La predatrice
di
HARLEY Q
genere
tradimenti
Quando l’alba tagliò l’orizzonte come una lama opaca, la camera era immersa in un silenzio caldo, profondo. Solo il rumore del respiro lento di Paolo, sdraiato a pancia in giù, sudato, esausto. Il lenzuolo era caduto a terra durante la notte – quella notte. La notte in cui Clara si era presa tutto ciò che voleva. Ancora non bastava.
Lei era sveglia da ore.
Seduta al bordo del letto, nuda, con le gambe incrociate, fumava una sigaretta che rubava luce ogni volta che inspirava. Il fumo le sfuggiva dalle labbra come sospiri. Clara aveva il viso di chi aveva vinto una guerra. Ma dentro… ribolliva.
I suoi lunghi capelli blu elettrico – disordinati, un po’ annodati dal sudore, dal sesso, dalle mani di lui – cadevano sulle sue spalle minute. I suoi seni enormi sembravano quasi troppo per quel corpo snello e allenato, come due peccati gloriosi montati su una tela di muscoli scolpiti e pelle liscia. E Paolo le apparteneva. Non perché l’amasse. Ma perché lei aveva deciso così. E Clara otteneva sempre ciò che voleva. Sempre.
Guardò il suo cellulare. Nessun messaggio. Nessuna chiamata da lui.
Ma da lei, sì. Elena. La mogliettina perfetta. Che scriveva:
“Amore, stanotte non sei tornato. Tutto bene? Ti amo.”
Clara ghignò. “Ti amo.” Povera idiota.
Spense la sigaretta sul comodino senza nemmeno guardare e si voltò lentamente verso il letto. Lui era ancora lì. Bello. Fragile nel sonno. Vulnerabile. Le sarebbe bastata una sola carezza per svegliarlo. Ma lei non era una da carezze.
Si avvicinò. Si chinò. I suoi lunghi capelli gli sfiorarono la schiena. E poi, con lentezza predatoria, affondò sotto le lenzuola, tra le sue gambe. Il membro di Paolo era ancora molle, dormiente. Ma lei lo prese tra le labbra con dolcezza velenosa, cominciando a succhiare piano, lenta, bagnata, come se stesse risvegliando un demone.
Non ci volle molto.
Il respiro di lui si spezzò. Poi un gemito, ancora incosciente. E la mano che cercava i suoi capelli.
“Clara…?” mormorò.
“Zitto,” ringhiò lei, con la bocca ancora stretta attorno al suo cazzo che già pulsava tra le sue labbra. “Lascia fare a me.”
Gli occhi di lei erano chiusi. Si concentrava. Le guance si muovevano su e giù, la lingua lo accarezzava come una vipera affettuosa. Lui divenne duro, teso, bollente. Clara non smise, nemmeno quando le lacrime le inumidirono gli occhi, nemmeno quando cominciò a prenderlo tutto, fino in fondo. Senza pietà. Senza limiti. La bocca di lei era l’unica preghiera che Paolo conosceva, in quel momento.
E venne. Forte. Dentro. Clara lo prese tutto. Non lasciò nulla. Ingoiò.
Poi si stese accanto a lui, passandosi la lingua sulle labbra con un sorriso soddisfatto.
“Questo, tua moglie non te lo fa, vero?”
Lui non rispose. Non poteva. Il senso di colpa era una macchia nella sua mente, ma Clara era come un acido: lo scioglieva ogni volta. Le accarezzò un fianco. Lei si irrigidì.
“Non toccarmi come tocchi lei,” sibilò. “Io non sono lei. Io sono meglio.”
Paolo sospirò, ma non disse nulla. Lei si alzò dal letto. Si infilò la sua camicia bianca – troppo larga, troppo aperta. Sotto, nulla. Si versò un bicchiere d’acqua, lo bevve d’un fiato.
Poi andò davanti allo specchio. Si osservò. Le tette libere sotto la stoffa, i capezzoli che premevano contro il tessuto, le cosce ancora arrossate. Aveva i segni di lui dappertutto.
Ma non bastava.
Clara non voleva solo scoparlo. Voleva distruggere Elena.
“Lo ami?” chiese, voltandosi verso di lui. Paolo era ancora nudo, disteso sul letto come un uomo svuotato di tutto. Lei ripeté: “Lo ami?”
“…Chi?”
“Non fare il coglione.” I suoi occhi brillarono. “Tua moglie. Elena.”
Silenzio.
Clara strinse il bicchiere. Poi lo lanciò contro il muro. Il vetro esplose in mille pezzi.
“Lo vedi?! Tu non dici niente! Perché ti piace che ti scopi e poi torni da lei come un bravo marito, vero? Ti senti in pace così. Infame.”
Paolo si alzò lentamente. Si avvicinò. Le prese i polsi. “Clara. Basta. Lo sai che è complicato.”
“Non è complicato, è vigliacco.” Lo sputò in faccia con le parole. Poi si avvicinò, gli morse il labbro. Forte. Fino a fargli uscire sangue.
