Al piano alto con il Finocchio
di
Finocchio sposato
genere
gay
L’ascensore si chiuse con un tonfo secco. Claudio si passò una mano sui pantaloni, nervoso. Carlo lo guardava fisso, con un sorriso crudele. «Che piano?»
«Undici.»
Carlo schioccò la lingua. «Undici, eh? Finocchio.»
Claudio deglutì, evitò lo sguardo. «Sì, sono nuovo.»
Carlo si avvicinò, la voce bassa ma tagliente. «Sai cosa sei? Un finocchio di merda che si nasconde dietro una fede, una famiglia, e pure i figli. Un finocchio con la paura di ammettere quello che brama dentro.»
Claudio fece un passo indietro, ma Carlo lo seguì. «Fermati, finocchio. Non ti lascio scappare.»
L’ascensore salì lento. Carlo prese la mano di Claudio, la strinse. «Non sei altro che un finocchio in gabbia. Un finocchio che sogna uno come me che gli scava dentro, che gli spalanca il culo e lo fa urlare.»
Le porte si aprirono. Carlo spinse Claudio fuori. «Vieni, finocchio.»
Dentro l’appartamento, la porta sbatté dietro di loro. Carlo lo buttò contro il muro, strappandogli la cravatta. «Ti spoglio, finocchio, e ti metto a nudo come sei: un finocchio rotto e sottomesso.»
Le dita di Carlo strisciarono sotto la camicia di Claudio, toccarono la pelle fredda, tremante. «Guarda che roba, finocchio. Un padre di famiglia che trema davanti a me. E io lo voglio così, finocchio, tremante, sporco di desiderio.»
Con un gesto deciso, Carlo lo girò, piegò in avanti Claudio e infilò due dita dentro di lui senza chiedere permesso. «Ecco il tuo posto, finocchio. Muto, aperto, schiavo. Finocchio come meriti.»
Claudio gemette, il corpo cedette. Carlo continuò a bisbigliare parole dure: «Sei mio, finocchio. Solo mio.»
Carlo spinse Claudio sul divano con forza, facendolo piegare in avanti. «Su, finocchio, mettiti comodo. Così ti voglio: piegato, a disposizione.»
Le mani di Carlo non lasciavano un centimetro di pelle senza esplorare, toccare, dominare. «Sei un finocchio rotto, lo sai vero? Un finocchio che aspetta solo che uno come me lo penetri e lo riduca a nulla.»
Claudio non aveva nemmeno la forza di ribellarsi, il corpo già tradiva ogni resistenza. Carlo scostò i pantaloni di Claudio con gesti rozzi, gli infilò con decisione dentro di lui, iniziando a muoversi con forza, senza pietà.
«Guarda come ti apro, finocchio. Sei tutto mio, ti prendo e ti riempio senza chiederti niente. Così ti voglio, un finocchio schiavo che geme per me.»
La stanza si riempiva di gemiti e respiro affannato, ma Carlo non mollava. Al contrario, aumentava il ritmo, la voce sempre più bassa, sporca. «Ti farò urlare finocchio, ti farò capire cosa vuol dire essere posseduto davvero.»
Poi, senza preavviso, Carlo si tirò indietro, fece girare Claudio e lo sollevò, mettendolo sopra di sé, in smorza candela. «Ora sei sopra, finocchio. Ma non pensare di comandare. Sei qui solo per farmi godere, per essere il mio finocchio.»
Carlo lo guardò negli occhi, un sorriso feroce. «Senti come ti controllo, finocchio. Sei mio, e lo sarai finché ti avrò dentro. Non scappare, non dire niente. Solo goditi di essere un finocchio sotto di me.»
Carlo sentiva il corpo di Claudio sopra di sé, leggero ma completamente prigioniero del suo volere. Le mani robuste stringevano i fianchi sottili, mentre il respiro affannoso di Claudio tradiva ogni emozione repressa. «Finocchio di merda, guarda come ti tengo. Sei un pezzo di carne da usare, nient’altro.»
La pelle di Claudio si accese al tocco ruvido, eppure non riusciva a trattenere un gemito. Carlo sorrise dentro di sé, amava sentirlo così — così fragile e così disperatamente suo.
«Non ti ho ancora finito, finocchio. Voglio sentirti supplicare, voglio sentire la tua voce rotta dal desiderio che provi per me.»
Con un movimento deciso, Carlo spostò il peso, premendo ancora di più, mentre le parole schiaffeggiavano Claudio come frustate.
