le sarebbe dispiaciuto poi così tanto.
Certi suoi pensieri le facevano credere di non potersi definire una vera femminista, nonostante gli innumerevoli libri letti e seminari seguiti in università. Ma in quel momento nemmeno l’immagine di Simone de Beauvoir, con il suo sguardo attento, riuscì a riportare in carreggiata il suo desiderio, ormai totalmente privo di binari su cui essere mestamente incanalato. Abilmente le dita di lui sollevarono l’orlo della sua camicetta, liberando i seni piccoli e tondi che poco avevano visto la luce del sole. Prese quelle due pallide lune fra le sue mani e, attratto da una potente calamita, fece aderire le sue labbra a uno dei capezzoli, ora reattivi e turgidi. Dalle labbra di lei uscì un sospiro, come se parte della tensione accumulata durante la serata si fosse fatta strada nella sua bocca per essere liberata nell’aria circostante. L’eccitazione di lui, sempre più dura, collideva perfettamente con il suo centro del piacere e i loro movimenti li portarono a strusciarsi con sempre maggiore insistenza, lasciando entrambi boccheggianti e con la mente annebbiata dalla lussuria. Soltanto in quel momento lui la prese da sotto le cosce e, alzandosi, la fece sdraiare con la schiena nuda sul divano.
Dalla finestra spalancata entravano i rumori della strada: dai finestrini abbassati di un’auto uscivano i bassi di una musica commerciale, qualcuno sbraitava per il troppo caldo, in lontananza la sirena di un’ambulanza avvertiva del suo passaggio. Ma i due giovani non potevano prestare attenzione a questi inutili dettagli: tutta la loro esistenza, in quel momento, era fatta di bocche che si cercano, di respiri che si srotolano e di mani che cercano di ancorarsi a qualche appiglio.
Lei lo aiutò nel liberarla dalla sua gonna, con quella stupida cerniera sul fianco, e lui, baciandole il ventre teso, le sfilò le mutandine di pizzo nere che lei aveva scelto con cura prima di lasciare il suo appartamento. Si era guardata allo specchio, esaminandosi da ogni lato, alla ricerca dell’intimo che la valorizzasse di più ma poi, sentendosi quasi ridicola, aveva preso le sue preferite dal cassetto e le aveva indossate senza più pensarci.
Il viso di lui si avvicinò al suo sesso, tanto da poter sentire il suo fiato caldo sulla pelle già bagnatissima. Le intimò di aprire le gambe e lei, senza alcun pudore, le divaricò mostrandosi arrendevolmente a lui. Sentì il calore della sua lingua insinuarsi fra le sue pieghe, delicata, come se volesse spingerla a supplicarlo di avvicinarsi di più, di darle tutto il piacere di cui era capace. Poche volte aveva amato così tanto essere assaggiata da un uomo. Con le dita affusolate affondò nella chioma bruna per dimostrargli quanto stava godendo, quanto la rendeva disperata e al contempo gratificata. Spalancò la bocca per far entrare l’ossigeno che in quella stanza le sembrava sempre più rarefatto e si umettò le labbra con la lingua affamata. Una mano di lui, nel percepire la sua foga, abbandonò le sue cosce per risalire, passando per l'avvallamento tra i seni, fino a penetrare con due dita la sua bocca bisognosa. Lei le accolse bagnandole di saliva, succhiandole come se la sua vita dipendesse da quello, e lasciando andare un gemito soffocato. Le sembrò che lui fosse in grado di leggerle nel pensiero, che riuscisse a capire, soltanto sfiorandola, di cosa avesse bisogno il suo corpo trepidante. Quando le dita abbandonarono la sua bocca, lei si alzò sui gomiti e lo supplicò di baciarla. Al contatto fra le loro labbra, sentì sulla sua lingua il suo stesso sapore e la sua eccitazione crebbe ancora di più. Ora toccava a lei. Sentiva crescere dentro di sé la necessità impellente di soddisfare il ragazzo che tanto la stava facendo fremere. Lo guardò in modo deciso, cercando di raccogliere la forza necessaria a formulare a voce alta i suoi pensieri.
