Il mio primo cosplay

di
genere
feticismo

Perfetto.
Dai, perfetto forse no, ma è stupendo. Dopo tutto ci ho lavorato per oltre due mesi, fra parrucca, gonna e camicetta; perché sì, avevo cucito tutto a mano. Le uniche cose che avevo acquistato erano state le parigine bianche e le scarpe, nere con un tacco leggero.
Finalmente mi convinco a vincere ansia ed emozione e lo indosso.
Spogliata davanti allo specchio mi concedo qualche momento per osservare il mio corpo e mi sorrido. Ho vent'anni, studio filosofia in università e sono single, malgrado mi conceda spesso qualche avventura.
Sì, mi sorrido, sorrido alla mia pelle liscia, vellutata, ai miei occhi verdi, alla mia terza di seno celata da un reggiseno in pizzo - nero coordinato al perizoma - decisamente elegante e sensuale.
Sono pronta.
Ho il sogno di fare la cosplayer da quando ho 16 anni, ma per un motivo o per l'altro non l'ho mai coronato; forse molto ha pesato il senso di colpa che mia madre ha sempre cercato di inculcarmi, perché a suo dire "solo le streghe del demonio si travestono".
Ora vivo sola e quell'accusa, sebbene talvolta morda ancora, non mi soffoca più come prima. Anche se ho un gatto, nero per altro.
Ironico no?
Comunque, mi sono persa abbastanza con gli occhi sul mio corpo, è davvero il momento.
Indosso le parigine, sono morbide, e calzano bene.
Poi la gonna, che è corta al punto giusto, coprendo appena metà coscia.
Tocca alla camicetta bianca, di cui non allaccio né il primo né l'ultimo bottone: devo stare nel personaggio, e poi mi piace essere sexy.
Infine tocca alla parrucca, perciò raccolgo con elastico e forcine i miei capelli neri lisci per indossarne altri, altrettanto lisci ma decisamente più chiari; precisamente biondi, con qualche meche rosa.
Sorrido di nuovo, faccio il gesto della vittoria con la mano destra e mi faccio una linguaccia. Selfie d'obbligo e... Voilà, Elena ha lasciato spazio ad una meravigliosa Marin Kitagawa.
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Decisamente è stata la giornata giusta. Caldo, sì, ma le gambe scoperte e un filo di vento hanno mitigato la temperatura.
Nemmeno so quante foto mi hanno fatto, è stata una meraviglia, ma ora è il momento di tornare a casa. Fra una settimana ho un esame, e non posso permettermi un intero giorno sensa studiare.
"Ehm, scusa? Posso chiederti un'ultima foto, Kitagawa?"
È un uomo sulla trentina a parlare, non è in cosplay, ma ha una vistosa macchina fotografica che gli pende sul petto, esattamente davanti al Doraemon che gli svetta sulla tshirt bianca.
"Certo! Ti va però di metterci là, all'ombra sotto le piante?"
Un breve scambio di battute, nulla più, ma tanto è bastato per pensare che fosse decisamente carino, con quei capelli castani mossi e quegli occhi azzurri.
Ho cercato di regalargli un momento indimenticabile, assumendo le posizioni più sensuali che il contesto mi concedesse.
La prima, chinata in avanti, lasciava vedere un'ampia porzione di seno. La seconda di spalle, appena voltata con sguardo ammiccante, sollevava abbastanza la gonna per mostrare impercettibilmente il pizzo nero delle mutandine.
La terza e ultima era un primo piano, che mi raffigurava con la lingua fuori e un leggero filo di bava, e gli occhi all'insù. Come in un ahegao.
Be', non serviva essere un genio per capire che il ragazzo - di nome Simone - era visibilmente eccitato.
"Senti... Posso chiederti qualcosa di... Non convenzionale? Puoi sempre mandarmi a cagare eh."
Metteva già le mani avanti. Mi è venuto da ridacchiare, avendo capito perfettamente dove volesse andare a parare, ma ho annuito e l'ho inviato a dirmi ciò che aveva in mente.
"Ti andrebbe?"
La domanda è rimasta quella per più di qualche secondo, senza essere più specifica di così. Si è limitato soltanto a indicare le mie scarpe con il tacco.
Incredibile, non avevo capito.
Cioè, sì, era eccitato, ma mi aspettavo altro.
In ogni caso non ho risposto subito e l'ho lasciato specificare meglio.
"Sì, insomma, posso vedere i tuoi piedi? Fotografarli anche? E... Beh, se ti va anche massaggiarli. O leccarli."
Ero senza parole, non mi era mai successo nulla di simile.
"Posso pagarti."
Ha aggiunto, vedendomi tentennare. Non che tentennassi per quello, naturalmente, è che nessuno mi aveva mai leccato i piedi, prima di allora. Comunque, i 100 euro che mi stava sventolando davanti - e con essi il pensiero dei prossimi acquisti per il futuro costume - avevano sciolto i già fragili dubbi.