«Sei il mio finocchio, il mio gioco, il mio segreto sporco che ti porti dentro anche davanti a tua moglie e ai tuoi figli. Ti stai facendo scopare come un finocchio vero, e ti piace. Ammettilo.»
Claudio, con la testa che girava tra dolore e piacere, non poté far altro che sospirare, la voce roca e spezzata: «Sì…»
Carlo affondò un bacio feroce sul collo, mordendolo con forza. «Brutto finocchio, fai bene a dirlo. Sei mio. E ogni volta che tornerai a casa, penserai a me, a come ti ho preso, a come ti ho fatto sentire un vero finocchio. Non scordarlo mai.»
La notte si chiuse intorno a loro, e con ogni spinta, con ogni parola sporca e violenta, Claudio perdeva un pezzo di sé, diventando solo ciò che Carlo voleva: un finocchio piegato, posseduto e sottomesso, per sempre.
Carlo sentiva ogni movimento di Claudio sopra di sé, la sua voce roca che si faceva sempre più supplichevole, quasi tremante.
«Sei un finocchio sporco, finocchio mio, e ti piace che ti prenda così, vero?» borbottò Carlo con tono basso e greve.
Claudio, con la fronte che si appoggiava alla spalla di Carlo, ansimò senza vergogna: «Sì… sì, padrone, sono il tuo finocchio, la tua puttanella. Prendimi, fammi sentire la tua merda dentro.»
Quelle parole uscirono come una liberazione, come se per anni avesse tenuto tutto nascosto sotto una maschera di normalità. Ora, davanti a Carlo, poteva essere solo un finocchio in calore, una puttanella pronta a tutto.
«Sei un puttanella sporco, finocchio. E io ti voglio così, con quella bocca che non smette di chiedermi di più, con quel culo che si apre per me senza vergogna.»
Le dita di Carlo scivolarono sui fianchi di Claudio, affondando forte, mentre il respiro di lui diventava sempre più convulso. «Parla, finocchio, dimmi quanto vuoi che ti fotta.»
Claudio gemeva, la voce roca e fradicia: «Ti voglio dentro, padrone. Non posso più farne a meno. Sono tutto tuo, usami, rompimi, fammi urlare finocchio per te.»
Carlo sorrise crudele, quasi soddisfatto. «Ecco il mio finocchio. La mia puttanella da spaccare. Da domare.»
Si mosse con forza, il corpo di Claudio che si piegava e tremava sotto di lui. Ogni parola era una scossa, ogni gemito una conferma del potere che Carlo esercitava.
«Ti scopo, finocchio, ti rompo, e ti mando a casa a piangere per me. Perché sai che sei mio, finocchio. E nessuno potrà mai cambiarti.»
Claudio si abbandonò completamente, la mente vuota solo di quel piacere sporco, di quella sottomissione che finalmente era reale.
Carlo sentiva il corpo di Claudio tremare sopra di lui, il sudore che gli imperlava la schiena. La voce roca, grondante di desiderio e sottomissione, usciva da quella bocca che fino a poco prima aveva nascosto tutto sotto una vita ordinaria.
«Sei un finocchio, sì, un finocchio strano, sporco, maledettamente mio. La tua fede non vale nulla qui, i tuoi figli non sanno che sei solo una puttanella da fottere, un finocchio da domare.»
Carlo aumentò il ritmo, penetrandolo con una brutalità che faceva tremare le pareti. «Senti come ti apro il culo, finocchio? Senti come ti faccio mio?»
Claudio urlò, il corpo si arcuò, la voce disperata: «Prendimi, padrone… rompimi… voglio essere la tua puttanella, il tuo finocchio da spaccare.»
Carlo gli strinse i fianchi, le dita graffiavano la pelle. «Finocchio, gridalo più forte. Voglio sentire che ti piace quando ti scopo così, senza pietà, senza scampo.»
«Sì, padrone! Ti voglio dentro, ti voglio prendere forte! Sono la tua puttanella, il tuo finocchio da usare e sporcare!»
Le parole di Claudio erano una scarica elettrica, il segno della resa totale.
Carlo lo afferrò per i capelli, costringendolo a guardarlo negli occhi. «Sei mio, finocchio. E adesso ti prendo così, senza filtri, senza vergogna.»
Con una mossa violenta, Carlo lo rovesciò sul divano, piegandolo completamente, e cominciò a penetrarlo ancora più profondamente, sempre più veloce, mentre le parole sporche e crudeli uscivano come una catena di colpi.