“Ma tanto ti spezzerai. Lo so. Perché io non sono una storia. Io sono una condanna.”
Si voltò e uscì dalla camera, nuda sotto quella camicia. Dietro di sé, lasciava odore di sesso, veleno, e guerra.
Lei era sveglia da ore.
Seduta al bordo del letto, nuda, con le gambe incrociate, fumava una sigaretta che rubava luce ogni volta che inspirava. Il fumo le sfuggiva dalle labbra come sospiri. Clara aveva il viso di chi aveva vinto una guerra. Ma dentro… ribolliva.
I suoi lunghi capelli blu elettrico – disordinati, un po’ annodati dal sudore, dal sesso, dalle mani di lui – cadevano sulle sue spalle minute. I suoi seni enormi sembravano quasi troppo per quel corpo snello e allenato, come due peccati gloriosi montati su una tela di muscoli scolpiti e pelle liscia. E Paolo le apparteneva. Non perché l’amasse. Ma perché lei aveva deciso così. E Clara otteneva sempre ciò che voleva. Sempre.
Guardò il suo cellulare. Nessun messaggio. Nessuna chiamata da lui.
Ma da lei, sì. Elena. La mogliettina perfetta. Che scriveva:
“Amore, stanotte non sei tornato. Tutto bene? Ti amo.”
Clara ghignò. “Ti amo.” Povera idiota.
Spense la sigaretta sul comodino senza nemmeno guardare e si voltò lentamente verso il letto. Lui era ancora lì. Bello. Fragile nel sonno. Vulnerabile. Le sarebbe bastata una sola carezza per svegliarlo. Ma lei non era una da carezze.
Si avvicinò. Si chinò. I suoi lunghi capelli gli sfiorarono la schiena. E poi, con lentezza predatoria, affondò sotto le lenzuola, tra le sue gambe. Il membro di Paolo era ancora molle, dormiente. Ma lei lo prese tra le labbra con dolcezza velenosa, cominciando a succhiare piano, lenta, bagnata, come se stesse risvegliando un demone.
Non ci volle molto.
Il respiro di lui si spezzò. Poi un gemito, ancora incosciente. E la mano che cercava i suoi capelli.
“Clara…?” mormorò.
“Zitto,” ringhiò lei, con la bocca ancora stretta attorno al suo cazzo che già pulsava tra le sue labbra. “Lascia fare a me.”
Gli occhi di lei erano chiusi. Si concentrava. Le guance si muovevano su e giù, la lingua lo accarezzava come una vipera affettuosa. Lui divenne duro, teso, bollente. Clara non smise, nemmeno quando le lacrime le inumidirono gli occhi, nemmeno quando cominciò a prenderlo tutto, fino in fondo. Senza pietà. Senza limiti. La bocca di lei era l’unica preghiera che Paolo conosceva, in quel momento.
E venne. Forte. Dentro. Clara lo prese tutto. Non lasciò nulla. Ingoiò.
Poi si stese accanto a lui, passandosi la lingua sulle labbra con un sorriso soddisfatto.
“Questo, tua moglie non te lo fa, vero?”
Lui non rispose. Non poteva. Il senso di colpa era una macchia nella sua mente, ma Clara era come un acido: lo scioglieva ogni volta. Le accarezzò un fianco. Lei si irrigidì.
“Non toccarmi come tocchi lei,” sibilò. “Io non sono lei. Io sono meglio.”
Paolo sospirò, ma non disse nulla. Lei si alzò dal letto. Si infilò la sua camicia bianca – troppo larga, troppo aperta. Sotto, nulla. Si versò un bicchiere d’acqua, lo bevve d’un fiato.
Poi andò davanti allo specchio. Si osservò. Le tette libere sotto la stoffa, i capezzoli che premevano contro il tessuto, le cosce ancora arrossate. Aveva i segni di lui dappertutto.
Ma non bastava.
Clara non voleva solo scoparlo. Voleva distruggere Elena.
“Lo ami?” chiese, voltandosi verso di lui. Paolo era ancora nudo, disteso sul letto come un uomo svuotato di tutto. Lei ripeté: “Lo ami?”
“…Chi?”
“Non fare il coglione.” I suoi occhi brillarono. “Tua moglie. Elena.”
Silenzio.
Clara strinse il bicchiere. Poi lo lanciò contro il muro. Il vetro esplose in mille pezzi.
“Lo vedi?! Tu non dici niente! Perché ti piace che ti scopi e poi torni da lei come un bravo marito, vero? Ti senti in pace così. Infame.”
Paolo si alzò lentamente. Si avvicinò. Le prese i polsi. “Clara. Basta. Lo sai che è complicato.”
“Non è complicato, è vigliacco.” Lo sputò in faccia con le parole. Poi si avvicinò, gli morse il labbro. Forte. Fino a fargli uscire sangue.
“Ma tanto ti spezzerai. Lo so. Perché io non sono una storia. Io sono una condanna.”
Si voltò e uscì dalla camera, nuda sotto quella camicia. Dietro di sé, lasciava odore di sesso, veleno, e guerra.
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Commenti dei lettori al racconto erotico