- Voglio averti nella mia bocca, non c’è niente che desideri di più.
Lui, allontanandosi di qualche centimetro, scrutò il suo volto beandosi del suo sguardo sommesso e iniziò, con le dita veloci, ad allentare la cintura che sorreggeva i suoi jeans, ma lei si sostituì ben presto a lui. Voleva essere lei a spogliarlo, voleva avere quest’ultima parvenza di potere prima di arrendersi completamente a lui. Osservò il rigonfiamento costretto all’interno dei boxer e lentamente lo liberò, facendolo pulsare. Lei fece per alzarsi dal divano, ma lui la trattenne e, soltanto dopo averle succhiato un capezzolo rosa, lasciò il suo posto torreggiando su di lei :
-Ti voglio in ginocchio.
C’era qualcosa, nello stare inginocchiata ai piedi di quell’uomo, che la eccitava terribilmente.
Con una mano afferrò il suo membro caldo e lasciò che la sua bocca vagasse sul suo basso ventre, sulla leggera peluria che contornava il suo sesso. Poteva percepire la sua urgenza nel modo in cui le spostava i capelli dal viso, con le mani che si muovevano a tentoni, i movimenti troppo offuscati dal desiderio. Nonostante la sua posizione di inferiorità, con le fredde piastrelle a scavare nelle ginocchia nude, si sentì incredibilmente potente: sapere di avere la capacità di domare il piacere di quel giovane uomo la inebriava. Voleva soddisfarlo. Lo guardò dal basso in modo interrogativo, come a cercare un permesso che sapeva avrebbe ottenuto, e lentamente inglobò la cappella lucida fra le sue labbra, lasciandola scivolare sulla lingua umida. Le mani di lui si strinsero fra i suoi capelli e dalla sua bocca uscì un gemito sommesso, frutto di un’interminabile serata di tensione e aspettative. Si lasciò guidare dai suoi sospiri e si fece penetrare la bocca sempre più in profondità, fino a che le lacrime non iniziarono a bagnarle gli occhi. Amava sentire quel sesso caldo sbattere sul retro della sua gola, riempiendola completamente. Dovette staccarsi soltanto per prendere un respiro ma, quando stava per riprendere con devozione il suo lavoro, lui chinò il capo verso di lei per far incontrare le loro bocche. Fu un bacio lento, quasi in contrasto con i movimenti osceni di pochi istanti prima. Le labbra si accarezzarono bisognose, le lingue si rincorsero. Tenendola per il mento, abbandonò il bacio, lasciandola ansante e stordita. Dalla bocca di lui, che ormai la sovrastava completamente, fuoriuscì un fiotto di saliva che si depositò direttamente fra le labbra involontariamente spalancate di lei. Non si era mai fatta sputare in bocca da nessuno, probabilmente non l’aveva nemmeno mai percepito come un gesto erotico. Eppure, in ginocchio davanti a lui, le era sembrata la cosa più giusta al mondo. Si sentì una vera troia, totalmente in balia di lui e del suo desiderio, noncurante di quel poco senso del pudore che ancora le restava. Quel gesto, così semplice, aveva risvegliato in lei qualcosa che non credeva potesse esistere. Per una frazione di secondo le balenò per la testa l’idea che si sarebbe fatta fare qualsiasi cosa da lui, che non avrebbe opposto resistenza, che si sarebbe fatta usare in qualsiasi modo. Respinse questo pensiero. Il fatto di essere così arrendevole la spaventava, eppure non era mai stata così eccitata in tutta la sua vita. Le mani di lui, ancora fra i suoi capelli, le spinsero nuovamente la testa sul suo membro svettante e lei non poté fare altro che inglobarlo nuovamente nella sua bocca, ora lubrificata dalle loro congiunte salive. Continuò ciò che aveva interrotto in precedenza, prendendosi il suo tempo per assaporare ogni centimetro della sua lunghezza e beandosi dei suoi gemiti. Quando, per far riposare la mandibola stanca, scese con la lingua verso quei rotondeggianti frutti del desiderio che, tesi, aspettavano di essere stimolati, lui trattenne il respiro:
-Fermati, se vai avanti così rischio di non poterti scopare, ed è quello che voglio fare dalla prima volta in cui ti ho vista.