«Finocchio di merda, sei la mia schiava, la mia puttanella, e ti voglio urlare contro ogni volta che ti prendo. Sei solo un finocchio che geme per me, e io non smetterò finché non sarai completamente mio.»
Claudio si abbandonò, ogni inibizione distrutta, solo carne e voce che chiedeva ancora, sempre di più.
Carlo sentiva il corpo di Claudio tremare e aprirsi sempre di più sotto di lui, il respiro affannoso che si mescolava ai gemiti rotti. La presa sui fianchi era ferma, decisa, un possesso totale.
«Sei il mio finocchio, la mia puttanella da prendere e sporcare», sussurrò Carlo, il viso vicino all’orecchio di Claudio, la voce bassa e feroce.
Con un ultimo, profondo movimento, Carlo si abbandonò dentro di lui, calando il peso sopra il corpo piegato e tremante. L’esplosione fu violenta, travolgente.
Claudio, ancora piegato sul divano, sentì il calore e il peso della sborra che Carlo gli riversava dentro, senza possibilità di fuga.
«Assaggia, finocchio», ordinò Carlo con crudeltà, scostandogli la testa e spingendo la sua bocca verso il proprio ingorgo.
Claudio, senza resistenza, spalancò le labbra e cerco' di raccogliere la sborra con la lingua, il sapore forte e amaro che lo marchiava per sempre.
«Sei mio. Finocchio fino alla fine», sussurrò Carlo, mentre si lasciava cadere accanto a lui, il respiro che lentamente tornava calmo.
Claudio restò immobile, il corpo ancora scosso, la mente vuota, completamente preso, finito, marchiato come un finocchio vero.
Poi Carlo infilò due dita nel culo di Claudio, raccogliendo un po’ di quella sborra calda e densa. «Guarda, finocchio, questo è il segno che sei mio.»
Con crudeltà, gli portò le dita alla bocca, spingendogliele dentro senza esitazione. «Assaggia la tua merda con la mia sborra, finocchio. Solo così capirai che non sei altro che un pezzo di carne da usare.»
Claudio, ormai perso, spalancò le labbra e prese con la lingua le dita di Carlo, il sapore amaro che gli bruciava in gola. Succhiava con gli occhi chiusi.
«Brutto finocchio», ringhiò Carlo con soddisfazione. «Sei mio e solo mio. Non dimenticarlo mai.»
«Undici.»
Carlo schioccò la lingua. «Undici, eh? Finocchio.»
Claudio deglutì, evitò lo sguardo. «Sì, sono nuovo.»
Carlo si avvicinò, la voce bassa ma tagliente. «Sai cosa sei? Un finocchio di merda che si nasconde dietro una fede, una famiglia, e pure i figli. Un finocchio con la paura di ammettere quello che brama dentro.»
Claudio fece un passo indietro, ma Carlo lo seguì. «Fermati, finocchio. Non ti lascio scappare.»
L’ascensore salì lento. Carlo prese la mano di Claudio, la strinse. «Non sei altro che un finocchio in gabbia. Un finocchio che sogna uno come me che gli scava dentro, che gli spalanca il culo e lo fa urlare.»
Le porte si aprirono. Carlo spinse Claudio fuori. «Vieni, finocchio.»
Dentro l’appartamento, la porta sbatté dietro di loro. Carlo lo buttò contro il muro, strappandogli la cravatta. «Ti spoglio, finocchio, e ti metto a nudo come sei: un finocchio rotto e sottomesso.»
Le dita di Carlo strisciarono sotto la camicia di Claudio, toccarono la pelle fredda, tremante. «Guarda che roba, finocchio. Un padre di famiglia che trema davanti a me. E io lo voglio così, finocchio, tremante, sporco di desiderio.»
Con un gesto deciso, Carlo lo girò, piegò in avanti Claudio e infilò due dita dentro di lui senza chiedere permesso. «Ecco il tuo posto, finocchio. Muto, aperto, schiavo. Finocchio come meriti.»
Claudio gemette, il corpo cedette. Carlo continuò a bisbigliare parole dure: «Sei mio, finocchio. Solo mio.»
Carlo spinse Claudio sul divano con forza, facendolo piegare in avanti. «Su, finocchio, mettiti comodo. Così ti voglio: piegato, a disposizione.»
Le mani di Carlo non lasciavano un centimetro di pelle senza esplorare, toccare, dominare. «Sei un finocchio rotto, lo sai vero? Un finocchio che aspetta solo che uno come me lo penetri e lo riduca a nulla.»