"Va bene".
È stata la mia risposta, pronunciata mordendomi il labbro inferiore. Mi sono seduta sotto un albero, all'ombra e fuori vista e ho sfilato le scarpe. Stavo per fare lo stesso con le parigine quando mi ha fermato.
Si è messo in ginocchio, di fronte a me e ha iniziato a baciare le calze, sopra entrambi i piedi. Poi, evidentemente godendosi il momento, si è soffermato ad odorare pianta e dita.
"È tutto il giorno che indosso le scarpe, sarà fastidioso, scusami..."
"Fastidioso? Scherzi? I tuoi piedi sono divini, Kitagawa."
Gli ho sorriso e ho deciso di stare al gioco, anche perché la situazione stava iniziando a eccitarmi, e parecchio anche.
"Elena. Mi chiamo Elena."
Ho pronunciato il mio nome con voce calda, marcatamente sensuale, alzando il piede per passarglielo sul viso.
"Voglio sentire la tua lingua sulla pelle adesso."
Il ragazzo ha tentennato un istante, stupito dalla mia rezione ma palesemente felice.
Insomma, non se l'è fatto ripetere due volte e mi ha sfilato lentamente entrambe le parigine per poi iniziare a baciarmi la pianta dei piedi. La sensazione mi ha destabilizzata, perché mi ha eccitata molto più di quanto mi potessi aspettare.
Io gli avevo dato un ordine, e lui lo aveva eseguito. Fra l'altro l'ordine consisteva nel farmi adorare i piedi sudati, e lui ne sembrava entusiasta. Quel pensiero mi ha pervaso: ero forte, e lui era - letteralmente - ai miei piedi. Per dio come mi piaceva.
Mentre fantasticavo la sua lingua passava sulla pianta, dal tallone alle dita, che di quando in quando si fermava a succhiare.
"Fermati, tiralo fuori."
"Ma... Non ho altri soldi"
"Non serve, è un mio regalo. Per questa volta." Ho aggiunto, lasciando aperte future porte.
Si è steso a terra e, obbediente, ha slacciato i jeans. Aveva dei boxer neri semplici, salvo per alcuni disegnini di cactus che tapezzavano la stoffa. Malgrado la situazione ho sorriso, trovandolo dolce. Comunque quel pensiero è durato poco perché, impaziente, li ha sfilati subito. Aveva un discreto cazzo, senz'altro più di 15 centimetri.
Mi sono chinata su di lui e ci ho sputato sopra, per lubrificare cappella e intero membro. Volevo passare subito ai piedi, ma la golosità ha avuto la meglio e ho iniziato a segarlo con calma, senza alcuna fretta, godendomi il suo piacere. La mia mano scorreva sul cazzo, dal frenulo alle palle, che avevo una voglia di leccare e succhiare. Cercavo i suoi occhi, ma erano chiusi, come se fosse in estasi.
Alla fine ho assecondato i miei istinti e gli ho preso in bocca i testicoli, dapprima leccandoli lentamente e poi succhiando con più avidità. Era un po' sudato, ma questo mi faceva eccitare ancora di più. Ora ho capito cosa intendeva prima, a proposito dei miei piedi.
I suoi mugolii stavano aumentando rapidamente, dovevo fermarmi o sarebbe già a venuto. Dopo un'ultima leccata gli ho offerto nuovamente i piedi e lui, come per ricambiare il mio gesto, ha subito preso a succhiarmi gli alluci e a sbavarmi sulle piante.
Non riusciva più a resistere, era evidente dal suo cazzo che pulsava malgrado nessuno lo toccasse.
"Sborra sui miei piedini, ti va?"
Gli ho domandato con voce sensuale e, senza attendere la risposta, ho inisiato a passargli la pianta del piede, ben lubrificata dalla sua saliva, sul cazzo. Giusto un istante, prima di avvicinare anche l'altro.
Inizialmente li muovevo insieme, uno sul cazzo e uno sulle palle, poi gli ho afferrato il membro con entrambi per fargli un footjob - il primo della mia vita - vero e proprio.
Giusto un breve rantolo e un gemito basso, roco, hanno anticipato il suo orgasmo. Orgasmo intenso direi, a giudicare dal fiotto di sborra calda che mi ha regalato sui piedi. Colate di sperma bianco e denso dalla caviglia alle dita, per non parlare del collo del piede, ormai pressoché bianco.
"Wow..."
Ho sussurrato a mezza voce, eccitata qunto lui. Poi ho raccolto quanto più seme possibile con le dita e me lo sono portato alla bocca per gustarlo.
"Squisito Simo..."
Gli ho sorriso, poi ci siamo rivestiti in silenzio, fino a che non mi ha preso la mano.
"Ehi, tu non sei venuta, scusami."
Quel ragazzo era davvero dolce.
"Tranquillo, cucciolo, ci penserò da sola a casa stasera. Col tuo sapore in bocca."

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scritto il
2025-06-19
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