La aiutò a sollevarsi da terra e la fece stendere nuovamente sul divano, ma finalmente i loro corpi potevano godere a pieno del calore delle loro pelli sudate. Lui si portò due dita alla bocca e, dopo averle bagnate, le fece scendere fra le gambe di lei. Si accorse di quanto fosse bagnata soltanto quando un primo dito le entrò dentro senza alcun attrito, come se stesse tornando nel luogo in cui era destinato a stare. Si era completamente concentrata sul piacere di lui. Nel soddisfarlo con la sua bocca, non si era nemmeno resa conto della sua stessa eccitazione. Non aveva nemmeno provato a toccarsi, a darsi sollievo.
Tutto il desiderio che aveva trascurato negli ultimi momenti si riversò dentro di lei nel momento in cui lui, spinto dai gemiti, inserì un secondo dito dentro di lei e iniziò a muoverle insieme spingendo verso l’alto, toccando il punto che più la faceva godere. Ebbe la sensazione di avere una piscina d’acqua bollente nel basso ventre, popolata da tutti i suoi più reconditi impulsi. Si ritrovò a doversi tappare la bocca con una mano, nel tentativo di essere più silenziosa, di arginare in qualche modo il suo piacere troppo dirompente. Lui le prese la mano e se la portò sul membro, non tanto perché avesse bisogno di essere toccato, ma per impedirle di zittirsi. Gli bastava guardarla godere in modo così arrendevole grazie alle sue mani, che sarebbe potuto venire soltanto sentendo la sua calda fonte stringersi attorno alle sue dita. Intensificò il ritmo, con l’obiettivo di portarla all’orgasmo. Lei si morse forte un labbro, lasciando il segno degli incisivi su quello inferiore e venendo inondata dal piacere. Istintivamente, cercò di riportare il dorso della mano sulla bocca ma lui la fermò deciso:
-Voglio che tu venga per me e voglio sentirti mentre lo fai.
Il suono di quelle parole, pronunciate dalla sua voce resa torbida dall'eccitazione, la inebriò. Rovesciò la testa, ormai sporgente dalla seduta del divano, all'indietro e si abbandonò completamente. Un orgasmo dirompente la travolse, tanto da farla schizzare più volte attorno alle dita dell’uomo che tanto l’aveva fatta godere. Il suo liquido trasparente giaceva ora fra i loro corpi, sulle abili mani di lui e sulle cosce tremanti di lei.
Con ancora la testa a penzoloni, aprì gli occhi offuscati dall’orgasmo e lo sguardo le cadde su un poster sulla parete. Visto così, al contrario e in quelle condizioni, sarebbe stato per lei impossibile leggere cosa vi fosse scritto, ma lo aveva già notato in qualche ora prima, mentre aspettava che la cena fosse pronta.
“E tu prendevi la mia mano,
mentre io…”
La testa quasi le girava a causa dell’intensità del piacere appena provato, ma le bastò riguardare quell’uomo negli occhi per riaccendersi completamente. Una miccia pronta ad essere infuocata in ogni istante. Un arco perfettamente teso, pronto per scoccare la mortifera freccia.
Lui, inebriato dal suo godimento e ancor più desideroso di possederla, la raccolse di peso dal divano e la portò in camera da letto. Per la prima volta nella sua vita si sentì leggera. Se fosse stata più lucida, si sarebbe messa a contare tutte le volte che, quella sera, aveva provato qualcosa di nuovo per la prima volta. Ma non era lucida. Non voleva esserlo.