Claudio non aveva nemmeno la forza di ribellarsi, il corpo già tradiva ogni resistenza. Carlo scostò i pantaloni di Claudio con gesti rozzi, gli infilò con decisione dentro di lui, iniziando a muoversi con forza, senza pietà.
«Guarda come ti apro, finocchio. Sei tutto mio, ti prendo e ti riempio senza chiederti niente. Così ti voglio, un finocchio schiavo che geme per me.»
La stanza si riempiva di gemiti e respiro affannato, ma Carlo non mollava. Al contrario, aumentava il ritmo, la voce sempre più bassa, sporca. «Ti farò urlare finocchio, ti farò capire cosa vuol dire essere posseduto davvero.»
Poi, senza preavviso, Carlo si tirò indietro, fece girare Claudio e lo sollevò, mettendolo sopra di sé, in smorza candela. «Ora sei sopra, finocchio. Ma non pensare di comandare. Sei qui solo per farmi godere, per essere il mio finocchio.»
Carlo lo guardò negli occhi, un sorriso feroce. «Senti come ti controllo, finocchio. Sei mio, e lo sarai finché ti avrò dentro. Non scappare, non dire niente. Solo goditi di essere un finocchio sotto di me.»
Carlo sentiva il corpo di Claudio sopra di sé, leggero ma completamente prigioniero del suo volere. Le mani robuste stringevano i fianchi sottili, mentre il respiro affannoso di Claudio tradiva ogni emozione repressa. «Finocchio di merda, guarda come ti tengo. Sei un pezzo di carne da usare, nient’altro.»
La pelle di Claudio si accese al tocco ruvido, eppure non riusciva a trattenere un gemito. Carlo sorrise dentro di sé, amava sentirlo così — così fragile e così disperatamente suo.
«Non ti ho ancora finito, finocchio. Voglio sentirti supplicare, voglio sentire la tua voce rotta dal desiderio che provi per me.»
Con un movimento deciso, Carlo spostò il peso, premendo ancora di più, mentre le parole schiaffeggiavano Claudio come frustate.
«Sei il mio finocchio, il mio gioco, il mio segreto sporco che ti porti dentro anche davanti a tua moglie e ai tuoi figli. Ti stai facendo scopare come un finocchio vero, e ti piace. Ammettilo.»
Claudio, con la testa che girava tra dolore e piacere, non poté far altro che sospirare, la voce roca e spezzata: «Sì…»
Carlo affondò un bacio feroce sul collo, mordendolo con forza. «Brutto finocchio, fai bene a dirlo. Sei mio. E ogni volta che tornerai a casa, penserai a me, a come ti ho preso, a come ti ho fatto sentire un vero finocchio. Non scordarlo mai.»
La notte si chiuse intorno a loro, e con ogni spinta, con ogni parola sporca e violenta, Claudio perdeva un pezzo di sé, diventando solo ciò che Carlo voleva: un finocchio piegato, posseduto e sottomesso, per sempre.
Carlo sentiva ogni movimento di Claudio sopra di sé, la sua voce roca che si faceva sempre più supplichevole, quasi tremante.
«Sei un finocchio sporco, finocchio mio, e ti piace che ti prenda così, vero?» borbottò Carlo con tono basso e greve.
Claudio, con la fronte che si appoggiava alla spalla di Carlo, ansimò senza vergogna: «Sì… sì, padrone, sono il tuo finocchio, la tua puttanella. Prendimi, fammi sentire la tua merda dentro.»
Quelle parole uscirono come una liberazione, come se per anni avesse tenuto tutto nascosto sotto una maschera di normalità. Ora, davanti a Carlo, poteva essere solo un finocchio in calore, una puttanella pronta a tutto.
«Sei un puttanella sporco, finocchio. E io ti voglio così, con quella bocca che non smette di chiedermi di più, con quel culo che si apre per me senza vergogna.»
Le dita di Carlo scivolarono sui fianchi di Claudio, affondando forte, mentre il respiro di lui diventava sempre più convulso. «Parla, finocchio, dimmi quanto vuoi che ti fotta.»
Claudio gemeva, la voce roca e fradicia: «Ti voglio dentro, padrone. Non posso più farne a meno. Sono tutto tuo, usami, rompimi, fammi urlare finocchio per te.»
Carlo sorrise crudele, quasi soddisfatto. «Ecco il mio finocchio. La mia puttanella da spaccare. Da domare.»
Si mosse con forza, il corpo di Claudio che si piegava e tremava sotto di lui. Ogni parola era una scossa, ogni gemito una conferma del potere che Carlo esercitava.
«Ti scopo, finocchio, ti rompo, e ti mando a casa a piangere per me. Perché sai che sei mio, finocchio. E nessuno potrà mai cambiarti.»
Claudio si abbandonò completamente, la mente vuota solo di quel piacere sporco, di quella sottomissione che finalmente era reale.
Carlo sentiva il corpo di Claudio tremare sopra di lui, il sudore che gli imperlava la schiena. La voce roca, grondante di desiderio e sottomissione, usciva da quella bocca che fino a poco prima aveva nascosto tutto sotto una vita ordinaria.
«Sei un finocchio, sì, un finocchio strano, sporco, maledettamente mio. La tua fede non vale nulla qui, i tuoi figli non sanno che sei solo una puttanella da fottere, un finocchio da domare.»
Carlo aumentò il ritmo, penetrandolo con una brutalità che faceva tremare le pareti. «Senti come ti apro il culo, finocchio? Senti come ti faccio mio?»
Claudio urlò, il corpo si arcuò, la voce disperata: «Prendimi, padrone… rompimi… voglio essere la tua puttanella, il tuo finocchio da spaccare.»
Carlo gli strinse i fianchi, le dita graffiavano la pelle. «Finocchio, gridalo più forte. Voglio sentire che ti piace quando ti scopo così, senza pietà, senza scampo.»
«Sì, padrone! Ti voglio dentro, ti voglio prendere forte! Sono la tua puttanella, il tuo finocchio da usare e sporcare!»
Le parole di Claudio erano una scarica elettrica, il segno della resa totale.
Carlo lo afferrò per i capelli, costringendolo a guardarlo negli occhi. «Sei mio, finocchio. E adesso ti prendo così, senza filtri, senza vergogna.»
Con una mossa violenta, Carlo lo rovesciò sul divano, piegandolo completamente, e cominciò a penetrarlo ancora più profondamente, sempre più veloce, mentre le parole sporche e crudeli uscivano come una catena di colpi.
«Finocchio di merda, sei la mia schiava, la mia puttanella, e ti voglio urlare contro ogni volta che ti prendo. Sei solo un finocchio che geme per me, e io non smetterò finché non sarai completamente mio.»
Claudio si abbandonò, ogni inibizione distrutta, solo carne e voce che chiedeva ancora, sempre di più.
Carlo sentiva il corpo di Claudio tremare e aprirsi sempre di più sotto di lui, il respiro affannoso che si mescolava ai gemiti rotti. La presa sui fianchi era ferma, decisa, un possesso totale.
«Sei il mio finocchio, la mia puttanella da prendere e sporcare», sussurrò Carlo, il viso vicino all’orecchio di Claudio, la voce bassa e feroce.
Con un ultimo, profondo movimento, Carlo si abbandonò dentro di lui, calando il peso sopra il corpo piegato e tremante. L’esplosione fu violenta, travolgente.
Claudio, ancora piegato sul divano, sentì il calore e il peso della sborra che Carlo gli riversava dentro, senza possibilità di fuga.
«Assaggia, finocchio», ordinò Carlo con crudeltà, scostandogli la testa e spingendo la sua bocca verso il proprio ingorgo.
Claudio, senza resistenza, spalancò le labbra e cerco' di raccogliere la sborra con la lingua, il sapore forte e amaro che lo marchiava per sempre.
«Sei mio. Finocchio fino alla fine», sussurrò Carlo, mentre si lasciava cadere accanto a lui, il respiro che lentamente tornava calmo.
Claudio restò immobile, il corpo ancora scosso, la mente vuota, completamente preso, finito, marchiato come un finocchio vero.
Poi Carlo infilò due dita nel culo di Claudio, raccogliendo un po’ di quella sborra calda e densa. «Guarda, finocchio, questo è il segno che sei mio.»
Con crudeltà, gli portò le dita alla bocca, spingendogliele dentro senza esitazione. «Assaggia la tua merda con la mia sborra, finocchio. Solo così capirai che non sei altro che un pezzo di carne da usare.»
Claudio, ormai perso, spalancò le labbra e prese con la lingua le dita di Carlo, il sapore amaro che gli bruciava in gola. Succhiava con gli occhi chiusi.
«Brutto finocchio», ringhiò Carlo con soddisfazione. «Sei mio e solo mio. Non dimenticarlo mai.»
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