La fece sdraiare sul ventre, lasciando le sue pallide rotondità esposte. Lentamente, partendo dalla parte alta della schiena, iniziò a mappare la sua pelle con la lingua e i denti, sempre più desideroso di sprofondare nelle sue carni. Arrivò fino alla sua fessura, dove fece scendere la lingua per donarle il piacere più proibito. Lei, sorpresa, inarcò la schiena:
-Ti voglio dentro di me.
Si posizionò dietro di lei e, durissimo, iniziò a strusciarsi sulla sua apertura bagnata e vogliosa, già esplorata dalle sue dita. Lei, con i capelli incollati al viso e la bocca spalancata ansimava e voleva soltanto arrendersi al suo ingresso:
-Scopami, ti prego, scopami ora.
Sentendola supplicare, così disperata e implorante, non potè fare altro che lasciare che il suo membro scivolasse lentamente dentro il suo sesso. L’agognata unione dei loro corpi sorprese entrambi. Lei ebbe la sensazione di sentirsi completa, lui di essere nel posto giusto. Per qualche istante rimasero immobili, godendosi quella meravigliosa sensazione, ma ben presto la lussuria prese il possesso dei loro movimenti. Le spinte di lui si fecero più decise, i gemiti di lei più gutturali.
Lei, in preda al piacere, si voltò per quanto possibile a guardarlo, con la faccia sconvolta dai ripetuti colpi che la scaldavano dall’interno. Sentiva che sarebbe potuta venire di nuovo, con il suo membro durissimo conficcato nelle viscere. Lui intercettò subito il suo desiderio di alzare l’asticella, di spingersi ancora una volta un po’ più in là. Con una mano si ancorò ai suoi fianchi e con l’altra, decisa, le schiaffeggiò una natica. Sulla sua pelle sensibile comparve subito una chiazza rossa, un segno del suo passaggio. Guardandola inarcarsi sotto di lui, pensò che avrebbe voluto che quel marchio le restasse addosso per sempre. Avrebbe voluto che lei potesse stare così, pronta e calda per lui, nel suo letto, tutte le notti. Assestò un altro schiaffo sulla sua rotondità già arrossata e poi si sporse in avanti fino a far entrare un suo dito nella bocca ansimante di lei. Venne accolto e inglobato subito fino all’ultima nocca, tenendole le labbra spalancate. Quando lo ritrasse era incredibilmente bagnato, perfetto per quello che avrebbe fatto di lì a poco. Continuando a spingere ripetutamente con i fianchi, ormai sull’orlo del precipizio, con una leggera pressione fece scorrere il dito lungo la curva della sua spina dorsale fino a posizionarlo sul suo anello del piacere, ancora inesplorato ma pulsante. Lei si aprì di desiderio per lui.
Vennero contemporaneamente: lui affondato nella sua morbida carne, lei arrendevolmente riempita in ogni modo possibile. L’orgasmo li tenne in ostaggio per un tempo indeterminabile e si godettero ogni secondo di quel piacere così prorompente.
Solo pochi istanti dopo, mentre dal suo corpo sgorgava ancora il caldo seme di lui, nella sua mente ormai totalmente appannata dal sonno riapparve l’immagine di quel poster colorato che decorava la parete del salotto. Rino Gaetano. Era una canzone di Rino Gaetano.
“Fiorivi sfiorivano le viole
E il sole batteva su di me
E tu prendevi la mia mano
Mentre io aspettavo”
Le sembrò quasi ironico. Lei, che portava proprio il nome di quel fiore. Lei, che negli ultimi anni si era sentita appassire, consumare dalla vita che si era costruita. Forse non c’era nessuno ad aspettarla, bruciandosi la pelle al sole, eppure lei quella notte era fiorita. Sorrise.

scritto il
2025-07-29
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